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MALATESTA GIURISTA?

DEL PARTITO ANARChICO ITALIANO”*

3. MALATESTA GIURISTA?

(E LA DIFFICOLTà DI ESTRAPOLARE UN DISCORSO GIURIDICO) Malatesta non può essere considerato giurista e ciò in seguito ad una duplice constatazione. Anzitutto non può qualificarsi come giurista per il semplice fatto di non aver avuto una formazione culturale giuridica, a differenza, ad esempio, di Francesco Saverio Merlino, di Pietro Gori o di Carlo Cafiero e Luigi Galleani25 (nel caso dei primi, come rilevato, la for-mazione si sostanzia anche nell’esercizio della professione avvocatizia, mentre i secondi hanno soltanto frequentato i corsi di giurisprudenza). Al di là di ciò, Malatesta, che in ogni caso imparò il diritto sul campo, nel corso degli innumerevoli processi e provvedimenti che lo videro prota-gonista non solo in Italia, non può essere considerato un giurista perché non è pensatore il quale, sia pur da diversi punti di vista (filosofico, so-ciologico, storico, ma anche politico), ponga il fenomeno giuridico quale specifico punto di riferimento delle sue riflessioni.

Malatesta non interviene, in modo specifico, né sull’esperienza giuri-dica, né, più in generale, nel campo delle teorie giuridiche, fatta ovvia-mente salva la sua critica all’esistente, ovvero al diritto quale strumento di oppressione.

Ciò non di meno, anche se il tutto può apparire paradossale, dagli scritti malatestiani è possibile estrapolare una precisa concezione anarchica del diritto: per un verso, la critica all’uso repressivo del fenomeno giu-ridico ed alla sua rappresentazione quale strumento di dominio; per altro, dei lineamenti di una prospettiva anarchica del diritto, ovvero di come possa legittimarsi e svilupparsi un’esperienza giuridica anarchica. Dalla lettura dei testi malatestiani è, pertanto possibile estrapolare una esplicita pars destruens, a cui consegue, implicitamente, una pars

con-saltare da un pezzo all’altro, individuare e ricucire ipotetiche trame che il nostro –

quotidianamente incalzato dagli eventi da commentare sulle testate anarchiche – ha soltanto abbozzato; ci troviamo di fronte ad un palese giornalismo di parte, il quale però assume in molti dei pezzi connotati dottrinari offrendo, a volte chiaramente, altre fra le righe, interpretazioni ed assestamenti al pensiero anarchico. Nelle migliaia e migliaia di pagine malatestiane, redatte nell’arco di oltre cinquant’anni, è contenuto senz’ombra di dubbio un trattato sull’anarchismo, ma questo, a differenza dall’opera di altri pensatori anarchici, deve essere rintracciato e ricostruito.

25 Anche per Carlo Cafiero (1846-1892) e Luigi Galleani (1861-1831) si vedano, per un primo approccio, le voci redatte da P. C. Masini e M. Scavino per il Dizionario

struens. A ben vedere entrambe non appaiono affatto né scontate, avuto

riguardo al contesto complessivo all’interno del quale si collocano e, soprattutto, alla rappresentazione di questo che il più delle volte ne dà la

cultura ufficiale, né ingenue, ovvero prive di ogni rilevanza all’interno

di un approccio scientifico al fenomeno giuridico.

Se, come sopra detto, anche da un sommario esame della produzione letteraria di Malatesta, si constata come egli non si occupa significati-vamente e specificamente di questioni giuridiche – forse con la sola eccezione di alcuni scritti sul problema penale26 – ciò non di meno tale constatazione non deve scoraggiare l’indagine, pur riconoscendo che, grosso modo, l’analisi del problema giuridico risulti limitato alla denun-cia dell’uso repressivo della legge fattone dalle classi dominanti, in

pri-mis dalla borghesia.

Infatti, difficilmente si potrà rintracciare nell’opera malatestiana delle esplicite indicazioni volte a tratteggiare una prospettiva giuridica anar-chica. In questo Malatesta appare in sintonia con gli altri pensatori “classici” dell’anarchismo, che lo hanno preceduto, e con l’elaborazione dottrinale anarchica a lui contemporanea27.

4. ALCUNE NOTE METODOLOGIChE

Risulterebbe pertanto poco proficuo, se non addirittura fuorviante per una ricerca sul rapporto fra anarchia e diritto, che riconosca il suo fulcro nel pensiero di Malatesta, cercare di estrapolare dagli scritti mala-testiani una precisa posizione sul diritto, che vada al di là delle già men-zionate e, per altro, scontate (in quanto provenienti dal mondo anarchi-co) radicali critiche al sistema giuridico operante nel contesto sociale a

26 Si tratta di alcuni articoli apparsi fra il 1921 e il 1924 sulla stampa quotidiana e periodica anarchica, per i quali si rimanda alla specifica trattazione nel capitolo ottavo del presente lavoro.

