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Il divorzio nel diritto ebraico e nel diritto israeliano »

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 127-138)

E’ sempre esistito nel diritto ebraico l’istituto del divorzio. Originariamente trattavasi in realtà di una forma di ripudio, che se pur biasimata, era comunque permessa388.

Fu di nuovo, come per la poligamia, Rabbenu Ghershom a stabilire, pena la scomunica, che non si potesse divorziare dalla propria moglie contro la sua volontà, a meno che non avesse trasgredito a determinate norme religiose. Da allora nel diritto ebraico il divorzio si è sempre configurato come un atto tendenzialmente volontario e consensuale. Come il matrimonio è fondato su un contratto, così il divorzio si basa sul consenso.

a) Il divorzio congiunto.

Naturalmente anche in Israele il divorzio è in linea di massima un atto consensuale: i coniugi preparano un documento in cui trasfondono tutti i termini dell’accordo, in merito alla casa coniugale, al mantenimento della moglie e dei figli, all’affidamento, al diritto di visita, etc. Il documento verrà poi presentato avanti alla corte rabbinica, competente in via esclusiva in materia di divorzio, la quale, effettuato un tentativo di conciliazione, valuterà l’accordo ed eventualmente lo approverà.

Gli accordi economici concernenti un divorzio per essere validi avranno sempre bisogno dell’approvazione o della corte rabbinica o di quella civile (nel caso sia stata adita per prima solo in merito alle questioni di mantenimento e spartizione dei beni coniugali), in base alla Spouses (Property Relations) Law.

Sulla base dell’accordo, sotto la supervisione della corte rabbinica, verrà redatto il get, un documento estremamente complesso che solo un esperto di halachah è in grado di redigere e che il marito consegna unilateralmente alla moglie in presenza di testimoni e che la libera dal vincolo matrimoniale in modo definitivo389. Alcune delle regole

388 Sulla storia e le declinazioni del divorzio nell’evoluzione del diritto ebraico si veda S. D

AICHES, Divorce in Jewish Law, in Journal of Comparative Legislation and International Law, 8, 4, 1926, pag. 215 e ss.; B.S.JACKSON, How Jewish is Jewish Family Law?, in Journal of Jewish Studies, 55, 2, 2004, pag. 201 e ss.. All’epoca della redazione della Mishnah l’istituto del divorzio era pienamente parte del diritto ebraico. L’istituto derivato dal testo biblico era inteso come ripudio da parte dell’uomo, ma già all’epoca vi erano segnali del fatto che per influsso della cultura greca che consentiva il divorzio unilaterale sia alla donna che all’uomo, vi fossero casi di scioglimento del vincolo ad iniziativa della donna. La Mishnah infatti prevede che in alcuni casi la donna possa avanzare la richiesta, anche se il rilascio del get da parte del marito è sempre necessario: la ristrettezza dei casi ammessi forse era proprio dovuta al timore che la pratica divenisse troppo diffusa. Durante il Medioevo alcune fonti fanno intendere che nelle comunità residenti in area mussulmana le corti arrivassero persino a redigere di loro pugno il get o comunque che si tendesse a non ostacolare troppo il divorzio su iniziativa della moglie. Non era raro infatti che donne ebree si convertissero all’islam per sfuggire al vincolo matrimoniale che veniva dichiarato poi nullo in base al diritto mussulmano: un altro esempio di influenza del contesto sull’evoluzione del diritto ebraico. In area ashkenazita invece, dove il contesto cristiano scoraggiava la pratica del divorzio, l’evoluzione avvenne nel senso di avere il consenso della moglie e di restringere le ipotesi in cui il marito poteva prendere l’iniziativa. Ciò che si deduce dall’analisi dell’istituto è che il diritto ebraico non ha conosciuto un unico modello di matrimonio: sin dai tempi biblici hanno convissuto diversi modelli e fino ad Ezra l’istituto non era nemmeno coperto da quell’aura di sacralità che ha assunto successivamente. Diverse influenze hanno portato a diverse soluzioni, un pluralismo che oggi in Israele è sconosciuto.

