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“ABOLIZIONE DI OGNI GOVERNO E DI OGNI POTERE ChE FACCIA LA LEGGE”*

5. SULL’UTOPIA

Rovesciando specularmente tale dato, rivoluzionando cioè l’assetto sociale, si costituirebbero inevitabilmente i presupposti per la costitu-zione della società dei liberi e degli uguali38.

compenso, delle sofferenze inenarrabili ch’essi infliggono ai poveri. Questo stato di cose noi vogliamo abolire – per sostituirvi una società basata sulla cooperazione e sulla solidarietà, in cui tutti abbiano diritto eguale a godere dei vantaggi sociali, prestando tutti alla società il concorso dell’opera loro”, il nostro programma, ora in E. Malatesta,

“Un lavoro lungo e paziente …”, cit., p. 5.

37 Letture dalle quali, come avremo modo d’osservare, Malatesta prende le dovute distanze. Cfr. in proposito, G. Berti, il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, cit., pp. 374-386.

38 In realtà, secondo Malatesta, “il benessere e la libertà di tutti, l’abolizione della tirannia e della schiavitù non si possono avere se non quando gli uomini si sforzino di armonizzare i loro interessi e si pieghino volontariamente alle necessità sociali. Ed io credo che, abolita la proprietà individuale ed il governo, distrutta cioè la possibilità di sfruttare ed opprimere gli altri sotto l’egida delle leggi e della forza sociale, gli uomini avranno interesse, e quindi volontà, di accordarsi e risolvere i possibili conflitti pacificamente, senza ricorrere alla forza. Se ciò non fosse, evidentemente l’anarchia sarebbe impossibile; ma sarebbero anche impossibili la pace e la libertà”,

anarchia contro … che cosa? (Risposta a merlino), ora in E. Malatesta, “Un lavoro lungo e paziente …”, cit., p. 308 (il testo, apparso su “L’Agitazione” il 23 dicembre

Nel nostro caso specifico, poiché la società oppressiva si fonda anche sul diritto, le cui regole eteronome e coattive permettono il perdura-re del dominio di una minoranza sulla maggioranza della popolazione, una compagnie sociale caratterizzata dal non sfruttamento dell’uomo sull’uomo non potrebbe che costituirsi in assenza del diritto, il princi-pale strumento di dominio politico ed economico posto al servizio dei ceti egemoni39.

Il diritto, che a differenza della prospettiva marxiana e marxista, non appare quale sovrastruttura, non si estinguerà naturalmente al venire

S. F. Merlino, anarchismo e democrazia, cit.). Per il nostro il passaggio da una società autoritaria ad una società anarchica non è la conseguenza meccanica dell’abolizione dello sfruttamento politico ed economico, ma il frutto di un atto di volontà che non si dà in modo automatico, in quando derivato da una precisa scelta ideale che nulla ha a che fare con il manifestarsi spontaneo di naturali armonie. Tant’è che è la stessa volontà ad imporre soluzioni ai conflitti; soluzioni non più di natura autoritativa (quindi eteronoma), che necessariamente devono ricorrere alla forza per imporsi, ma improntate su un accordo fra le parti, il quale non può che derivare dal confronto fra le stesse. In tal modo, per Malatesta, il conflitto si trasforma in controversia e trova soluzione con il concorso delle parti, una soluzione frutto dell’autonomia, che non necessita, se bilateralmente accettata, di alcun ricorso alla forza. Va notato, per ora solo per inciso, come tale processo di risoluzione dei conflitti attraverso la loro trasformazione in controversia rappresenta una totale alternativa al metodo di risoluzione autoritativa degli stessi, che appare invece proprio ad una certa prospettiva giuridica. Malatesta richiama, quindi, l’attenzione, sia pur implicitamente, su prospettive di soluzione giuridica altre da quelle legate alla prassi del diritto statuale. 39 Scrive Malatesta il primo aprile 1921 sulle pagine di “Umanità Nova”, “bisognerà, se si vuole veramente cambiare la sostanza, e non la sola forma esteriore del regime da abbattere, di fatto il capitalismo, espropriando i detentori della ricchezza sociale, ed organizzando subito, localmente, senza passare per alcun tramite legale, la nuova vita sociale”, (Repubblica sociale, ora in Scritti, cit., vol. I, p. 41 ma, primo aprile 1921 su “Umanità Nova”), ma questo non significa affatto che si debba abolire ogni organizzazione (anche giuridica) della società; anzi “bisogna organizzare immediatamente un nuovo assetto economico basato sulla giustizia e sull’eguaglianza”

le due vie. Riforme o Rivoluzione? libertà o Dittatura?, ora in ibidem, p. 119 (ma,

