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La nascita del movimento sionista »

Nel documento Il diritto ebraico nello Stato di Israele (pagine 51-57)

d’Indipendenza e la Costituzione.

1. Il diritto religioso in Israele.

Molte le definizioni utilizzate per descrivere il sistema giuridico israeliano: una democrazia, una teocrazia, uno Stato ebraico, un sistema misto etc.152.

Si può dire che la complessità dell’ordinamento israeliano risieda proprio in questo, nel fatto di essere un Paese che ha riunito diverse tradizioni e concezioni dello Stato, visioni dell’uomo e della religione che lungi dal fondersi e amalgamarsi, hanno finito per giustapporsi in una società sì pluralistica, ma nel contempo assai conflittuale.

Da un punto di vista giuridico-comparatistico, è noto come il sistema israeliano abbia subito l’influenza sia della tradizione di common law (nel sistema giudiziario, nella professione forense, nella giurisprudenza in tema di diritti umani) che della tradizione di civil law (per quanto riguarda il diritto civile)153: l’aspetto più peculiare

152

S.BALDIN, I valori ebraici nella normativa e nella giurisprudenza israeliana, in Rivista di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2, 2005, pag. 301 e ss. L’Autrice ricorda altre definizioni: ordinamento laico a base formalmente pluriconfessionale equiordinata, regime multiconfessionale differenziato, modello di secolarizzazione incompiuta.

153 S.G

INOSSAR, Israel Law: Components and Trends, in Israel Law Review, 1, 1966, pag. 380 e ss.; D. FRIEDMANN, Indipendent Development of Israeli Law, in Israel Law Review, 10, 1975, pag. 515 e ss.; S. GOLDSTEIN, Israel: Creating a New Legal System from Different Sources by Jurists of Different Backgrounds, in E.ÖRÜCÜ,E.ATTWOOLL,S.COYLE, Studies in Legal Systems: Mixed and Mixing, The Hague, Boston, London, 1996, pag. 147 e ss. Israele è passato dall’essere un sistema giuridico appartenente alla famiglia di common law, ad una prevalenza di elementi di civil law, circostanza che gli conferisce il carattere di sistema misto. In generale si può dire che le influenze delle due macrocategorie sia alquanto compartimentalizzata, sicchè gli istituti genuinamente misti sono molto pochi. Attualmente

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rimane tuttavia la presenza nell’ordinamento di settori interamente disciplinati dal diritto religioso, cui aggiungere numerosi e specifici riferimenti alla tradizione, oltre che al diritto ebraico154.

Come si è visto155, il diritto ebraico è un sistema complesso e stratificato, formatosi nel corso della millenaria storia della Diaspora: esso copre moltissimi settori, da quello rituale a quello civile, commerciale, al diritto pubblico. L’influenza del diritto ebraico nello Stato di Israele avrebbe potuto seguire molte variabili, sarebbe stato possibile immaginare, come è stato fatto e ancora si fa, uno Stato ebraico del tutto governato dal diritto religioso, oppure del tutto estraneo ad esso. Le vicende storiche ci hanno consegnato un sistema ibrido che ancora non cessa di offrire materiale di studio e riflessione.

Gli studiosi del diritto israeliano sono soliti classificare questo fenomeno, ovvero la recezione del diritto religioso in Israele, in base a due categorie: l’incorporazione per riferimento e l’incorporazione diretta156.

La prima ipotesi attiene al caso in cui un’intera branca dell’ordinamento non sia disciplinata dal diritto statuale, bensì dal diritto religioso sulla base di un mero rinvio che la legge fa a tale ordinamento. Il principale esempio proviene dal diritto di famiglia, ove ciascuna confessione, con variabile ampiezza, ha il diritto (e invero l’obbligo) di applicare le proprie norme religiose nella definizione delle controversie. Per quanto riguarda i cittadini israeliani di religione ebraica ciò in sostanza significa applicazione per gli istituti del matrimonio e del divorzio delle regole dell’halachah, il diritto religioso ebraico, da parte di corti rabbiniche tradizionali157. L’impiego di questo metodo esonera il legislatore da ogni responsabilità in merito al diritto sostanziale che

l’influenza del civil law si trova in larga misura nel diritto privato. Durante il Mandato britannico, gli inglesi sostituirono gradualmente il diritto ottomano (di derivazione islamica e francese) con il diritto inglese. Quando lo Stato di Israele fu fondato virtualmente quasi tutto il diritto era inglese. Nel corso del tempo però l’influenza del civil law prevalse, in ragione del fatto che molti dei giuristi che collaborarono alla creazione del sistema giuridico israeliano erano di formazione continentale (in particolare della Germania, dell’Austria e dell’Italia). Non fu emanato inizialmente un codice ma furono elaborate molte leggi su specifici istituti, continentali nello stile legislativo e codificatorie nell’intento.

