• Non ci sono risultati.

Il problema delle conversioni »

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 75-97)

1. Simbologia di una legge.

Pietra angolare del pensiero sionista fu l’aspirazione a fondare una nazione dove ogni ebreo, se solo lo avesse voluto225, avrebbe potuto stabilirsi.

225 La precisazione che fosse necessaria la volontà dei singoli per divenire parte della edificanda nazione

può sembrare superflua, ma non così nei primi anni dell’esistenza del movimento sionista. Si veda a tal proposito W.T.MALLISON,JR,The Zionist-Israel Juridical Claims to Constitute “The Jewish People” Nationality Entity and to Confer Membership in It: Appraisal in Public International Law, in George Washington Law Review, 32, 1963-64, pag. 983 e ss. L’Autore illustra come nei primi anni di attività del movimento sionista, esso rappresentasse una porzione molto esigua dell’ebraismo, per cui era persino discutibile che si potesse porre come rappresentante del popolo ebraico. Nella celebre Dichiarazione di Balfour del 1917, con la quale il Governo britannico dichiarava il proprio appoggio al Sionismo nella creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina, tutta la contraddittorietà dell’impostazione emergeva. Nella Dichiarazione infatti si leggeva che la creazione di questo focolare nazionale sarebbe dovuto avvenire senza pregiudizio delle popolazioni non ebree che già risiedevano nel Paese ma soprattutto, cosa più importante per quel che qui interessa, senza pregiudizio dei diritti e dello status politico goduto dagli ebrei in qualunque altro Paese. Questa clausola era stata inserita proprio per soddisfare le richieste del rappresentante del movimento anti-sionista inglese, Edwin Montague. La prospettiva che la nozione di popolo ebraico portata avanti dal Sionismo potesse assumere una valenza giuridica dal punto di vista del diritto pubblico internazionale aveva suscitato la preoccupazione di molti ebrei che non si sentivano rappresentati dal Sionismo né aderivano alle sue istanze. Particolarmente pericolosa sembrava l’idea che si potesse essere involontariamente inclusi nella cosiddetta nazione del popolo ebraico, con pregiudizio dello status di cittadino che molti godevano nei vari Paesi europei. La precisazione contenuta nella dichiarazione di Balfour costituiva una sorta di sconfitta per il Sionismo, che tentò di interpretarla in modo da minimizzarne il significato. All’interno del Sionismo si tendeva a sostenere che la Dichiarazione di Balfour avesse aperto le porte ad un riconoscimento internazionale del popolo ebraico come nazione e che le precisazioni sullo status di chi già godesse di una cittadinanza in

Capitolo terzo

76

La Dichiarazione d’Indipendenza del 14 maggio 1948 stabiliva dunque solennemente che lo Stato di Israele sarebbe stato aperto all’immigrazione ebraica e il 5 luglio 1950 il primo Parlamento eletto votò all’unanimità la cosiddetta Legge del Ritorno, per consentire ad ogni ebreo di divenire cittadino e stabilirsi nello Stato226.

La promulgazione di questa legge è stata epicentro di discussioni, casi giudiziari e polemiche.

Il dibattito ha coinvolto diversi piani, da quello religioso, a quello culturale, internazionale, politico e giuridico. Essa pone in sostanza due questioni fondamentali: chi abbia diritto alla cittadinanza israeliana, questione strettamente legata alla natura dello Stato e al suo fine ultimo, e quali siano i criteri per determinare l’appartenenza ebraica degli aspiranti cittadini. Per le sue implicazioni essa è idonea ad occupare la prima posizione in una trattazione che voglia illustrare l’influenza del diritto religioso nello Stato di Israele.

Si può dire che XX secolo abbia visto balzare in primo piano la questione della cittadinanza.

Offre una spiegazione del fenomeno Hanna Arendth nel suo celebre libro “La banalità del male”227: la persecuzione di soggetti ritenuti indesiderati cominciò nella Germania nazista (come successivamente in altri Paesi sotto il suo controllo) proprio colpendo lo status giuridico internazionale delle persone. Private della cittadinanza, esse erano soggette a provvedimenti di espulsione, ma poiché era assai difficile trovare accoglienza in altri Paesi in modo regolare, si finiva per essere privati in toto della possibilità di vivere e lavorare nel proprio Paese, o altrove, finendo per risultare un corpo estraneo alla società.

