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ANCORA SULL’USO ALTERNATIVO DEL DRITTO

CAPITOLO SESTO

5. ANCORA SULL’USO ALTERNATIVO DEL DRITTO

Il pensiero anarchico, ricollegandosi a prospettive che ricercano la giuridicità non nel potere trasformato in legge, ma nella natura delle

cose, può effettivamente costruire una alternativa all’utilizzo in chiave

di dominio della regolamentazione giuridica della società.

L’anarchismo si differenzia profondamente dalle prospettive di ispira-zione marxiana e, poi, marxista, non rappresentando il diritto quale sovrastruttura sociale, ovvero quale fenomeno determinato e dipenden-te da realtà strutturali come l’economia. Nella prospettiva di pensiero

17 la dottrina pura del diritto, cit., 6, b, γ.

18 Cfr. F. Gentile, Relazione, in R. Orecchia (a cura di), atti del XiV congresso Nazionale

della Società italiana di Filosofia Giuridica e politica, Milano, 1984, pp. 117-142.

marxista, il diritto non può che manifestarsi quale fenomeno di domi-nio, dato che per sua essenza altro non è che l’espressione degli inte-ressi economici della classe dominante, i quali si istituzionalizzano in forme giuridiche al fine di agevolare la preminenza degli interessi dei ceti dominanti su quelli dei ceti subalterni; al modificarsi degli interessi espressi dal ceto economicamente dominante, si assisterà all’automa-tica modificazione della regolamentazione giuridica. Cosicché, da un diritto borghese, perché manifestazione degli interessi economici della classe mercantile ed imprenditoriale, si passerà, attraverso la presa del potere da parte del proletariato, che scalzerà la sconfitta borghesia dai gangli vitali della gestione economica, all’affermarsi nella società del diritto proletario, il quale, necessariamente, veicolerà in forma istitu-zionalizzata gli interessi dell’antica classe subalterna ora al potere. Non va sottaciuto che la fase successiva alla rivoluzione, ovvero alla presa di potere da parte del proletariato, si caratterizza per tramite della

ditta-tura di questo sulle altre classi sociali. Una dittaditta-tura, quella proletaria,

non dissimile, nelle sue forme istituzionalizzate, in quanto produttive di uno stato monoclasse, dalla dittatura della borghesia che la ha precedu-ta; il proletariato si impossessa, in quanto oramai padrone delle forme di produzione, delle istituzioni politiche e giuridiche, dello stato e del diritto, che per l’appunto, si manifestano quale stato proletario e diritto proletario20.

Ma al di là del passaggio dei poteri, il fenomeno giuridico non può che esprimere sempre e comunque la stessa essenza: è uno strumento di dominio e giammai consono ad un processo di liberazione dell’essere

20 Osserva Malatesta, “negli Stati capitalisti la giustizia vi è amministrata dai borghesi a favore dei borghesi. Nell’unico Stato comunista che esista, la giustizia deve essere amministrata a favore del proletariato e serbarsi fedele alla rivoluzione. […] Il tribunale è al servizio della classe operaia attaccata da innumerevoli e implacabili nemici ed ha per missione di aiutarla nelle sue vittorie. Il processo non è una questione di giustizia, esso è solo un episodio di guerra civile. […] È vero che la giustizia è stata sempre in mano dei dominatori una menzogna per mascherare interessi privati o di classe e giustificare tutte le violenze, tutte le infamie perpetrate a danno dei vinti. Ma il solo fatto che i governi sentono il bisogno di una maschera di moralità e di giustizia già dimostra che, attraverso le mille lotte che hanno afflitto l’umanità, si è pur sviluppato un sentimento morale superiore che resta, o dovrebbe restare, una conquista definitiva. I bolscevichi rinunziano persino a quest’ultimo omaggio alla virtù ed alla giustizia che si chiama ipocrisia. Essi hanno il merito di essere franchi e sfacciati: tale e quale come i fascisti!”,

in regime di dittatura «proletaria». la giustizia secondo i comunisti dittatoriali, ora in Scritti, cit., vol. II, p. 139 (l’articolo esce il 12 agosto 1922 su “Umanità Nova”).

