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Il matrimonio nel diritto ebraico e nel diritto israeliano »

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 119-127)

La famiglia è una delle istituzioni chiave dell’ebraismo. In Israele la costituzione della famiglia e la sua dissoluzione sono essenzialmente regolate dal diritto religioso, ma numerosi interventi legislativi sono state attuati dalla Knesset, con il risultato che l’attuale sistema è, come si è detto, una commistione di diritto civile e religioso, con una prevalenza di quest’ultimo. E’ quasi superfluo specificare come la materia del matrimonio e del divorzio sia divenuto un settore particolarmente conflittuale in quanto attinente alla vita privata e alla libertà di coscienza dei singoli.

Come si è detto, nel 1953 la Rabbinical Court Jurisdiction (Marriage and Divorce) Law stabilì in modo incontrovertibile che i matrimoni (e i divorzi) di ebrei dovessero essere celebrati in Israele conformemente al diritto ebraico, alla legge della Torah. Una simile regola era presente anche all’art. 53 del Palestine Order-in-Council, ma era limitata solo ai cittadini e residenti palestinesi: la norma introdotta nel 1953 modificò la regola da personale a generale e territoriale, dunque applicabile a chiunque. In sostanza, indipendentemente dal fatto che due aspiranti sposi siano cittadini o stranieri, un matrimonio tra ebrei in Israele dovrà essere celebrato secondo le regole del diritto ebraico, interpretato secondo i criteri dell’ortodossia ebraica360, pena il rifiuto del

competenza della corte finisce dopo la dichiarazione del divorzio. Secondo la Corte Suprema, controversie successive rientrerebbero nel diritto dei contratti e sarebbero perciò di competenza delle corti civili. Del resto l’eventuale consenso della donna nelle more del divorzio potrebbe non essere del tutto genuino visto l’interesse ad ottenere il get. Il 6 aprile 2006 (caso HCJ 8636/03 Amir v. Great Rabbinical Court) la Corte Suprema ha nuovamente deciso che fosse precluso alle corti rabbiniche di giudicare le controversie scaturenti dagli accordi di divorzio, anche qualora le parti avessero acconsentito a rivolgersi alla corte in funzione di collegio arbitrale. La Corte Suprema è però andata anche oltre stabilendo che nessuna controversia civile possa essere decisa dalle corti rabbiniche in funzione di collegio arbitrale dato che nessuna legge prevede esplicitamente questo potere.

359 M.S

HAVA, The Nature and Scope of Jewish Law in Israel, cit., pag. 6.

360 S.Z

ALMAN ABRAMOV, Perpetual Dilemma. Jewish Religion in the Jewish State, Rutherford, 1976, pag. 195. Sebbene l’art. 2 della legge non specifichi che diritto ebraico significhi halachah come interpretata dall’ortodossia, risultò presto chiaro che questa fosse l’intenzione. In primo luogo, solo l’interpretazione ortodossa era riconosciuta sotto il Mandato britannico sulla Palestina; secondo, tutto l’establishment rabbinico era ortodosso. All’epoca non vi erano gruppi organizzati di ebrei conservatori o riformati che chiedessero che i loro rabbini fossero autorizzati a celebrare matrimoni o fossero rappresentati presso il Rabbinato. Anche durante il dibattito parlamentare, nessuno accennò al fatto che tali movimenti potessero essere considerati come legittimi rappresentanti dell’ebraismo, anche se

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riconoscimento giuridico dell’atto, anche se compiuto da un console sulla base del diritto nazionale della coppia361. Gli artt. 1 e 2 della legge enfatizzano l’inciso “in Israele”. Apparentemente ciò significherebbe che la giurisdizione delle corti rabbiniche in questo ambito si limiti ai matrimoni celebrati in Israele, lasciando alla competenza delle corti civili di giudicare la validità dei matrimoni celebrati all’estero362. Torneremo sul problema.

La formazione della famiglia e la procreazione sono al centro di alcuni dei Comandamenti più importanti dell’ebraismo: si pensi al precetto biblico “andate e moltiplicatevi”. La cerimonia religiosa prevede essenzialmente che la donna effettui l’immersione rituale, la mikveh, seguita dalla consacrazione della donna all’uomo secondo la legge di Mosè e dalla redazione e sottoscrizione della ketubah, l’atto di matrimonio. La celebrazione è presieduta da un rabbino, alla presenza di due testimoni363. La presenza di testimoni è richiesta per dare validità sostanziale all’atto364.

