Una panoramica completa della Legge del Ritorno e delle sue implicazioni non può esimersi dal valutare le conseguenze giuridiche e politiche che l’applicazione della
288 G.S
APIR, How Should a Court Deal with a Primary Question That the Legislature Seek to Avoid?, cit., pag. 1250. L’Autore afferma che dal tenore delle opinioni dei singoli giudici si possa rietenere che anche quest’ultma questione sarebbe stata eventualmente decisa in favore della posizione più aperta e liberale.
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legge comporta non solo per i cittadini israeliani, ma anche per quelle popolazioni che vivono nei Territori Occupati sin dal 1967.
Si è visto innanzitutto che dopo la fondazione dello Stato alcune norme furono introdotte per regolare l’acquisizione della cittadinanza da parte dei residenti palestinesi e che la loro formulazione e applicazione era finalizzata a non consentire l’acquisizione della cittadinanza israeliana a coloro che avessero lasciato il Paese durante la guerra del 1948-49. Solo dopo l’intervento della Corte Suprema ed una legge addirittura degli anni ’80 fu posto rimedio alla situazione di tutti coloro che in base ai severi requisiti previsti dalla Legge sulla Nazionalità non erano stati in grado di dimostrare la loro residenza continuativa nel territorio dello Stato289.
Per quei residenti arabi che fin da subito, o in seguito alle modifiche legislative, fossero riusciti ad ottenere la cittadinanza, si dovrebbe presumere pari diritti e garanzie rispetto ai cittadini di fede ebraica, stante l’enunciazione della Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato di rifiuto di qualunque discriminazione in base alla razza, alla lingua o alla religione.
Un aspetto della legislazione in materia di cittadinanza porta però subito a ritenere il contrario. La cittadinanza intesa in senso moderno è un insieme di diritti e doveri: i diritti sono collegati principalmente alla possibilità di partecipare alla vita politica del Paese tramite il diritto di voto. Da questo punto di vista nessuna obiezione può essere fatta, ma dal punto di vista dei doveri emergono particolari degni di nota.
Il principale dovere che la cittadinanza israeliana pone è quello relativo al servizio militare. La legge obbliga in generale tutti i cittadini ad assolvere questo onere, ma concede al Ministero dell’Interno il potere di esentare alcuni soggetti a sua discrezione. Tra i soggetti destinatari dell’esenzione vi sono di solito proprio gli arabi israeliani.
La motivazione umanitaria è di solito la volontà di non far combattere i cittadini arabi contro “confratelli”, persone che per appartenenza religiosa ed etnica essi possano considerare come più vicino a loro degli altri cittadini israeliani, o eventualmente addirittura parenti. Si è argomentato tuttavia che tale stato di fatto ha finito per istituire, volontariamente oppure no, una sorta di cittadinanza di serie B per i cittadini di religione mussulmana290. Questa deminutio è legata soprattutto all’idea diffusa che la piena cittadinanza si acquisisca proprio tramite il servizio militare, come prova della piena lealtà nei confronti dello Stato. La legislazione inoltre utilizza a volte il criterio dell’assolvimento del servizio militare come base per elargire prestazioni cosiddette di welfare che lo Stato accorda proprio in ragione della prestazione del servizio militare e che non possono essere fruite da chi sia stato esentato: ad esempio elargizioni di sovvenzioni in occasione della nascita di figli, crediti sulle imposte, assistenza nel pagamento dei mutui291.
289 Vedi retro in questo capitolo paragrafo 2. 290 Y.P
ELED,G.SHAFIR, The Roots of Peacemaking: The Dynamics of Citizenship in Israel, 1948-93, in International Journal of Middle East Studies, 28, 1996, pag. 391 e ss. Secondo gli Autori non solo lo status dei cittadini arabi, ma anche il rapporto tra ashkenaziti e sefarditi e il rapporto con i palestinesi dei Territori si è articolato nel tempo in base a “gradi” di cittadinanza.