La cittadinanza è un potente strumento politico di inclusione ed esclusione, con il quale si esprime in termini giuridici la decisione, del tutto politica, relativa a chi debba fare parte della società e possa prendere parte alle decisioni collettive.

La Legge del Ritorno è, se possibile, perfino qualcosa di più, perché in essa convergono aspirazioni, ideologie e paure che riassumono in sostanza lo spirito dello Stato israeliano e del conflitto medio-orientale.

altro Paese al più costituissero una garanzia che nessuno Stato sarebbe stato legittimato a espellere i suoi cittadini ebrei sul presupposto che potessero insediarsi in Palestina.

Proprio in ragione dell’ambiguità del concetto di nazione ebraica, quando nel 1924 con la convenzione anglo-americana sulla Palestina, gli Stati Uniti divennero parte della Dichiarazione di Balfour, si preoccuparono di inserire una clausola che prevedeva in capo al Governo la facoltà di fare obiezione a qualunque modifica dello statuto della Palestina che potesse pregiudicare dei cittadini americani, ottenendo così una garanzia contro la modificazione dello statuto internazionale dei suoi cittadini sulla base della mera appartenenza religiosa. Dopo la fondazione dello Stato un senatore suggerì che gli Stati Uniti ottenessero rassicurazioni sul fatto che il nuovo Stato non avrebbe cercato di conferire la cittadinanza israeliana a cittadini americani di religione ebraica senza rispettare la loro volontà. Si veda anche J.LADOR-LEDERER, Jewry’s Nationals, in Israel Law Review, 16, 1981, pag. 75 e ss.

Sugli aspetti politici ed economici dell’immigrazione in Israele dopo il 1948 e sull’idea sionista del ritorno alla terra si veda A.BONNE, The Return to Israel, in International Journal, 6, 1950-1951, pag. 127 e ss.

226 Per un’ampia disamina sul fenomeno dell’immigrazione ebraica in Israele negli anni successivi alla

fondazione dello Stato, il suo svolgimento pratico e rilevazioni statistiche si veda C. YAHIL, Israel’s Immigration Policy, in International Labour Review, 66, 1952, pag. 444 e ss.

227 H.A

RENDT, La banalità del male, ed. it., Milano, 2004, ma si veda anche J.LADOR-LEDERER, Jewry’s Nationals, cit., pag. 75 e ss. sul caso della Slovacchia.

La Legge del Ritorno

77 Si è detto che questa legge coinvolge più piani, quello religioso, politico, culturale e giuridico. Religione e cultura sono determinanti per capire l’evoluzione della legge e le decisioni relative a chi dovesse avere diritto ad ottenere la cittadinanza israeliana. Cosa si intende per ebreo? Quale rilevanza ha l’adesione all’ortodossia? Quale tipo di ebreo deve essere ammesso a far parte di uno Stato ove lo status religioso è determinante anche solo per sposarsi o per adire le vie giudiziali? Si comprende come una concezione religiosa oppure etnica dell’ebraismo possa portare a risposte assai differenti.

Già il Sionismo si era confrontato con tale problema: nel coltivare il sogno di una terra per tutti gli ebrei si era tentato di limitare l’influenza della religione, ma nel contempo si era finito per fare appello alla tradizione per giustificare l’ideologia nazionalista della rinascita del popolo ebraico. Tale ambiguità non è mai stata superata. In più la combinazione di un concetto giuridico moderno come la cittadinanza con l’idea di appartenenza ad una nazione religiosamente identificata ha posto notevoli problemi in termini democratici228, come si vedrà in seguito.

Ma anche la politica ha un peso notevole nelle scelte fatte in Israele in materia di immigrazione: potrebbe sopravvivere uno Stato ebraico che non avesse una maggioranza di cittadini ebrei o di ascendenza ebraica? L’appartenenza religiosa della popolazione gioca oggi un ruolo fondamentale nella gestione dello status delle persone non di religione ebraica che risiedono in Israele e nei Territori Occupati.

Vi è infine l’aspetto giuridico, poiché su questioni di tale portata era impensabile che non si pronunciasse anche il potere giudiziario, con gli esiti che vedremo.

2. La Legge del Ritorno e la Legge sulla Nazionalità.

La legislazione israeliana in materia di cittadinanza è composta da due provvedimenti complementari: la Legge del Ritorno del 1950 e la Legge sulla Nazionalità del 1952229. La Legge del Ritorno non rientra nel novero delle Basic Laws, ma data la sua enorme portata simbolico-ideologica occupa senz’altro un posto particolare nel panorama legislativo israeliano230.