Dal matrimonio derivano particolari diritti e doveri: il marito è tenuto al mantenimento della moglie365, ma la donna può perdere questo diritto qualora si

costituivano la maggioranza degli ebrei della Diaspora. Questa omissione fu dovuta al fatto che durante i primi anni di vita dello Stato, il pubblico accettava ancora la posizione dell’ortodossia secondo cui i movimenti riformato e conservatore contribuissero all’assimilazione.

361 Solo quando uno o entrambi i nubendi non siano ebrei e siano cittadini stranieri, il matrimonio civile

celebrato dall’autorità consolare straniera sarà riconosciuto come valido, se l’autorità straniera lo riconosce, in base all’art. 67 del Palestine Order-in-Council.

362 M.C

HIGIER, The Rabbinical Courts in the State of Israel, cit, pag. 164. Per il caso del divorzio, la questione sarebbe più complicata, perchè anche nell’eventualità del riconoscimento di un divorzio fatto all’estero da parte della corte civile, i requisiti per contrarre nuovamente matrimonio ricadrebbero nella sfera di competenza delle corti rabbiniche.

363 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico: un commento alle fonti, Torino, 2006, pag. 42 e ss. Più precisamente nel diritto ebraico la cerimonia consiste in due atti separati. Con il compimento della prima cerimonia, dei kiddushin, la donna viene consacrata al marito e si impongono i doveri di fedeltà. Si inizia con la recitazione di due benedizioni, poi l’uomo consegna alla donna un oggetto, che lei accetta, solitamente un anello d’oro di proprietà del marito. Quindi l’uomo mette l’anello al dito della donna e pronuncia avanti a due testimoni la formula “ecco tu mi sei consacrata con questo anello secondo la legge di Mosè e di Israele”. Alla cerimonia devono partecipare almeno dieci uomini, ovvero il minian. Successivamente deve essere data lettura della ketubah, il contratto matrimoniale, firmata dallo sposo e dai testimoni e consegnata alla sposa. La seconda parte della cerimonia, i nissuin, è oggi celebrata immediatamente dopo la prima, anche se anticamente non era così: vengono recitate sette benedizioni. In principio, secondo l’ebraismo, il matrimonio diviene valido dal momento della conclusione della prima fase.

364 M.S

HAVA, The Nature and Scope of Jewish Law in Israel, cit., pag. 9. Il diritto ebraico conosce la distinzione tra testimoni a scopo probatorio, che riferiscono ciò che hanno visto, e testimoni che devono presenziare per dare effettività all’atto giuridico al quale partecipano. I testimoni di nozze appartengono a questa seconda categoria, non devono essere parenti e possono essere squalificati e il matrimonio posto nel nulla se si scopre che essi non osservano dei precetti biblici, come per esempio il rispetto del sabato. E anche le corti civili che trattino incidentalmente la validità di un matrimonio dovrebbero applicare questa regola del diritto ebraico.

365 A.M.R

ABELLO, Introduzione al diritto ebraico, cit., pag. 118-119. Secondo il diritto ebraico il marito ha l’obbligo di: rispettare la moglie e darle gli alimenti, fornirle tutto ciò che le necessita, coabitare, pagare la somma prevista dalla ketubah (oltre al valore della dote e dei beni portati dalla donna), pagare il riscatto se lei cade prigioniera, seppellire la moglie, mantenerla dopo la sua morte, mantenere le figlie fino al matrimonio, lasciare ai figli maschi i beni dotali. Il marito ha diritto: a ricevere tutto quello che la moglie guadagna, compresi ritrovamenti e tesori, all’usufrutto su tutti i beni che la donna ha portato, comprese donazioni ed eredità per compensare l’obbligo di mantenimento, ad ereditare tutti i beni della moglie.

Status, corti religiose e diritto di famiglia

121 sottragga ai propri doveri coniugali o si allontani dal tetto coniugale; sarà in questo caso dichiarata ribelle o quasi ribelle, a meno che non sia accertato che il rifiuto o l’allontanamento siano avvenuti per vera e propria ripugnanza verso il marito.

