internazionale e il tentativo di controllo dei flussi migratori
nel Mediterraneo
La crisi economica che ha colpito il mondo occidentale in seguito allo shock petrolifero del 1973, è la prima causa di cambiamento del contesto migratorio nel
Mediterraneo. L'Europa reagisce all'aumento della disoccupazione e all'abbassamento del tasso di crescita con politiche che, limitando le migrazioni, controllano le migrazioni spontanee e incoraggiano il ritorno dei migranti nel paese d'origine. Questo tentativo di rallentamento dei flussi migratori è accompagnato da importanti campagne di regolarizzazione di coloro che, arrivati in Europa, e avendo superato la validità del visto turistico, hanno però nel frattempo trovato
un'occupazione (nel 1973, 16 500 tunisini sono stati regolarizzati11).
Un'eccezione alla limitazione dell'immigrazione è rappresentata dai contratti stagionali, che sembrano sostituire i contratti di lunga durata nei settori in cui non si trova manodopera all'interno del territorio nazionale. I contratti stagionali realizzati in Tunisia tra il 1970 e il 1973 hanno subito un aumento da 252 a 2 21812.
La politica migratoria dei paesi europei comincia quindi a concentrarsi sull'integrazione degli stranieri già presenti sul territorio, facilitando e incoraggiando la migrazione famigliare. In effetti, fino agli anni 2000, la percentuale d’immigrazione familiare cresce costantemente in relazione alla migrazione per lavoro (18,6% dell'immigrazione regolare nel 1973, 50,9% nel 1974, 93,2% nel 1993). In Francia, nel 1993, più del 90% di tunisini entrano nel paese nell'ambito del ricongiungimento familiare (H. Boubakri, 2010). Per quanto riguarda le politiche dei paesi europei, focalizzate sull'incoraggiamento al ritorno dei migranti, esse non sembrano essere efficaci: sono pochi i migranti che utilizzano i canali ufficiali predisposti per i rientri (J.-‐P. Cassarino, 2008) .
Dal punto di vista dell'accesso ai paesi europei da parte di stranieri, a partire da questo momento, si instaura progressivamente una maggiore severità dei controlli sull'immigrazione e le condizioni da adempiere per entrare in Europa diventano sempre più numerose.
Nel 1986, la Francia introduce l'obbligo di richiesta del visto dalla Tunisia. Il visto turistico di tre mesi non è quindi più fornito automaticamente all'entrata sul territorio francese, ma una selezione viene fatta in Tunisia dall'ambasciata
11 Dati dell’ Agence Nationale d’Accueil des Étrangers et des Migrations
francese13. Questa scelta del governo francese è la diretta conseguenza degli
attentati che il paese ha subito in quegli anni.
È in questo momento che i ritorni forzati, in caso di entrata o di soggiorno irregolari sul territorio, cominciano a essere organizzati e realizzati dalle istituzioni, benché fossero previsti sin dall'accordo di manodopera del 1969.
Inoltre, nello stesso periodo, i paesi europei si accordano per l’abolizione delle frontiere interne all’Unione Europea e per la creazione di uno spazio di libera circolazione dei prodotti, dei capitali e delle persone. Schengen entra pienamente in vigore nel 1995. Questo sistema prevede anche che tutti i paesi aderenti forniscano a chi non proviene dai paesi dell’Unione Europea un visto che permette di viaggiare liberamente nell'insieme dei paesi stessi. La difficoltà di ottenimento di un visto Schengen sconvolge i flussi migratori diretti in Europa, e ha come effetto l'aumento
dell'immigrazione irregolare e l'inizio del fenomeno degli harraga14. Spinti
dall'impossibilità di ottenere un visto per l'Europa, migliaia di migranti ogni anno decidono di attraversare il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna. Questo viaggio, al di fuori dei canali legali di arrivo in Europa, è molto rischioso e provoca ogni anno la morte di centinaia di persone. Dal 1988, è stato calcolato che il numero di morti dovuto a queste traversate è stato pari a 13 417 persone, di cui 6 226 nel Canale di Sicilia15.
