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Inseguendo le parole*

Carlo Marcello Conti

Non mi resta che esprimere gratitudine per queste situazioni

che di tanto in tanto accolgono con amore e competenza storie a cui ho cercato di dedicare quello che è stato e quello che rimane del mio tempo. Non ho diapositive da farvi vedere, nonostante mi interessi di visualizzazione del linguaggio, anche perché dopo la mostra1 che il Credito Valtellinese mi ha dedicato a Fano, in un palazzo del Settecento, in sei stanze, una storia che nemmeno io conoscevo così come è stata proposta, io stesso vorrei capirla questa mia storia, con qualcuno che la sappia raccontare meglio di me, magari potendo mettere a disposizione capacità economiche che non erano e non sono nelle mie possibilità e nemmeno nei miei pensieri. Non sono un critico in grado di analizzare quel che il presente e il recente passato ci hanno offerto attraverso la capacità e l’energia di questi sperimentatori, di questi poeti che hanno cercato di aderire con la loro passione a quel che era necessario venisse

È un po’ lontano, e bisogna trovare i modi giusti per poterlo accostare. È sempre il presente quel che ti viene incontro e che ti colpisce, e che qualche volta fa diventare vero un sogno. Qui ci sono molti giovani che hanno sicuramente dei sogni, che studiano, che provano a realizzare quel che stanno sentendo; a loro direi: Insistete!, perché il sogno, anche se è una parola che non mi piace molto, è comunque qualcosa che ci può aiutare sempre. Avevo preso degli appunti, forse utili a capire perché ho creduto così tanto nella poesia.

Sono nato in Cadore da genitori tosco – romagnoli. Mio padre ’39 era a Fiume. Insomma anche dopo….sono del ’41, mi ha fatto ginocchia, come amo ripetere, e amavo le montagne. Quando mi riportarono in Romagna mi sembrava di vivere in un deserto, e mi ero messo a scrivere dei raccontini per consolarmi,

avevo nove anni e mezzo. Mia madre, che veniva da una famiglia borghese, era molto preoccupata, si alzava di notte, e nei quaderni dove avevo i miei appunti, mi lasciava scritto:

* Le note al testo sono del curatore (RC).

1 Si tratta di Belle parole – Poesia visiva e altre storie tra arte e letteratura nella collezione

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non ho mai sentito dire possa essere un lavoro che ti possa più corte e si potevano nascondere meglio. Niente di più. Naturalmente ti viene da cercare persone che sono simili a te, che sentono le stesse cose. E magari scopri che non sempre funzionano perché non corrispondono esattamente a quel che in quel momento ti viene incontro, o a quel che sta già cambiando. E poi come uscire dall’ermetismo? C’erano le avanguardie era un futurista della seconda generazione, Mario Guido Dal Monte, aveva una collezione straordinaria. Io capitai a casa di quest’uomo, che negli anni ’50 aveva una villa già recensita dalla pubblicistica di settore, con la piscina sul tetto, e a Imola non esistevano case di quel genere. Aveva un negozio di vestiti, in centro, e una storia incredibile; cominciò a parlarmi delle cose che aveva attraversato. Finii a casa sua, perché da ragazzini facevamo la concorrenza ai facchini per portare la legna nelle case, e mi trovò incantato di fronte a quanto c’era sulle pareti. Mi chiese il motivo di quell’attenzione, raccontai qualcosa. Diventammo amici, gli facevo perdere tanto tempo nel suo negozio di vestiti, lui doveva vendere, a me non vendeva alcunché. Però una zia un giorno mi volle regalare un cappotto, e così in qualche modo riuscii a sdebitarmi. Mi aveva indicato dei personaggi, che erano Germano Sartelli, Tonino Gottarelli, i quali facevano cose d’arte. Sartelli aveva partecipato a una Biennale, un personaggio molto schivo; arrivare a Bologna, dalla De Foscherari, che era la sua galleria, potuto essere un Burri, ma non era vissuto in America, e non era così attivo. Faceva delle cose straordinarie con le tele dei ragni, con la plastica. Ho un lavoro di quegli anni che tengo caro. ci si sta arrivando con tutti questi contenitori che pretendono di valere più del loro contenuto. A Bologna, in un museo di storia, abbiamo avuto a disposizione un bello spazio, ed esposi allora delle scatole, scatole vere e proprie, che raccontano un po’ quel che ogni tanto riesco a fare.