In Israele, in base alla legislazione in vigore, tutti i matrimoni tra ebrei devono essere celebrati alla presenza di un rabbino riconosciuto come idoneo dal Rabbinato ortodosso366: in vista della celebrazione i fidanzati si devono presentare ad un rabbino che esaminerà la loro situazione in base alle norme dell’halachah. Dopo la cerimonia, l’atto verrà registrato presso l’ufficio del Rabbinato locale e all’anagrafe della popolazione presso gli uffici del Ministero dell’Interno. L’autorità di nominare le persone abilitate a registrare i matrimoni e i divorzi spetta al Ministro degli Affari Religiosi367.

a) Gli impedimenti matrimoniali.

La necessità di comparire avanti al rabbino prima della celebrazione dipende essenzialmente dalla presenza nel diritto ebraico di numerosi impedimenti che possono costituire un ostacolo alla celebrazione delle nozze.

Innanzitutto il rabbino incaricato effettuerà le investigazioni necessarie per confermare lo status di ebreo dei nubendi, risalendo il più possibile indietro nel tempo, vagliando l’ascendenza matrilineare di ciascuno dei futuri sposi per stabilire che non vi siano stati matrimoni misti o altre circostanze che rendano dubbia l’appartenenza della coppia all’ebraismo368.

Superato questo primo ostacolo, diverse impedimenti possono precludere la celebrazione delle nozze.

Per quanto concerne l’età dei nubendi il diritto ebraico prevede che l’età minima sia di 13 anni per lo sposo e 12 anni e mezzo per la donna: ovviamente questa disposizione è stata superata dalla legge statale. La Marriage Age Law dal 1950 stabilì infatti che per le donne l’età minima per sposarsi fosse di 17 anni. Un emendamento del 1998 ha esteso la stessa previsione agli uomini. Il matrimonio celebrato sotto il limite non è invalido, ma sanzioni penali sono previste per i nubendi e il celebrante, e il divorzio può

366 D. B.S

INCLAIR, Jewish Law in the State of Israel, cit., pag. 263 e ss.Anche la Corte Suprema ha avallato l’esclusiva del Rabbinato ortodosso alla celebrazione dei matrimoni in Israele nel caso HCJ 47/82 The Movement for Progressive Judaism Israel et al. v. Minister of Religion. J. Elon stabilì che la discriminazione da parte del Rabbinato fosse puramente halachica e non avesse nulla a che fare con l’affiliazione religiosa in sé. La necessità di una procedura unificata in materia di matrimonio militava poi contro l’accoglimento del ricorso, visto che i riformati non riconoscono taluni impedimenti, come quello tra un Cohen e una divorziata. Ciò avrebbe portato alla registrazione di matrimoni proibiti dall’halachah. Il Giudice Elon sottolineò persino il fatto che nel rito celebrato dai riformati, vi era un coinvolgimento attivo della donna, estraneo alla cerimonia tradizionale. Si veda anche D.BENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag. 149. Nel 1978 il Rabbino Capo ashkenazita di Gerusalemme stabilì per esempio che potessero celebrare matrimoni solo rabbini della città stessa e che fossero esclusi da tali funzioni anche i capi delle yeshivot se non avessero ottenuto l’autorizzazione del Rabbinato.

367 A.R

OSEN-ZVI, Family and Inheritance Law, in A.SHAPIRA,K.DEWITT-ARAR (cur.), Introduction to the Law of Israel, cit., pag. 88. La registrazione civile del matrimonio religioso è prevista dalla Marriage and Divorce (Registration) Ordinance del 1919 ed è affidata ad un ministro della comunità religiosa. La registrazione è un dovere civile e non religioso. Il Ministero evita accuratamente di scegliere rabbini riformati o conservatori.

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G.GORENBERG, How Do You Prove You’re a Jew?, in The New York Times, 2 marzo 2008. L’Autore segnala come il vaglio da parte del rabbinato sia diventato molto più severo negli ultimi anni, in particolare nei confronti di chi non sia nato nel Paese. E’ pratica comune al primo accenno di dubbio rimettere i futuri coniugi alla corte rabbinica perché decida sul loro status di ebrei.

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essere chiesto dal minore stesso, dai genitori o da un assistente sociale. Se la ragazza è incinta, oppure ha già dato alla luce un bambino, il tribunale civile può autorizzare le nozze anche prima dei 17 anni con il presunto padre369. Al di fuori di questo caso sopra i 16 anni il tribunale può dare l’autorizzazione alle nozze in speciali circostanze non meglio specificate.

