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Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 109-119)

diritto ebraico e nel diritto israeliano: a) Gli impedimenti matrimoniali, b) Le conseguenze

dell’aver contratto un matrimonio proibito. - 4. Il divorzio nel diritto ebraico e nel diritto

israeliano: a) Il divorzio congiunto, b) Il divorzio su iniziativa di una delle parti, c) La

coercizione a rilasciare il get e il problema delle agunot. - 5. Diritto a sposarsi, matrimonio

all’estero, matrimonio privato, matrimonio civile e convivenza. - 6. Le altre materie comprese nello statuto personale. - 7. Ancora in tema di corti religiose. Problemi relativi all’applicazione del diritto religioso e alla giurisdizione delle corti rabbiniche: a) Una questione preliminare:

l’incertezza nella valutazione dell’affiliazione religiosa, b) L’intervento normativo del Rabbinato e la promulgazione delle takkanot, c) I vincoli legislativi applicabili alle corti religiose, d) L’esecuzione delle sentenze delle corti rabbiniche, e) Il ruolo della rappresentanza processuale avanti alle corti rabbiniche, f) La scelta del forum conveniens nella giurisdizione concorrente, g) Il consenso dei minori d’età nella giurisdizione concorrente, h) Le corti rabbiniche non ufficiali, i) La giurisdizione delle corti rabbiniche sui non ebrei, l) A mo’ di conclusione: le sepolture in Israele.

1. Lo status delle persone in Israele.

L’applicazione del diritto religioso in materia di status delle persone e nell’area del diritto di famiglia è forse l’aspetto che maggiormente caratterizza l’ordinamento israeliano rispetto a molti sistemi giuridici moderni. Israele offre infatti l’esempio di un rapporto Stato/confessioni religiose in virtù del quale molte questioni concernenti la religione sono poste in relazione ai gruppi, alle comunità, piuttosto che agli individui.

E’ l’eredità del sistema ottomano del millet, perpetuatosi durante il periodo del Mandato britannico sulla Palestina e sopravvissuto fino ad oggi: un sistema per cui lo status delle persone e il diritto conseguentemente applicabile sono individuati in base all’appartenenza religiosa323.

323 M.S

HAVA, The Nature and Scope of Jewish Law in Israel as Applied in the Civil Courts as Compared with Its Application in the Rabbinical Courts, in The Jewish Law Annual, 5, 1985, pag. 3. In epoca

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Ma non solo le questioni di status personale sono soggette a una varietà di fonti legali in base all’affiliazione religiosa delle persone coinvolte324: le controversie giuridiche eventualmente scaturenti sono decise da tribunali ad hoc, vale a dire le corti religiose delle rispettive comunità.

In realtà nel passaggio dall’epoca del Mandato britannico allo Stato di Israele non tutto è rimasto immutato, anzi si può dire che vi sia stata un’evoluzione rispetto all’antico millet: il diritto applicabile in materia di status è divenuto infatti da interamente personale/religioso, quale era, a parzialmente territoriale/laico. La transizione è avvenuta attraverso la promulgazione da parte del legislatore israeliano di una serie di leggi che si applicano a tutti i cittadini indipendentemente dall’affiliazione religiosa325: non tutto il diritto personale e di famiglia è oggi governato dal diritto religioso. Rimangono comunque spazi significativi in cui esso sopravvive e viene applicato.

Nel presente capitolo saranno esaminati gli aspetti più interessanti e problematici di questa commistione tra diritto civile e religioso. Un sistema che in epoca moderna ha posto numerosi interrogativi a causa della frammentazione della società e della sempre maggiore esigenza di vedere tutelati le libertà fondamentali ed il principio di uguaglianza. Molti Paesi che adottano un sistema di diritto personale sperimentano oggi uno scontro ideologico: si fa sempre più pressante il desiderio di abbracciare una concezione universale dei diritti umani e di fissare regole condivise per tutti326.

Venendo al merito della trattazione, si può cominciare con l’osservare che con il termine status si è soliti fare riferimento alla situazione giuridica soggettiva che esprime la posizione di un soggetto nei confronti di altri soggetti nell’ambito di una collettività organizzata, posizione che lo rende titolare di determinati diritti e doveri. Si pensi allo status di erede, di coniuge, di figlio, di genitore327.

