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lettura. In questo intervento farò particolare riferimento all’interpretazione che ne dà Gregory Bateson nei suoi scritti. mi è venuta in mente pensando al tema di questa giornata di incontri è un libro di Michel Foucault, Le parole e le cose, nel quale Foucault compie un percorso storico genealogico (nel del dicibile e del visibile. Mediante una sorta di archeologia del sapere, Foucault individua alcune grandi fratture nella nostra

uguale, muta a seconda dei periodi storici.

Ho immaginato in particolare le risate che Foucault, nelle prime righe del libro, racconta essersi fatto mentre leggeva l’Enciclopedia cinese di Borges: un catalogo di rappresentazioni fantastiche, di mappe favolose senza alcuna corrispondenza territoriale (eterotopie

chiude con una descrizione famosa, una sorta di sintesi verbo-visiva dell’imminente scomparsa dell’uomo: un volto di sabbia sull’orlo del mare progressivamente cancellato dal movimento delle onde. Per cui solitamente si dice: Nietzsche ha proclamato la morte di Dio, Foucault ha annunciato la morte dell’uomo. Siamo ancora al Foucault dei primi anni, in seguito esclusivamente agito, semplice mappa di un territorio che lo anticipa e gli sfugge e che nondimeno lo determina, anche nella sua illusione di essere qualcosa di più di una semplice mappa. Il celebre dipinto di Velázquez, Las Meninas, che Foucault commenta nell’introduzione del libro, è forse la migliore e di sguardi, in cui lo spettatore non riesce a trovarsi. Si perde. Poi mi è venuto in mente un altro celebre dipinto, nel

quale la distanza tra l’ordine delle cose e l’ordine delle rappresentazioni è ancora più esplicito: Il tradimento delle immagini di René Magritte. Parlando di mappe e di territori, in effetti, non si può non pensare a quel dipinto. A quella pipa che è e al tempo stesso non è una pipa perché, come diceva scherzosamente Magritte, non si può riempire. A ben

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realtà comunemente intesa e realtà riprodotta, tra l’oggetto e la sua rappresentazione, tra pipa e immagine della pipa. Con che qualche decennio dopo Bateson farà sui paradossi della è Alfred Korzybski a introdurre in ambito sociale la metafora della mappa e del territorio. Proprio a ridosso degli anni in cui Magritte dava alla luce il suo dipinto, Korzybski pubblica un libro, dal titolo Science and Sanity, che ha pure un certo successo anche se ora è dimenticato. Bateson tuttavia non lo dimentica. Lo cita spesso nei suoi lavori. E sempre per ricordarci che c’è una differenza tra mappa e territorio.

Bateson è un autore in parte conosciuto, in parte no. Non posso presentarlo qui, vi dico solo che una sua particolarità è l’aver attraversato molteplici campi del sapere. Si occupò di biologia, di antropologia, di psichiatria, di cibernetica, di comunicazione umana e animale in tempi in cui l’interdisciplinarietà non era certo in voga come lo è adesso. Quando Bateson, con le sta dicendo: attenzione, tra mappa e territorio non c’è solo un rapporto di corrispondenza, ma anche un divario, una distanza per certi versi incolmabile. Il che ha qualcosa di paradossale. lo chiama tradimento. Che cosa ci dice, infatti, il suo dipinto, e insieme al suo dipinto tutta l’arte rappresentativa? Tu devi credere a ciò che vedi e allo stesso tempo non ci devi credere. A questo tradimento tra l’altro non si sottrae nemmeno la parola. Anzi, in un certo senso la parola tradisce più delle

immagini, perché nella parola viene meno l’elemento analogico. Immagini e parole sono sempre mappe di un territorio che – potremmo dire kantianamente – ci sfugge. La cosa in sé è irreperibile. Possiamo sapere com’è il mondo per noi, ma non com’è in se stesso, senza un soggetto che lo rappresenti. Vi è tuttavia un altro livello di distanza in cui è implicata un’impossibilità non solo di tipo conoscitivo ma anche

anche un certo disagio, a prescindere dal suo valore di verità. sia per una teoria della comunicazione (la teoria del doppio

comunicazione paradossale e certe forme di patologia mentale.