389 D.N

OVAK, Jewish Marriage and Civil Law: a Two Way Street?, in George Washington Law Review, 68, 1999-2000, pag. 1059 e ss. E’ un documento che non contiene formule sacramentali, può essere

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procedurali delle corti rabbiniche disciplinano proprio questo procedimento e stabiliscono come il divorzio non sia ammesso dalla corte, anche se c’è accordo dei coniugi, se non dopo aver instaurato un normale giudizio e aver emesso una sentenza dichiarativa: nel giudizio la corte valuta le circostanze, i motivi e assume eventualmente le prove che ritiene opportune390. Da ciò si desume che il divorzio è consensuale, ma che la corte è tenuta ad effettuare un vaglio sulle motivazioni e sui fatti che hanno condotto alla rottura, eventualmente suggerendo una riconciliazione o soluzioni alternative. Non è dunque sufficiente il mero accordo delle parti. Solo dopo la sentenza si provvederà alla redazione del get.

Ma tutto questo presuppone che vi sia il consenso dei coniugi, che, come si può immaginare, non sempre sussiste.

b) Il divorzio su iniziativa di una delle parti.

Nell’ipotesi di mancanza del consenso tra i coniugi, in nessun caso il divorzio potrà essere pronunciato “d’ufficio” dalla corte. Ciascuna delle parti potrà però ricorrere al tribunale rabbinico, il quale dopo aver invitato la parte ad un ripensamento ed aver verificato se il divorzio sia l’unica soluzione, potrebbe dichiarare la sussistenza di una delle cause riconosciute dalla letteratura rabbinica come fondamento per il divorzio ed eventualmente ordinare o al marito di concedere il get oppure alla moglie di riceverlo. Oltre ad ordinare, il tribunale, in limitate ipotesi, potrà anche adottare mezzi coercitivi per forzare la volontà della parte che si sottrae all’adempimento dell’ordine.

Originariamente il diritto ebraico prevedeva che vi fosse totale libertà per l’uomo nel divorziare e che il get dovesse essere rilasciato spontaneamente, perchè quello rilasciato per costrizione non era valido e dunque non liberava realmente la donna dal legame coniugale391; tuttavia, già a partire dall’epoca della Mishnah e del Talmud, si cominciarono a imporre delle restrizioni a questo meccanismo unilaterale, imponendo ad esempio che fosse dimostrata una colpa della donna392, e ad enucleare le ipotesi in cui anche la donna poteva avanzare una domanda di divorzio e i casi specifici in cui il marito poteva essere costretto a concedere il divorzio senza perciò invalidare l’atto393.

rilasciato anche da un marito che abbia formalmente rinunciato all’ebraismo. Ma il significato religioso, ovvero l’adempimento di un precetto, è evidente.

390 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 62. Capitolo 16 delle disposizioni procedurali avanti alle corti rabbiniche, come formulate nella versione del 1963 e nel 1986.

391 M.F

REEMAN, Is the Jewish Get any Business of the State?, in R. O’DAIR,A.LEWIS (cur.), Law and Religion, cit., pag. 369 e ss. La fonte giuridica del get si trova nel Deuteronomio, che non contiene alcun precetto in merito ad obblighi di concedere o ricevere il get. Vi era completa libertà per il marito, che poteva divorziare a sua discrezione, senza il consenso della moglie e senza una giustificazione.

392 M.F

REEMAN, Is the Jewish Get any Business of the State?, cit., in R. O’DAIR,A.LEWIS (cur.), Law and Religion, cit., pag. 369. All’inizio trattavasi di colpe davvero risibili, ma pur sempre sufficienti a chiedere il divorzio.

393 M.F

REEMAN, Is the Jewish Get any Business of the State?, cit., in R. O’DAIR,A.LEWIS (cur.), Law and Religion, cit., pag. 370. Una giustificazione a questo meccanismo è stata offerta da Maimonide, che utilizzando una finzione giuridica che superasse il problema della spontaneità del get, ha dato base legale alla coercizione da parte della corte. Maimonide sostenne che il marito recalcitrante che non voleva concedere il get desiderasse in realtà uniformarsi ai precetti del diritto ebraico ma che ciò gli fosse impedito dalla sua indole negativa. Per Maimonide la donna non poteva essere costretta a rimanere legata ad un uomo che le era ripugnante, come se fosse una prigioniera. Tuttavia non è questa posizione aperta ad essersi affermata nel diritto ebraico nel corso del tempo.