Il diritto pubblico, compreso il tema dei diritti umani, si è invece sviluppato in uno stile più prossimo a quello dei sistemi di common law, ad immagine in particolare del diritto americano. La ragione principale è stata il ruolo del potere giudiziario nella creazione del diritto in un Paese privo di costituzione formale: inoltre fu ereditata dagli anni del Mandato l’idea della soggezione del potere esecutivo alla legge ed il potere degli organi giudiziari di giudicare se gli atti della Pubblica Amministrazione fossero emanazione di un potere previsto dalla legge oppure fossero lesivi della libertà degli individui. La procedura civile rimane, con le opportune modifiche, la traduzione in ebraico delle Rules of Civil Procedure introdotte dagli inglesi negli anni ’30: manca tuttavia l’idea di un processo concentrato in poche udienze tipico del common law. Per quanto concerne la vincolatività del precedente, la Corte Suprema ha statuito come il principio dello stare decisis faccia parte a tutti gli effetti del diritto israeliano, ma si può dire che esso abbia minor vigore in Israele rispetto ad altre giurisdizioni di common law. La Courts Law del 1957 stabilisce però le decisioni della Corte Suprema siano vincolanti per tutti le corti eccetto che per la Corte Suprema stessa: si veda D. M. SASSOON, The Israel Legal System, in The American Journal of Comparative Law, 16, 6, 1968, pag. 411.

154 Per una trattazione breve delle principali influenze del diritto ebraico in Israele si veda S.B

ALDIN, I valori ebraici nella normativa e nella giurisprudenza israeliana, cit., pag. 301 e ss.

155

Vedi retro capitolo I.

156 S. B

ALDIN, La rilevanza del diritto ebraico nello Stato di Israele, in S. BALDIN (cur.), Diritti tradizionali e religiosi in alcuni ordinamenti contemporanei, Trieste, 2005, pag. 101

La nascita dello status quo

53 verrà applicato poiché sarà l’istituzione preposta alla sua applicazione, ovvero la corte rabbinica, a gestirne l’interpretazione e gli effetti158.

Si parla invece di incorporazione diretta per tutte quelle ipotesi in cui la recezione si esplichi nell’utilizzo nei testi normativi di nozioni, termini, formule e concetti che provengono dalla tradizione giuridica religiosa, vuoi perché il riferimento è palese, vuoi perché la circostanza è desumibile dalla lettura dei lavori preparatori159. La caratteristica della recezione diretta è che sebbene il legislatore faccia riferimento ad un altro sistema giuridico (quello religioso), egli stesso legifera non solo dal punto di vista formale, ma anche dal punto di vista sostanziale.

La recezione diretta del diritto ebraico nel diritto israeliano può avvenire secondo due modalità: in una prima ipotesi la ragione di tale recezione è in sostanza l’esaltazione dello spirito nazionale ebraico, ma il carattere religioso del diritto ebraico che viene recepito non sarà sempre riconoscibile; il legislatore prende semplicemente in prestito terminologia e soluzioni sostanziali per rinvigorire il legame tra legislazione nazionale e tradizione ebraica. Frammenti di diritto ebraico vengono così inseriti nella legislazione e combinati con altre norme del tutto estranee al diritto religioso. L’area in cui questo avviene più di frequente è quella del diritto privato.

Il secondo tipo di recezione diretta avviene invece nell’ambito delle pratiche religiose e consiste per lo più nell’introduzione di divieti connessi all’osservanza delle feste religiose o delle regole alimentari: lo scopo è quello di indurre nei destinatari della norma comportamenti compatibili con i precetti religiosi160.

Numerose disposizioni della legislazione israeliana sono state elaborate e formulate sulla base del diritto ebraico tradizionale: rimane molto controverso come poi questi concetti così incorporati debbano essere interpretati161.

Oltre all’incorporazione nella legislazione di norme di diritto religioso, vi sono poi numerosi ambiti della vita pubblica influenzati dall’halachah: le autorità religiose nello Stato d’Israele hanno infatti una collocazione del tutto istituzionale.

Ogni singolo aspetto di influenza del diritto religioso nel sistema giuridico israeliano ha una precisa ragione storica e verrà esaminato nel prosieguo; quel che qui preme è ripercorrere le vicende che hanno portato all’attuale configurazione dei rapporti Stato/confessioni religiose in Israele.

