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PER UN USO ALTERNATIVO DEL DIRITTO

“UN ANARChICO PUò BEN ESSERE UN BUON CONOSCITORE DEL DIRITTO”*

5. PER UN USO ALTERNATIVO DEL DIRITTO

L’anarchismo può essere considerato quale propugnatore di un vero e proprio uso alternativo del diritto26. Il diritto non può essere considerato esclusivamente quale strumento di dominio al servizio dei ceti dominati, anche se è questo l’uso che si riscontra nei presenti rapporti sociali. La regolamentazione giuridica, necessaria in quanto connaturata alla strut-tura sociale, non deve sempre e comunque svilupparsi da (ed intorno a) la macchina politica stato, ma può anche (e nella prospettiva anarchica deve) assumere forme di regolamentazione autonome, frutto di processi decisionali non strutturati gerarchicamente, tanto da allontanarla da tec-niche di controllo sociale finalizzate al dominio politico ed economico. Per giungere a tale risultato vanno pertanto elaborate diverse forme di organizzazione politica, forme distanti per presupposti ed esiti da quelle riscontrabili nella prospettiva moderna. Basilare appare il rifiuto della centralizzazione delle fonti del diritto nel potere statuale, che ha carat-terizzato sin dal suo sorgere tale prospettiva. Alla centralizzazione delle

26 L’espressione viene chiaramente mutuata dalla (auto)connotazione del movimento di Magistratura democratica, movimento con forti connotazione marxiste che riteneva, per l’appunto di poter proporre un uso alternativo del diritto, da strumento di dominio della borghesia sul proletariato a strumento utilizzabile dal proletariato per la sua liberazione dal dominio.

fonti si oppone la parcellizzazione delle stesse, il loro collocarsi non tanto in molteplici centri di potere, che riprodurrebbero a livello loca-le quei rapporti dispotici che l’ente statualoca-le centralizzato storicamente tende a monopolizzare, quanto in comunità autonome, ove il rapporto sia di natura prettamente politica, ovvero avvenga fra consociati ugual-mente liberi e partecipi alla vita collettiva.

Regolarità ed autonomia sono di fatto le fonti da cui scaturisce il diritto operante nella società; fonti contrapposte a quelle presupposte dal po-sitivismo giuridico che si sostanziano nella manifestazione di volontà coercitivamente imposta dal potere sovrano. Fonti di diritto, per così dire, delocalizzate presso gli ambiti in cui si svolgono i reali rapporti da regolamentare, ed ove il diritto ritrovi nei partecipanti a tali rapporti il proprio creatore; sicché all’eteronomia di un comando predefinito e promanante dal centro del potere, si oppone l’autonomia della regola-mentazione scaturente dal rapporto stesso27.

Non un diritto preposto al fatto, che, dominandolo esternamente per mezzo della coazione, lo riporta forzosamente all’interno della regola prestabilita, ma un diritto il quale, sorgendo dal fatto concreto ed attra-verso il concorso dei protagonisti dello stesso, possa ritrovare nei rappor-ti sociali e non in forze esterne, la propria fonte e la propria legitrappor-timità. Al di là d’ogni possibile contenuto, qualsiasi forma di regolamentazione giuridica eteronoma, di cui il diritto statuale (la legge) è concreta e mas-sima esemplificazione, risulta, per un verso, frutto e, per altro, foriera di rapporti di natura dispotici, ove il destinatario del comando, in quanto totalmente escluso da ogni processo decisionale, viene rappresentato quale strumento inanimato nelle mani dell’autorità competente; egli, infatti, è il soggetto normativo verso il quale l’autorità normativa irradia il suo imperio28.

27 Ci troviamo all’interno di una prospettiva federalista, che riverbera i suoi effetti anche in ambito giudico; cfr. a titolo esemplificativo i saggi di Camillo Berneri, per le

autonomie locali (1929), il problema delle autonomie locali (1932) e Discussione sul federalismo e l’autonomia (1935) ora in id., il federalismo libertario, cit.