Status, corti religiose e diritto di famiglia

129 Vediamo innanzitutto quali sono le ipotesi che la letteratura rabbinica ha individuato come cause legittime di una richiesta di divorzio, per l’uomo e per la donna394.

Si è detto che la facoltà della moglie di provocare la rottura è un’acquisizione scaturita dall’evoluzione del diritto ebraico: la richiesta dovrà però pur sempre passare attraverso la corte rabbinica che vagliata l’esistenza del presupposto, ordinerà al marito di concedere il get.

Tra le ragioni che possono fondare la richiesta della moglie alla corte vi sono: =) il marito rifiuta di fornire il sostentamento economico alla moglie, anche se ne ha la possibilità, o la potrebbe avere lavorando395;

=) rifiuto del marito a coabitare con la moglie e ad avere rapporti sessuali con lei, anche nel caso di impotenza sopravvenuta ed anche se la coppia abbia già dei figli (tuttavia in quest’ultimo caso nonostante vi possa essere condanna a rilasciare il get, non tutti sono d’accordo che il tribunale possa avvalersi di mezzi coercitivi);

=) sterilità del marito (ma prima di dieci anni dalle nozze non potrà chiedere che le venga restituita la ketubah, per non destare il sospetto che chieda il divorzio solo per interesse economico, a meno che non vi sia perizia medica che accerti che la mancanza di figli dipende dall’uomo. In tal caso la corte potrà costringere il marito a concedere il get);

=) condotta immorale del marito, relazioni adulterine, relazione continua con un’altra donna, percosse abituali, offese a lei o ai genitori di lei, divieto di far visita alla famiglia d’origine, offese che la costringono a lasciare la casa, induzione della moglie alla violazione di precetti religiosi (ma la corte può valutare l’eventuale perdono di lei);

=) stato fisico e sociale del marito, se la donna non ne era a conoscenza prima del matrimonio o se si sono aggravati al punto da rendere la convivenza intollerabile: trattasi di malattie gravi e contagiose (l’AIDS per esempio) oppure mestieri particolari che possano rendere difficile la convivenza;

=) conversione del marito ad un’altra religione: se la corte non riesce a far rispettare la propria autorità, alla donna è consentito rivolgersi ad un tribunale non rabbinico.

Per quanto riguarda le ragioni che possono fondare la richiesta di divorzio da parte di un uomo, si è assistito ad un’evoluzione opposta, da facoltà di ripudio ad libitum a tipizzazione delle cause di divorzio, con similitudine con quelle previste per la donna. Il marito può chiedere il divorzio nei seguenti casi:

=) infrazione della donna alla religione o alla morale, categoria che include i casi in cui consapevolmente la donna faccia trasgredire al marito un precetto religioso, se la donna è impudica e immodesta, se offende il suo onore, o i figli o i suoi genitori davanti a lui, sospetto adulterio (quando cioè mancano i due testimoni necessari a provarlo. Quando vi sono i testimoni il marito anche volendo non potrà perdonare la moglie,

394 L’elencazione qui riportata sinteticamente è basata su quella formulata da A. M. R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S. FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 68 e ss.

395 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 68. Si tratta in sostanza del caso del marito che non mantenga la moglie senza giustificazioni. Il tribunale può decidere in prima battuta di condannare il marito a pagare gli alimenti, se egli non adempie vi sarà un’ulteriore prova di quanto sostenuto dalla moglie. Nel caso in cui il marito sia nell’impossibilità oggettiva di mantenere la moglie per alcuni, come Maimonide, la donna ha comunque diritto a chiedere il divorzio, mentre altri non ritengono corretto obbligare il marito a concedere il divorzio.