Poiché in Israele lo status personale è regolato in base all’affiliazione religiosa, dovrebbe essere una questione della massima importanza come determinare tale affiliazione visto che da ciò dipende l’applicazione del diritto e la giurisdizione competente. La valutazione dell’affiliazione dovrebbe precedere logicamente l’applicazione del diritto religioso ed essere chiara ed univoca. Così in realtà non è mai stato: l’art. 51(2)(b) del Palestine Order-in-Council stabiliva infatti che il Governo britannico avesse la facoltà di promulgare ordinanze volte a regolare i requisiti di appartenenza alle singole comunità, ma nessun provvedimento fu mai adottato per

mandataria la nozione di personal law si trovava all’interno del Palestine Order-in-Council del 1922: in caso di stranieri l’Order-in-Council espressamente stabiliva che la legge personale dovesse essere la legge della nazionalità. Nessuna indicazione era data per i residenti locali, ma la giurisprudenza stabilì che in tal caso il diritto personale dovesse essere il diritto religioso della comunità di appartenenza.

324

Il diritto religioso era ed è applicabile anche quando la questione fosse decisa da una corte civile.

325 M.S

HAVA, The Nature and Scope of Jewish Law in Israel, cit., pag. 4. Trattasi, per esempio, della Women’s Equal Rights Law del 1951, della Capacity and Guardianship Law del 1962, della Succession Law del 1965, della Spouses (Property Relations) Law del 1973 e della Adoption of Children Law del 1981.

326 M.G

ALANTER,J.KRISHNAN, Personal Law and Human Rights in India e in Israel, in Israel Law Review, 34, 2000, pag. 105. E’ quello che succede per l’appunto anche in India, dove però l’induismo mostra una carenza di interesse a definire i confini dell’appartenenza all’induismo stesso, esibendo un atteggiamento più aperto e inclusivo.

327 F. G

AZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, pag. 69-70. Un’elencazione delle materie rientranti in questo concetto secondo il diritto isrealiano si trovano all’art. 51 del Palestine Order-in- Council.

Status, corti religiose e diritto di famiglia

111 stabilire in modo generale ed uniforme tali criteri. Il riferimento è rimasto dunque quello del diritto religioso328, nel senso che è il diritto religioso a determinare l’affiliazione religiosa di ciascuno, secondo una logica non del tutto incoerente visto che se il diritto religioso è da applicare allo status personale, anche i requisiti di affiliazione religiosa ne risulteranno necessariamente compresi.

Nel capitolo precedente si è analizzato il lungo dibattito sul diritto ad essere registrati presso l’anagrafe della popolazione come appartenenti all’ebraismo. Nonostante i rilievi emotivi, identitari e nazionali di tale riconoscimento, la classificazione come ebreo presso l’anagrafe civile non fornisce alcuna prova dello status di una persona per quanto concerne l’applicazione del diritto religioso. Lo status di ogni individuo, la propria appartenenza ad una comunità, è valutata dalla comunità stessa: l’appartenenza effettiva all’ebraismo dei cittadini israeliani di religione ebraica è posta nelle mani del Rabbinato, che ha il potere di pronunciarsi per esempio sull’idoneità a contrarre matrimonio, sulla validità della conversione effettuata in Israele, e sulla qualifica a svolgere la funzione di addetto alla registrazione dei matrimoni329, con effetto vincolante anche per le corti civili. Le istituzioni religiose hanno il potere di plasmare l’identità ebraica: è capitato che persone che avevano sempre ritenuto di far parte dell’ebraismo non siano state riconosciute come tali.

Si accennava inoltre al problema di coloro che, pur avendo usufruito del diritto al ritorno in base alla legge dello Stato, non soddisfino i requisiti religiosi di appartenenza all’ebraismo. La valutazione dei requisiti di appartenenza sono oggetto di un’esclusiva a favore del Rabbinato ortodosso, che detiene il monopolio dei servizi religiosi nello Stato. Le conseguenze di questo assetto giuridico si sono manifestate in tutta la loro gravità nel caso degli ebrei etiopici, i Falashah. Il Rabbinato Centrale non aveva il potere di pronunciarsi in merito alla registrazione degli ebrei etiopici ed alla concessione della cittadinanza in base alla Legge del Ritorno, competenza esclusiva dello Stato. Le obiezioni però furono avanzate in materia di status (ad esempio per la celebrazione dei matrimoni), perché il Rabbinato ritenne di imporre agli ebrei etiopici una conversione tramite bagno rituale, dando prova del suo convincimento che essi non fossero pienamente ebrei, visto il loro distacco dall’ebraismo “ufficiale” in epoca anteriore alla stesura del Talmud330. Simili problemi si sono posti per parte degli immigrati provenienti dall’ex-URSS: molti infatti si dichiaravano laici e secondo stime governativa un 30% di loro pur legittimato a stabilirsi in Israele in base alla Legge del Ritorno non era ebreo secondo l’halachah331. Chi non superi il vaglio del Rabbinato