28 Scrive Malatesta, “gli anarchici, i quali vogliono una società fondata sul libero accordo, che soddisfi i bisogni e le opinioni di tutti e di ciascuno, ripudiano la legge, che è costrizione e tende a perpetuare usi e costumi condannati dall’evoluzione morale e non più corrispondenti ai bisogni. […] Essa è certamente fatta soprattutto per difendere la permanenza al potere ed i privilegi dei dominatori dell’ora, ma deve pure, per farsi accettare dalla massa dei sudditi, consacrare certe massime morali divenute retaggio comune dell’umanità e rispettare certe libertà e certe garanzie conquistate

In questo contesto, contrassegnato dalle regole generali ed astratte, i soggetti normativi vengono trattati in quanto astratti dalla realtà con-creta in cui operano, sono cioè trasformati in anonimi soggetti artifi-ciali omologati dal loro essere, in astratto, eguali. Ma si tratta, per così dire, di una eguaglianza di natura geometrica, del tutto diversa dall’u-guaglianza propugnata dall’anarchismo, conseguenza, la prima, della necessità logica di applicare regole generali (e pertanto eguali per tutta una classe) a soggetti che, a prescindere da ogni constatazione realistica, devono essere rappresentati con eguali caratteristiche. Su questa fictio si fonda, come ampiamente evidenziato, il diritto frutto della prospettiva giuridica moderna, che ritrova precisa istituzionalizzazione nello stato monoclasse ottocentesco.

Da un lato, l’anarchismo rifiuta ogni produzione regolamentativa etero-noma a tutto vantaggio di forme d’espressione di autonomia e, dall’al-tro, denuncia con puntualità la finzione che sta alla base dell’intera co-struzione giuridica moderna, contrapponendo all’eguaglianza formale, che diviene, a suo dire, fonte di reale discriminazione, la ricerca, per tramite della rivoluzione sociale, di una uguaglianza sostanziale, frutto non tanto di una astratta statuizione, quando della fine di ogni discrimi-nazione economica e politica.

All’interno di questo quadro, che espunge da sé ogni riferimento a te-orie che, equiparando il diritto alla legge, ritengono che nello stesso si sostanzi la volontà del legislatore, l’anarchismo si pone quale radicale critica della concezione volontaristica, nel momento in cui afferma che

a forza di lotte, spesso cruenti, dalle generazioni passate. Quindi se respingiamo la legge, e quando possiamo ci ribelliamo contro di essa, lo facciamo per raggiungere qualche cosa di meglio e non già per lasciare mano libera al più sfrenato dispotismo e ritornare alle epoche selvagge, in cui la forza brutale dominava senza limite alcuno. Sarebbe assurdo il pensare che noi, perché non riconosciamo la legge, troviamo buono tutto quello che la legge proibisce”, Gli anarchici e la legge. a proposito del

recente decreto di amnistia, ora in Scritti, cit., vol. III, pp. 184-185 (l’articolo appare su

“Pensiero e Volontà” il 16 settembre 1925). Qui Malatesta evidenzia, per un verso, la natura cristallizzata della legge, la quale, in quanto istituita ed immobile, non riesce di per sé a seguire l’evoluzione sociale, il cambiamento dei bisogni e degli interessi che animano la vita sociale, per altro, indica con estrema chiarezza come l’obiettivo della critica anarchica non è il diritto, ovvero ogni forma di regolamentazione giuridica, ma soltanto la legge, una delle possibili forme che la regolamentazione giuridica della vita sociale può assumere. D’altro canto si evince anche come il rifiuto anarchico di forme di regolamentazione eteronoma non è, per così dire, aprioristica, ma seleziona (ed in un certo qual modo preserva) quei contenuti della legge, che in vero – a detta dello stesso Malatesta – a volte contiene in sé elementi condividibili dalla grande masse dei sudditi.

il diritto non può, correttamente, essere rappresentato quale risultante di un atto di volontà posto in essere dall’autorità competente. Il diritto scaturisce, in questa prospettiva, da una serie di concause non ricondu-cibili alla mera posizione di volontà, dato che l’esperienza giuridica ri-sulta stornata dal potere non rappresentando il passaggio fra il potere di fatto e la sua istituzionalizzazione in forme giuridiche (da cui il rapporto tra effettività e validità al quale si era già fatto cenno). L’esperienza giu-ridica, viceversa si struttura come ricerca della regola atta ad offrire un giudizio giuridico su un rapporto.