Questa teoria ebbe molto successo quando uscì, nel 1956, perché sembrava spiegare la malattia mentale più grave, la schizofrenia, in termini di blocco epistemologico di un soggetto incapace di muoversi tra quei livelli della comunicazione

all’interno dei quali noi tutti continuamente ci muoviamo senza nemmeno rendercene conto. Il cosiddetto “approccio psichiatrica di Palo Alto, deve molto a questa teoria.

Tutto parte da uno studio etologico. Per un certo periodo Bateson si reca allo zoo di San Francisco a osservare le lontre giocare simulando il combattimento. Questo è possibile, secondo Bateson, solo se la lontra riesce a che contiene un paradosso simile a quello del dipinto di Magritte. L’animale può giocare, per Bateson, solo se riesce

di combattimento in un segnale di gioco. Anche qui come là perché il gioco funzioni bisogna credere al messaggio e al contempo non crederci (in caso contrario non ci sarebbe Inizialmente si trattava di una ricerca molto astratta, il suo oggetto erano i paradossi della comunicazione. Bateson e la sua équipe indagarono diversi fenomeni oltre al gioco. Poi ci fu una svolta. Gli studi si concentrano sulla schizofrenia, la cui sintomatologia sembrava decifrabile in termini di risposta adattiva a un determinato contesto comunicazionale. Le

conseguenze di questa ipotesi furono notevoli. Tutto il discorso sulla rivalutazione della soggettività del malato mentale,

che in Italia ha avuto risvolti molto importanti (mi riferisco Dal mostrare che il comportamento in apparenza senza senso si legge all’interno del suo contesto d’iscrizione. In principio Retrocedendo in questo modo, gli autori dell’antipsichiatria metteranno in questione l’intera società suggerendo che forse (e qui insieme alla forza di questo approccio sta anche il suo contesto malato, un contesto che in qualche modo costringe i ma all’interno del contesto più ampio equivale a patologia.

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Dunque, la scena è completamente cambiata, stiamo parlando di schizofrenia, ma lo è solo in apparenza. Tenete sempre presente il quadro di Magritte e il suo messaggio “questa messaggio può avere a che fare sia con la schizofrenia sia con la ragione d’essere dell’arte stessa. Su questa ragione vorrei che si lega innanzitutto alla capacità di stare nel paradosso di Magritte contiene un messaggio paradossale, come abbiamo visto, ma non ci fa assolutamente soffrire, come invece soffre il bambino sottoposto a un messaggio doppio vincolante. L’arte, come il doppio vincolo, è una modalità di comunicazione paradossale, ma a differenza del doppio vincolo è tutt’altro che patogena. Entrambe le due forme di comunicazione hanno in comune l’elemento dell’impossibilità, solo che in un caso vi è disconferma, patologia, blocco

epistemologico, nell’altro, soprattutto se funziona, l’esatto contrario: godimento, sblocco epistemologico, apertura di Questa, come dicevo, è già una possibile ragion d’essere un altro aspetto di senso per l’arte. Non tanto dal lato della coincidenza (in fondo le mappe si fanno proprio per questo: per potersi muovere agevolmente in un territorio e quindi dal lato della discoincidenza, della distanza (del tradimento, con la capacità di stare nel paradosso, ma oltrepassa la questione del godimento e si connette alla questione della trasformazione del soggetto, della possibilità di essere altro rispetto a ciò che siamo. Una questione essenzialmente etica Riprendendo il nostro discorso, abbiamo visto che il messaggio paradosso, che quando un animale morde per gioco in un certo senso nega il morso nel momento in cui lo dà. Per poter giocare, per poter scherzare e, io direi, anche per fare arte e per poterne fruire dobbiamo muoverci continuamente all’interno di questa paradossalità. Nel cinema e nel teatro la cosa è evidente. Anche qui è fondamentale credere a ciò che si vede e al tempo stesso non crederci. Vivere la scena come se fosse vera e al tempo