27 Apparenti eccezioni possono essere gli studî di Pietro Gori, la miseria e i delitti (1889), che di fatto è la riproposizione della sua tesi di laurea discussa a Pisa con Francesco Carrara (cfr. l’edizione curata da A. Antonioli e F. Bertolucci, Pisa, 2011) e Sociologia criminale, scritto nel periodo argentino; ma come si ha agio d’osservare si tratta di riflessioni di natura prettamente criminologica senza alcun riferimento ad una precisa prospettiva giuridica anarchica. Del poeta ed avvocato anarchico si vedano anche le raccolte di scritti Scritti scelti. Sociologia anarchica. conferenze, Cesena, 1968 e Scritti scelti. le difese. ceneri e faville. Sociologia criminale. poesie e drammi, Cesena, 1968.

lui prossimo. Parrebbe quasi possibile affermare che – a differenza di altri campi28 – non sussista una diretta posizione malatestiana sul tema in oggetto.

Pur tuttavia, il corpus dottrinale malatestiano risulta proficuamente uti-lizzabile per una indagine intorno ad una prospettiva giuridica anarchi-ca, nel momento in cui si voglia comparare alcuni elementi tratti dalla critica anarchica all’esistente giuridico con le compiute teorizzazioni giuridiche, che stanno alla base di quello stesso fenomeno, che l’anar-chismo rifiuta nella sua interezza.

Una prospettiva di ricerca così tratteggiata deve anzitutto individuare quelle che appaiono le basi teoriche dell’uso del diritto in chiave di dominio, così come lo stesso si manifesta nel contesto sociale criticato dall’anarchismo29; individuati tali fondamenti teorici, andranno eviden-ziati gli elementi caratterizzanti e, successivamente, osservato come nei confronti di questi si sviluppa, direttamente od indirettamente, la critica anarchica. Attraverso la critica anarchica dell’esistente appare possibile intravvedere quali risultano essere le alternative prospettate, che nel nostro caso si concentrano verso una fondazione ed un uso del diritto non in chiave di dominio.

Da qui sarà possibile tratteggiare una prospettiva giuridica anarchica, che non si riduca soltanto ad esprimere la consueta pars destruens, ma anzi appaia protesa ad indicare con (approssimativa) chiarezza gli ele-menti fondanti di un ordinamento giuridico anarchico.

Tale itinerario di ricerca risulta pertanto caratterizzato dalla presenza di tipi ideali, ricostruiti e posti a confronto; da un lato le teorie e le prassi del diritto statuale, così come si è venuto determinando dagli albori della compagine politica moderna sino al consolidarsi dello stato monoclasse borghese30, e, dall’altro, le critiche anarchiche, da cui

auspi-28 Ad esempio in tema di rapporto fra politica e morale, oppure in tema di critica al determinismo sia di stampo storico-materialistico, che positivistico, o ancora relativamente all’analisi del concetto di democrazia; cfr. in proposito G. Berti, il

pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, cit. e, più nello specifico, errico malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale, cit.

29 Come si avrà modo di osservare, si assume essere il positivismo giuridico, quale manifestazione contemporanea di una più generale prospettiva politica e giuridica moderna – la cosiddetta geometria legale –, la base teorica della rappresentazione del diritto quale strumento di dominio. In tema si rimanda alle analisi di F. Gentile,

intelligenza politica e ragion di stato, cit.

30 Va infatti rammentato che le critiche dei classici dell’anarchismo si rivolgono esclusivamente ad un certo tipo di compagine statuale, ovvero allo stato monoclasse;

cabilmente far emergere un possibile uso alternativo del diritto in una prospettiva an-archica.

Va altresì evidenziato come tale modo di procedere presenta indub-biamente un limite, difficilmente valicabile; se, infatti, cosa del resto ovvia, il ricercatore si ritrova agevolmente di fronte a ben consolidate prassi e teorie del diritto borghese, ben diverso è la questione se si en-tra nel discorso proprio all’anarchismo. Infatti, cosa altrettanto ovvia, non esistono (per lo meno sino all’epoca di Malatesta compreso31) prassi anarchiche di gestione politica, né, tanto meno, prospettive giuridiche anarchiche; quest’ultime devono, pertanto, venire interamente costrui-te a partire dalla critica dell’esiscostrui-tencostrui-te e dall’abbozzo di possibili scenari politici liberati dal dominio dell’uomo sull’uomo.

Va in proposito rilevato che ci troviamo di fronte ad una situazione del tutto diversa da quella riscontrabile in ambito marxista; se, infatti, il pensiero marxiano non si caratterizza per una specifica analisi giuridica, la quale risulta quasi assente nel corpus dottrinario dei due pensatori tedeschi, ciò non di meno attraverso la categoria della sovrastruttura inserita all’interno di una prospettiva storico-materialista, la