158 S.L

IFSHITZ, Israeli Law and Jewish Law – Interaction and Indipendence, in Israel Law Review, 24, 1990, pag. 508. Vi è una responsabilità esclusiva delle corti rabbiniche ma pur sempre con il controllo eventuale della Corte Suprema.

159 S. B

ALDIN, La rilevanza del diritto ebraico nello Stato di Israele, cit., pag. 10. Si veda anche N. BENTWICH, The Legal System of Israel, in The International and Comparative Law Quarterly, 13, 1964, pag. 254, in cui l’Autore ricorda come anche nella bozza della Costituzione israeliana, mai promulgata, vi fosse un articolo che imponeva che il legislatore nazionale avesse riguardo ai principi del diritto ebraico tradizionale.

160 I.E

NGLARD, The Religious Law in the Israeli Legal System, Jerusalem, 1975, pag. 49 e ss.

161

S. LIFSHITZ, Israeli Law and Jewish Law, cit., pag. 513 e ss. Vi è un ampio dibattito sull’interpretazione delle nozioni del diritto ebraico incorporate nella legislazione statale, che si collega a sua volta al dibattito culturale sul ruolo che il diritto tradizionale dovrebbe avere nello Stato. Vedi infra capitolo V.

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2. La nascita del movimento sionista.

Nel corso dei secoli, fin dai tempi della Diaspora, sporadici pellegrinaggi e migrazioni verso la Palestina furono compiuti da ebrei europei ed orientali per motivi religiosi e di studio. Tra il XIV e il XVIII secolo questa tendenza si intensificò, tanto che nel 1880 si poteva contare una comunità ebraica in Palestina di circa 25.000 individui su una popolazione totale di circa 500.000 persone162. Questo nucleo originario costituiva il cosiddetto “vecchio yishuv”163: molto ortodosso, molto povero, esso sopravviveva anche grazie all’aiuto delle comunità della Diaspora.

Il sogno di uno Stato ebraico nacque proprio nella seconda metà del XIX secolo: in quel momento storico, nel contesto delle lotte ottocentesche per l’indipendenza (in Ungheria) e per l’unificazione (in Italia e in Germania), si assisteva alla creazione del movimento politico del Sionismo. Di fronte alla violenza dell’antisemitismo e delle persecuzioni, si fece strada un movimento nazionalista ebraico che progettava la creazione di uno Stato per tutti gli ebrei164. L’aspetto da evidenziare è che l’ideologia sionista e le sue prime conquiste furono opera di ebrei assimilati e laici, che rigettavano in toto la concezione religiosa e messianica del ritorno alla Terra Promessa e dell’avvento del Messia: tra i precursori del Sionismo165 troviamo infatti il tedesco Moses Hess166 (1812-1875), collaboratore di Marx ed Engels e sostenitore della creazione di uno Stato socialista ebraico caratterizzato dalla collettivizzazione della

162 E.B

ARNAVI, Storia d’Israele, Milano, 1996, pag. 10 e ss. L’alyah, la “risalita” verso la terra di Israele è considerata dai rabbini come il primo dei comandamenti di D-o: per questo durante la cena pasquale si brinda dicendo “all’anno prossimo a Gerusalemme”. In tutte le epoche vi furono piccoli movimenti migratori verso la Palestina. Gli Avelei Sion (i funestati di Sion) nel VII secolo, la setta dei karaiti nel IX secolo, l’alyah di Nahmanide e dei suoi discepoli nel XIII secolo, quella di Ovadia da Bertinoro con i suoi discepoli italiani durante il XV secolo, l’ondata di immigrazione degli ebrei spagnoli e portoghesi dopo i decreti di espulsione dei re cattolici, quella degli ebrei dell’Africa settentrionale nel XVI secolo e quella provocata dalla grande febbre messianica di Shabbetai Zevi, il falso Messia, nel XVII secolo, l’immigrazione degli Hassidim dai Paesi Baltici e dalla Polonia nel XVIII secolo. Alla fine dell’Ottocento i circa 25.000 ebrei in Palestina vivevano in gran parte nelle quattro città sante, Gerusalemme, Tiberiade, Safed, Hebron.

163 D.B

ENSIMON, Religion et Etat en Israel, Paris, 1992, pag. 36. Il termine yishuv viene utilizzato per indicare la comunità ebraica stabilitasi in Israele prima della fondazione dello Stato. Quando si parla di vecchio yishuv in particolare ci si riferisce alla popolazione ebraica stabilitasi in Palestina ancor prima del 1880.