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dovrà divorziare e la donna non potrà né risposare il marito né sposare l’uomo con cui ha commesso l’adulterio, perderà il mantenimento e la sua ketubah396);

=) rifiuto della moglie alla coabitazione e ai rapporti sessuali: se il rifiuto è dovuto alla ripugnanza che prova per il marito, lui potrà chiedere subito il divorzio, se invece essa manifesta solo uno spirito di ribellione, la corte cercherà di convincere la moglie a tornare sui suoi passi, anche alla luce delle conseguenze economiche negative che ne possono derivare. Quando una donna si sottrae senza motivo ai suoi doveri coniugali può essere infatti dichiarata ribelle e perdere il diritto al mantenimento;

=) errore sulle qualità fisiche o sociali della moglie, come il caso di una donna che abbia nascosto di essere già due volte vedova, che non abbia versato la dote che si era personalmente impegnata a versare, malattia grave o contagiosa, o che rende la vita coniugale molto penosa, come l’epilessia;

=) sterilità della donna, dopo dieci anni dalle nozze: in questo caso il divorzio è comunque considerato un atto biasimevole da parte del marito e l’uomo dovrà convincere sinceramente la corte del suo desiderio di avere figli.

Trattasi quasi sempre di divorzio per colpa di uno dei coniugi, e non è prevista in sostanza la semplice incompatibilità sentimentale o sessuale.

Nel caso di matrimoni proibiti per l’esistenza di un impedimento che non rende nullo il matrimonio, sia il marito che la moglie potranno chiedere che il divorzio venga imposto all’altro, anche se l’impedimento era conosciuto al momento delle nozze.

Oltre ai casi in cui il divorzio non è possibile per le caratteristiche e le modalità stesse dell’istituto, vi sono ipotesi in cui il divorzio non è consentito affatto, per esempio quando la moglie sia affetta da infermità mentale e non sia grado di ricevere giuridicamente l’atto di divorzio397.

Sia nel caso che la domanda di divorzio sia congiunta che unilaterale, il tribunale rabbinico procederà al tentativo di conciliazione, detto shalom bayit, pace familiare, oggi giorno possibile anche con l’ausilio di assistenti sociali ed esperti della materia. Se il tentativo fallisce la corte procede a verificare la sussistenza delle cause di divorzio addotte dalle parti o da una parte e concluderà questa fase con una sentenza dichiarativa. Se il marito acconsente alla concessione del get, si dà inizio alla fase di preparazione del documento, che richiede il rispetto di numerose formalità e dove non è menzionata la ragione del divorzio398. Il get sarà poi consegnato personalmente dal marito alla donna. Dopo il divorzio, i due coniugi ritornano liberi.

396

Si veda www.family-law.co.il. Se è la moglie ad ammettere l’adulterio, perderà il mantenimento, ma il marito non sarà obbligato a divorziare. Nonostante le conseguenze negative che dipendono dall’ammettere un tradimento, succede che donne confessino l’adulterio per indurre il marito a concedere il get.

397 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 60. Altre ipotesi che si rinvengono nella letteratura rabbinica sono: divieto di divorzio quando il marito abbia accusato falsamente la moglie di non essere vergine, quando il marito aveva violentato la donna e poi era stato costretto a sposarla, quando la moglie sia caduta prigioniera, in tal caso il marito deve anzi riscattarla, quando il marito sia diventato sordomuto e non si sia certi della sua volontà.

398 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 82.

Status, corti religiose e diritto di famiglia

131 La Corte Suprema ha recentemente statuito come non sia consentito al marito che ha rilasciato il get di tornare sui suoi passi e revocare il proprio consenso al divorzio399. c) La coercizione a rilasciare il get e il problema delle agunot.

Si parla di agunah con riferimento ad una donna che sia separata di fatto dal marito ma che non possa divorziare né risposarsi o perché il marito non può, perchè magari malato di mente e incapace di dare il proprio consenso, o perché il marito non vuole, ha fatto perdere le proprie tracce, o perché non si sa dove sia o se sia ancora in vita400.