328 P.S

HIFMAN, Religious Affiliation in Israeli Interreligious Law, in Israel Law Review, 15, 1980, pag. 2- 3.

329 U.H

UPPERT, Back to the Ghetto, cit., pag. 168.

330

U.HUPPERT, Back to the Ghetto, cit., pag. 169 e ss. Le radici degli ebrei etiopici si perdono davvero nel tempo: alcuni li fanno risalire all’epoca del regno di Salomone. Avendo perso i contatti molti secoli addietro, non conoscono la letteratura rabbinica, ma conoscono la Torah, commentari e storie extra bibliche scritte nell’antico dialetto aramaico. Nel 1985 un violento scontro esplose tra un partito rappresentante dell’ortodossia e alcuni ebrei etiopi. Alcuni rabbini contestavano i matrimoni e soprattutto i divorzi dei Falashah e asserivano che alcuni di loro fossero mamzherim per cui interdetti dallo sposare altri ebrei. Solo negli anni successivi al loro arrivo in Israele, per l’esattezza nel 1988, vi fu un riconoscimento dell’appartenenza ebraica dei Falashah da parte dei Rabbini Capo Ovadia Yosef e Shlomo Goren e fu dato ufficialmente il consenso alla registrazione dei matrimoni celebrati dagli ebrei etiopici. Simili problemi si erano verificati con i B’nei Israel, provenienti dall’India, negli anni ’60.

331 S.E

MMONS, Russian Jewish Immigration and Its Effects on the State of Israel, in Indiana Journal of Global Legal Studies, 5, 1997-1998, pag. 341 e ss.; D.BENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag.

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deve sottoporsi ad una vera e propria conversione per accedere all’istituto del matrimonio.

Dunque vi è la possibilità che una persona, combinando i vari criteri di affiliazione delle singole comunità, non faccia parte di nessuna comunità, oppure che diverse comunità ritengano che una medesima persona sia loro affiliata, per nascita o a seguito di conversione. Esamineremo queste particolari forme di conflitto dopo aver analizzato i caratteri del sistema giudiziario delle corti religiose.

2. Le corti religiose.

L’esistenza di corti religiose è un fenomeno tra i più peculiari dell’intero sistema giuridico israeliano. Queste corti giudicano alcune controversie in materia di diritto di famiglia e nel fare ciò applicano il diritto delle rispettive comunità religiose332. Come illustrato nel secondo capitolo, questo fenomeno ha origini storiche e politiche che rimandano al sistema del millet, risalente al periodo dell’Impero ottomano333.

Dopo la fine dell’Impero, la principale disciplina della giurisdizione di queste corti e dell’applicazione del diritto religioso in materia di status personale era reperibile nel Palestine Order-in-Council del 1922, artt. 47, 51-65, un documento quasi dal valore costituzionale emanato dall’Autorità britannica del Mandato. Già l’Order-in-Council stabiliva che le corti religiose avessero giurisdizione esclusiva su alcuni settori del diritto di famiglia e giurisdizione concorrente con le corti civili su altri334: le corti della

140. A seguito di questi rilievi il Ministro dell’Interno decise di imporre controlli più rigidi sull’appartenenza religiosa degli immigrati. I candidati dovevano attestare la loro appartenenza una prima volta avanti alla commissione consolare israeliana a Mosca per il visto e poi una seconda volta al momento della registrazione presso l’anagrafe per il rilascio della carta di identità, con tanto di esibizione di idonea documentazione. Si veda per un’eco letteraria di questo problema il romanzo A.KURKOV, Weekend sul ghiaccio, ed. it., Milano, 2003, dove uno dei personaggi racconta come, allo scopo di migrare, avesse fatto finta di perdere il passaporto e al momento della richiesta di un duplicato, avesse falsificato il suo cognome, scegliendone uno di origine ebraica.

