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LA TENSIONE AD UN SAPERE AN-IPOTETICO

CAPITOLO SECONDO

2. LA TENSIONE AD UN SAPERE AN-IPOTETICO

Quanto ora affermato necessita di alcune delucidazioni al fine di de-lineare i contorni del legame, forse insolito, fra anarchismo e dialettica – il che potrebbe portare a formulare la domanda sul come la dialetti-ca possa dirsi anarchidialetti-ca e sul come l’anarchismo non possa che dirsi dialettico.

Per intanto va riconosciuto come l’anarchismo, termine derivato dal sostantivo anarchia, ritrova nel prefisso an- (ovvero nell’alfa privativo) il baricentro su cui ruotare. Se l’anarchia è una situazione ove il coman-do risulta assente, l’anarchismo è la tensione verso una realtà (sociale) in cui il comando, in senso più generale ogni potere, viene bandito. Quindi, l’anarchismo si connota etimologicamente per essere opposizio-ne irriducibile al potere in nome, come sopra accennato, della libertà e dell’uguaglianza.

L’anarchismo, in quanto opposizione al potere, non può costituirsi esso stesso in potere; può volere la libertà e l’uguaglianza, ma non può, pena il contraddirsi, imporre libertà ed uguaglianza. L’anarchismo non può

6 Questa appare, fra l’altro, la critica marxista alla prospettiva anarchica, ben sunteggiata da G. M. Bravo nella citata voce anarchismo; l’autore sottolinea come l’anarchismo “rifiutando la marxiana coscienza di classe, poggia le sue tesi d’intervento politico unicamente sulla libera scelta individuale, quindi sulla volontà di ogni singolo: le varie volontà sono unificate da una sorta di spirito vitale, di passione collettiva, emotiva e razionale in pari tempo, che amalgamano appunto gli intendimenti di azione dei singoli e generano un comportamento collettivo, ovvero una prospettiva di atti comuni”, p. 23.

imporsi all’esistente, non può dominarlo in funzione della libertà e dell’uguaglianza. L’anarchismo risulta condannato ad una perenne cri-tica dell’esistente senza poter imporsi all’esistente; è pertanto costituito da una volontà che non potrà mai farsi concreta in quanto il suo concre-tizzarsi implicherebbe il suo farsi potere (di trasformazione) sulla realtà. Se l’anarchismo si facesse potere sulla realtà, perderebbe la sua conno-tazione, l’alfa privativo che lo determina, e si dissolverebbe in una con-traddizione. In questo senso, l’anarchismo si ridurrebbe ad un giudizio di valore che non può farsi valere nella realtà. Quindi, non solo, per dirla con il positivismo logico, insieme di proposizioni prive di senso, ma anche impossibili da concretamente fondarsi nella realtà sociale alla quale sono destinate (nel senso di imporsi forzatamente – come del re-sto, per il positivismo logico, tutte le proposizioni contenenti giudizi di valore in quanto non evidenti come i giudizi analitici e quelli sintetici). Che il discorso fin qui condotto non sia totalmente campato in aria, lo attesta lo stesso anarchismo nel momento in cui riconosce tale aporia. Infatti, commenta Malatesta, “nel caso, poco probabile, che vincessimo da soli, ci troveremmo nell’assurda posizione o di imporci, comandare, costringere gli altri e quindi cessare di essere anarchici ed uccidere la ri-voluzione stessa con il nostro autoritarismo, oppure di «fare per viltade il gran rifiuto», cioè ritirarci indietro e lasciare che altri profitti nell’opera nostra per scopi opposti ai nostri”7. Ancora Malatesta: “l’anarchia non si fa per forza: volerlo, sarebbe la più balorda delle contraddizioni”8, in-fatti, “l’anarchia è tutta materia di libertà, non può imporsi con la forza «per la contraddizion che nol consente»”9.

7 E. Malatesta, Gradualismo, ora in Scritti, cit., vol. III, p. 196 (ma “Pensiero e Volontà”, primo ottobre 1925). Ancora Malatesta, “ma quante volte dobbiamo dunque ripetere che noi non vogliamo imporre niente a nessuno; che non crediamo né possibile, né desiderabile il fare il bene della gente per forza, e che tutto quello che vogliamo si è che nessuno imponga a noi la volontà sua, che nessuno possa imporre agli altri una forma di vita sociale che non sia liberamente accettata”, Fra anarchici e socialisti, ora in Scritti, cit., vol. I, p. 129 (ma “Umanità Nova”, 25 agosto 1920). Cfr. in argomento G. Berti, il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, cit., pp. 393 e segg. 8 E. Malatesta, l’alleanza rivoluzionaria, ora in Scritti, cit., vol. I, p. 37 (l’articolo esce sul quotidiano “Umanità Nova” il 13 marzo 1920).

9 E. Malatesta, ideale e realtà, ora in Scritti, cit., vol. III, p. 36 (il contributo appare su “Pensiero e Volontà” il primo febbraio 1924).