All’art. 1 è garantito ad ogni ebreo il diritto di stabilirsi in Israele come oleh231, come immigrato. E’ considerato uno dei più importanti tra i diritti fondamentali riconosciuti nello Stato. Trattasi di un invito aperto, per cui non solo lo Stato non ha il diritto di porre restrizioni al numero di immigrati (ebrei s’intende), ma è obbligato ad

228 E.O

TTOLENGHI, Religion and Democracy in Israel, cit., pag. 44.

229 A.K.W

AN, Israel’s Conflicted Existence as a Jewish Democratic State: Striking the Proper Balance under the Citizenship and Entry into Israel Law, in Brooklyn Journal of International Law, 29, 2003- 2004, pag. 1345 e ss. L’Autore ricorda le parole indirizzate alla Knesset da David Ben Gurion prima dell’approvazione della legge “La Legge del Ritorno e la Legge sulla Nazionalità che vi sono sottoposte sono strettamente connesse e hanno una comune base ideologica, che deriva dall’unicità storica dello Stato di Israele, un’unicità che riguarda il passato e il futuro…Queste due leggi determinano il particolare carattere e fine dello Stato di Israele che porta con sé il messaggio della redenzione di Israele…”

230 M.J.A

LTSCHUL, Israel’s Law of Return and the Debate of Altering, Repealing, or Maintaining Its Present Language, in University of Illinois Law Review, 2002, pag. 1350. La Legge del Ritorno presenta comunque delle implicazioni costituzionali, vista la resistenza del potere legislativo a modificarla nonostante la pressione che è stata talvolta esercitata per apportarvi emendamenti.

231 Il termine ebraico per immigranti (םילוע) conserva l’accezione originaria che esprime l’ascensione

Capitolo terzo

78

accettare tutti coloro che ne facciano domanda; come illustrò Ben Gurion alla Knesset, non è tanto che lo Stato garantisca il diritto al ritorno in Palestina per ogni ebreo della Diaspora, bensì tale diritto precede lo Stato e contribuisce ad edificarlo232. La legge vede ogni ebreo della Diaspora come un potenziale cittadino, stabilendo un legame tra Israele e l’ebraismo nel mondo e ribadendo uno dei concetti fondamentali del pensiero sionista: lo Stato deve offrire un rifugio per ogni ebreo che lo desideri. All’indomani della Seconda Guerra Mondiale lo scopo principale della legge era quello di aiutare gli ebrei che continuavano a vivere in società repressive o in luoghi dove la libertà di preservare la propria identità ebraica era limitata: oggi in molti Paesi queste condizioni di disagio sono venute meno, ma l’impianto e il contenuto della legge sono rimasti identici.

All’art. 2 viene indicata la condizione per ottenere un visto come immigrato e potersi stabilire nel Paese: il requisito fondamentale è averne espresso l’intenzione233, anche al di là ed a prescindere dall’esistenza del desiderio stesso. Chi abbia formalmente espresso il desiderio di stabilirsi in Israele non può, dopo il suo arrivo, pretendere di dimostrare di non averne avuto davvero l’intenzione. La precisazione può sembrare bizzarra, senonchè proprio questo distinguo fu oggetto di un caso giudiziario degli anni ’50 nel quale si stabilì che colui che dichiara di volersi stabilire in Israele, ma non ne ha davvero desiderio, non può dopo essersi trasferito, ripudiare il suo proposito affermando che nel suo foro interno non ne aveva l’intenzione, ad esempio allo scopo di evitare il servizio militare234.

All’art. 3 la legge precisa inoltre che la medesima opportunità di stabilirsi definitivamente in Israele è garantita anche a chi si trovi già nel Paese, qualora il desiderio di far ciò sia sorto dopo il suo arrivo: in tal caso verrà rilasciato un certificato che attesta la sua qualifica di immigrato.

L’acquisizione della cittadinanza non è solo consentita ma fortemente incoraggiata: coloro che hanno titolo per stabilirsi in Israele possono beneficiare di una serie di agevolazioni ed incentivi da parte dello Stato, che vanno dai corsi per l’apprendimento

232 M.D.G

OULDMAN, Israel Nationality Law, Jerusalem, 1970, pag. 19.