332

La concessione della giurisdizione esclusiva alle corti di una comunità religiosa non consegue però automaticamente al riconoscimento della comunità stessa da parte dello Stato.

333 M.C

HIGIER, The Rabbinical Courts in the State of Israel, in Israel Law Review, 2, 1967, pag. 147 e ss. Il diritto ottomano, come sistema islamico, era fondato su principi della religione mussulmana, per cui, visto che le norme più propriamente giuridiche e quelle religiose (indirizzate solo ai credenti) erano strettamente legate, era logica conseguenza che esse si applicassero solo ai sudditi di religione mussulmana. Per questo furono istituite corti per ciascuna comunità religiosa, la cui sfera di competenza era contenuta in una speciale Carta Regia promulgata dal Sultano. Le corti islamiche avevano inizialmente competenza su tutte le controversie, civili e di status: nella seconda metà dell’800 tuttavia su influenza dei sistemi giuridici occidentali venne introdotto un concetto territoriale di diritto e non più personale, che condusse alla creazione di corti mussulmane religiose e corti civili. Le corti islamiche religiose mantennero comunque, in ragione di questa eredità, una competenza più ampia di quella delle altre corti religiose (ovvero matrimonio, divorzio, alimenti, schiavitù, libertà, legge del taglione, risarcimento ai familiari per la morte del congiunto, risarcimento per la perdita di un arto, divisione del patrimonio di un assente, testamento, successioni, più altre materie se vi era consenso delle parti). In virtù del sistema delle Capitolazioni comunque nessuna corte religiosa aveva giurisdizione su cittadini stranieri.

334 Vedi retro capitolo II per alcuni cenni sul sistema del millet e sulla storia delle corti religiose in epoca

mandataria. Si ricorda come nei primi anni del Mandato, le corti rabbiniche soffrissero di una forte carenza di prestigio e che fu grazie all’appoggio dell’amministrazione britannica che fu cambiato lo stato

Status, corti religiose e diritto di famiglia

113 comunità mussulmana godevano allora della più ampia giurisdizione tra tutte le corti religiose e questo stato preferenziale, ereditato dall’epoca ottomana, è stato a lungo mantenuto335. Alcune riforme legislative, anche recenti, hanno modificato parzialmente la situazione336.

di cose, fissando definitivamente il monopolio dell’ortodossia ebraica sulle questioni di matrimonio e divorzio.

335

Per quanto riguarda l’epoca del Mandato si veda M.CHIGIER, The Rabbinical Courts in the State of Israel, cit, pag. 152. Le corti islamiche godevano di più ampia giurisdizione non solo per materia ma anche dal punto di vista soggettivo, poiché giudicavano tutte le controversie tra mussulmani, residenti e stranieri, mentre le altre corti solo quelle tra residenti. In particolare per la comunità ebraica, una giurisprudenza particolarmente restrittiva limitò la competenza delle corti religiose ai membri effettivi della comunità, cioè coloro che avessero compiuto 18 anni e fossero iscritti nel registro della comunità, limitazione difficilmente spiegabile visto che niente di simile era previsto per le corti cristiane. Per il periodo post-fondazione dello Stato si vedaA.MAOZ, The Institutional Organization of the Israeli Legal System, in A. SHAPIRA, K. C. DEWITT-ARAR (cur.), Introduction to the Law of Israel, The Hague, London, 1995, pag. 32-33. Si veda anche S.SHETREET, Justice in Israel: a Study of the Israeli Judiciary, Dordrecht, 1994, pag. 107. Le corti religiose della comunità mussulmana (le corti sharaitiche) godono del più alto livello di indipendenza ed hanno avuto giurisdizione esclusiva su tutte le questioni di status personale fino a tempi recenti, non solo sulle questioni di matrimonio e divorzio, come le corti rabbiniche. Tuttavia queste corti soffrono di una carenza di indipendenza a livello amministrativo, dovuta alla ristrettezza delle risorse finanziarie fornite dal Ministero degli Affari Religiosi. Ciò conduce ad una carenza di cancellieri, funzionari ed altri impiegati che non è possibile assumere. In più il dirigente del sistema di corti sharaitiche, invece che essere un giudice ed agire come intermediario tra le corti e il Ministero degli Affari Religiosi, è sottoposto all’autorità di un funzionario ministeriale. Questo tipo di apparato amministrativo è un unicum e differisce dal sistema adottato per le corti rabbiniche. Infine le corti cristiane e druze hanno una giurisdizione simile per estensione a quella delle corti rabbiniche.