Non è poi possibile contrarre matrimonio per chi sia completamente incapace di intendere e di volere, e se ciò è avvenuto il matrimonio sarà considerato invalido370: deve sussistere infatti il consenso delle parti371.

La categoria più problematica rimane comunque quella degli impedimenti relativi, ovvero quelli concernenti il divieto di sposare determinati soggetti in relazione alle loro qualità personali. Non destano particolari problemi gli impedimenti derivanti da parentela e affinità372, comuni alla maggior parte dei sistemi giuridici, mentre degni di considerazione sono gli impedimenti derivanti da adulterio, soprattutto per le conseguenze che essi comportano.

A proposito della donna sposata, ogni unione, anche solo carnale, extraconiugale è considerata adulterio e come tale proibita, sia per la donna che per l’amante. Una donna è considerata coniugata, e dunque impedita ad avere rapporti con chicchessia, fino alla morte del marito oppure fino al divorzio dichiarato secondo i canoni dell’halachah. Fino a che il vincolo persista, essa è considerata proibita per ogni altro uomo, anche se il marito sia in prigione, sia disperso in guerra, sia emigrato e se ne siano perdute le tracce o sia impazzito.

Quando una donna, consapevolmente o in buona fede (ad esempio perché riteneva affidabile la testimonianza della morte del marito in guerra), si risposi o abbia rapporti con un altro uomo, la seconda unione è considerata illegittima e i figli nati da questa unione sono considerati mamzherim, una forma di illegittimità che colpisce i figli di unioni incestuose e adulterine e che comporta a sua volta limitazioni alla capacità matrimoniale373.

369 D.B

ENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag. 150.

370 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 11. Essendo il matrimonio un atto giuridico, l’osservazione è ovvia. Ma il principio si declina diversamente a seconda della situazione. Se si tratta di un ritardo mentale, il matrimonio potrà essere considerato valido se le parti sono in grado di comprendere il significato dell’atto che stanno compiendo. Nel caso di lucidi intervalli, se non è possibile sapere in che condizioni fosse il soggetto al momento della celebrazione, il matrimonio sarà considerato dubbio e sarà richiesto comunque un divorzio per lo scioglimento del vincolo. Il diritto ebraico avvicina tre forme di incapacità, quella del minore, dell’infermo di mente e del sordomuto, anche se in quest’ultimo caso si è data importanza anche alla capacità di capirsi a gesti per affermare la validità del matrimonio.

371 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 14-15. Il marito è di solito la parte attiva della celebrazione perciò il suo consenso è evidente. Il consenso della donna si fa risalire all’episodio biblico delle nozze tra Isacco e Rebecca, dove si dice “Chiamiamo la fanciulla e sentiamo il suo parere”. Il consenso è reso palese per il marito dalla recitazione della formula e per la moglie con la partecipazione alla cerimonia, ma ormai oggi si usa chiedere anche alla donna se acconsenta alle nozze. L’errore, ad esempio in relazione all’impotenza coeundi dell’uomo, è causa di annullamento. Ma in alcuni casi può essere comunque necessario un divorzio per sciogliere il vincolo.

372 I limiti alla facoltà di sposarsi per ragioni di parentela e affinità sono stabiliti nella Torah stessa,

Levitico, cap. 18. La Bibbia prevede come punizione la morte e il matrimonio è totalmente invalido. Trattasi di un tabù comune a molte società, culture e religioni.

373 Questa è l’unica ipotesi di illegittimità prevista all’ordinamento israeliano, poiché il figlio nato da

Status, corti religiose e diritto di famiglia

123 Per quanto concerne invece l’uomo sposato, si può segnalare un’evoluzione dei costumi: certamente in epoca biblica la poligamia era ammessa, ma già in epoca talmudica la pratica cominciò ad essere biasimata, forse per influenza della cultura cristiana. Si cominciò ad inserire nei contratti matrimoniali condizioni che impedissero al marito di prendere una seconda moglie. Un celebre saggio, Rebbenu Ghershom (960- 1040 d.C.) stabilì infine che la sanzione per chi contravvenisse alla regola della monogamia fosse la scomunica. Nel 1950 tale statuizione fu ripresa e dichiarata in vigore anche nello Stato di Israele da un consesso nazionale di rabbini. Poiché il secondo matrimonio, se effettuato nonostante il divieto, è comunque giuridicamente valido, l’effetto pratico cui si perviene è l’obbligo imposto al marito di divorziare dalla seconda moglie, pena appunto la scomunica374.