stesso sapere che non è reale.1 Questo continuo movimento di dentro e fuori che permette al cinema e al teatro di funzionare è lo stesso che permette alla lontra di giocare. Bateson, detto

possono rivelarsi paralizzanti, in altre creativi. In verità la posta in gioco della sua ricerca non erano le cause della schizofrenia, ma le regole del mentale, del mondo del vivente, inteso come quel mondo che riesce a percepire la differenza: l’unità minima di ogni informazione, dunque di ogni comunicazione. Prima di concentrarsi sulla schizofrenia, in effetti, Bateson e la sua équipe avevano studiato tutta una serie di fenomeni quali il teatro, l’umorismo, il gioco, l’arte, la poesia caratterizzati da La comunicazione, secondo Bateson, si muove su piani

analoghi a quelli descritti dalla teoria dei tipi logici di Bertrand paradossi antichi rimasti per secoli irrisolti, tra i quali il famoso paradosso di Epimenide il cretese o del mentitore. Russell risolve questo paradosso dopo averne formulato uno simile,

nega ciò che sta contemporaneamente affermando. La classe delle classi che non contengono se stesse, si chiede Russell, può contenere se stessa? Se contiene se stessa allora non dovrebbe contenere se stessa, ma se non contiene se stessa allora dovrebbe contenere se stessa. Se sì allora no, se no allora sì. Lo stesso accade nel paradosso di Epimenide il cretese nel momento in cui afferma che tutti i cretesi mentono. Se i cretesi mentono allora Epimenide sta dicendo la verità, ma se sta è falsa, quindi sta mentendo, ma se sta mentendo allora sta irrisolvibile. La teoria dei tipi disinnesca questo cortocircuito asserendo che una affermazione non può fare riferimento a se stessa, che classe ed elementi della classe sono di livello logico diverso. Tradotto in termini comunicativi, e cercando di

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si muove su più livelli e che questi livelli non vanno confusi tra di loro, in caso contrario si creano paradossi come quelli che abbiamo appena intravisto.

Proprio in questo ordine di livelli Bateson individua una regola Allo stesso tempo intuisce che questo mondo è tale proprio perché non rispetta le regole della logica. Noi confondiamo continuamente i piani dei nostri messaggi e non solo. In fondo lo diceva già Eraclito. Il paradosso è alla base di ogni nostra possibilità di trasformazione. Per essere ciò che siamo ora dobbiamo negare ciò che siamo stati un momento fa. Questo non vale invece nel mondo atemporale della logica. Qui il cerchio deve quadrare, altrimenti salta tutto.

Dunque Bateson prende in prestito una teoria dal mondo astratto della logica, la applica al mondo del vivente, che per lui equivale al mondo mentale della comunicazione, ci dice che è importante rispettarla e al tempo stesso che non si può rispettare, che la creatività e tutto ciò che ha a che fare con la comunicazione si muovono proprio grazie alla sua trasgressione. Anche questo è un bel paradosso. Ma appunto inevitabile. Questi movimenti non solo sono inevitabili ma anche sempre più complessi, nella misura in cui i contenuti e i contesti della comunicazione si fanno sempre più numerosi è quella delle matrioske russe. Ma forse è troppo semplice, troppo lineare. Bateson da qualche parte parla di struttura a bucce di cipolla, il cui sovrapporsi è molto meno ordinato e uniforme. L’interferenza tra i diversi strati della comunicazione può avere effetti paralizzanti più o meno gravi. Questi effetti li sperimentiamo tutti prima o poi, quando non riusciamo a capirci, quando l’esitazione e il fraintendimento prendono il sopravvento, anche se poi generalmente – a differenza dello schizofrenico – riusciamo in qualche modo a venirne a capo. I processi di informatizzazione, tra l’altro, hanno aumentato

