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contemporaneo tra immagine e

scrittura

Luigi Capucci

In genere questi argomenti vengono trattati spesso in maniera

tradizionale. Per diversi anni ho collaborato con Lamberto e probabilmente la mia passione per questi argomenti nasce proprio da lì. E vi ringrazio molto per aver detto che il mio libro Arte & tecnologie non invecchia, a differenza di chi lo ha scritto. Quel libro ha una storia abbastanza curiosa: è uscito nel 1996 per una casa editrice di amici di Bologna, che all’epoca pubblicava una rivista di arte contemporanea che si chiamava La stanza rossa. Poi la casa editrice, nel giro di qualche anno, ha chiuso i battenti e sono tornato in possesso dei diritti del testo, che è stato uno dei primi, forse il primo in Italia, su questi argomenti. Inizialmente l’ho messo on line e poi ne ho fatto un eBook, perché credo che le questioni che tratta siano ancora valide e attuali.

Parlerò del rapporto fra immagine e testo partendo da alcune considerazioni che propongo all’inizio dei miei corsi di Fenomenologia. Dedico le prime due lezioni alla dimensione del simbolico, perché la scrittura, l’immagine, e prima l’oralità, derivano dalla dimensione simbolica. Siccome tutto ciò che la nostra cultura crea poggia sul simbolico, penso che approfondire questo argomento sia importante specialmente per chi opera, come avviene in accademia, su immagini e testi. Dato che raccontare queste cose può essere noioso, insieme ai miei studenti faccio un viaggio all’indietro nel tempo. Parto dai segni indicali, dunque dagli albori del simbolico, da quando qualche milione di anni fa i nostri avi arcaici hanno iniziato a comunicare con i gesti, con i segni indicali. Poi, via via, attraverso l’oralità, la scrittura e le immagini, l’umanità acquisisce una serie di

le caratteristiche introdotte dalle modalità di comunicazione consentono e quali sono gli effetti collaterali. Questo percorso mostra anche come nessuna delle forme consolidate scompaia con l’avvento delle nuove: i segni indicali non scompaiono con l’oralità, l’oralità non scompare con l’avvento delle immagini e l’immagine non scompare a causa della scrittura.

Stringendo molto il discorso, tutto ciò che siamo come umanità poggia sulla dimensione simbolica. Il simbolico nasce a partire

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dal corpo, si fonda sul corpo e genera – prima con l’oralità, poi attraverso l’immagine e la scrittura, quindi via via con strumenti evolutisi in decine di migliaia di anni – un rapporto formidabile col mondo. Ciò che siamo oggi, nel bene e nel male, deriva dalla capacità simbolica. La capacità simbolica non implica necessariamente l’intelligenza. Molto spesso capita di leggere o ascoltare frasi come “siamo la specie più intelligente

su una caratteristica, quella simbolica, che è peculiare soprattutto della nostra specie. Sarebbe come se, essendo un elefante dicessi che “sono il più intelligente perché sono

posseduta anche, sia pure in minor parte, dai primati superiori creature basate sul simbolico, o, per usare un termine forse più comprensibile, fondate sul linguaggio. Questa mattina qualcuno ha detto che parliamo il linguaggio, ma siamo anche parlati dal linguaggio. Da un lato il linguaggio ci consente di conoscere ciò che avviene sulla Terra, e di interagire, anche pesantemente, sull’ambiente in cui viviamo, deteriorandolo. Tuttavia il linguaggio è anche all’origine della capacità di

futuro, di comprendere le problematiche e possibilmente anche di trovare le soluzioni (Fig. 1).

La storia dell’umanità potrebbe essere considerata dal punto di vista dell’introduzione dei mezzi di comunicazione. Dalle dei media contemporanei – comunque sempre basati su segni indicali, oralità, immagine e scrittura – l’evoluzione

dell’umanità potrebbe essere descritta come la ricerca della capacità di comunicare sempre più velocemente, sempre più lontano, in maniera sempre più