291 A.S
HACHAR, Whose Republic? Citizenship and Membership in Israeli Polity, cit., pag. 262. Un’altra categoria tradizionalmente esentata dal servizio militare sin dai tempi di Ben Gurion sono gli studenti a tempo pieno delle scuole talmudiche. Inizialmente in numero limitato (400 persone), essi sono oggi assai numerosi e godono di ampi finanziamenti da parte del Governo: nonostante gli ortodossi si sottraggano indiscriminatamente ad alcuni dei doveri cruciali imposti dallo Stato, pochi metterebbero in dubbio la loro
La Legge del Ritorno
99 Da ultimo una legge ad hoc del 31 luglio 2003, la Citizenship and Entry into Israel (Temporary Order) Law292 ha introdotto un impedimento per il coniuge palestinese di un cittadino israeliano ad ottenere la cittadinanza o un permesso di residenza permanente o temporaneo nello Stato, impedendo così il ricongiungimento familiare, non solo per il coniuge ma anche per i minori che volessero trasferirsi presso un genitore israeliano dai Territori Occupati. Naturalmente la norma è formulata in modo generico ma è chiaro che i destinatari siano i cittadini israeliani arabi, perché è poco probabile che un cittadino di religione ebraica si sposi con un residente dei Territori Occupati.
Inizialmente il provvedimento aveva la durata di un solo anno, ma è stato più volte prorogato, privando a tutti gli effetti i cittadini israeliani arabi del diritto di unirsi in matrimonio con palestinesi non cittadini, inasprendo la discriminazione tra cittadini israeliani di religione ebraica e non ebraica che già comunque esisteva293. In passato il coniuge straniero di un israeliano di religione ebraica aveva infatti il diritto all’automatico riconoscimento della cittadinanza sulla base di una consolidata interpretazione della Legge del Ritorno, paragrafo 4A, che consente anche al coniuge di un ebreo l’immigrazione nel Paese come oleh294. Il coniuge di un cittadino israeliano non ebreo non poteva utilizzare questa scorciatoia, dovendo affrontare il più lungo procedimento della naturalizzazione: la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, si ricorda, non è considerato un diritto, ma un privilegio concesso a discrezione del Ministro dell’Interno295.
Dalla metà degli anni ’90 anche per gli stranieri sposati ad un cittadino israeliano di religione ebraica è richiesto di passare attraverso il processo di naturalizzazione, senza più poter usufruire della Legge del Ritorno296, ma interventi della Corte Suprema hanno
piena appartenenza alla nazione, poiché facenti parte del gruppo dominante. Soltanto per gli arabi, in sostanza, l’esenzione dal servizio militare implica il declassamento ad una sorta di cittadinanza di serie B.
292
A.K.WAN, Israel’s Conflicted Existence as a Jewish and Democratic State, cit., pag. 1354. La legge faceva seguito ad un provvedimento del Ministro dell’Interno del 2002 finalizzato a congelare le richieste di cittadinanza e residenza permanente dei coniugi di cittadini israeliani. La norma aveva creato due gruppi di persone: coloro che all’epoca avevano già fatto richiesta per la naturalizzazione, non l’avrebbero ottenuta ma non sarebbero stati mandati via, mentre a coloro che non avevano ancora presentato la domanda fu impedito di chiedere il ricongiungimento familiare, furono considerati come clandestini costretti a lasciare il Paese nonostante il legame familiare con cittadini israeliani.
293 Y. P
ELED, Citizenship Betrayed: Israel’s Emerging Immigration and Citizenship Regime, in Theoretical Inquiries in Law, 8, 2007, pag. 604. E’ ragionevole supporre infatti che la maggior parte di matrimoni con residenti dei Territori Occupati avvenga da parte di arabi israeliani.
294 A.S
HACHAR, Whose Republic? Citizenship and Membership in Israeli Polity, cit., pag. 256. Dal 1996 il Ministero dell’Interno aveva adottato una linea dura anche nei confronti del coniuge straniero già residente in Israele di un cittadino israeliano di religione ebraica: era richiesto che qualunque coniuge straniero sposato ad un israeliano, indipendentemente dalla religione, lasciasse il Paese almeno per sei settimane per confermare la sincerità del matrimonio. Solo dopo che il Ministero avesse accertato la genuinità delle nozze, il coniuge straniero sarebbe potuto tornare e iniziare la naturalizzazione. Invece di facilitare il cittadino non ebreo diminuendo i requisiti per la concessione della cittadinanza al coniuge straniero, erano stati aggravati i requisiti previsti per tutti. Ma la Corte Suprema nel 1999 annullò questa politica perché lesiva del diritto al matrimonio e alla vita familiare: ora al coniuge straniero è concesso un permesso temporaneo in attesa della cittadinanza. Naturalmente ciò non comprendeva il ricongiungimento con residenti dei Territori Occupati per i quali la Corte non ha ammesso lo stesso principio.