Nonostante l'aumento dei controlli sulle migrazioni da parte dei paesi europei, e un inasprimento dei criteri per l'ammissione degli stranieri, i flussi migratori verso l'Europa non sembrano diminuire.
Il contesto politico internazionale influenza anche le migrazioni tunisine in Libia. Il progressivo degrado dei rapporti con i suoi primi paesi di esportazione culmina con
13 Nel 2012, le procedure di concessione dei visti in Tunisia è stata delegata a un'impresa privata
che collabora con l'ambasciata francese.
14 Questo termine in arabo significa “coloro che bruciano” e si riferisce all’azione di bruciare il
passaporto e i documenti d’identità. Quest’azione compiuta prima del viaggio dei migranti che decidono di partire in barca attraverso il mediterraneo simboleggia il distacco dal paese d’origine e l’inizio di una nuova avventura altrove.
15 Stime aggiornate al 10 marzo 2011, basate sugli articoli della stampa internazionale pubblicati
sul blog del giornalista Gabriele del Grande, Fortress Europe : http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/forteresse-europe.html
l'embargo della comunità internazionale nel 1992. Il colonnello Gheddafi reagisce alle conseguenze socio-‐economiche dell'embargo con l'espulsione di 50 000 tunisini nel 1985 (H. Boubakri, 2010 pag. 8). Nonostante questa crisi, la realizzazione della libera circolazione con la Libia nel 198916, permette ai tunisini di effettuare dei
viaggi di andata e ritorno per attività commerciali senza immigrare stabilmente nel paese. Contemporaneamente, la politica panafricana della Libia permette l'arrivo di lavoratori egiziani e subsahariani, che fanno concorrenza alla manodopera tunisina, scoraggiandola. A questo punto, l'Italia sostituisce la Libia come terzo paese di accoglienza dei tunisini.
Il resto del mondo arabo, toccato da crisi economiche e da tensioni politiche, per tutto il periodo che va dal 1980 al 1990, cessa di essere la destinazione principale dell'immigrazione tunisina.
16 In seguito alla creazione dell'Union du Maghreb Arabe (UMA), l'organizzazione economica e
2.2. GLI ANNI 1990: L’INTERNAZIONALIZZAZIONE E LA
CRIMINALIZZAZIONE DELLE MIGRAZIONI
Il contesto economico e politico internazionale, in particolare dopo la creazione dell'Unione Europea (UE) e dello spazio Schengen, nonché le relazioni diplomatiche tra Stati, hanno avuto una forte influenza sull'evoluzione delle politiche e delle leggi tunisine, ma anche sulle dinamiche migratorie. Come abbiamo spiegato in precedenza, prima dei primi accordi di manodopera, le migrazioni avvenivano al di fuori di qualsiasi quadro giuridico specifico. Dagli anni 1970, e in particolare dagli anni 1980, si comincia a dare reali strumenti alle istituzioni interessate per mettere in pratica i regolamenti nazionali e, successivamente, i regolamenti europei. I governi cominciano a esercitare un controllo effettivo sui flussi migratori, creando anche un sistema di accordi bilaterali per il controllo degli arrivi e degli eventuali rimpatri, coercitivi o volontari.
In questo capitolo si ripercorrerà l'evoluzione del contesto legislativo europeo relativo alle migrazioni, per poi analizzare gli accordi bilaterali tra Tunisia e Francia e Italia, i due più importanti paesi di immigrazione tunisina. Infine si mostrerà come queste relazioni hanno influenzato la creazione e l'evoluzione della legislazione tunisina in materia di migrazioni.
2.2.1. L’evoluzione della politica migratoria europea verso una
migrazione selezionata
Il rafforzamento della coesione politica all'interno dell'Unione Europea porta alla creazione dello spazio di libera circolazione di Schengen nel 1985. A partire da questo momento, la politica migratoria, anche se rimane una prerogativa nazionale, è sempre di più soggetta a una gestione comune da parte dell'Unione.