336

Per esempio la paternità è considerate questione di status per le corti islamiche. Per le corti rabbiniche ne è esclusa. Si veda però M.ABOU-RAMADAN, Islamic Legal Reform: Shari’a Court of Appeals and Maintenance for Muslim Wives in Israel, in HAWWA, 4, 1, 2006, pag. 29 e ss., che ricorda come dopo la fondazione dello Stato si fosse già assistito ad una secolarizzazione di una parte del diritto relativo allo status, con l’introduzione di leggi valide per tutta la popolazione senza distinzione in base alla religione, ad esempio in materia di età per contrarre matrimonio, adozione e successioni (l’art. 155 della Succession Law del 1965 prevede che le corti religiose abbiano giurisdizione solo se tutte le parti sono d’accordo in tal senso). In alcuni casi la giurisdizione è rimasta opzionale, anche se la legislazione è divenuta statale, come in materia di custodia dei figli: sia le corti religiose che civili devono applicare il criterio dell’interesse del minore. Idem per la Law of Spousal Financial Rights del 1973. Infine a partire dagli anni ’90 le corti islamiche israeliane si sono trovate a dover mediare tra due opposte istanze, quelle dei movimenti femministi di tutela della donna, e quelle dei movimenti islamici che chiedevano un’applicazione più stringente del diritto islamico classico. Nonostante i tentativi di evitare una riforma legislativa che intaccasse la giurisdizione delle corti islamiche (ad esempio concedendo sostanziosi mantenimenti alle donne mussulmane), nel 2001 la Law of Amendment of Family Courts (no. 5) ha modificato la competenza delle corti mussulmane. In virtù di questa legge attualmente in materia di mantenimento della moglie, le corti mussulmane e civili hanno giurisdizione concorrente: il diritto applicato è però pur sempre il diritto islamico (in particolare il diritto di famiglia ottomano del 1917). Giurisdizione concorrente è stata stabilita anche in materia di alimenti per i figli e affidamento dei figli. La politica di concedere da parte delle corti mussulmane consistenti mantenimenti a favore delle donne può essere vista nell’ottica di attrarre le donne mussulmane alla giurisdizione delle corte islamiche, anche se tale trattamento di favore può divenire persino contrario e lesivo di un principio di uguaglianza. Si deve comunque sottolineare come questa legge, seppur a favore delle donne, abbia suscitato molte proteste anche tra le donne arabe, perché vista come strumento di limitazione dell’autonomia della comunità mussulmana in Israele. Un tipico caso di prevalenza dell’interesse della minoranza etnica su quello di genere, che spesso condanna le donne appartenenti ad una minoranza a condizioni anche peggiori in virtù del rispetto di un inconsistente ideale di multiculturalismo. Si veda a questo proposito G. STOPLER, Countenancing the Oppression of Women: How Liberals Tolerate Religious and Cultural

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Quando lo Stato di Israele fu fondato nel 1948, tramite la Law and Administration Ordinance tutte le leggi, i regolamenti e la giurisprudenza esistenti furono prorogati, compreso il sistema delle corti appartenenti a ciascuna comunità religiosa: la situazione delle corti rabbiniche si perpetuò anche (e soprattutto) in ragione degli accordi dello status quo, che sancivano formalmente lo status giuridico delle corti religiose e implicitamente il controllo dell’ortodossia su di esse.

Dal punto di vista organizzativo, nei primi anni di vita dello Stato, la Knesset emanò alcune leggi per regolare l’autorità e i criteri di scelta dei giudici delle corti religiose: la Dayanim Law del 1955 per le corti rabbiniche, la Qadis Law del 1961 per le corti mussulmane in base all’art. 52 del Palestine Order-in-Council, la Druze Religious Courts Law del 1962337 per la comunità druza. Le corti religiose delle diverse comunità cristiane continuarono ad operare in base all’art. 54 dell’Order-in-Council338.

Tramite queste leggi fu istituita una procedura di selezione dei giudici delle corti religiose, simile per tutte le varie comunità ed analoga a quella prevista per la nomina dei giudici delle corti statali: fu introdotta solo una variazione nella composizione della commissione di selezione. La commissione per la selezione dei giudici religiosi è infatti composta dal Ministro degli Affari Religiosi e da un altro Ministro, di solito quello della

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