12 agosto 1921 su “Umanità Nova”), il quale anzi appare necessario proprio perché “abbattuto il governo, conquistati per tutti i lavoratori i mezzi di produzione, impedito che un nuovo governo venga ad imporre le proprie leggi ed a creare una nuova classe privilegiata, la rivoluzione andrà sviluppandosi secondo le linee che saran tracciate dalle necessità pratiche e man mano modificate dalla libera sperimentazione” (Fra

anarchici e socialisti, ora in ibidem, pp. 129-130 – il contributo appare su “Umanità

Nova” il 25 agosto 1921). Sicché si tratta di espungere la legge dalle nuove forme di regolamentazione dei rapporti sociali, non il diritto, ovvero linee di condotta autonomamente fissate dagli stessi consociati.

meno della struttura economica (da cui la teoria della aufhebung); non vi è questo tipo di determinismo nella visione anarchica della rivoluzione, il diritto e con questo l’organizzazione statuale, parrebbe debba venire

abolito per mezzo di un atto di volontà; non, quindi, graduale estinzione,

ma immediata abolizione di ogni assetto istituzionale legato al passato regime al fine di determinare, attraverso la rottura di questi gioghi, l’av-vento di una nuova umanità destinata a popolare la società libera. Se ciò corrispondesse a realtà, la società preconizzata dall’anarchismo si paleserebbe come una utopia40, nel momento in cui è luogo totalmente altro dal mondo esistente, che va, tramite il processo rivoluzionario, nella sua interezza e senza alcuna mediazione rigettato nella sua totali-tà; la rivoluzione si proporrebbe, quindi, quale moto di rovesciamento speculare dell’esistente41.

È stato infatti sottolineato come la “utopia è un ordine nuovo che si con-trappone al presente disordine, come alternativa globale. Quanto più si accentua la valenza operativa dell’utopia, tanto più precisa si delinea la sua pretesa di costituire un’alternativa globale del presente, immedia-tamente identificato col negativo, con ciò che deve essere totalmente rifiutato e soppresso”42. Una prospettiva utopica non accetta pertanto alcun accomodamento parziale, non mira a riformare la realtà in quanto non accetta compromessi con l’esistente, il suo compito è quello di

rivo-40 Vedi, sull’argomento, anche per la sua attinenza con il tema trattato, lo studio di M. L. Berneri, Viaggio attraverso Utopia, trad. it. a cura di A. Chersi Milano, 1981 (ma London, 1950); cfr. anche B. Cattarinussi, Utopia e società, Milano, 1976.

41 Tutto ciò viene puntualmente smentito da Malatesta nel momento in cui, il primo giugno 1926 sulle pagine di “Pensiero e Volontà”, rileva: “appare l’idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l’opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni”,

(«la fine dell’anarchismo?» di luigi Galleani, ora in Scritti, cit., vol. III, p. 235 –

l’articolo appare su “Pensiero e Volontà” il primo giugno 1926). Specificando che, “distruggiamo i monopolî: d’accordo. Ma i monopolî, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopolî (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare, ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopolî, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell’atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro” (Demoliamo. e poi?, ora in Scritti, cit., vol. III, p. 239 – il contributo esce il 16 giugno 1926 su “Pensiero e Volontà”).

luzionarlo; la prospettiva utopica non si pone il problema del migliora-mento dell’esistente, esige il bene assoluto. In questo senso, “l’utopista rifiuta la possibilità di una riforma, perché non riconosce alternative parziali”43.

A differenza della prospettiva ideologica, l’utopia nel suo irriducibile moto di negazione non sottopone, a ben vedere, a critica la realtà esi-stente; si limita, per l’appunto, a negarla nella sua interezza, perorando la causa di una realtà totalmente altra e nuova rispetto all’esistente;

un’u-topia in cui l’ordine preconizzato regnerà nella sua assoluta perfezione.

La struttura utopica preconizza lo speculare rovesciamento dell’esisten-te nell’auspicio che in tale radicale cambiamento il disordine si tramuti in ordine.

In questo quadro, l’utopica società anarchica appare l’auto-proclamato luogo del bene assoluto (eu topo~), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo (ou topo~), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l’as-sunzione (e l’avverarsi) dell’ipotesi indimostrabile per la quale l’essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capa-cità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l’una sorreggersi in assenza dell’altra; infatti, al di fuori di questa ipo-tesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell’esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell’uomo sull’uomo44.

43 ibidem, p. 112.

44 È stato sottolineato come “Malatesta sintetizza la forma mentis dell’argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all’essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere”, G. Berti, il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, cit., p. 437. Pare invece che proprio Malatesta riesca a cogliere – si pur parzialmente, ma su questo oltre – l’aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, come sopra richiamato, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall’idea dello speculare rovesciamento dell’esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per

6. ANCORA SU IDEOLOGISMO, UTOPISMO E LIBERO PENSIERO