233 La legge specifica alcune ipotesi nelle quali il Ministero dell’Immigrazione (dopo un emendamento del

1954 risulta competente il Ministero dell’Interno) può negare il visto ad un immigrato: quando sia stato appurato che il soggetto ha svolto attività dirette contro il popolo ebraico oppure quando si accerti che è probabile che la persona costituisca un pericolo per la salute pubblica o la sicurezza dello Stato, oppure, secondo l’emendamento introdotto nel 1954, si tratti di un soggetto con precedenti penali tali che sia probabile che metta a repentaglio il benessere della società. L’art. 3 sezione b) specifica che i medesimi limiti valgono anche per coloro che abbiano fatto richiesta della cittadinanza dopo essere arrivati in Israele, ma che una persona non può essere considerata un pericolo per la salute pubblica se affetta da una malattia contratta dopo il suo arrivo in Israele. Per l’analisi di un caso di rifiuto del diritto al ritorno per precedenti penali si veda HCJ 442/71 Meir Lansky v. Minister of Interior, come illustrato in M. GRAYSON, Israeli Citizenship Law – Immigrant Visa - Meaning of Section 2(b)(3) of the Law of Return, in New York University Journal of Internatiol Law and Politics, 6, 1973, pag. 385 e ss.

234 M. D. G

OULDMAN, Israel Nationality Law, cit., pag. 20. Nel caso Rotenberg v. Deputy Head of Manpower Division, del 1959, l’istante, che era giunto in Israele grazie ad un visto come immigrato dalla Polonia, affermò che non aveva mai davvero avuto intenzione di stabilirsi lì e che non doveva essere considerato come immigrato nel senso previsto dalla Legge del Ritorno. La sua vera intenzione era quella di trasferirsi in Unione Sovietica; finché era rimasto in Polonia non era stato in grado di ottenere il necessario permesso, ed era giunto in Israele sperando che una domanda alle autorità sovietiche inviata tramite i loro rappresentanti in Israele avrebbe avuto maggiore successo. Poco dopo il suo arrivo in Israele aveva richiesto e ottenuto dal consolato sovietico un permesso che lo autorizzava a risiedere in Unione Sovietica. Aveva chiesto pertanto di essere esentato dal servizio militare.

La Legge del Ritorno

79 della lingua ad agevolazioni fiscali per l’acquisto della casa, a sovvenzioni per il pagamento del canone di locazione235. La prova del proprio legame all’ebraismo non è rigorosa, è sufficiente esibire un certificato che attesti la conversione, o un certificato di nascita, oppure un contratto matrimoniale proprio o dei propri genitori236. Si ottiene fin da subito una cittadinanza piena, non è previsto nessun periodo di attesa per i nuovi arrivati per godere di tutti i diritti politici: non vi è nulla in comune con un processo di naturalizzazione, perché coloro che hanno titolo a chiedere la cittadinanza sulla base della Legge del Ritorno sono già considerati come facenti parte della società237.

A conferma della centralità della figura del migrante, l’art. 4 propone un punto di vista del tutto inedito: la legge stabilisce che anche coloro che emigrarono verso la Palestina prima dell’entrata in vigore della legge e ogni ebreo nato nel Paese, sia prima che dopo l’entrata in vigore, debbano godere dello stesso trattamento di coloro che sono giunti in Israele come immigrati secondo la Legge del Ritorno. Il rovesciamento della prospettiva è totale: non è l’immigrato che deve essere equiparato ed assimilato a chi è nato nel Paese, ma l’opposto, è chi è nato nel Paese o i veterani che vi sono stabiliti in precedenza che vengono equiparati agli immigrati.

Si può dire che la Legge del Ritorno sia uno dei pochi casi in cui la legislazione israeliana fa un’esplicita discriminazione tra ebrei e non ebrei: la deroga alla forma,