Il divorzio, che consentirebbe alla moglie di liberarsi dal vincolo matrimoniale, richiede sempre un ruolo attivo del marito nella concessione del get, non è sufficiente infatti la sentenza della corte rabbinica che accerti la sussistenza dei requisiti. L’assenza o il rifiuto del marito possono creare una situazione di stallo insuperabile. In caso di scomparsa, per il diritto ebraico non vi è neppure la possibilità di dichiarare la morte presunta401.

In tali casi la donna non ha alcun modo di sfuggire al legame coniugale: se la donna si è risposata perché ha ritenuto attendibili le testimonianze della morte del marito, se

399

Si veda a questo proposito il sito dello Yad L’Isha Legal Aid Center and Hotline, www.legalaid.org.il. Trattasi di un’associazione di donne avvocato appartenenti all’ortodossia che patrocinano soprattutto agunot e donne prive di mezzi impegnate in una procedura di divorzio. Nel caso deciso poi dalla Corte Suprema e avviato dallo Yad L’Isha, la donna dopo aver scoperto l’omosessualità del marito, un ebreo ortodosso, era giunta ad un accordo con lui ed aveva ottenuto il get. Nei giorni successivi però la famiglia di lui aveva scoperto del divorzio e all’oscuro della omosessualità di lui, l’aveva convinto a rivolgersi alla corte rabbinica per annullare il get. In primo grado la corte rabbinica incredibilmente acconsentì alla richiesta. Nel 2002 il caso finì avanti alla corte rabbinica in grado d’appello: la donna sostenne che il get non potesse essere messo in discussione una volta che era stato rilasciato avanti alla corte. Dopo vari tentativi di convincere le parti a ripetere il rilascio del get, cosa di cui si rifiutarono entrambi, lui per ostinazione e lei perché convinta della validità del primo get, la corte d’appello decise che la donna non potesse essere obbligata a ritornare dal marito contro la sua volontà e concesse altri tre giorni per il rilascio del get. Dopo i tre giorni, sotto la pressione della stampa e dell’opinione pubblica, la corte statuì che il primo get era pienamente valido e inserì l’uomo nella lista delle persone a cui era vietato sposarsi. L’uomo fece ricorso alla Corte Suprema, che rigettò la sua istanza in data 14 settembre 2003. Un’importante conquista per tutte le donne: il get una volta rilasciato non può più essere messo in discussione.

400 I.B

REITOWITZ, The Plight of the Agunah: a Study in Halachah, Contract, and the First Amendment, in Maryland Law Review, 51, 1992, pag. 312 e ss.; E.RCLINTON, Chains of Marriage: Israeli Women’s Fight for Freedom, in Journal of Gender, Race and Justice, 3, 1999-2000, pag. 283 e ss. L’Autrice riporta una stima, nell’anno di pubblicazione dell’articolo di circa 5.000-16.000 agunot in Israele. Coloro che riportano i numeri più elevati di solito vi includono non solo le donne che aspettano da molti anni di ricevere il get, ma anche coloro che hanno rinunciato ad alimenti, custodia dei figli o proprietà sotto ricatto di vedersi rifiutato il get. Il numero comunque impressiona se si pensa che nella letteratura rabbinica liberare un’agunah è considerata una mitzvah, un dovere religioso, visto il rischio che la stessa commetta adulterio se trascorre molto tempo senza essere liberata.

401 S.Z

ALMAN ABRAMOV, Perpetual Dilemma, cit., pag. 188. L’halachah non contempla una presunzione di morte quando una persona scompare per molti anni: è necessaria la testimonianza di due persone. Questa norma è risultata particolarmente problematica negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, quando per molte donne era impossibile dimostrare la morte del coniuge nell’Olocausto. Anche negli anni successivi si sono verificati problemi alla luce dello stato quasi permanente di guerra in cui si trova Israele. In realtà la legge civile prevede tale dichiarazione in base al Declaration of Death Law Act del 1978, ma tale dichiarazione non ha alcun valore probatorio rispetto al diritto ebraico. Consente però alla corte rabbinica distrettuale di fare determinate valutazioni. In un caso di incidente

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 127-138)