• Non ci sono risultati.

L’IMPLICITA CRITICA AL POSITIVISMO GIURIDICO Possiamo pertanto formulare una prima considerazione: per quanto

“UN ANARChICO PUò BEN ESSERE UN BUON CONOSCITORE DEL DIRITTO”*

3. L’IMPLICITA CRITICA AL POSITIVISMO GIURIDICO Possiamo pertanto formulare una prima considerazione: per quanto

non scevro da quelle tensioni ideologiche ed utopistiche, che paiono trascinare l’anarchismo verso derive oniriche, pur tuttavia il pensiero anarchico propone una chiara e, per certi versi, propositiva analisi sul fenomeno giuridico.

Anzitutto va ribadito come la riflessione anarchica sul fenomeno giuri-dico si costituisce in opposizione al binomio diritto-potere così come la prassi dello stato moderno e le teorie giuridiche a questo connesse lo hanno manifestato. Tale rifiuto si sostanzia nella necessità di distingue-re nettamente, la qual cosa la prospettiva moderna non fa, il diritto dalla legge posta in essere dagli organi dello stato. Il tutto, detto in altri termi-ni, significa che per il pensiero anarchico non sussiste alcuna equivalen-za fra diritto e legge, equazione che caratterizequivalen-za invece, con particolare riguardo al positivismo giuridico, la prospettiva moderna.

Assodato ciò, va riconosciuto come l’anarchismo propone una forma di regolamentazione giuridica dei rapporti intersoggettivi, la quale non ritrova nel potere, così come esaltato nella prospettiva moderna, la sua unica ed esclusiva fonte.

Esaminiamo per intanto la prima questione: l’equazione fra diritto e legge.

In proposito non va sottaciuto come lo stesso Norberto Bobbio, in chiu-sura del suo fondamentale lavoro su il positivismo giuridico, nel descri-verne i tratti caratterizzanti, afferma: “abbiamo visto che questa teoria si fonda su [sei] concezioni fondamentali […]. Tutte queste sei

conce-zioni sono state sottoposte a critica, con la formulazione di altrettante anti-teorie, sono state cioè negate: a) la teoria coattiva del diritto; la teoria legislativa del diritto; la teoria imperativa del diritto; b) la teoria della coerenza dell’ordinamento giuridico; la teoria della completezza dell’ordinamento giuridico; la teoria dell’interpretazione logica o mec-canicistica del diritto. Ora, noi riteniamo che le critiche alle prime tre teorie non siano consistenti, e che comunque tali teorie rimangono in-tatte nella loro essenza anche dopo che si è tenuto conto delle obiezioni ad esse rivolte”19.

Secondo questa autorevole ricostruzione, qui succintamente riportata, il positivismo giuridico si costituisce attraverso tre affermazioni: il dirit-to è di esclusiva fonte legislativa (quindi, statuale); il diritdirit-to è uno stru-mento di coazione e la sanzione costituisce parte integrante dello stesso (perché solo attraverso la sanzione il diritto è effettivo; infatti, non vi è diritto senza forza); il diritto ha la struttura del comando. Ed a quest’ul-timo proposito lo stesso Bobbio specifica come “la teoria imperativistica della norma giuridica è strettamente connessa con la concezione statual-legalistica del diritto (cioè con quella concezione che considera lo Stato come unica fonte del diritto, e individua nella legge l’unica espressione del potere normativo statuale)”20.

Si evidenzia ancora una volta con chiarezza quel legame inscindibile fra legge, stato, comando effettivo in quanto coercibile, che rappresenta, all’interno di tale prospettiva, l’ossatura ineliminabile di ogni fenomeno giuridico. Si può riconoscere la vigenza di un diritto solo in presenza di una legge formalisticamente posta da organi dello stato, i quali abbiano la forza di imporla ai consociati21.

Nell’approcciarsi al fenomeno giuridico, l’anarchismo si pone su un ver-sante completamente diverso; infatti, se un’idea anarchica del diritto non si connota attraverso l’equazione diritto-legge, essa contesta conse-guentemente l’ipotesi che lo stato sia l’unica fonte del diritto,

afferman-19 N. Bobbio, il positivismo giuridico. lezioni di filosofia del diritto raccolte dal Dott.

Nello morra, Torino, 1961, p. 284.

20 ibidem, p. 213.

21 È stato già rammentato come gli albori di tale prospettiva veniva con chiarezza indicato come “l’autorità di fare leggi spetta soltanto a colui il quale, facendole, farà sì che le leggi siano meglio osservate o addirittura assolutamente osservate”, così Marsilo da Padova, Defensor pacis, I, XII, 6 (citiamo dalla trad. it. a cura di C. Vasoli, Torino, 1960).

do che la stessa costituzione dell’ente statuale sia espressione di solo domino, dato che allo stato si attribuisce, nella prospettiva giuridica e politica moderna, il crisma della sovranità, ovvero dell’essere al di sopra di ogni altra cosa e non quello della giustizia.