235 Si veda a tal proposito www.jewishagency.org, sito ufficiale dell’Agenzia Ebraica, che oltre a

costituire all’epoca del Mandato britannico l’organo esecutivo dell’Organizzazione Mondiale Sionista, ha sempre svolto azione diplomatica al fine di sollecitare immigrazioni di massa di ebrei dai Paesi dove le condizioni di vita non fossero ad essi favorevoli. Il sito illustra tutti i possibili benefici di cui si può far richiesta in qualità di immigrati in Israele: un biglietto aereo di sola andata per il Paese, assistenza finanziaria per 7 mesi nel corso del primo anno di residenza nello Stato, ulpan (corso di lingua) fino a 5 mesi, residenza in un centro di assistenza all’assimilazione per un periodo tra le due settimane e i 6 mesi, esenzione dalle tasse di importazione per bene relativi all’abitazione e per l’autovettura, sgravi sulle tasse doganali per l’avvio di un’attività economica fino all’equivalente di $36.000 per un periodo di 3 anni. Assistenza per l’affitto fino a 4 anni a partire dal secondo anno dopo l’alyah, agevolazioni per mutui per 10 anni fino a $25.000 per famiglia, esenzione dalle tasse d’iscrizione a corsi presso istituti superiori, corsi di laurea e master fino a 3 anni, assistenza sanitaria gratuita per sei mesi se disoccupato, pensione sulla base del reddito, riduzione sulla tasse comunali sulle proprietà per 1 anno, esenzione dal canone tv per un anno, credito sulle imposte per 42 mesi, ripetizioni per studenti immigrati per un anno. I benefici concessi sono relativi alla situazione del singolo, possono pertanto esserne concessi solo alcuni. Discrezionalmente il Ministero può però allungare la durata del beneficio. Benefici simili sono stati nel tempo stabiliti anche per indurre cittadini isrealiani emigrati all’estero a ritornare nel Paese: si veda N. TOREN, Return Migration to Israel, in International Migration Review, 12, 1978, pag. 39 e ss.

236

Vedi N.C.RICHMOND, Israel’s Law of Return: Analysis of Its Evolution and Present Application, in Dickinson Journal of International Law, 12, 1993-1994, pag. 124. Non esistono standards per vagliare i requisiti di ammissione alla cittadinanza sulla base del ritorno. La regola è procedere caso per caso. In alcuni casi è stato problematico persino fornire una minima documentazione, come nel caso degli ebrei residenti in Russia e in Etiopia. A volte si è proceduto ad una verifica successiva all’arrivo nel Paese per mezzo di un rabbino che ponendo domande al candidato verificava l’appartenenza all’ebraismo, in alcuni casi si è fatto affidamento sulle dichiarazioni dei richiedenti di essere ebrei e di essere in stato di necessità. Si è calcolato che nella migrazione dalla Russia degli anni ’80 all’incirca il 3% dei nuovi arrivati non fossero minimamente ebrei ma che avessero mentito per poter lasciare le condizioni economiche disastrose nelle quali vivevano.

237 A. S

HACHAR, Whose Republic? Citizenship and Membership in Israeli Polity, in Georgetown Immigration Law Journal, 13, 1988-1999, pag. 236. La circostanza è confermata dalla legge che regola il rilascio del passaporto del 1952. Non è previsto nessun periodo di attesa per il nuovo arrivato, che può richiedere il documento di espatrio subito dopo essersi stabilito. La proposta di introdurre un periodo di attesa di un anno fu respinta perché avrebbe introdotto una distinzione tra chi si era già stabilito nel Paese e il neo-immigrato.

Capitolo terzo

80

solitamente improntata ad un rispetto (quantomeno formale) del principio di uguaglianza, viene giustificata dalla enorme valenza ideologica del diritto che la legge disciplina. La costituzione di un Paese in cui tutti gli ebrei potessero trovare ospitalità è stata in sostanza la ragion d’essere della fondazione dello Stato238.

Per quanto concerne le concrete modalità per l’acquisizione della cittadinanza, si deve far riferimento alla seconda legge che disciplina la materia, ovvero la Legge sulla Nazionalità del 1952239: la Legge del Ritorno infatti decreta soltanto il generico diritto a stabilirsi nello Stato, mentre è la Legge sulla Nazionalità a determinare le singole ipotesi di acquisizione della cittadinanza, tra cui figura ovviamente quella del ritorno240.

Oltre al ritorno, la legge prevede tre modi per divenire cittadino israeliano, ovvero la residenza, la nascita o la naturalizzazione: la norma è destinata principalmente a coloro che non appartenevano alla comunità ebraica perché gli ebrei che si stabilivano nel Paese o che già vi fossero residenti avevano titolo alla cittadinanza israeliana sulla base della Legge del Ritorno.

Per l’acquisto della cittadinanza attraverso la residenza, disciplinato dall’art. 3 della Legge sulla Nazionalità, si prevede che debbano sussistere tre condizioni: la residenza

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 75-97)