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Ancora in tema di corti religiose Problemi relativi all’applicazione del diritto

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 152-185)

Alla luce dei cenni in materia di diritto di famiglia svolti nei paragrafi precedenti, è possibile analizzare alcuni aspetti problematici del funzionamento delle corti rabbiniche in Israele.

a) Una questione preliminare: l’incertezza nella valutazione dell’affiliazione religiosa. Le persone con duplice affiliazione religiosa. Un esempio paradigmatico di duplice affiliazione religiosa è il caso di colui che sia figlio di padre mussulmano e madre ebrea.

Secondo il diritto islamico, un bambino sarà mussulmano se tale è il padre, mentre il diritto ebraico adotta il principio della discendenza matrilineare. Quale criterio applicare?

Le corti civili hanno elaborato il cosiddetto principio dell’effettività: l’affiliazione dovrà essere valutata in base al comportamento esteriore e sarà rinvenibile nella religione con la quale il soggetto mostri in pratica di avere il legame più stretto.

Naturalmente le dichiarazioni fatte dal soggetto sulla propria appartenenza religiosa dovranno essere vagliate con scrupolo, onde evitare che la scelta da parte del soggetto sia fatta solo per ragioni di convenienza personale; sarà possibile ovviare al problema esaminando il comportamento del soggetto prima dell’instaurazione del processo482.

Difficoltà invece potrebbero sorgere qualora il soggetto sia ateo o rinneghi i legami con entrambe le tradizioni: in tal caso cercare di comprendere dalla vita quotidiana del soggetto quale sia il legame più stretto può diventare una sorta di finzione giuridica e la persona potrebbe essere considerata in definitiva come non avente alcuna affiliazione religiosa.

Il sistema israeliano in realtà non riconosce formalmente un diritto all’ateismo, a rompere i legami con qualunque confessione per diventare una persona senza religione, anche se la Matters of Dissolution of Marriage (Jurisdiction in Special Cases) Law prevede la possibilità di un divorzio civile in casi limitati e vi sono leggi che regolano gli obblighi di mantenimento per quelle persone che non appartengano a nessuna confessione religiosa (Family Law Amendment (Maintenance) Law, 1959)483.

L’identificazione religiosa può diventare altresì problematica qualora si tratti di un minore in tenera età il cui comportamento non abbia ancora mostrato alcun segno di legame con una piuttosto che l’altra religione. L’art. 13a della Capacity and Guardianship Law del 1962 prevede per esempio che in caso di conversione il consenso scritto del soggetto sia richiesto dai dieci anni in avanti484, lasciando intendere che sopra quella età vi sia il discernimento necessario per valutare il significato dell’atto: se ne potrebbe dedurre che anche per la duplice affiliazione sia possibile fare una valutazione

482 Favorevole all’utilizzo del criterio della volontà e del comportamento anteriore al processo è E.V

ITTA, The Conflict of Personal Laws – Part II, in Israel Law Review, 5, 1970, pag. 337 e ss.

483 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 5. Il criterio dell’effettività, o del legame più stretto, è simile a quello che viene talvolta utilizzato in diritto internazionale per i soggetti con doppia nazionalità.

484 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 17. Per i minori in realtà la conversione non può essere intesa propriamente come il risultato di una libera scelta. Il consenso di almeno un genitore o del tutore sono necessari perché la conversione sia considerata valida. La legge inoltre limita la possibilità di conversione del minore solo alla religione di uno o entrambi i genitori e non qualsivoglia religione.

Status, corti religiose e diritto di famiglia

153 della volontà del minore in quei termini485. In realtà può succedere che l’affiliazione religiosa venga determinata dai giudici in base al principio dell’interesse del bambino, che in caso di minori è il parametro di riferimento per ogni decisione, soprattutto in materia di custodia e affidamento. Interesse del minore potrebbe essere per esempio mantenere una continuità con l’ambiente dove è cresciuto fino a quel momento, o una continuità educativa. Ciò può influenzare l’individuazione della giurisdizione competente, del diritto applicabile e in definitiva l’individuazione della religione di appartenenza486.