Conobbi Adriano Spatola quando lui frequentava il liceo, mentre venne mandato in un istituto commerciale. L’unica materia che un pò mi stimolava era economia politica, aveva qualcosa a

che fare con il pensiero. Ma c’era già allora una forte tensione verso la poesia. Un sindacalista, laureato in statistica, mi disse che avrei dovuto conoscere un giovane che se ne occupava. Così incontrai Adriano, avevamo intorno ai diciassette anni. Più tardi lui si spostò a Bologna, dove io lo seguii nel 1961. L’anno dopo nasce «Babilu». Solo due numeri perché non avevamo i soldi neanche per pagare il tipografo, che era Tamari, il tipografo di Guanda. Se ricordate uno dei primi libri di Spatola, Le pietre e gli dei

anche la redazione di allora secondo me era interessante, perché vi prendevano parte Celli, Celati, Carletto Negri, che è ancora vivo, Miro Bini, e Alberto Tomiolo che veniva da Verona, come Agostino Contò che è non solo un poeta straordinario, ma anche un direttore di biblioteca prestigioso. Più o meno negli anni in cui è uscito il libro di Spatola, esce anche il mio Eliminazz/zzione, nella collana di

fratelli in quel periodo. Dopo un paio di anni Spatola fece il salto collaborando con le riviste più importanti. Si avvicinava il ’63, in quell’anno facevo il militare a Verona dove incontrai Franco Verdi. È in quell’occasione che ho cominciato a conoscere meglio la poesia visiva, grazie a questo personaggio, generoso

tanti, aveva accumulato del dolore. A volte se non trovi il posto, ti urge da dentro. In «Babilu» – vorrei ricordare che le immagini erano tradizionali, fatte da bravi pittori e incisori che non avevano a che fare con l’avanguardia – abbiamo però avuto la possibilità di pubblicare un pezzo straordinario Omaggio ai Sassi di Tot, di Emilio Villa, per noi un personaggio un po’ mitico, che andava e veniva a Bologna e spariva, e ci concesse questa sua pubblicazione. Avvertivo la necessità di capire quel che stava cambiando anche nella casa della poesia, della scrittura, forse non solo più una casa, ma anche una gabbia. Avevo nel frattempo pubblicato un altro poema per Rebellato editore. Finito il militare tornai a trovare Adriano, a cui devo tanto, personaggi così meriterebbero moltissimo. Anceschi si era fatto fare una casa in campagna vicino a dove stava Spatola, – ospite di Corrado Costa 2, scomparso precocemente – per

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poter parlare insieme. Tanto per dirvi la cifra di questo grande personaggio, molto performativo, che era Spatola, e vorrei sottolineare in questo ambiente di studio, che vanno pure a capire come nascono certe cose, dentro questi nostri contenitori, queste scatole, che non sono di plastica.

Per farla breve e per dimostrare che sapevo anche occuparmi di cose pratiche, mi misi a vendere macchine per il movimento terra, un lavoro che non mi entusiasmava, ma che mi ha

permesso di incontrare persone molto diverse, di diversa matrice sociale e preparazione. Ed è così che sono arrivato in Friuli, dove ho comunque deciso di non abbandonare quello che mi piaceva. E, immeritatamente, pur non avendo una siamo inventati questa casa editrice, Campanotto, che porta il cognome di mia moglie, scomparsa purtroppo qualche anno fa. Quel che guadagnavo è servito anche a comprare le prime macchine per la stampa, pur non sapendo cosa esattamente fosse. In fondo ero rimasto attratto dal lavoro delle avanguardie a Milano comprai una macchina per fotocomposizione