164 E.B

ARNAVI, Storia d’Israele, cit., pag. 15. All’inizio il Sionismo non suscitò molti consensi: gli ebrei assimilati e in via di assimilazione erano infastiditi dal Sionismo poiché proponeva loro uno spiacevole richiamo all’identità nazionale. Gli ortodossi rifiutavano con orrore una dottrina che pretendeva di sostituirsi al Messia, i rivoluzionari lo combattevano considerandolo una manifestazione di sciovinismo piccolo-borghese. E’ solo con gli anni ’80 del XIX secolo che il Sionismo cominciò a far presa, a causa della crescita dell’antisemitismo in Europa centrale e occidentale e del moltiplicarsi di pogrom in quella orientale. Il Sionismo però era ancora lontano dall’emergere quale corrente di importanza primaria: gli Stati Uniti per molti anni saranno ancora la meta prediletta dell’emigrazione ebraica.

165 A.H

ERTZBERG, The Religious Right in the State of Israel, in Annals of the American Accademy of Political and Social Science, 483, 1986, pag. 84 e ss.

166

D.BENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag. 38-39. Nato a Bohn da una famiglia ortodossa, si distacca presto da quell’ambiente per condurre studi di filosofia. Nel 1861 pubblica l’opera “Roma e Gerusalemme, l’ultima questione delle nazionalità”, in cui appunto tratteggia la questione ebraica come un problema nazionalistico. Egli considera l’etica ebraica come un elemento proto-socialista.

La nascita dello status quo

55 terra e dei mezzi di produzione; il russo Leo Pinsker167 (1821-1891), ispiratore del movimento giovanile degli Amanti di Sion, tra i quali vi saranno i partecipanti alla prima ondata migratoria verso la Palestina; e soprattutto Theodore Herzl168 (1860- 1904), autore nel 1986 del volume “Lo Stato degli ebrei. Contributo per una soluzione moderna della questione ebraica”. Herzl, al contrario di Hess, era un conservatore, ma si opponeva fieramente all’idea di una teocrazia; pur consapevole dell’importanza dei rabbini per raccogliere consenso circa il progetto di fondazione dello Stato, riservava ad essi solo le funzioni che lo Stato avesse ritenuto di assegnare loro. Prevedeva infatti che un’eccessiva ingerenza dei rabbini negli affari dello Stato avrebbe potuto creare tensioni sia interne che esterne. Questi passaggi, poco apprezzati da molti religiosi dell’epoca, celano forse i primi segnali delle difficoltà nelle relazioni laici/religiosi del futuro Stato169.

Nell’agosto del 1897 Herzl convocò a Basilea un congresso che riuniva 200 delegati provenienti dalle principali comunità della Diaspora in diciassette Paesi: l’Organizzazione Mondiale Sionista venne fondata e, scartate ipotesi di destinazioni alternative come l’Argentina, venne individuata la Palestina come luogo prescelto per la creazione di un focolare nazionale ebraico in quanto unica opzione in grado di far convergere i consensi di tutti i partecipanti170. Come si è detto, Herzl era un conservatore e fino alla sua morte, avvenuta nel 1904, continuò a rappresentare la maggioranza del movimento sionista, tuttavia già alla riunione del secondo congresso mondiale del Sionismo cominciarono a fronteggiarsi nuove correnti e nuove ideologie, antesignane dei principali partiti politici protagonisti della storia di Israele171.

Alcuni sionisti per esempio sostenevano la necessità di una sintesi tra nazionalismo ebraico e dottrina socialista, poiché sembrava inconcepibile l’idea della creazione di un nuovo Stato basato sulla disuguaglianza sociale: tra il 1899 e il 1904 nacquero

167 D.B

ENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag. 38-39. Nato ad Odessa, medico, nel 1882 pubblica il volume “L’auto-emancipazione. Avvertimento al suo popolo da parte di un ebreo russo”. Secondo Pinsker l’emancipazione non è la soluzione che metterà fine alle sofferenze del popolo ebraico (nel 1881 si era appena conclusa in Russia un’ondata di pogrom), e critica anche la concezione religiosa ortodossa della redenzione. Il popolo ebraico non deve attendere passivamente l’intervento di una potenza superiore per la sua resurrezione politica.

168 D.B

ENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag. 41 e ss. Herzl nasce a Budapest in una famiglia di ebrei assimilati. Dopo gli studi di giurisprudenza a Vienna diviene giornalista e corrispondente dalla Francia. Il sentimento di antisemitismo che accompagna il processo Dreyfuss, che lui segue in qualità di corrispondente, lo inducono a redigere l’opera “Der Judenstaat. Versuch einer modernen Lösung dei Judenfrage”. Egli considera la questione ebraica come né religiosa né sociale, bensì nazionale: nella sua concezione gli ebrei sono un popolo e perciò viene rigettata sia la tradizione di emancipazione sia la visione dell’ebraismo come semplice confessione religiosa.