Naturalmente al di là del diritto religioso, il Codice Penale israeliano, all’art. 176, prevede che la bigamia sia un reato punibile con 5 anni di reclusione, ma vi sono casi in cui il marito (e solo il marito) può essere autorizzato a risposarsi anche se il precedente vincolo non è stato formalmente sciolto senza che ciò costituisca reato375: ne parleremo nel paragrafo dedicato al divorzio.

Speciali impedimenti riguardano i Cohen, ovvero persone che portano tale cognome (o varianti dello stesso, Cohn, Kahn, Kahane, Cohan, Kohn, Kagan, è un cognome molto diffuso) che in ebraico significa “sacerdote” e che sono considerate come discendenti di Aronne, appartenenti alla casta sacerdotale. I Cohen, in ragione della speciale progenie a cui si ritiene appartengano, non possono infatti sposare una donna divorziata (anche la propria da cui abbiano divorziato e che intendano riprendere in moglie), né una proselita, né una donna che abbia avuto rapporti con un ebreo con cui il matrimonio fosse proibito, né la figlia di un sacerdote e di una donna a lui proibita376.

Un ulteriore impedimento è quello per gli ebrei che siano nati da unioni legittime di sposare un mamzher, figli nati da unione incestuose o adulterine, come si è detto sopra. Ciò in sostanza significa che colui che sia stato riconosciuto come portatore di questa stigma potrà sposare soltanto un altro mamzher, oppure un proselita, con grave limitazione della propria libertà matrimoniale377, dal momento che non gli è concesso di

quello della madre, per l’ebraismo, e per quanto concerne il nome, la materia è disciplinata da una legge civile, la Names Law del 1965.

374 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 22. Un altro impedimento per l’uomo è il divieto di risposare la donna da cui ha divorziato se nel frattempo ella si sia risposata. Normalmente la ripetizione delle nozze è invece considerata un’azione meritevole.

375 Y. M

ERIN, The Right to Family Life and Civil Marriage Under International Law and Its Implementation in the State of Israel, in Boston College International and Comparative Law Review, 28, 2005, pag. 128. Per i non ebrei, l’art. 180 della Penal Law prevede che un secondo matrimonio non costituisca reato di bigamia se il precedente coniuge è malato di mente o è stato assente per sette anni in circostanze che facciano presumere la morte del soggetto. Queste disposizioni non si applicano però agli ebrei: il diritto ebraico non prevede per esempio la presunzione di morte.

376 A.M.R

ABELLO, Il matrimonio nel diritto ebraico, cit., in S.FERRARI (cur.), Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico, cit., pag. 23.

377 S.Z

ALMAN ABRAMOV, Perpetual Dilemma, cit., pag. 189. Lo status dei mamzherim è regolato in base alla disposizione biblica (Deuteronomio 23:2) secondo cui “un mamzher non entrerà nella congregazione del Signore; anche alla decima generazione egli non entrerà nella congregazione del Signore”. Poiché il get degli ebrei karaiti non è considerato conforme all’halachah, l’intera comunità degli ebrei karaiti è considerata come affetta da questa stigma e non può contrarre matrimonio con ebrei.

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superare tale ostacolo nemmeno con una conversione378. Anche il figlio di un mamzher è considerato tale.

E’ tradizione delle autorità rabbiniche fare tutto il possibile per evitare di riconoscere che una persona sia mamzher379, per esempio non ammettendo testimonianze in tema di mamzherut. Ma scandali sono emersi in passato proprio su questo tema. Negli anni ’70 per esempio i media cominciarono a interrogarsi sui mezzi impiegati dal Rabbinato per sapere se una persona fosse un mamzher. Nel 1975 esplose infine lo scandalo delle liste nere, ovvero liste in possesso del Consiglio del Rabbinato Centrale contenenti i nomi di mamzherim e più genericamente dossier su persone che erano ritenute suscettibili di incontrare impedimenti matrimoniali. Alcune liste risalivano addirittura al 1919-1920. Fu dimostrato che le liste (oltre ad essere tenute segrete fino ad allora senza che le persone interessate ne fossero a conoscenza)

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