Il problema della duplice affiliazione religiosa si può rivelare davvero spinoso: in linea di principio non si potrebbe riconoscere la giurisdizione di una corte religiosa e l’applicazione di un determinato diritto religioso quando una persona sia affiliata anche ad un'altra comunità, ma astenersi da una scelta potrebbe portare alla conseguenza che avere legami con due religioni sia come non avere religione alcuna. La Corte Suprema ha in passato accolto indirettamente l’idea che fosse la corte distrettuale a dover decidere, applicando il criterio della effettività e del benessere del minore, quale corte religiosa sia competente ad essere adita per la custodia di un minore con doppia affiliazione e a dover decidere quale sia l’affiliazione487.

Naturalmente tale problema differisce da un eventuale doppia affiliazione religiosa a seguito di conversione, dovuta per esempio al fatto che una religione continui a considerare l’apostata come suo membro effettivo. L’effettività qui non dovrebbe venire in rilievo visto che la conversione è già in sé un atto che indica la preferenza del soggetto. Inoltre vi è una normativa, la Religious Community (Change) Ordinance, che stabilisce una procedura amministrativa ad hoc per dare efficacia civilistica alla concreta volontà di cambiare religione (da una comunità religiosa riconosciuta ad un’altra), determinando in modo tendenzialmente certo la giurisdizione e la legge applicabile.

La conversione di un soggetto da una religione ad un’altra. Una normativa di epoca mandataria regola la conversione affinché essa produca effetti anche in ambito civile (legge personale e giurisdizione). L’art. 2 della Religious Community (Change) Ordinance del 1927488, che si occupa dei requisiti legali affinché la conversione e il

485 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 6. Ma la Community Religion (Change) Ordinance, non espressamente revocata, stabiliva che fosse sufficiente il consenso di uno dei genitori perché la conversione fosse valida. In un caso deciso dalla Corte Suprema sulla custodia di un minore figlio di madre ebrea e padre mussulmano, il Giudice Cohn stabilì che effettività nel caso di un minore potesse voler dire soltanto valutare quale fosse l’interesse primario del minore stesso. In realtà l’affiliazione dovrebbe essere una considerazione oggettiva e non dipendere dalla convenienza dell’applicazione di un diritto piuttosto che di un altro.

486

P. SHIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 8. Un caso in cui è stato discusso questo problema è C.A. 86/63 Hassan El-Zafdi v. Baruch Benjamin, nel quale da una parte si è sottolineata la centralità dell’interesse del minore, dall’altra si è ventilata la possibilità che per la giurisdizione fosse necessario l’intervento del Presidente della Corte Suprema ex art 55 del Palestine Order-in-Council, che propriamente attiene al caso di controversie tra persone di religione diversa.

487 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 12. Il caso citato dall’Autore è Mizrahi v. Shari’a Court of Nazareth.

488 P. S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 23. Si ritiene che al pari dell’art. 55 del Palestine Order-in-Council questa legge si applichi solo in riferimento a conversione tra comunità ufficialmente riconosciute. Se ne dovrebbe dedurre che la legge non interessi le conversioni da o a religioni non riconosciute, per cui si darà la preferenza al volere espresso dalla parte. Si segnala anche B.NEUBERGER, Religion and Democracy in Israel, Jerusalem, 1997, pag. 39, che ricorda come ai sensi di

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cambiamento di comunità vengano ufficialmente riconosciuti, stabilisce una procedura in due fasi: la persona che sia interessata a tale effetto deve farsi rilasciare dal capo della comunità nella quale è entrata, o dalla persona incaricata per l’area di residenza, un certificato che attesti che è stata accolta in quella comunità religiosa489. Il certificato che attesta il cambiamento di religione è rilasciato dalla comunità di accoglienza, e non da quella di provenienza per evitare che una confessione non consenta di abbandonare la propria religione su base volontaristica, rendendo inoperante la conversione anche a livello civilistico490.

Per quanto riguarda la comunità ebraica, l’organo di vertice è il Consiglio del Rabbinato Centrale o i Rabbini Capo, ma la procedura di conversione è di solito gestita dalle corti rabbiniche, anche se la base legale per far ciò non è del tutto chiara.