americana, perché assomigliava a una macchina da scrivere fui così fra i primi ad utilizzare la focomposizione. E mi ritrovai anche a considerare i rapporti fra l’arte e l’elettronica. Ricordo che, naturalmente salto dei passaggi, una ventina di anni fa Giacomo Verde, Toti, vi era Piero Olmeda direttore della rivista «Poetronic», che aveva ben individuato quella relazione. Purtroppo, allora non diversamente da ora, non la si vendeva. Abbiamo provato a interessare, inutilmente, una casa che

produceva e assemblava computer. Noi allora potevamo arrivare ai Commodore, agli Atari. Quel produttore arrivava a spendere alla loro, anche se scarsa, letteratura industriale. Niente da fare, preferivano comprare spazi pubblicitari da venti milioni l’uno, ma non produrre "Poetronic". Che intendiamo riprendere noi, tra l'altro l’aveva vista con molto interesse Gabriele Perretta, già attivo collaboratore di "Flash Art".

arrivai a Bologna, Spatola dirigeva il percorso di un editore

straordinario, che si chiamava Sampietro, dalla breve vita, un paio di anni, perché purtroppo l‘editore venne meno in un incidente, e non per suicidio, come si diceva. Un programma straordinario, una collana di poesia era diretta da Lamberto Pignotti 3, vi collaborava anche Bonito Oliva, allora era poeta, e penso lo sia ancora, anche se simpaticamente ha pensato di occuparsi di altre cose, mi riferisco alla Transavanguardia. È un uomo intelligente e ha fatto quel che si sentiva di fare, e non compete a me entrare nel merito. In quel periodo, quando è nata la Transavanguardia, forse una idea diversa della scrittura cominciava effettivamente a circolare. Non si trattava solo di un vicolo cieco, – e per quel che potevo, avevo cercato non si riducesse a un vicolo cieco, e si potesse invece parlarne, darne documentazione –, ma senza riscontri pensi, per contrasto, a che quotazioni possono arrivare opere grado di raggiungere cifre incredibili. Siamo lontanissimi da un approccio legato alla fragilità della carta, ai suoi frammenti, al recupero di residui e materiali di scarto. Per fortuna ho visto di recente a Villa Manin, e mi ha un po’ consolato, una mostra interessante di opere dell’avanguardia russa basata sulla collezione di George Costakis. In un video dedicato alla sua mania di collezionare, la moglie parlava dello stupore degli amici che andavano a trovarli a casa, per la presenza di tutta cosa era nato da quell’immondizia’. Non mi paragono certo al ricordare un aneddoto che mi riguarda. Mi veniva a trovare ogni tanto un’amica tedesca, la quale mi criticava perché conservavo le bustine del tè, ma a mio avviso avevano delle le dedicai un libro oggetto e vi erano delle pagine nelle quali vi erano due mucchietti diversi di bustine. Il primo più cospicuo che componeva l’insieme dei giorni Senza te, e il secondo più scarso, dei giorni Con te.

Che aggiungere ancora… passa tutto così in fretta. Le mie

3 Si tratta di Poesie visive

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cose sono raccolte in una casa abbastanza grande, e vorrei comprendere cosa farne. Se tenere insieme le diverse

collezioni, i molti materiali e la casa, se fare di quest’ultima una residenza per poeti o per artisti. Ma mi porrebbe ovviamente un problema di conduzione. La mia attività, vi sono diversi miei appunti in proposito, non ha riguardato solo la poesia, o la poesia visiva, ma anche la poesia sonora. È sempre imbarazzante parlare di se stessi, ma in qualche modo ci si trova anche a dover difendere quel che si è provato a fare,

