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L’anarchismo fra filosofia e dogmatismo: una avvertenza preliminare

Nelle pagine che seguiranno verranno affrontate due questioni re-lative al pensiero malatestiano; la prima, spiccatamente giuridica, può sintetizzarsi nella questione criminale, la seconda, di natura più pro-priamente politica, diparte dalla questione elettorale. Sono quindi due temi specifici e di particolare rilevanza nell’articolazione del pensiero anarchico, malatestiano in particolare. Oltre a ciò, va rilevato come le due questioni possono rappresentare una sorta di banco di prova per un pensiero anarchico proteso prepotentemente verso l’essere filosofia e non ideologia; ovvero per il verificare l’autenticità dell’incedere dia-lettico del pensare anarchico, al quale si è fatto riferimento nei capitoli precedenti.

Va da subito rilevato come il Malatesta qui di seguito richiamato si pre-senterà al lettore sotto le forme di Giano, cioè con due volti opposti, l’uno che guarda davanti a sé, l’altro dietro. L’antico e bifronte dio ro-mano ben rappresenta il nostro autore: osservatore critico della realtà quotidiana che lo circonda, che tenta di coglierla con intento filosofico, ovvero privo di pregiudizi e teso a comprenderla nella sua interezza, ma anche quale teorico di un anarchismo che tende a piegare la realtà alle ipotesi fondanti la sua ideologia.

Nel contempo Malatesta ci appare quale filosofo aperto all’esperienza e quale dogmatico intento a difendere, a volte anche contro ogni evidenza pratica, gli indiscutibili assiomi della sua teoria.

Vi sono pertanto due aspetti nel pensiero malatestiano, l’uno che condu-ce ad una propensione filosofica, profilo, come già osservato, che emer-ge con chiarezza nella sua la rivisitazione critica della prospettiva

kro-potnikiana, l’altro racchiuso all’interno di una costruzione dogmatica. Di questo secondo aspetto dà testimonianza sia certo suo modo di porsi a fronte della questione criminale, che lo svolgersi della polemica a par-tire dalla questione elettorale con Merlino.

Un ultimo rilievo va effettuato ed è connesso al fatto che, in generale, la speculazione anarchica il più delle volte non riesce a spingere il pro-prio sguardo oltre i confini della sua inesauribile lotta contro l’esecrato Stato; concentrare tutta l’attenzione e tutti gli strali sulle prassi con-nesse (anche) al manifestarsi concreto della statualità (dall’istituto della rappresentanza, all’istituzionalizzazione delle regole, al giudizio sulla controversia e così via) fa sì che si ritenga che le stesse non possano ri-trovare diverso utilizzo; in definitiva vi è difficoltà a distinguere prassi di gestione della cosa politica dalla stautalità stessa, legando indissolubil-mente le prime alla seconda e dando vita, cioè, ad una sorta di assoluta demonizzazione di strumenti, che in altro contesto potrebbero ritrovare proficuo utilizzo all’interno di un processo di liberazione.

In questo modo, la delega, l’ascrizione di funzioni giudicanti, la stessa istituzionalizzazione delle forme di regolarità sociale in vere e proprie regole giuridiche, che pur caratterizzando la gestione statuale della cosa pubblica, risultano pur sempre indispensabili alla vita societaria, riman-gono indissolubilmente legate a modalità di dominio dell’uomo sull’uo-mo e, pertanto, apriorisiticamente scartate a fronte di progetti di libera-zione dal domino stesso. L’anarchismo non riesce, il più delle volte, né ad immaginare, né, tanto meno, a progettare un diverso utilizzo (in chia-ve liberatoria) degli strumenti di gestione della cosa pubblica che, per forza di cose, sono all’atto della sua critica concretamente appannaggio esclusivo dello Stato (apparentemente l’unico soggetto politico operante nella realtà sociale). In questo modo, per l’anarchismo, tutti i tentativi di sviluppare prassi alternative nell’utilizzo di tali mezzi appaiono (sia pure indirettamente) confacenti alla riproposizione di rapporti dispotici; all’interno del pensiero anarchico non si riesce a comprendere ed a de-lineare pienamente e chiaramente come i rapporti politici necessitano di istituzionalizzazione e come tale istituzionalizzazione di per sé stessa non risulta foriera di dispotismo.

Pur di non affrontare con chiarezza tale questione l’anarchismo preferi-sce, come avremo modo d’osservare, richiamarsi ad una costante spon-taneità da parte dei consociati racchiudendosi in tal modo all’interno di un impenetrabile cerchio dogmatico con conseguenze esiziali al suo essere operativo nella progettualità sociale.

Pur non sottovalutando questo aspetto, che inficia, sia pur in parte, an-che il pensiero malatestiano, si ceran-cherà di scavare in profondità nel terreno non dogmatico al fine di cogliere gli aspetti autenticamente filo-sofici del suo pensiero in particolare e dell’anarchismo in generale.

SOMMARIO

§1. Malatesta e il diritto; §2. Sulla necessità della repressione della de-linquenza; §3. Il fatto antisociale e la figura del delinquente; §4. Fra reato e devianza; §5. Per una difesa sociale non indirizzata dal

faci-lonismo; §6. Non poniamo rimedi peggiori dei mali: Merlino e le

cri-tiche a Malatesta; §7. La riproposizione della difesa sociale diffusa; §8. Facilonismo irresponsabile oppure an-archismo?

1. MALATESTA E IL DIRITTO

Come già evidenziato Errico Malatesta non può venire indicato quale pensatore che ha specificatamente sviluppato un’analisi giuridica della realtà sociale. Al pari degli altri pensatori classici dell’anarchismo, ha in-dubbiamente posto in essere una pars denstruens avuto riguardo al dirit-to vigente, sulla quale in questa sede non ci si soffermerà, che, in buona sostanza, a partire dall’evidenza del diritto vigente quale strumento di sfruttamento ed oppressione in mano ai ceti dominanti, si riconduce ad una critica serrata della rappresentazione dei fatti giuridici in chiave di positivismo giuridico1, tanto da potere affermare come quel qualcosa di

meglio è di fatto ricercabile in una prospettiva totalmente altra da quella

solcata dei cantori del positivismo stesso. Per inciso, va notato, come, nei pochi momenti in cui il positivismo giuridico viene ad occuparsi di

* E. Malatesta, Gli anarchici e la legge (1925).

1 Cfr. T. holterman, Una scienza libertaria del diritto, cit., pp. 41-56.