rappresen-per quanto gli stessi possano preconizzare il sorgere di una compagnie statuale qualitativamente diversa, che si avvererà poi, nel corso del Novecento, nel cosiddetto stato pluriclasse, il quale determina anche una diversa dinamica giuridica, il loro punto di riferimento non può essere che l’organizzazione politica ad essi contemporanea, ovvero quella che domina l’Ottocento europeo e (in parte) americano. Lo stesso Malatesta, cronologicamente l’ultimo dei classici, non riesce oggettivamente a scorgere il compimento dell’evoluzione della compagine statuale e, pertanto, non può sviluppare analisi intorno ad una struttura statuale pluriclasse, allora soltanto e per sommi capi abbozzata. Forse in questo, ovvero nell’avere come punto di riferimento l’Ottocento, secolo che vede l’apogeo della borghesia, può ritrovare spiegazione la sottovalutazione della questione democrazia e con questa un’analisi per certi versi miope del sorge delle compagini autoritaria in primis il fascismo italiano. Cfr. in argomento G. Berti,

il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, cit., pp. 430 e segg. e il contributo

collettaneo a firma Comidad-FAI titolato l’insurrezionalismo malatestiano nell’epoca

del disordine di Stato in atti del convegno a centocinquant’anni dalla nascita di errico malatesta reperibile su http://www.ecn.org/contropotere/convegno/relazione_

Comidad.htm (nello stesso sito sono reperibili anche i contributi ivi presentati da G. Di Lembo, P. Aiello, T. Antonelli, A. Bonanno, M. Varengo, E. Papa, G. Marelli, G. Careri, M. Celentano, M. Ortalli).

31 Diverso appare la realtà successiva, caratterizzata dall’anarchismo iberico, che, dai primi anni Trenta sino alla definitiva sconfitta della Repubblica, nel 1939, sviluppa una vera e propria prassi di gestione delle cose politiche, che deve però, soprattutto dal punto di vista giuridico, essere ancora tutta studiata.

tazione del fenomeno giuridico ed il suo ruolo nella società di classe è con precisione delineato, tanto da poter sviluppare su di questo, cosa del resto effettuata dai giuristi marxisti, una teoria marxista del diritto. Va altresì sottolineato come, per questa prospettiva, nella società senza classi il nostro fenomeno è destinato, in quanto esclusivo strumento di dominio espressione dei rapporti economici, ad estinguersi lasciando spazio alla engelsiana amministrazione delle cose.

Non così lineare appare la questione all’interno di una prospettiva anar-chica, la quale mira sì all’abolizione del potere (e tale abolizione sarà frutto di un atto di volontà e non l’imprescindibile conseguenza di una evoluzione in chiave storico deterministica), ma l’abolizione del potere significa soltanto che i rapporti politici verranno riorganizzati non quali rapporti di dominio bensì di libertà. Permane pertanto il problema della regolamentazione giuridica della società dei liberi ed uguali, non sup-ponendo, l’anarchismo, che sciolti i vincoli economici e sociali il diritto debba estinguersi. Ciò che auspicabilmente scomparirà sarà soltanto l’uso del diritto quale strumento di dominio, ma permarrà il problema della regolamentazione giuridica della società. La soluzione a questo problema è però tutta da ricercare perché non tratteggiata se non solo implicitamente all’interno del corpus dottrinale anarchico.

Volendo procedere nel modo sopra indicato, comparando cioè la prassi giuridica e le teorie giuridiche che indicano nel diritto solo uno stru-mento di dominio, fra le quali va annoverata la teoria marxista del dirit-to, con la prospettiva anarchica, bisogna constatare come risulta assente uno dei due termini del confronto, in quanto la prospettiva anarchica va desunta principalmente dalla critica (distruttiva) al diritto borghese e dai pochi cenni presenti nelle opere degli anarchici in relazione alla futura configurazione sociale (anarchica).

La necessità di dover in siffatto modo determinare uno dei tue termini della comparazione rende il risultato di tale operazione comparativa di per sé opinabile derivando, nella migliore delle ipotesi, da una lettura, come si suole dire, fra le righe, nelle altre, da una lettura (ben) oltre le righe e, pertanto, priva di possibili riscontri in uno dei due termini del confronto.

In considerazione di ciò, va rimarcato che quelli che seguiranno vanno considerati soltanto come possibili lineamenti di una prospettiva giuri-dica anarchica. D’altro canto, la stessa struttura del pensiero anarchico rende impossibile l’approdo ad una conclusione definitiva di una dispu-ta intorno ad un problema, dato che la soluzione risulterà, da un punto

di vista teoretico, sempre parziale in quanto liberamente rivedibile in ogni momento.

Per Malatesta, “quali siano le forme concrete in cui potrà realizzarsi quest’auspicata vita di libertà e di benessere per tutti, nessuno potrebbe dirlo con esattezza; nessuno, soprattutto, potrebbe, essendo anarchico, pensare ad imporre agli altri la forma che gli appare migliore. Unico modo per arrivare alla scoperta del meglio è la libertà, libertà di ag-gruppamento, libertà di esperimento, libertà completa senz’altro limite sociale che quello dell’uguale libertà degli altri”32.

32 i nostri propositi, cit., p. 29 (rammentiamo come l’articolo apre il 27 febbraio 1920 le pubblicazioni del quotidiano anarchico “Umanità Nova”, di cui Malatesta assunse la direzione).

SOMMARIO