estranei, provo a descriverli. Quello in alto a sinistra mostra quanto tempo è stato necessario a media come il cavo, la radio, la televisione e Internet, per raggiungere 50 milioni di utenti negli Stati Uniti. Come si vede c’è stata un’accelerazione nella diffusione: la radio ha impiegato 38 anni, la televisione 13, il cavo 10 e Internet 5 anni... Dunque, in meno di un secolo c’è stata una notevole accelerazione ed è stata la dimensione più o meno usiamo tutti, che hanno impiegato ancora meno tempo per raggiungere 50 milioni di utenti, sia pure in ambito mondiale: Facebook ci ha messo tre anni e sei mesi, Skype circa due anni…, dunque un’accelerazione ancora più evidente. In genere non ci accorgiamo mai dei cambiamenti in atto, mentre avvengono. Ce ne accorgiamo dal punto di vista storico, ex post. Per esempio, molti di noi usano abitualmente delle forme di comunicazione audiovisiva a distanza, come comunicare audiovisivamente a distanza in tempo reale (la superiori rispetto a quelli di strumenti, come Skype e analoghi, che oggi usiamo in maniera pressoché gratuita, grazie a Internet e a un computer, un tablet o uno smartphone. Si tratta di un cambiamento enorme all’interno della nostra cultura, perché consente, per esempio, di essere telepresenti, di comunicare istantaneamente a distanza, anche in continenti diversi, tramite testi e immagini.

Tornando all’oggetto del nostro incontro, con le immagini per la prima volta le conoscenze corpo. Mentre prima il sapere che le culture accumulavano moriva con gli individui, cioè era sostanzialmente basato sulla località, con le immagini questo discorso comincia a venire a meno: le immagini fuori del corpo, che poi possono essere a disposizione delle generazioni successive (Fig. 2). Una cosa interessante è che probabilmente non sapremo mai a cosa servivano immagini

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come quelle che vediamo, vecchie di decine di migliaia di anni. Alcune ipotesi sostengono che avessero un’importanza propiziatoria; altre ritengono che avessero funzioni di natura didattica, per insegnare quali animali cacciare; altre ipotesi ancora sostengono che fossero immagini rituali, da utilizzare in determinate circostanze, durante particolari eventi della comunità. A meno di compiere dei viaggi all’indietro nel tempo, probabilmente non lo sapremo mai.

Dunque abbiamo già una differenza rilevante tra immagine

rispetto al contesto. La scrittura – che secondo il punto di vista occidentale ha circa cinque o seimila anni – è un

i suoi contorni, la sua apparenza, ce lo lascia, appunto, immaginare. Quando leggiamo un romanzo seguiamo la narrazione attraverso le parole ma creiamo noi le immagini, un’azione di fantasia, inventiamo l’apparenza di quei mondi, che è diversa per ognuno di noi.

Per inciso, sostenere che la scrittura sia nata seimila anni fa in quella zona particolare del mondo potrebbe essere messo in discussione: le scoperte che vedete in questa diapositiva riportano ben più indietro nel tempo la nascita di dispositivi legati alla matematica, al calcolo e alla misurazione. Il Lebombo bone, scoperto sulle montagne tra Sudafrica e Svaziland, risale a 35.000 anni fa, quindi ben prima di qualsiasi forma di notazione conosciuta (Fig. 3).

scrittura e dell’immagine, si fonda la nostra cultura. Per tornare

alla contemporaneità, tutti utilizziamo il computer, ebbene i computer sono basati sul testo, i programmi dei computer sono dei testi. Ovviamente sono testi che richiedono una competenza che non ci appartiene se non siamo degli informatici, testi che poi producono delle azioni dentro ai computer. Tramite questi testi è possibile creare delle immagini: quelle che vi mostro –

sulle strisce pedonali e il volto di Marilyn Monroe (Fig. 4) –

appartengono ai primordi dell’epoca dei calcolatori, anche se oggi ci sono artisti che, recuperando un’estetica vintage, compiono il percorso opposto trasformando in testo immagini contemporanee ad alta risoluzione. All’inizio i calcolatori non avevano gli schermi,

quindi per mostrare le immagini era necessario stamparle, creando i chiaroscuri con le lettere dell’alfabeto. Ma il testo è fondamentale anche oggi: nei nostri computer (Macintosh, sullo schermo è scrittura, testo (Figg. 5-6).