Se costitutivamente lo stato si propone quale sovrano, appare indubbio che il ceto che si impossesserà degli organi statuali sarà esso stesso al di sopra degli altri, ovvero lo stato diverrà lo strumento del ceto dominan-te, il quale lo piegherà ai propri interessi22. Difatti, se il diritto è una tec-nica sociale per ottenere determinati comportamenti, questi ultimi non potranno che essere consoni agli interessi propri a colui o coloro che pongono in essere la regolamentazione giuridica. Il perseguimento di tali interessi è subordinato alla minaccia di una sanzione, la quale potrà essere realmente erogata solamente se il comando giuridico è garantito dall’uso di un’adeguata forza coercitiva.

Va, altresì, rilevato – in questa sede solo per inciso – come le costruzioni giuridiche e politiche proprie alla prospettiva moderna si fondano es-senzialmente sulla effettività del comando e non tanto sulla sua validità formale.

Una prospettiva giuridica anarchica, viceversa, non potrà considerare il diritto necessariamente connaturato né all’esercizio della forza, né all’at-to di volontà di una auall’at-torità competente (in quanall’at-to dotata di forza). Infatti, l’anarchismo, pena il ricadere nel mondo dei sogni, considere-rà la forza solamente un accidente del diritto e non certamente la sua essenza; parimenti è rifiutata la rappresentazione per la quale il solo diritto è quello prodotto dall’autorità competente istituzionalizzata ne-gli organi dello stato. Le fonti di produzione del diritto si collocano al contrario direttamente nel contesto sociale da regolamentare e non al di fuori (o sopra) lo stesso; il diritto è pertanto di produzione sociale e non statuale.

In questo modo l’anarchismo si propone come strenuo avversario, non tanto di uno specifico ordinamento giuridico costituitosi in funzione di certo dominio economico e politico, ma di ogni manifestazione giuridi-ca che ponga il proprio fulcro vuoi sulla unicità della fonte (rappresenta-bile nella statualità del diritto), vuoi che ritenga il diritto scevro da ogni valutazione, ovvero che lo recepisca soltanto attraverso una disamina formalistica. In definitiva l’anarchismo si oppone alla prospettiva giu-ridica e politica moderna e ricerca la legittimità del nostro fenomeno e

con questa la sua efficacia, lungo percorsi non informati esclusivamente dalla forza e del suo monopolio nell’ente stato.

Pertanto, una visione anarchica del diritto non potrà considerare il fe-nomeno giuridico esclusivamente sotto la veste di un comando posto in essere dall’autorità competente; la valutazione del diritto avverrà avuto riguardo al suo contenuto e non tanto all’autorità che lo ha posto in es-sere23; non sarà quindi, una dottrina avalutativa, ulteriore implicazione che distacca anche metodologicamente una prospettiva anarchica del diritto dal positivismo giuridico24.

23 Indicativo in proposito appare il seguente passo malatestiano tratto da un suo commento ad una conferenza tenuta da Mario Trozzi (avvocato ed allora deputato socialista di tendenza massimalista) a Roma nel marzo del 1925 ed avente ad oggetto

il procuratore della Rivoluzione: Fouquier de Tinville: “quando infine Fouquier fu a

sua volta tradotto in giudizio, si difese energicamente, ed aveva buon gioco, poiché egli aveva applicato le leggi infami fatte da quella stessa Convenzione che ora, in fondo, lo accusava di averle applicate. Giuridicamente egli aveva ragione: moralmente egli non faceva, non poteva fare che una chiamata di correo. Per me, quello che Trozzi adduce come giustificazione o scusa della condotta di Fouquier, il fatto ch’egli era il severo esecutore e non l’autore di leggi ingiuste e feroci, è proprio ciò che mette il Fouquier nei più bassifondi in cui possa scendere l’abiezione morale di un uomo”, il

provveditore della ghigliottina, ora in Scritti, cit., vol. III, p. 282 (l’articolo preparato

per ”Pensiero e Volontà” nel ottobre del 1926 vide la luce postumo sulla rivista svizzera di lingua italiana “Il risveglio anarchico” nel 1933 in seguito al definitivo blocco di ogni pubblicazioni anti-fascista imposto dal regime).