Il problema è, quindi, ben presente all’interno del pensiero anarchico ed è questione, che se non convenientemente risolta, risulta esiziale allo stesso (ed al movimento politico che ad esso si ispira).

L’anarchismo è pertanto proteso ad una perenne critica dell’esistente in nome della libertà e dell’uguaglianza, ma questa critica, nel momento in cui è accompagnata dal suo essere costitutivamente opposta al potere, ne determina una inevitabile caducità dal punto di vista operativo10. Di converso, lo stesso suo essere costretto costitutivamente alla critica, se dal punto di vista operativo risulta penalizzante, non potendo l’anar-chismo in alcun modo forzare la realtà con la sua propositività, da un punto di vista teoretico esalta la sua componente filosofica, in quanto la critica costituisce la base indispensabile per ogni autentica e genuina ricerca di un sapere non operativo e, quindi, an-ipotetico. Su questo terreno l’anarchismo e la filosofia, intesa come sapere an-ipotetico, ri-trovano uno stretto collegamento proprio a partire dall’alfa privativo, che nega il valore assoluto di ogni ipotesi imposta a fondamento di un discorso.

In quanto interamente ricompreso nella critica, l’anarchismo non può costituirsi nella realtà sociale in cui è collocato che come un tutto

do-mandare sulla stessa11; in quanto domanda inarrestabile, l’anarchismo è proteso verso la problematizzazione dell’intero esistere, non fermandosi di fronte a nessuna pretesa, dato che nega ogni potere, e senza porre

10 Cfr. G. Berti, il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, cit., p. 399 ove si sottolinea come “gli anarchici non possono guidare la rivoluzione perché il loro compito specifico è quello di criticare chi guida, cioè restare in una posizione subalterna”. Per Bravo, che analizza il problema da un punto di vista esplicitamente marxista, questa è “una contraddizione intima di tutto l’antiautoritarismo, in quanto la rivoluzione è di per sé stessa sicuramente autoritaria, mirando ad ottenere con la forza quanto la ragione, l’opinione o il consenso non sono stati in grado di procurare: in effetti, l’A.[narchismo] s’è dimostrato cosciente di tale contraddizione, e il concetto di rivoluzione enunciato (rovesciamento dell’autorità, per l’instaurazione della nuova condizione ideale) ha coinciso con quello di ribellione”, così sub voce anarchismo, cit., p. 23.

11 Rileva Vaccaro come “l’anarchia […] è quella società che interroga permanentemente se stessa nel fulcro di ogni legame: l’arrichimento reciproco tra singolarità e comunità. In questa tensione mobile, l’ordine dell’anarchia conosce regole aperte alla mobilità, pluralità e creatività di relazioni interindividuali possibili e sperimentabili, avendo come vincolo l’autoproduzione di regole in una sfera di pratiche e discorsi di valorizzazione cui si dà il nome di solidarietà, di rispetto reciproco, di accettazione dell’altro in quanto parte di sé, e della propria formazione individuale”, cruciverba, cit., p. 9.

alcuna pretesa, ché in quanto negazione di ogni potere non può porre; l’anarchismo si colloca, quindi, sotto questo particolare – ma costitutivo – aspetto, nel campo della ricerca di un sapere an-ipotetico. Si lega per-tanto, sino a confondersi – se depurato dal suo essere anche movimento politico – con la filosofia, ove la stessa sia, per l’appunto, ricerca di un sapere an-ipotetico.

In questo senso, l’anarchismo, palesandosi come inesauribile ricerca, è filosofia. Infatti, a ben vedere, una ricerca an-ipotetica non potrà che essere an-archica nel senso qui detto, perché non potrà rimanere co-stretta dal potere indiscutibile di assunzioni a-problematiche, né potrà essa stessa rappresentarsi, pena l’entrare in contraddizione, attraverso conclusioni a-problematiche. L’an-archia si lega perciò all’an-ipoteticità, alla negazione del valore assoluto di ogni qual si voglia presupposizione ed allo sviluppo di un discorso autenticamente dialettico.

Se questa sua caratteristica, come già evidenziato, fa sì che l’anarchismo rimanga in bilico fra l’essere nella realtà, che dialetticamente critica, e l’essere contro la realtà, alla quale oppone il suo ideale di assoluta liber-tà ed uguaglianza, per altro la stessa caratteristica fa sì che esso possa venire annoverato tra le basi di ogni autentica ricerca di sapere.

In questo senso, l’anarchismo non è teoria, è anzi negazione della teo-ria; si costituisce, al contrario, come teoresi. Nel suo essere teoresi sta tutta l’immortale vitalità dell’anarchismo, ma questa stessa caratteristi-ca lo rende anche operativamente caratteristi-caduco, tanto che, se nell’irresistibile forza promanante dal suo filosofico tutto domandare va ricercata la cau-sa dell’impossibilità (logica) di una sua sconfitta, è la medesima caucau-sa a determinare l’impossibilità pratica di una sua vittoria, ovvero di un suo (af)fermarsi nella realtà in quanto perenne esperire.