Prendiamo, per esempio, l’immagine della scrivania del mio portatile: tutto sembra fermo, immobile. Ma se dal terminale,

tramite la tastiera, diamo vediamo che non è affatto così. mostra i processi che sono in atto nel mio computer. Dietro l’immagine statica della scrivania c’è un incessante brulichio di un gran numero di processi che si attivano e si chiudono, si animano e si fermano, si scambiano dati, compiono moltissime attività. È un continuo operare, non c’è nulla di

così diffuse, hanno una fondazione testuale. Ma la stessa cosa Fig.3

Fig.5

Fig.6 Fig.4

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vale per le immagini. Questo è il logo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, nell’hard disk dove è contenuto, in cui è stato qualsiasi programma, come in questo caso Twitter, viene

descritto da un testo. Cambia la quantità di testo utilizzata dalla un’immagine (Figg. 7-8).

In questa slide quello che vedete è un documento di Microsoft

l’allineamento, la dimensione della pagina..., tutto ciò che (Figg. 9-10).

(Fig. 11).

Nel formato HTML quanto detto è ancora più evidente, perché il codice che descrive la pagina è più facilmente raggiungibile. sa che l’HTLM è il linguaggio responsabile della struttura e abbiamo appena visto ma è pur sempre testo. Nel 1993, con un

gruppo di studenti dell’Università di Bologna, all’epoca ero

assistente di Lamberto Pignotti, realizzammo NetMagazine, poi divenuto MagNet, di cui questa è l’Homepage, il primo magazine online in Italia,

all’interno del quale nel 1995 ho coinvolto anche studenti della andato a insegnare (Fig. 12). È tutto costruito sul testo, puro testo tranne il logo che è un’immagine GIF animata (una delle non essere mai completamente visibili sullo schermo ma per

si dice, impiegare tempo per scoprire e seguire i link. Si tratta di una caratteristica che va contro le regole, talvolta un po’

rivolte a rendere l’accesso alle informazioni il più rapido e semplice possibile. Ma non è detto che queste regole debbano essere universalmente valide: possono andare bene per un sito aziendale, commerciale o giornalistico, dove è importante arrivare subito alle informazioni che interessano. Se invece si tratta di un sito artistico, creativo o sperimentale, ci si può legittimamente sentire in diritto di chiedere tempo a chi sta interagendo, di dedicare tempo alla Questa dimensione costituisce uno dei cardini della net art. La net art nasce in un momento in cui, intorno alla metà degli anni ’90, le tecnologie digitali basate sul personal computer Fig.7 Fig.9 Fig.8 Fig.10 Fig.11 Fig.12

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raggiungono una diffusione di massa grazie alla riduzione del costo del calcolo, espandendo quindi anche le opportunità espressive degli artisti. Come per altre forme artistiche, anche sulle origini della net art esiste una sorta di mitologia: nel 1995 e operante sulle relazioni tra testo e immagine (per esempio,

Birds di Hitchcock,

net

art net art numerosi

artisti lavorano sulle relazioni tra testo e immagine, per esempio

un po’ gli schermi a fosfori verdi dei primordi dell’informatica, HTML, normalmente nascosto, che delinea una bomba atomica disegnata mediante puro testo. Di fatto viene rovesciato il un’immagine, costituita da testo, che non ha alcun riferimento con il codice HTML ma agisce da codice HTML, generando un

composto da caratteri verdi.

(Fig. 13).

Altri artisti hanno operato nell’ambito della net art ispirandosi alla storia dell’arte, in questo caso alla Pop Art (c’è anche la citazione perché nel 1999 hanno inventato un artista, Darko Maver, che è

a Biennale di Venezia (Fig. 14).

Nel campo delle reti telematiche un contributo importante è quello di Roy Ascott, artista, teorico e docente all’Università di Plymouth, fondatore del dottorato internazionale sulle relazioni tra arti, scienze e tecnologie Planetary Collegium (del cui nodo Ascott, che nel 2014 ha vinto la prima edizione del “Prix Ars La Plissure du texte prendendo spunto dal saggio di Roland Barthes Le Plaisir du texte (Figg. 15-16). È un lavoro pionieristico, che utilizza le reti telematiche di allora, qualche migliaio di volte più lente di quelle odierne, per creare una storia collettiva in cui i personaggi vengono recitati da altrettanti artisti in varie città del mondo (Amsterdam, Bristol, Honolulu, Parigi, Pittsburg,

che inviano telematicamente i propri contributi testuali al racconto. Si tratta di una narrazione basata sull’“autorialità decennio dopo verrà ripresa anche dalla net art: la relazione tra testo e immagine, la creazione interattiva di un testo collettivo mediante un’autorialità dispersa. Bisogna ricordare che all’epoca in Francia c’erano varie esperienze, al di fuori delle reti telematiche, che sperimentavano sulla testualità e la narrazione: non è un caso che La Plissure du texte sia stata originariamente realizzata proprio in Francia.