umano, ma sempre utilizzato, perché tale è il suo destino, al fine di dominare. Il diritto è una tecnica, una fra le molteplici manifestazioni sovrastrutturali del reale dominio economico sulla società. Se come tec-nica non possiede autonomia, infatti è dipendente dall’economia, come sovrastruttura frutto del domino non può che manifestarsi, sempre e comunque, quale strumento di dominio. Pertanto, dove è riscontrabile il diritto lì, inequivocabilmente, vi sarà dominio dell’uomo sull’uomo. Da un punto di vista marxiano, e in vero non solo da tale prospetti-va, un processo di liberazione dell’uomo, qualora sia auspicabile, dovrà connotarsi attraverso l’assenza di regolamentazione giuridica, ovvero potrà compiersi soltanto in un contesto sociale ove il diritto, in quanto regolamentazione eteronoma volta al dominio, venga bandito. In que-sto conteque-sto non appare una forzatura accostare il kantiano Reich der

Zwecke21 alla marxiana aufhebung del diritto (e dello stato). Né nella società comunista, né all’interno del regno dei fini vi è posto per una pratica giuridica; infatti, per un verso, la regolamentazione dei rapporti sarà affidata alla morale, per altro, nella prospettiva specificatamente marxiana e marxista, venendo a cadere le condizioni economiche pro-prie del dominio risulterà del tutto inessenziale anche la regolamenta-zione giuridica22 perché questa è volta solo a fissare i rapporti fra forze di produzione e forme di produzione favorevoli alla classe dominante, la quale in una società giunta alla fase del comunismo cesserà di esistere. Sicché, a ben vedere, non vi può essere, dal punto di vista marxista, ma più in generale per l’intera prospettiva politica e giuridica moder-na23, un uso alternativo del diritto, che sia cioè diverso ed opposto al suo essere strumento di dominio; tant’è che la società liberata viene preconizzata come luogo senza diritto, ovvero come utopia. Infatti, non è concepibile, data l’assunzione ipotetica del diritto quale strumento di controllo sociale, un uso del diritto che non sia consono a quella che è, in quanto assunta aproblematicamente, l’unica rappresentazione del fenomeno giuridico accettata nella prospettiva moderna.

Pertanto, l’accostamento del diritto alla libertà appare avulso da questa forma di pensiero, tant’è che, come già rilevato nella sua manifestazione

21 Di cui alla Fondazione della metafisica dei costumi, cit., p. 66

22 “Invece del governo degli uomini si avrà l’amministrazione delle cose e la direzione dei processi di produzione”, F. Engels, antidühring, III, 2.

liberale, ogni forma di regolamentazione giuridica, anche la più blan-da, esemplificabile con la metafora dello stato minimo, risulta essere un male necessario in quanto limita la naturale libertà dell’essere umano, che si esplica totalmente solo nello stato di natura, ovvero in assenza di regole giuridiche, oppure, ed è il caso della prospettiva kantiana in un

regno, in vero solo ipotizzato e non realmente perseguito, ove l’essere

umano sia direttamente indirizzato dalla morale. Nell’un caso e nell’al-tro, il diritto, la regola giuridica, appare quale sinonimo di oppressione. D’altro canto, il socialismo di stampo marxiano, immergendo l’essere umano nella dinamica storico-materialista, ne fa un essere in totale balia della stessa, stornando da questo ogni possibile riferimento all’autode-terminazione; l’essere umano è determinato dalla struttura (economica) in quanto soggetto alle sue leggi ed alla sua evoluzione. Il diritto è, per un lato, frutto della divisione sociale in due poli contrapposti (gli sfruttati e gli sfruttatori) e, per altro, momento di perpetuazione di tale dicotomia; nemmeno nella società dominata dal proletariato esso può assumere vesti liberatorie perché anche lì si configura come strumento di dominio nelle mani del proletario che lo utilizza per veicolare i propri interessi a tutto svantaggio della borghesia, classe da questo oppressa. Sia nella società borghese, che in quella proletaria il diritto appare strumento di controllo e di oppressione. La marxiana ricomposizione dell’uomo a se stesso24, momento necessario per l’edificazione della società comunista, vede il dissolversi del fenomeno giuridico quale retaggio di un mondo fondato sul dominio dell’uomo sull’uomo (sia questi il borghese oppure, al contrario, il proletario).

In entrambe le prospettive (marxista e liberale), che se colte attraverso la loro partecipazione al più complesso moto politico e giuridico moderno, non appaiono nella loro intelaiatura teoretica difformi, pur differendo negli esiti pratici, il diritto risulta un inconveniente da eliminare al fine di far emergere la libertà, la quale, nel consequenziale dispiegarsi di queste costruzioni, si prospetta quale assenza di diritto. Un’assenza che potrà risultare il frutto vuoi della prefissata dinamica economica – e sia-mo nella prospettiva storico-materialista – vuoi della volontà liberatrice dell’individuo, ma che comunque, nell’una e nell’altra versione della prospettiva moderna, caratterizzerà l’ipotetica società liberata.