24 Conseguentemente a quanto qui sottolineato una teoria anarchica del diritto rifiuterà anche teorizzazioni concernenti la coerenza, la completezza dell’ordinamento giuridico e, soprattutto, quella concernente l’interpretazione meccanicistica del diritto. Scrive, all’interno di una prospettiva anarchica, Amedeo Bertolo: “si deve andare oltre e definire le linee generali di un nuovo diritto sociale, che garantisca la permanenza e insieme la compatibilità reciproca e complessiva dei diversi interessi individuali e collettivi, in un sistema di equilibrio dinamico. […] Esso deve essere pensato essenzialmente come garante delle soluzioni d’equilibrio e non come codificazione prestabilita dei comportamenti. […] Ritengo infatti […] che un diritto sociale, fondato sui valori dell’autodeterminazione individuale e collettiva, deve essere pensato come un quadro di riferimento di poche e semplici norme generali entro il quale si inserisce un’infinità di accordi liberamente stipulati tra gli individui e tra le collettività, a tutti i livelli di articolazione della società, dal piano locale a quello internazionale. Esso dovrebbe cioè avere un carattere schiettamente contrattualistico. Solo così, oltretutto, è possibile coprire l’innumerevole casistica di situazioni, di interrazioni di complementarietà e di contrasto, e dunque di possibili conflitti, che nessun codice potrebbe comunque prevedere”, la gramigna sovversiva, in “Interrogations”, 1979, nn. 17-18, pp. 28-29.

Il diritto è pertanto un prodotto sociale, in quanto vive nel contesto so-ciale che è chiamato a regolamentare; ma è diritto soltanto quella forma di regolamentazione che la società recepisce come tale.

L’anarchismo sviluppa, in definitiva, un duplice e correlato rifiuto sia del metodo proprio al positivismo giuridico, che delle teorie proposte dallo stesso.

4. L’EQUIVOCO DELL’ANARChISMO QUALE ANOMIA L’anarchismo propone all’osservatore una visione del fenomeno giu-ridico totalmente altra da quella rappresentata nella prospettiva positi-vistica e ricerca, quindi, forme di giuridicità radicalmente diverse da quelle riscontrabili nella prospettiva giuridica e politica moderna. Non per questo l’anarchismo si caratterizza, come vorrebbero certi suoi cri-tici, per il rifiuto totale del fenomeno giuridico e per la teorizzazione di un caos solo in parte mitigato dai richiami alla solidarietà o alla presup-posizione di una natura buonista dell’essere umano, che emergerà una volta che questi sarà liberato dal dominio.

La prospettiva giuridica propria all’anarchismo è invece altra da quella che ha dominato il pensiero moderno; quest’ultimo, non potendo con-cepire un concetto di giuridicità diverso dal proprio, risponde ai suoi critici con l’accusa di antigiuridicismo25.

La fonte dell’equivoco per il quale la società anarchica sarebbe una so-cietà senza diritto, non va, dunque, ricercata all’interno dell’anarchismo

25 L’Anarchismo può essere inteso come una lotta tra l’ “Autorità naturale” e l’ “Autorità artificiale”. Gli anarchici non respingono ogni forma di autorità, come viene loro attribuito dai vecchi luoghi comuni, S. Newmann, l'anarchismo e la

politica del risentimento, cit. L'autore, richiamandosi al pensiero di Foucault, distingue

fra relazioni di potere e relazioni di dominio ritenendo che l'anarchismo debba “confrontarsi col potere e non negarlo”, dato che “il potere non viene emanato da istituzioni come lo Stato – è piuttosto immanente attraverso l’intera rete sociale, attraverso i diversi discorsi e conoscenza. Per esempio, i discorsi razionali e morali, che gli anarchici vedono come innocenti e come armi nella lotta contro il potere, sono essi stessi costituiti da rapporti di forza e sono utilizzati nelle pratiche di potere”. Ciò che gli anarchici devono coscientemente criticare è la trasformazione delle relazioni di potere in relazioni di dominio e questa avviene “quando il libero e instabile flusso di relazioni di potere viene bloccato e congelato, quando si formano gerarchie ineguali e non sono più possibili relazioni reciproche. Queste relazioni di dominazione sono le basi di istituzioni come lo Stato. […] Lo Stato, in altre parole, è solo l’effetto del cristallizzarsi di relazioni di potere in relazioni di dominazione”.

(fermo restando che a volte, come osservato, la questione del diritto viene trattata in modo ambiguo), piuttosto nella concezione politica e giuridica moderna, che l’anarchismo rifiuta.

Infatti, se l’anarchismo concepisce una forma giuridica diversa da quella teorizzata come necessaria dalla prospettiva moderna, il diritto statuale, e si attrezza per criticarlo, la teoria giuridica e politica moderna non può presupporre una visione del diritto diversa da quella da essa incarnata. Abbiamo osservato come tale rappresentazione del diritto tenda a fago-citare in sé ogni forma di regolamentazione giuridica (dagli Stati Uniti

all’antica Babilonia) ed a ritenere come itinerari difformi dai suoi

me-todi e dalle sue teorizzazioni non conducono affatto verso una diversa definizione del fenomeno giuridico, ma, al contrario, approdino a lidi non qualificabili come giuridici, dal predomino della morale sul diritto, della religione sullo stato, fin’anco all’anarchia o al caos proprio ad una società senza diritto.