169

D.BENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag. 43.

170 E. B

ARNAVI, Storia d’Israele, cit., pag. 19. Nel 1903 la Gran Bretagna propose ufficialmente l’Uganda: la disperata situazione degli ebrei russi e i limiti all’immigrazione in Palestina porteranno Herzl a far propria la proposta al sesto congresso sionista a Basilea nel 1903. La soluzione provvisoria venne accolta ma morto Herzl, l’ottavo congresso sionista nel 1905 rigetterà definitivamente la chimera africana.

171 B.K

IMMERLING, The Invention and Decline of Jewishness, Berkeley, Los Angeles, London, 2004, pag. 191. Il nazionalismo di molti dei precursori del Sionismo non era una pura astrazione teorica, ma un pensiero interpolato da altre ideologie come il liberalismo classico e varie forme di socialismo, compreso il comunismo. Inoltre si può ricordare come il Sionismo si sia formato alla fine dell’era coloniale, della cui mentalità era partecipe: l’immigrazione ebraica veniva accomunata ai grandi movimenti intercontinentali dell’epoca.

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movimenti come i Poalè Sion, i lavoratori di Sion, con la tendenza a frazionarsi in più correnti a seconda della maggiore o minore adesione alla dottrina marxista. Dalle fila di questo movimento sarebbero venuti la maggior parte dei partecipanti alla seconda e terza alyah e alcune delle maggiori personalità tra i fondatori dello Stato, primo fra tutti David Ben Gurion. In questi anni il Sionismo “di sinistra” non voleva dire soltanto ricerca di un rifugio per gli ebrei perseguitati: era anche e soprattutto un moto di protesta contro la vita negli shtetl dell’Europa orientale172 e l’aspirazione alla costruzione di una società egualitaria. La forza del movimento avrebbe portato il sionismo socialista a diventare la corrente maggioritaria per tutta la prima metà del XX secolo, suscitando ovviamente la fiera opposizione dell’ortodossia religiosa che vedeva nel Sionismo una vera e propria eresia.

Un’altra corrente del Sionismo che si sviluppò alla fine del XIX secolo fu quella di ispirazione religiosa. Molti pionieri del Sionismo non si erano neppure mai interrogati sulla natura religiosa o laica dello Stato che speravano di creare173, vi era una sorta di ambiguità ideologica che consisteva nel fatto che pur sostenendo la costruzione di uno Stato laico e moderno, l’identità nazionale sulla quale si faceva leva affondava le radici proprio nella religione: sebbene orientato verso la laicità, il Sionismo usava la tradizione come fonte di legittimazione. Non stupisce perciò che tra i precursori del Sionismo si trovassero anche alcuni rabbini, così come il fatto che qualche ebreo religioso facesse parte del movimento degli Amanti di Sion174. Nel 1902 alcuni ebrei russi ortodossi crearono il movimento chiamato Mizrahi, che confluì presto nell’Organizzazione Mondiale Sionista: questa corrente, antenata del primo grande partito religioso dello Stato, sosteneva la necessità di una sintesi tra la religione e la nazione ebraica. Rigettando l’idea di uno Stato ebraico del tutto laico, lo scopo era quello di esercitare pressione all’interno del Sionismo affinché la legge religiosa diventasse in futuro la legge dello Stato. Questi tentativi “moderati” di affermazione della tradizione religiosa verranno duramente condannati da alcuni ebrei ortodossi che creeranno nel 1912 un altro movimento, del tutto autonomo rispetto al Sionismo, chiamato Agudath Israel. L’Agudath Israel rifiutava ogni tipo di collaborazione con il Sionismo, visto come il frutto di ideologie europee volte a privare l’ebraismo del suo apporto religioso e culturale175. Sin dall’inizio dunque i rapporti tra religiosi ortodossi e Sionismo laico risultarono conflittuali.

Da una parte troviamo infatti il Sionismo che, pur richiamandosi alla tradizione per fondare il concetto di nazione ebraica, propugnava una sorta di redenzione laica

172 D.B

ENSIMON, Religion et Etat en Israel, cit., pag. 46.

173 A.G

ROSS-SCHARFER,W.JACOBSEN, If Not Now, When? The Case for Religious Liberty in the State of Israel, in Journal of Church and State, 2002, pag. 524. Per molti semplicemente vivere e lavorare la terra

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