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La lettera dello status quo »

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 67-69)

Si è detto che dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la fondazione dello Stato divenne oggetto di azione diplomatica da parte del movimento sionista. In vista della risoluzione ONU che avrebbe poi proposto la spartizione del Paese in due Stati indipendenti, uno ebraico e uno arabo, si presentava la necessità di una posizione unitaria all’interno dell’ebraismo palestinese. L’Agenzia Ebraica, l’organo esecutivo del movimento sionista, era ovviamente a conoscenza delle posizione anti-sioniste dell’Agudath Israel e ne temeva gli effetti sulla commissione d’inchiesta predisposta dalle Nazioni Unite. Il 17 giugno 1947 l’Agudath Israel ricevette una lettera dell’Agenzia Ebraica firmata personalmente da David Ben Gurion, il rabbino Yehoudah Leib Fishman e Itzhak Greenbaum. Questa lettera sarà chiamata di lì in avanti “lettera dello status quo” perché affermava che poiché la creazione dello Stato esigeva l’accordo dell’ONU e che tale consenso non sarebbe stato concesso se Israele non avesse garantito la libertà di coscienza a tutti i cittadini, lo Stato non avrebbe potuto essere una teocrazia. Tuttavia nel nuovo Stato:

a) il sabato sarebbe stato il giorno di riposo;

b) la kashruth sarebbe stata garantita nei luoghi pubblici destinati agli ebrei;

c) il diritto relativo allo status personale poneva dei problemi, ma i dirigenti si impegnavano a trovare una soluzione che soddisfacesse i credenti;

d) l’autonomia dei vari indirizzi educativi sarebbe stata rispettata. Non vi sarebbe stato intralcio alla fede e alla coscienza religiosa di nessun gruppo.

Queste quattro promesse assicuravano alla dirigenza dell’Agudath che i principali equilibri riguardanti i rapporti Stato/religione operanti prima del 1947 sarebbero stati mantenuti anche in futuro; ragion per cui si parla di status quo203.

La lettera era prudente e dava risposte vaghe su un certo numero di questioni nodali che non potevano essere risolte se non dopo la fondazione dello Stato. Comunque implicitamente la lettera rigettava l’idea che l’halachah potesse essere dichiarata legge fondamentale dello Stato. La lettera menzionava infatti la circostanza che lo Stato

della Palestina, in merito all’appello dell’assoluzione di Altshuler, confermò la decisione della corte distrettuale. L’ordinanza discriminava gli ebrei laici, così come i non mussulmani e i non cristiani (come i Baha’i). In un’opinione di minoranza si disse che il sabato fosse per gli ebrei non solo un ordinario giorno di riposo, ma una fondamentale istituzione dell’integrità nazionale del popolo ebraico. Il caso è citato anche da S. D. MYRES, JR., Constitutional Aspects of the Mandate for Palestine, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, 164, 1932, pag. 1 e ss.

203

C.S.LIEBMAN,E.DON-YEHIYA, Religion and Politics in Israel, Bloomington, 1984, pag. 33. Dal 1935 vi era stato nella pratica un riconoscimento di fatto dello status quo come base per la cooperazione tra religiosi e laici, prima nella comunità dell’epoca del Mandato e poi nello Stato di Israele. Questi criteri sarebbero serviti anche per la risoluzione di controversie che sarebbero potute sorgere nel futuro.

Capitolo secondo

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avrebbe avuto cittadini non di religione ebraica e che sarebbe stato necessario garantire eguali diritti anche a costoro: come dire che solo per ragioni estrinseche non fosse possibile accogliere le istanze dell’Agudath204.

L’Agudath Israel non poteva certo essere soddisfatta di tale proposta ma nell’imminenza della decisione delle Nazioni Unite e della fondazione dello Stato né l’Agudath né il Consiglio dei Saggi della Torah si prese la responsabilità di porre un ostacolo al progetto. Partecipò alla Dichiarazione d’Indipendenza del 14 maggio 1948 e uno dei suoi dirigenti, il rabbino Levin, divenne Ministro degli Affari Sociali e della Salute nel primo Governo205.

Subito dopo la fondazione dello Stato, il potere esecutivo dovette lavorare per assicurare che le concessioni fatte ai partiti religiosi venissero rispettate: le regole relative al cibo furono introdotte nell’esercito e in ogni altra istituzione pubblica, le festività ebraiche furono dichiarate feste nazionali. Il sistema delle corti religiose dell’epoca del Mandato fu mantenuto, garantendo così la giurisdizione esclusiva in materia di matrimonio e divorzio. Il Rabbinato fu incaricato di svolgere diverse funzioni di controllo: tutto ciò nei primi mesi di vita dello Stato, quando ancora infuriava la guerra206.