295 A.S
HACHAR, Whose Republic? Citizenship and Membership in Israeli Polity, cit., pag. 255.
296 H.S
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comunque reso il procedimento più favorevole di quello previsto per i coniugi palestinesi provenienti dai Territori Occupati.
La nuova normativa introdotta di recente, escludendo in toto il ricongiungimento familiare perpetua questo divario basato unicamente sull’appartenenza religiosa, in contrasto con il principio di uguaglianza riconosciuta nella Dichiarazione d’Indipendenza,
La norma, in teoria temporanea perché emanata dopo un attacco terroristico ad Haifa da parte di un cittadino israeliano che era diventato tale proprio grazie al ricongiungimento familiare, è stata vista da molti come un tentativo di mantenere una maggioranza ebraica all’interno dello Stato, prevenendo l’immigrazione dai Territori Occupati e creando impedimenti ai matrimoni “transfrontalieri”297. Ai sensi della nuova norma infatti un cittadino israeliano che avesse voluto sposare un palestinese sarebbe dovuto trasferirsi nei Territori Occupati, perdendo il diritto a risiedere in Israele oppure rinunciare al matrimonio; ovviamente la norma riguarda solo i palestinesi, perché il matrimonio con cittadini di qualunque altro Paese rimane lecito e garantisce al coniuge l’acquisizione della cittadinanza israeliana tramite naturalizzazione. La previsione è una chiara violazione sia della Basic Law in materia di dignità umana e libertà sia delle convenzioni internazionali alle quali lo Stato aderisce298. A seguito di alcune critiche da parte della High Court of Justice nel 2005 i criteri sono stati resi lievemente meno restrittivi, sostituendo il divieto al Ministero dell’Interno di concedere permessi di residenza o la cittadinanza, alla facoltà dello stesso di concedere permessi temporanei a uomini sopra i 35 anni, a donne sopra i 25 e a minori sotto i 14.
Prima dell’emanazione di questa legge, si è detto, ai sensi della Nationality Law, il coniuge di un cittadino israeliano passava attraverso un processo di naturalizzazione della durata di quattro anni e mezzo che consentiva l’ottenimento della cittadinanza piena: per i coniugi stranieri non palestinesi la procedura è rimasta la stessa, mentre per i coniugi che provengono dai Territori i permessi di residenza per il ricongiungimento familiare, primo passo verso la cittadinanza, è legato alla pura discrezionalità del Ministero dell’Interno.
Nel 2005 è stata infine istituita una commissione per la redazione di un progetto di legge in materia di immigrazione, la cosiddetta Commissione Rubinstein: la legge dovrebbe regolare quelle aree di immigrazione che esulano dalla Legge del Ritorno. Nel conferimento dell’incarico alla Commissione lo scopo era indicato in termini di “delineamento di una politica per l’immigrazione in Israele, basata non solo su considerazioni di sicurezza, ma anche sulla garanzia dell’esistenza di Israele come Stato ebraico e democratico”299. Il disegno di legge sarà certamente influenzato dalla decisione della HCJ del 14 maggio 2006 di rigettare un ricorso presentato nel 2003 per
297 B.M.N
IKFAR, Families Divided: an Analysis of Israel’s Citizenship and Entry into Israel Law, in Northwestern University Journal of International Human Rights, 3, 2005, pag. [i] e ss. Il Ministro dell’Interno può oggi discrezionalmente garantire la cittadinanza o un permesso di residenza al coniuge palestinese se è convinto che egli si identifichi con lo Stato di Israele e i suoi obiettivi e che un membro della famiglia abbia compiuto atti significativi per promuovere la sicurezza, l’economia o qualche altro aspetto della vita dello Stato. La concessione della cittadinanza diviene dunque contropartita per attività di collaborazione coi servizi segreti contro eventuali terroristi.