Il certificato dovrà poi essere notificato al Commissario Distrettuale del Distretto di residenza (oggi un funzionario del Ministero degli Affari Religiosi), il quale, se soddisfatto della documentazione prodotta, registrerà il cambiamento di comunità religiosa e rilascerà apposito certificato, che invierà al soggetto interessato, al capo della comunità religiosa di origine e a quello della nuova comunità di appartenenza. La semplice conversione religiosa non è dunque sufficiente agli effetti civili491. La dicotomia tra diritto religioso e civile ha conseguenze interessanti: dopo l’espletamento della procedura, dal punto di vista del diritto statuale, la persona che si è convertita farà parte soltanto della nuova comunità, alla quale sarà conferita anche la giurisdizione, mentre dal punto di vista della confessione religiosa che ha abbandonato, è possibile che sia percepita ancora come una sua aderente (come per l’ebraismo che a certi effetti considera l’apostata come ebreo).

Per evitare che la conversione diventi un modo per sottrarsi alla propria giurisdizione di riferimento e al proprio diritto religioso, la legge stabilisce che in materia di divorzio, matrimonio e alimenti, in caso di conversione dopo la celebrazione delle nozze, la giurisdizione rimanga in capo alla corte competente prima della conversione, a meno che entrambi i coniugi si siano convertiti (art. 4(2))492. Nelle altre

un emendamento del 1977 alla Penal Law, sia reato indurre ad una conversione un soggetto con pagamento di denaro o con altri mezzi, e la sanzione colpisce sia l’adescatore che il convertito.

489

P.SHIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 24. In questo caso il capo della comunità religiosa opera pur sempre come un ministro di culto in senso lato, traendo la sua autorità dal diritto religioso e non dalla legge dello Stato.

490 M.S

HAVA, Legal Aspects of Change of Religious Community in Israel, in The Israel Yearbook on Human Rights, 3, 1973, pag. 262.

491 M.S

HAVA, The Rabbinical Courts of Israel: Jurisdiction over Non-Jews?, cit., pag. 107. La procedura di registrazione è cruciale per l’efficacia giuridica civile della conversione. Tale prospettiva è stata adottata anche dalla Corte Suprema nel caso HCJ 637/78 Mahol v. Greek Orthodox Ecclesiastical Court, in cui ha stabilito che dal punto di vista civilistico la registrazione ha effetto costitutivo del nuovo status e l’attestato fornisce efficacia dichiarativa probatoria dell’avvenuto cambio di comunità religiosa.

492 A. M.K.R

ABINOWICZ, Human Rights in Israel, in H.H.COHN (cur.), Jewish Law in Ancient and Modern Israel: Selected Essays, New York, 1971, pag. 261. Si veda anche P. SHIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 28. L’ipotesi contemplata dal legislatore sembra essere quella di due coniugi della medesima religione, di cui uno dei due successivamente si converta ad altra religione. In tal caso il diritto religioso e la giurisdizione rimarranno quelle che regolavano inizialmente l’atto matrimoniale. Ci si può porre la domanda se possa avvenire lo stesso nel caso contrario, ovvero il caso in cui due persone di religione diversa si siano sposate con rito civile all’estero e poi una delle due abbia deciso di convertirsi alla religione dell’altro. La giurisdizione rimarrà in capo alla corte civile, come si dovrebbe dedurre dalla legge, oppure si trasferirà alla corte della ormai comune religione dei coniugi? Se si trattasse di conversione all’ebraismo è certo che il matrimonio sarebbe considerato nullo, e così il

Status, corti religiose e diritto di famiglia

155 materie, escluse dalla giurisdizione esclusiva, sarà invece competente la corte della nuova confessione religiosa. La ragione di questa distinzione risiede nel fatto che al di fuori delle materie dove la giurisdizione è esclusiva, comunque è necessario il consenso di tutte le parti per adire la corte religiosa.

Anche se non specificato, si deve poi ritenere che il diritto applicabile segua le regole della giurisdizione: ciò avverrà anche nel caso in cui sia una corte civile a giudicare incidentalmente una questione di status, se uno dei due coniugi si è convertito, applicando il vecchio diritto religioso, se entrambi si sono convertiti, applicando quello della nuova religione.