Ben Gurion, per guadagnare la non opposizione dei movimenti anti-sionisti, si mostrò insomma disposto a cedere su alcuni punti che sembravano di minore importanza considerata l’entità numerica della comunità ortodossa. Rispetto dello shabbat, finanziamento per gli studi religiosi, esenzione dal servizio militare per gli studenti delle accademie talmudiche erano alcune delle aree in cui gli ortodossi volevano avere garanzie in cambio di supporto politico. In realtà oggi queste concessioni sono diventate significative, visto che coloro che ne beneficiano sono all’incirca il 20% della popolazione: anche con questi numeri il loro potere di pressione nella società appare sproporzionato alle loro reali dimensioni207.

Lo status quo divenne da allora la base per la risoluzione dei conflitti Stato/religione. Al primo accenno di controversia pubblica tra forze politiche laiche e religiose, la parte colpita (spesso entrambe) si appellano allo status quo, accusando

204

B.KIMMERLING, Religion Nationalism and Democracy in Israel, in Constellations, 6, 3, 1999, pag. 350. La lettera era insomma formulata per indurre a ritenere che il rigetto delle istanze dell’Agudath Israel fosse motivato solo da un impedimento di carattere formale, ovvero le pressioni esterne ed il timore di un rifiuto da parte delle Nazioni Unite al progetto di costituzione dello Stato. Il tenore della missiva sembrava insomma celare l’idea che se non fosse stato per queste pressioni, la società ebraica sarebbe stata pronta ad accettare “il giogo del regno dei cieli” immediatamente dopo la fondazione dello Stato.

205 D. B

ENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag. 62. La creazione dello Stato, le prime vittorie militari furno interpretate dall’Agudath come segni divini e dopo il 1948 non combattè più l’esistenza di Israele, divenne una partito politico, minoritario, ma in grado di esercitare forti pressioni in vista dell’instaurazione di una teocrazia nel Paese. Naturalmente l’Agudath stessa fu successivamente superata da movimenti ancora più estremi che rinnegano il Sionismo e lo Stato di Israele.

206 E. O

TTOLENGHI, Religion and Democracy in Israel, in The Political Quarterly, 2000, pag. 42. Le autorità provvisorie adottarono inoltre numerosi provvedimenti per istituire tutti gli organi chiave dello Stato ed assicurare una transizione priva di difficoltà. La situazione ebbe un’importante conseguenza. Non ci fu un bisogno immediato ed urgente di redigere una Costituzione.

207 A.G

ROSS-SCHARFER,W.JACOBSEN, If Not Now, When? The Case for Religious Liberty in the State of Israel, cit., pag. 543. Ben Gurion, come molti leader sionisti, credeva che fino a quando le istituzioni religiose avessero controllato la società, gli ebrei non sarebbero mai stati in grado di stabilire un Governo indipendente. Credeva anche che le poche migliaia di religiosi in Israele avrebbero perso nel tempo il loro peso politico.

La nascita dello status quo

69 l’altra parte di voler violare le previsioni in esso contenute. In alcuni casi ha funzionato quasi come documento dal valore costituzionale, che può essere interpretato in modo diametralmente opposto dalle parti, ma che svolge un ruolo di primaria importanza nel consolidare la certezza che vi siano criteri fermi e procedure definite per la risoluzione delle controversie politiche sulle questioni religiose208. Il termine status quo può far pensare ad una soluzione di stallo, di immutabilità, ma in realtà molti cambiamenti sono avvenuti ad opera di entrambe le parti nel corso degli anni. La tacita regola è stata quella di astenersi dal dichiarare l’intenzione di voler introdurre cambiamenti, cosicchè nessuna decisione potesse essere interpretata come una concessione o come arrendevolezza. Ciò significa anche che molti cambiamenti sono avvenuti gradualmente, invece che tramite incisive riforme della Knesset. Il processo è rimasto informale, e la via aperta a minori o maggiori cambiamenti a seconda degli orientamenti della società e delle alleanze politiche209. In conclusione, lo status quo ha svolto una funzione pratica di risoluzione delle tensioni nei rapporti laici/religiosi ed ha facilitato le intese politiche a livello nazionale. Lievi modifiche sono state apportate nel tempo, ma il principio consensuale è rimasto intatto.

Più di recente l’asprezza dei conflitti tra laici e religiosi ha fatto però intendere come il modello compromissorio abbia perso parte della propria funzionalità. Rimane inoltre aperto il problema di coloro che pur essendo religiosi non appartengano alla corrente dell’ebraismo ortodosso e il problema delle minoranze non ebraiche, due gruppi del tutto esclusi dalle dinamiche dello status quo210.

Il conflitto ideologico si è duramente inasprito: ci si dovrà interrogare per il futuro sull’efficacia dello status quo come effettivo compromesso tra coloro che vorrebbero vivere in un Paese in cui viga un principio di separazione tra Stato e religione e coloro che vorrebbero mantenere il carattere ebraico dello Stato, se non addirittura trasformarlo in una sorta di teocrazia211.

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 67-69)