Un altro lavoro che coniuga immagine e testo è l’installazione The Legible City

presentata anche in Italia l’anno successivo, che potrebbe essere considerata come la quintessenza dell’arte interattiva (Fig. 17). Pedalando su una cyclette ci si sposta attraverso delle Fig.13

Fig.15 Fig.17

Fig.14

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architetture testuali costituite di parole mostrate su un grande schermo, parole che sono la trasduzione in testo di una parte di Manhattan. Il percorso in bicicletta attraverso il testo fa sì che le parole, sommandosi, compongano delle frasi, che E siccome ogni persona pedalando compie un percorso diverso in quello spazio testuale, al termine dell’esperienza la narrazione – il viaggio personale attraverso quel testo – non è mai la stessa. The Legible City – che, come dichiarano gli autori, trae ispirazione dal romanzo Le città invisibili di Italo Calvino – rivela una caratteristica interessante e fondamentale dell’arte interattiva: l’esito dell’interazione non può mai essere completamente predetto, perché ognuno interagisce in maniera diversa e ogni percorso è personale, dunque non è possibile una processualità: esiste perché c’è un fruitore che interagisce con essa, in questo caso pedalando su una cyclette, attivandola

e persino un coautore dell’opera: se non attivasse questo processo, partecipandovi, l’opera non vedrebbe la luce. Eduardo Kac è un artista brasiliano conosciuto soprattutto per aver presentato al mondo nel 2000 Alba, il celebre

coniglio transgenico che sotto una luce particolare diventava

è una tecnologia che consente di produrre un’immagine realmente tridimensionale di un oggetto, una replica costituita di luce che ne conserva anche la tridimensionalità. Mentre sostanzialmente mediante le regole della prospettiva,

tendono a confondersi pericolosamente: mediante un particolare procedimento ottico di registrazione che fa uso che è realmente tridimensionale, la cui terza dimensione è effettivamente presente e misurabile (dunque nulla a che

di un oggetto ci si può muovere e vedere l’immagine di dietro – come se si fosse davanti all’oggetto reale (Fig. 18). Come usa questa tecnologia Eduardo Kac? Nei primi anni ’90 parole. A seconda di come ci si muove davanti agli ologrammi emergono parole diverse, che quindi compongono frasi diverse. L’esperienza fruitiva dipende dunque dalla posizione

dell’osservatore nei confronti dell’opera, le immagini che vedete rappresentano diversi punti di vista degli ologrammi.

L’installazione telematica di Hansen e Rubin, Listening Post Electronica nel 2004, è invece un sistema di piccoli visori che mostrano testi presi dalla rete, i quali rendono visibili, pubbliche, informazioni che dovrebbero essere private. Questo lavoro, dunque, insiste su uno dei lati più controversi delle odierne tecnologie di comunicazione, la minaccia alla privacy, appropriandosi e talvolta rendendo pubbliche informazioni personali.

Il lavoro che vi mostro ora è stato realizzato nel 2010 dagli studenti del mio corso di Interaction 3D all’Università SUPSI di Lugano, nell’ambito di una collaborazione tra il Conservatorio della Svizzera Italiana, la Scuola Teatro Dimitri e il Corso di Laurea in Comunicazione Visiva (Fig. 19). L’obiettivo era la messa in scena, nell’Auditorium della Televisione della Svizzera Italiana, di due pièces: A-Ronne Glossolalie 61

per quattro attori e quattro percussionisti. Noi abbiamo creato tre installazioni interattive che utilizzavano dei testi e degli elementi presi dalle partiture, che, come spesso avviene nella musica contemporanea, sono delle vere e proprie opere d’arte perché