Birdman, di queste strutture. È quella in cui il protagonista, Birdman lì parte tutto un movimento di dentro e fuori che mostra ciò che stavo cercando di esprimere a parole. Durante una breve pausa dell’anteprima dello spettacolo, Birdman esce sul retro del teatro a fumarsi una sigaretta. Inavvertitamente la porta

si chiude alle sue spalle e la sua vestaglia rimane impigliata. Prova a riaprirla ma non ci riesce. L’unica soluzione è rientrare dall’ingresso principale, ossia fare il giro dell’intero isolato. Lo si vede quindi percorrere tutto questo tragitto in mutande. Ma, al di là del fatto che sia in mutande, è interessante il movimento di contesti all’interno dei quali entra ed esce suo malgrado mentre compie il tragitto che dal retro del teatro lo riconduce in scena: un vero e proprio movimento a buccia di cipolla. La strada all’inizio è deserta, piena di bidoni della

un attore in crisi ma ancora molto famoso, alcuni lo fotografano, Finisce quasi immediatamente su YouTube (la sua situazione imbarazzante in fondo è uno scoop

viste e condivise da migliaia di persone, riesce a rientrare in teatro giusto in tempo per riprendere la sua parte, ma in platea, non sul palco (anche qui fuori e al tempo stesso dentro la spassosissimo, potentissimo. In un certo senso è proprio quel movimento che, secondo la teoria del doppio vincolo, lo qui sostiene alla grande e noi con lui divertendoci.

La teoria dei tipi logici fornisce alcune regole per fare chiarezza in grovigli comunicativi di questo genere. Una di esse è

appunto quella da cui siamo partiti: la mappa non è il territorio; le immagini e i nomi delle cose non sono le cose. Confondere mappa e territorio, cioè i livelli della comunicazione, equivale a mangiare il menù al posto del pranzo, ammonisce Bateson. Eppure l’arte per certi versi fa proprio questo: ci fa mangiare il menù al posto del pranzo, senza produrre problemi di digestione, quando, per così dire, funziona.

Penso ora a un altro autore, a Peter Sloterdijk, e in particolare a un suo recente libro dal titolo Devi cambiare la tua vita, in cui mostra che le nostre esistenze sono continui esercizi di introiezione. A questo punto ritorna anche la grande questione foucaultiana del soggetto e del suo venire meno. In fondo tutti spinto in questa direzione. Hanno mostrato che quello che

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per di più neanche tanto corrispondente, ovvero che le nostre coscienze sono piuttosto delle false coscienze. Qui si aprirebbe tutto un discorso, che però devo circoscrivere. Ma in fondo quando Marx, nella sua undicesima Tesi su Feuerbach, se la può valere benissimo anche per l’arte – se non di lavorare a hanno solo interpretato il mondo, si tratta invece di trasformarlo, di passare alla prassi rivoluzionaria. Bisogna agire sul mondo, non limitarsi a produrre teorie e immagini del mondo. Poi però, ed è questo l’elemento etico e politico a cui mi riferivo prima

quanto astratte (le notizie di questi giorni ce lo confermano nel Non è solo la mappa a essere un prodotto del territorio, anche il territorio è un prodotto della mappa. Non solo la mappa retroagisce sempre sul territorio, ma è essa stessa un territorio. saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. La struttura protestante (una mappa – o sovrastruttura, nel linguaggio del territorio non poteva essere più radicale.