La conversione non comporta una liberazione dalle obbligazioni sorte sotto il regime del precedente credo religioso: sempre per effetto della regola che mantiene la giurisdizione e il diritto precedentemente applicabile anche dopo la conversione di uno dei coniugi, il marito non potrà liberarsi dall’obbligo di mantenimento asserendo che dopo essersi convertito il matrimonio non è più valido e dunque non è tenuto a pagare gli alimenti perché il vincolo non è mai esistito.

La conversione di uno solo dei coniugi potrebbe però, sulla base del vecchio diritto religioso, intaccare i diritti del convertito, in ragione del fatto che alcuni diritti religiosi giudicano negativamente la conversione: per esempio nel diritto ebraico la donna che si converte è considerata come una persona che viola un precetto religioso e il marito è dispensato dal pagare gli alimenti e potrà chiedere il divorzio. Se è l’uomo a convertirsi, la donna può chiedere che l’uomo sia obbligato a concederle il divorzio. Queste regole si applicano quando la conversione ha causato l’impossibilità di adempiere ai doveri religiosi e un peggioramento del rapporto coniugale.

Se però entrambi i coniugi si sono convertiti, si applicherà il nuovo diritto religioso e questo potrà intaccare la validità del vincolo matrimoniale e i diritti e i doveri da esso scaturenti. Ciò potrebbe significare anche scioglimento di un vincolo che altrimenti sarebbe stato indissolubile, ma questo sembra essere conforme alla ratio della legge. Le obbligazioni verso i figli non possono comunque essere intaccate dalla conversione493.

Particolari cautele sono previste in caso di conversioni di minori494.

coniuge convertitosi potrebbe porre il vincolo nel nulla a suo piacimento. Nonostante questo rilievo la Corte Suprema ha avuto modo di decidere che nel caso di un ebreo sposato all’estero con una protestante che in seguito si era convertita all’ebraismo, la competenza spettasse alla corte rabbinica e non alla corte civile. La legge, d’altra parte, dei coniugi che siano diventati entrambi membri della stessa religione e non che si siano entrambi convertiti. L’effetto è che il matrimonio sarà governato da una legge diversa da quella del momento della celebrazione, ma situazioni analoghe si verificano per due ebrei sposati all’estero civilmente che abbiano poi acquisito la cittadinanza israeliana. La giurisprudenza non è comunque uniforme: si veda A.MAOZ, Family Law in Israel 1985-1986, in Dinè Israel, 13-14, 1986-88, pag. 163, che richiama il caso HCJ 148/84 Shmuel v. The District Rabbinical Court, Tel Aviv. Nel caso in questione un’ebrea e un indù si erano sposati in India. Dopo essere immigrati in Israele, l’uomo si era convertito ma i due non si erano risposati con rito religioso. La corte rabbinica pur non riconoscendo il matrimonio, ordinò che venisse rilasciato un get. La Corte Suprema decise che comunque l’uomo dovesse pagare il mantenimento in virtù della sua attuale legge religiosa, ma che la validità del matrimonio dovesse essere valutata al momento della celebrazione e cioè in base al diritto indiano.

493 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 39.

494

M. SHAVA, Legal Aspects of Change of Religious Community in Israel, cit., pag. 263. Entrambi i genitori devono dare il loro consenso per iscritto. Se il minore ha compiuto i dieci anni, la conversione non può essere convalidata senza che il minore abbia dato il proprio consenso per iscritto. La conversione può avvenire solo alla confessione religiosa di uno dei genitori.

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Lo status dei soggetti non appartenenti ad una comunità religiosa riconosciuta oppure senza affiliazione religiosa. L’ordinanza di cui sopra regola solo i casi in cui il passaggio avvenga da una comunità riconosciuta ad un’altra ugualmente riconosciuta. Non regola i casi di conversione a, oppure da, una religione non riconosciuta né le conversioni avvenute fuori dal territorio di Israele. L’ordinanza non si applica, ma la conversione è comunque riconosciuta a livello civilistico, senza che debbano essere espletate le procedure previste dalla normativa.