non riguardando solo un percorso individuale. A testimonianza, almeno parziale di quel percorso, e dei momenti non semplici che abbiamo attraversato, vi sono dei cataloghi, di cui lascio copie a questa istituzione. In questi cataloghi vi sono lavori di un centinaio di artisti da tutto il mondo, con i quali abbiamo collaborato, montando delle cose insieme, a volte smontandole, e sono rimaste come dei segnali, dei Queste pubblicazioni sono anche non di rado il resoconto per le mostre a cui partecipiamo o che organizziamo. Ne ricordo alcune, comprese fra il 2009 e il 2014: Scatole

vede come autore, e dove ho ripreso il tema dell’invadenza odierna degli imballaggi, dei contenitori, con l’idea, scrivevo, che “rompere le scatole sia un’operazione poetica intorno (Fig. 1). Anche Con/tenuta

medesima questione, però basata sulla scatola dentro la scatola (Fig. 2). E fa dis fa, nel titolo riprende il

toponimo di un paese friulano che indicava probabilmente l’albero di è una mia raccolta di poemi sonori. In copertina l’opera Faedis, che, su una struttura di tavole da pancale, a fungere da sfondo, allinea pezzi di legno e coppie di gessetti colorati (Fig. 3). Il nostro Paese non investe molto in questo genere di cose,

peccato. Dico sempre che la vita senza poesia che vita mai può essere? Ecco perché avevo dato come titolo a questa conversazione Inseguendo la parola, perché era il titolo delle prime cose che avevamo fatto nel 1977 alla Galleria d’arte

moderna del Friuli. Una passione, un’incoscienza, prima parlavo di sogni, anche se può suonare imprudente parlare di sogni. Vi sono state anche altre persone, con più esperienza, con più distacco, che riuscivano a leggere queste nostre cose. Noi non ci chiedevamo troppo perché le si faceva, erano cose che ci venivano incontro, a volte ci venivano addosso. E potevano anche essere effettivamente lette come l’origine di un cambiamento dei linguaggi. Prima si accennava ai fumetti, al cinema, ma è anche vero che a partire da Steinbeck e da Faulkner il mondo si presenta come un insieme di frammenti, di schegge, il è stato ben detto, credo sia da considerare il linguaggio Miccini, Bentivoglio, Pignotti. Considerazioni spesso riprese nella rivista «Zeta». Miccini prima di lasciarci mi diede in

consegna la sua «Tèchne»4, che non riusciamo più a fare perché Paolo Albani ci ha un po’ abbandonato, preferendo la sola

cartacea. È stato recentemente da me un ragazzo, sposato con non fosse stato piuttosto interessato a prendersi l’intera casa è vero che si fa in fretta, non costano tanto, ma per divulgarli i costi non sono minori di quelli della promozione di un libro. Il mio interlocutore osservava che avevo un catalogo di libri invendibile, e allo stesso tempo che la casa editrice aveva un

Lamberto Pignotti; la seconda serie (1986-2013), diretta e redatta da Paolo Albani e Lino di Lallo, per Quodlibet, diretta da Paolo Albani, in forma digitale.

Fig.1

Fig.3

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un nome di qualche rilievo è proprio grazie a quei libri, a questo catalogo ‘invendibile’ (Fig. 4).

capire perché. Nel 1967 quando Pound tornò in Italia, andai a vederlo al reading al Festival di Spoleto, e vi era anche Pignotti, come vi sono qui ora Contò fra i relatori, Tomiolo fra gli ospiti di questo incontro. E vi sono altri poeti importanti per la mia storia, che hanno fatto parte anche della redazione di «Zeta»: Celati, ora famoso e che non vediamo più. Celli, un grande etologo, ma soprattutto un poeta interessante, scomodo e che è venuto meno qualche anno fa. Molte sono state le perdite,

e questo mondo non sempre riesce a pensarle adeguatamente, anche se sono perdite che rappresentano bene questa vita, fatta di un presente che non costa tanto. Per quel che mi riguarda spero che quel che ho fatto possa trovare un suo luogo e rimanere da qualche parte, per tutti.

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L’aspetto

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antropologico del