Ora un capovolgimento simile è presente sia nel lavoro di Sloterdijk sia in quello di Foucault. L’ultimo Foucault mostra che il soggetto ha delle possibilità di essere tale e che queste possibilità si situano in una sorta di piega, di torsione del soggetto su se stesso. In un certo senso è come se

cominciassimo a essere soggetti nel momento in cui riusciamo a scorgere quanto non lo siamo. Allo stesso modo i nostri spazi di libertà si ampliano nel momento in cui riusciamo a vedere quanto sono stretti, quanto siamo determinati da tutta una serie di strutture che ci anticipano e condizionano (l’inconscio di Freud, i rapporti economici di Marx, gli elementi della parentela

a riprodurre nelle sue linee generali, come una mappa tende a riprodurre il territorio. Per chi volesse approfondire questo discorso, un altro autore interessante è Pierre Bourdieu, il quale parla esplicitamente di processo di riproduzione e la cui

ricerca mostra l’attuarsi di questo processo a più livelli: sociale, artistico, accademico, di genere. Il Foucault dei primi anni scopre che l’uomo muore proprio nel momento in cui s’impegna a studiare se stesso. Lo sguardo delle scienze umane sul

soggetto mostra che non c’è soggetto, che ciò che pensava di essere un territorio non è che un insieme di mappe. Il lavoro sociologico di Bourdieu ha a che fare con questo sguardo, e nella misura in cui ha a che fare con questo sguardo ha a che

momento in cui ci mostrano i nostri spazi di assoggettamento, ci indicano anche una via per sottrarci a quegli spazi, una linea di fuga. Quando ti accorgi di essere mosso da tutta una serie di elementi (strutture, pratiche, leggi linguistiche: in fondo noi siamo anche il prodotto del nostro linguaggio, siamo anticipati, elementi per produrre te stesso.

Sloterdijk parte direttamente da questa torsione mostrando che l’uomo è frutto dei suoi esercizi. Il titolo del libro Devi cambiare la tua vita riprende un verso di Rilke. È la voce che Rilke sente provenire dal busto di Apollo al Louvre e che gli dice – meglio, gli intima – di cambiare la sua vita. Il riferimento è chiaramente al potere trasformativo dell’arte.

Concludo ribadendo che la ragion d’essere dell’arte può collocarsi proprio in questo quadro, nel groviglio comunicativo che abbiamo appena intravisto e attraversato, nel quale siamo tutti a diversi livelli impigliati. Bateson ha individuato alcune regole per rendere questo groviglio meno ingarbugliato, ma al tempo stesso ha compreso che non ci sarebbe vita né creatività senza di esso. L’arte può essere sia quell’esercizio che ci

permette di stare dentro al groviglio senza rimanere paralizzati

dell’esercizio artistico non sta tanto, o meglio non sta solo nell’esprimere le proprie corrispondenze, cioè nel valore della mappa come coincidenza (l’artista che attraverso il suo lavoro bensì nella discoincidenza, nello scarto della mappa rispetto al territorio e quindi anche del soggetto rispetto a se stesso. Se essere dei soggetti equivale a essere qualcosa di più di un allora è proprio nella distanza, nella differenza da se stesso

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che il soggetto può trovare se stesso. Quindi anche in quei tentativi artistici di dare vita a nuove mappe senza alcuna corrispondenza territoriale è come se emergesse un po’ di soggetto. È come se risuonasse con ancora più forza la voce quello che sei, non devi per forza coincidere con i tuoi territori di provenienza. È un messaggio forte, perché assegna un ruolo etico e politico all’arte, anche e soprattutto a quell’arte ipercontemporanea spesso giudicata poco comprensiva a causa della sua discoincidenza da ogni territorio.

Proprio questa discoincidenza, invece, testimonia che è possibile uscire dalla dimensione territoriale che ci ha prodotti assoggettandoci ai nostri campi di produzione. Proprio questa discoincidenza, impedendoci di stare comodi in quello che siamo, ci apre la possibilità di essere diversi da quello che siamo; non consentendoci di coincidere pienamente con noi stessi, ci apre la possibilità di essere un po’ più noi stessi.

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László Moholy-Nagy:

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