Non è del resto chiaro in giurisprudenza quale diritto si debba applicare ad un soggetto che si sia convertito da una religione riconosciuta ad una non riconosciuta (il buddhismo per esempio), o in generale ad una persona che appartenga ad una comunità religiosa non riconosciuta. Qualche indicazione può essere tratta da un caso simile: per quanto riguarda gli ebrei karaiti, una setta ebraica non riconosciuta dal Rabbinato, si è sostenuto che le corti rabbiniche non fossero competenti a giudicare, e che le corti civili dovessero applicare il diritto ebraico seguito dagli ebrei karaiti495.

Di fatto i karaiti si sposano secondo il rito che è loro proprio e il Ministro degli Affari Religiosi riconosce i loro officianti come autorità aventi titolo a registrare matrimoni presso l’anagrafe della popolazione in base alla Marriage and Divorce (Registration) Ordinance del 1919, anche se questo non costituisce prova della validità del matrimonio. La stessa politica è adottata per altre confessioni religiose non riconosciute, come alcune sette protestanti496. Se ne potrebbe dedurre un principio generale secondo cui quando una persona appartiene ad una comunità non riconosciuta il diritto applicabile sarà comunque il suo diritto religioso, anche se la competenza sarà quella delle corti civili. La legge personale sarà dunque pur sempre quella religiosa, anche se non essendovi corti autonome, la giurisdizione apparterrà alle corti civili497.

Dunque un matrimonio successivo alla conversione, celebrato cioè secondo il rito della religione non riconosciuta a cui ci si è convertiti, sarà presumibilmente consentito (e verrà registrato se l’officiante vi sia stato autorizzato), mentre se la conversione avviene dopo il matrimonio, sembra logico far operare la medesima regola delle conversioni tra comunità riconosciute, ovvero la sussistenza della competenza della corte religiosa avente giurisdizione prima della conversione, ad evitare fughe dalla giurisdizione a scopo utilitaristico498.

Il sistema non contempla il caso di una persona che abbandoni la propria religione riconosciuta per l’ateismo, liberandosi dall’applicazione del precedente diritto religioso, senza adottare una nuova religione: non si può adottare nessuna procedura per giungere ad un simile risultato. Non che la legge vieti la libertà di dichiararsi ateo e di

495 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 33. L’opinione fu data obiter dicta dal giudice Landau nel caso Sihu v. Karaite Community Court et al. del 1977.

496 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 34.

497 B.B

RACHA, Personal Status of Persons not Belonging to a Recognized Religious Community, in The Israel Yearbook on Human Rights, 5, 1975, pag. 88 e ss. All’epoca dell’Impero ottomano coloro che non appartenevano a nessuna comunità riconosciuta soggiacevano all’autorità delle corti mussulmane, che avevano competenza generale. Durante gli anni del Mandato britannico alcune sentenze affermarono lo stesso principio in ossequio ad un principio di continuità con l’epoca ottomana. In virtù di ciò il diritto applicabile sarebbe stato quello mussulmano. Una soluzione ovviamente non più applicabile dopo la fondazione di Israele.

498 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, cit., pag. 35. Nella giurisprudenza di epoca mandataria era ben presente il principio secondo cui non fosse desiderabile l’elusione volontaria della giurisdizione delle corti religiose

Status, corti religiose e diritto di famiglia

157 comportansi di conseguenza, ma non conferisce al soggetto la capacità giuridica di porre fine alla sua affiliazione religiosa, nemmeno in base alla Religious Community (Change) Ordinance. L’ateismo non è una categoria in grado di assorbire chi voglia rifuggire la propria affiliazione religiosa.

Per quanto concerne le persone che non abbiano affiliazione religiosa alcuna, per esempio perché nessuna confessione le riconosce come suoi adepti, come il figlio di un padre ebreo e una madre cattolica che non sia stato battezzato, esistono consistenti problemi visto che non vi è possibilità di contrarre matrimonio civile, anche se un matrimonio celebrato all’estero sarà con tutta probabilità riconosciuto come valido. Nessuna norma regola il caso e nessuna decisione giurisprudenziale ha affrontato concretamente il problema, che rimane dunque oscuro.

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 152-185)