298
B.M.NIKFAR, Families Divided: an Analysis of Israel’s Citizenship and Entry into Israel Law, cit., pag. [i] e ss.. Come L’ICCPR, International Covenant on Civil and Political Rights e la convenzione ICERD, International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination.
299 Y.P
La Legge del Ritorno
101 la declaratoria di incostituzionalità della legge sul ricongiungimento familiare di cui sopra300. Nonostante la decisione della Corte a favore della legittimità della legge (con maggioranza risicata, 6 contro 5), vista come strumento volto a tutelare la sicurezza interna, nelle parole di alcuni giudici è emerso il convincimento che la legge abbia in realtà uno scopo di puro controllo demografico301: del resto tra gli intervenienti nella causa vi era un’organizzazione chiamata “The Jewish Majority for Israel”.
Oltre a questo aspetto, che riguarda direttamente persone titolari della cittadinanza israeliana e relativi coniugi, vi è il serio problema dello status giuridico dei residenti palestinesi nei Territori Occupati. La Legge del Ritorno, come strumento giuridico per la creazione di una patria per tutti gli ebrei, ha portato a conseguenze paradossali nella misura in cui ha consentito a persone che magari per discendenza non avessero quasi nessun legame con la religione ebraica (come molti immigrati provenienti dalla Russia) di insediarsi nel Paese e ottenerne la cittadinanza, mentre numerose persone che da sempre hanno vissuto nell’area geografica ed hanno con essa un rapporto atavico sono risultati privi di qualsivoglia tutela di diritto internazionale, non potendo usufruire neppure di una cittadinanza piena302.
La circostanza più sorprendente è che se una volta la popolazione residente nella regione era quasi esclusivamente ebraica ed araba, negli ultimi anni, a seguito della chiusura dei canali di comunicazione verso i Territori Occupati, moltissimi immigrati provenienti dall’Estremo Oriente sono giunti nel Paese per svolgere quei lavori che la mano d’opera palestinese non può più fare per la predetta chiusura303. Nei confronti dei figli di costoro dal 2005 il Governo ha avviato una politica di naturalizzazione e graduale concessione della cittadinanza, facendo apparire ancora più schizofrenica, se non ingiustificatamente discriminatoria, la politica migratoria israeliana concernente la popolazione araba palestinese304.
300 HCJ 7052/03 Adalah v. Minister of the Interior (2006). 301 Y. P
ELED, Citizenship Betrayed: Israel’s Emerging Immigration and Citizenship, cit., pag. 615. Il Giudice Procaccia ha scritto “nel valutare la credibilità dell’argomento della sicurezza, non possiamo ignorare il fatto che…come emerge dai lavori della Knesset…la questione demografica ha dominato la procedura legislativa in ogni momento ed è stato un punto centrale del dibattito in Commissione Affari Interni e nella seduta plenaria. Molti membri della Knesset, sia a favore che contro la legge, hanno ritenuto che il controllo demografico fosse la ragione principale per il provvedimento legislativo che è stato emanato”. Il Giudice Cheshin ha ugualmente argomentato “l’ingresso massiccio di stranieri residenti e cittadini può cambiare il volto di una nazione […] il forte e decisivo interesse dello Stato di mantenere l’identità della società israeliana scavalca il diritto alla realizzazione della vita familiare nel momento in cui ciò riguardi l’immigrazione di un coniuge straniero in Israele”.
302 Per cogliere alcuni aspetti politici della questione si veda M.H.E
LLIS, Indigenous Minority Rights, Citizenship and the New Jerusalem: a Reflection on the Future of Palestinians and Jews in the Expanded State of Israel, in Journal of Church and State, 42, 2000, pag. 297 e ss.
303 Si veda per una diffusa analisi della politica israeliana verso gli immigrati non palestinesi: A.K
EMP, Managing Migration, Reprioritizing National Citizenship: Undocumented Migrant Workers’ Children and Policy Reforms in Israel, in Theoretical Inquiries in Law, 8, 2007, pag. 663 e ss.
304 Osservazioni sulla mancanza di una risposta adeguata da parte di Israele sui problemi della
discriminazione razziale in materia di immigrazione sono rinvenibili inCOMMITTEE ON THE ELIMINATION OF RACIAL DISCRIMINATION, Consideration of Reports Submitted by States Parties under article 9 of the International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination – Concluding Observations – Israel, 2007.
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