L’anarchismo fonda la regola giuridica dei rapporti sociali all’interno di quegli stessi rapporti che necessitano di regolamentazione, non già nella volontà posta in essere dall’autorità competente. Questa è tale per il solo fatto di dispiegare potere istituzionalizzato in forme giuridiche automaticamente applicabili ad una pluralità di soggetti indistinti in quanto geometricamente eguali.

Per l’anarchismo, i fautori dell’esperienza giuridica non appaiono, come nella prospettiva moderna i legislatori, che, in quanto incarnazioni del potere sovrano, regolamentano loro sponte i rapporti sociali dominan-doli dall’esterno, ma i reali protagonisti degli stessi che proprio nei rap-porti ricercano la regola giuridica e non in manifestazioni di volontà sorrette da poteri irresistibili.

La prospettiva è totalmente rovesciata; qui il diritto sorge dai rapporti concreti e non discende dall’alto verso in basso, dal potere sovrano e dall’autorità normativa verso i soggetti normativi, ma sono gli stessi sog-getti normativi a partecipare in prima persona all’opera di produzione giuridica, che si sostanzia nel costante moto di ordinamento giuridico delle relazioni; relazioni che ritrovano in tal modo regolamentazione autonoma e non eteronoma.

Risulta, a ben vedere, anche modificato il significato della locuzione ordinamento giuridico, che, se nella prospettiva giuridica e politica mo-derna appare quale insieme di regole preposte agli accadimenti da una autorità competente ed atte a dominare la realtà attraverso la loro mec-canica applicazione29, nella prospettiva anarchica, viceversa, l’ordina-mento giuridico si sostanzia in un progressivo ed inesauribile processo

29 Sicché un caso risulta già ordinato ben prima del suo concreto sorgere ed anche in assenza del suo manifestarsi, in quanto la sua soluzione risulta già prevista all’interno dell’insieme delle regole generali ed astratte che costituiscono l’ordinamento giuridico e che risultano essere, per così dire, in attesa di una loro applicazione al pari degli algoritmi algebrici.

di instaurazione di un ordine giuridico che, per un verso, è sempre da ricercare e che, per altro, quando individuato appare sempre e comun-que rivedibile. Ci troviamo, quindi, di fronte alla proposizione di un

diritto fluido.

In definitiva, lungi dal proporre una società liberata dal diritto, l’anar-chismo propugna la ricerca e l’instaurazione di forme di regolamen-tazione giuridica totalmente altre da quelle proposte dalla prospettiva giuridica e politica moderna.

SOMMARIO

§1. Homo homini lupus; §2. La libertà come sregolatezza; §3. La libertà come responsabilità; §4. Regolarità, autonomia, libero accordo; §5. Ancora sull’uso alternativo del dritto.

1. Homo HomiNi lUpUS

È già stato osservato come le teorie riconducibili alla prospettiva politica e giuridica moderna si dispiegano dalla presupposizione della natura sregolata dell’uomo.

Questa ipotesi informa anche la dottrina pura, nel momento in cui rile-va come “la sicurezza collettirile-va mira alla pace. La pace è assenza di uso della forza fisica. L’ordinamento giuridico, determinando le condizioni in presenza delle quali deve aver luogo l’uso della forza e gli individui che devono attuarla e creando un monopolio coercitivo facente capo alla comunità giuridica, dà pace a questa comunità da esso costituita. Ma la pace del diritto è solo una pace relativa, non una pace assoluta. Il diritto non esclude infatti l’uso della forza, cioè la costrizione fisica di un uomo da parte di un altro uomo. Non è un ordinamento privo di coercizione, come lo vorrebbe un anarchismo utopistico. Il diritto è una regolamen-tazione della coercizione e, come ordinamento coercitivo, secondo il suo sviluppo, è un ordinamento che garantisce la sicurezza, cioè la pace”1.

* E. Malatesta, Qual è l’uomo più forte (1922). 1 la dottrina pura del diritto, cit., 6, b, γ.