Fig.18

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dal compositore che devono essere interpretati dagli esecutori. Una prima installazione riempiva le campiture delle immagini con testo preso dall’A-Ronne, una seconda installazione utilizzava immagini dalla partitura di Schnebel, su entrambe terza installazione che generava dei suoni quando il pubblico transitava sul corridoio che portava alla sala da concerto. Probabilmente conoscete il tipo di immagine che vi mostro ora: è un frattale, in particolare un insieme di Mandelbrot (Fig. 20). I frattali sono immagini spesso spettacolari, molto vivide

e belle, che possono anche essere le immagini frattali non sono altro che testi, funzioni matematiche che diventano immagini. In basso a sinistra è scritta la funzione matematica che crea questa immagine: dunque anche qui tutto il costrutto poggia su un testo, e naturalmente l’immagine frattale cambia a seconda della formula matematica. I frattali possono essere molto diversi tra loro. è in esposizione permanente al MOMA. Nel 2006 ha rilasciato un’applicazione, che è possibile scaricare gratuitamente, per produrre frattali in maniera collaborativa: l’applicazione va a

cercare in Internet altri computer sui quali è attiva per condividere le rilevanti risorse di calcolo necessarie alla creazione dei I frattali posseggono degli aspetti e delle proprietà interessanti, come l’autosomiglianza e l’interattività.

Pollock, Blue Poles: Number 11, del pattern di cui è composta sono frattali (Fig. 21).

Com’è possibile che Pollock, nel 1952, basi il suo lavoro

sui frattali quando questi vengono resi popolari dal libro, del matematico Benoît Mandelbrot, Les Objects Fractals: Forme, Hazard et Dimension, del 1975? Ovviamente non poteva conoscerli. La domanda è senza risposta e sarebbe sono uno dei sistemi più interessanti e utilizzati per simulare

simulare la natura. Ma l’operare di Pollock quando creava i dripping, in maniera istintuale nella relazione del corpo, della sua progettualità, della sua urgenza espressiva con lo spazio, la tela e i colori, non avveniva forse all’interno di una dimensione profondamente naturale, con poche mediazioni? Anche noi umani siamo natura. Il lavoro di Pollock si situa all’interno della dimensione di natura, per questo può essere simulata, dal punto di vista della forma, dalla geometria frattale.

Altri artisti impiegano algoritmi genetici come strumenti di creazione. Un algoritmo è un procedimento sistematico di calcolo in un linguaggio comprensibile a un computer, la

cui sequenza costituisce un programma: dunque è basato sul testo. Un algoritmo genetico è un algoritmo euristico ispirato ai principi darwiniani della selezione naturale e dell’evoluzione

biologica, quindi ha la caratteristica contesto, dall’ambiente. Di fatto è possibile intervenire su un processo indirizzandone l’esito e lasciando un certo grado di libertà al sistema, che è capace di (Fig. 22). In questa installazione, Galápagos

dei quali viene generata un’immagine. Salendo sulla pedana davanti all’immagine si inserisce un elemento preferenziale nei

selezionati con la preferenza e crea 12 nuove immagini che ne tengono conto e che, nella loro variabilità, contengono dei tratti

Fig.20

Fig.22

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peculiari dell’immagine selezionata. Se resta tempo, al temine dell’intervento vi mostro questo programma, SBArt

del giapponese Tatsuo Unemi, che funziona basandosi sullo stesso principio dell’opera di Karl Sims. È più semplice, non c’è un’installazione interattiva con pedane e monitor ma 12 immagini. Selezionandone una, nella schermata successiva il programma ne crea altre 12, diverse, ma con delle caratteristiche basate sulla scelta compiuta. A ogni successiva selezione le immagini tendono ad assomigliarsi maggiormente, riducendo le differenze (Fig. 23).

non solo per l’arte. Gli artisti, come che fanno propri gli strumenti della contemporaneità. Secondo Marshall McLuhan “l’artista è l’uomo della primo riesce a comprendere l’impatto delle nuove tecnologie, dei nuovi strumenti, appropriandosene per poterli utilizzare e anche per metterli in discussione. Tutta l’opera di McLuhan è pervasa da una considerazione molto profonda dell’arte e dell’operare artistico. Life Writer

è all’apparenza un’antica macchina da scrivere, con un foglio che viene illuminato. Battendo le lettere sulla tastiera si generano delle creaturine dall’apparenza di insetti, delle

entità virtuali che popolano il foglio rendendolo brulicante di vita (Fig. 24). Anche queste entità sono prodotte da algoritmi descritti da funzioni matematiche, dunque da testo. Ogni volta che si preme il carrello e si va a capo si fanno morire queste creaturine e il foglio ritorna immacolato. Siamo dunque degli dèi per queste elementari forme di vita, contemporaneamente dei creatori e degli sterminatori perché possiamo farle vivere e possiamo estinguerle. E ogni volta il ciclo ricomincia da capo. Un lavoro importante è Genesis