24 Vedi i cosiddetti manoscritti economico-filosofici del 1844. Cfr. l’edizione curata da Norberto Bobbio, Torino, 1978, p. 111.

Appare per certi versi sorprendente come nei confronti di queste pro-spettive, che, come osservato, propugnano, sia pure strumentalmente, quale ideale di perfezione forme di vita sociale anomiche, in quanto prive di diritto, non si siano levati quei cori di compatimento e di

commi-serazione25, che hanno, invece, caratterizzato il sorgere ed il propagan-darsi di un’idea di vita sociale non fondata sul potere, ovvero an-archica, ma non per questo priva di diritto.

Forse la risposta a tale quesito è da ricercarsi nel fatto che le utopie di cui sopra – utopie, in quanto frutto di uno speculare rovesciamento dell’esistente, che non ammettono alcuna relazione fra lo stato presente e l’ipotetico stato futuro, negando cioè ogni possibilità di problematiciz-zare l’esistente – sono insite nella prospettiva moderna e sono altresì funzionali all’operazione di controllo sociale che contraddistingue la stessa, mentre la prospettiva anarchica mina sin dalle sue fondamenta tale costruzione.

La prospettiva anarchica si accanisce non già, come la vulgata moderna fa credere, sull’esistenza della regola giuridica, ma, al contrario, sul suo fondarsi esclusivamente sul potere. In questo modo viene propugnata una prassi sociale anarchica, ma non per questo anomica, dato che la prima non potrà sussistere se non fondata su regole giuridiche, regole autonome frutto, quindi, non di una manifestazione di potere

irresisti-bile da parte del sovrano, ma di una prassi sociale che non recepisce il

monopolio della potenza come suo unico modo d’esistere.

L’anarchismo è pertanto estraneo alla prospettiva politica e giuridica moderna, in quanto ne rifiuta le fondamenta stesse, in particolare la pre-supposizione che solo la forza, sia pur veicolata lungo itinerari istituzio-nalizzati, possa permettere un regolare svolgimento della vita sociale e che in assenza di un monopolio della forza l’uomo sia lupo ai suoi simili.

25 Per quanto non manchino isolate voci critiche; cfr. P. Grossi, l’europa del diritto, Roma-Bari, 2007, pp. 117-118.

SOMMARIO

§1. Anarchismo e scienza; §2. La critica al determinismo scientista; §3. La dialettica come fonte di ogni giudizio di valore; §4. L’anarchismo quale non teoria; §5. L’ipoteticità del sapere scientifico e la prospettiva anarchica; §6. Anarchismo e prospettiva politica moderna; §7. Una pri-ma conclusione.

1. ANARChISMO E SCIENZA

È già stato rilevato come l’anarchismo, in quanto movimento di pen-siero che rifugge il dogmatismo1, evita di costituirsi in una teoria, ove per la stessa si intenda una serie di concatenate deduzioni a partire da un insieme di assiomi ipoteticamente posti ed in quanto tali indiscu-tibili. Rispetto alle ipotesi e per mezzo di procedure che controllano

* E. Malatesta, Fra le nebbie della filosofia (1924).

1 “Io protesto contro la qualifica di dommatico, perché, fermo e deciso in quello che

voglio, sono sempre dubbioso in quello che so e penso che, per quanti sforzi si siano

fatti per comprendere e spiegare l’Universo, non si sia finora raggiunto, nonché la certezza, ma nemmeno una probabilità di certezza – e non so se l’intelligenza umana potrà mai arrivarci”, E. Malatesta, Fra le nebbie della filosofia, ora in Scritti, cit., vol. III, p. 131 (l’articolo apparve il primo novembre 1924 sulla rivista ”Pensiero e Volontà”). Rileva Placido La Torre come “l’analisi, per Malatesta, non è operazione di matematica trascendentale, ma osservazione ed esame attento e scrupoloso di dati offerti dalla realtà che lo circonda e in cui egli vive, e senza la pretesa di conferire ad essi il crisma di verità assoluta e di assumerli a componenti di un sistema dommatico e immutabile”, malatesta nel 50° anniversario della sua morte, cit., p. 8.