A partire dagli anni 90, i paesi membri dell'unione europea cercano di instaurare un dialogo diplomatico per concludere degli accordi con i paesi del Mediterraneo. Tali
accordi sono finalizzati a legare la cooperazione economica a una gestione congiunta
della politica migratoria europea. Ne sono un esempio il dialogo 5+517, la
Dichiarazione di Barcellona del 1995, che instaura il processo di Barcellona18 (la cui
più recente evoluzione è l'Unione per il Mediterraneo19 nel 2006), e il Dialogo sulle
Migrazioni di Transito nel Mediterraneo20.
Dal trattato di Amsterdam (1997), si decide che la politica migratoria e di asilo sia inserita nel quadro dello spazio "libertà, sicurezza e giustizia", che fa parte del primo pilastro, quello in cui gli Stati membri hanno trasferito una parte importante della propria sovranità. In questo momento comincia quindi la comunitarizzazione delle politiche migratorie. Dopo l'11 settembre 2011 però, l'immigrazione irregolare insieme al crimine organizzato e al terrorismo, diventano argomenti trattati in vari gruppi di lavoro all'interno del terzo pilastro, nello spazio "giustizia e affari interni", a carattere molto più intergovernativo.
Con il Consiglio di Tampere nel 1999, il cui obiettivo era di programmare l'armonizzazione, in cinque anni, della politica d’immigrazione all'interno dell'Unione Europea, si comincia a parlare di accordi di riammissione, necessari per poter eseguire le espulsioni. Con l'accordo di Cotonou nel 2000, tra l'UE e gli ACP
17 Il Dialogue 5+5 (1990, Roma) rappresenta il primo incontro tra i paesi del Mediterraneo
occidentale. L'obiettivo era di avviare un processo di cooperazione regionale nel Mediterraneo occidentale che coinvolgesse Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Malta, per la riva nord, e cinque paesi dell'unione del Maghreb arabo per la riva sud (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia).
18 Il processo di Barcellona o Euromed, lanciato nel 1995 con la Dichiarazione di Barcellona, ha
l'obiettivo di creare una partnership tra i paesi del Mediterraneo per costruire uno spazio di pace, sicurezza e di prosperità condivise, grazie ad azioni nei settori politico, economico, finanziario, culturale e sociale. Se a livello economico l'obiettivo è la creazione di un mercato di libero scambio, la libera circolazione delle persone non è prevista. La cooperazione per il controllo dell'immigrazione e per la lotta contro il terrorismo è diventata une dei settori prioritari della partnership. I paesi membri sono l'Unione Europea, Algeria, Autorità Palestinese, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia e Turchia, Albania e Mauritania (dal 2007). La Libia ha lo statuto di osservatore.
19 L’Unione Per il Mediterraneo è uno dei progetti scaturiti dal processo di Barcellona. Fondata
nel 2008, si tratta di un'organizzazione internazionale intergovernativa a vocazione regionale. Gli obiettivi principali sono di ordine energetico e ambientale.
20 Fondato nel 2002, il MTM è una struttura informale che riunisce i funzionari e gli esperti di
migrazione. L'obiettivo delle conferenze è scambiare informazioni per elaborare una strategia contro le migrazioni irregolari e per il coordinamento delle migrazioni regolari. Le conferenze accolgono i partner arabi ed europei e altri osservatori come FRONTEX, l'Organisation de l’Union Africaine, ecc..
(79 paesi d'Africa, dei Caraibi e del Pacifico) si richiede per la prima volta l'introduzione degli accordi di riammissione nella legislazione interna di questi paesi. Le riammissioni non riguardano solo i cittadini aventi la nazionalità di uno dei paesi firmatari, ma anche i non-‐cittadini che ne hanno attraversato il territorio per raggiungere l'Europa.
In merito al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini dei paesi terzi, una direttiva del consiglio del 28 maggio 200121 sancisce che una
decisione di allontanamento formulata da uno Stato membro si applica automaticamente su tutto il territorio dell'Unione. Inoltre, la direttiva del 28 giugno 200122 prevede una sanzione per chi si rende responsabile del trasporto all'interno
dell'Unione Europea di cittadini di paesi terzi non in possesso dei titoli o dei visti necessari.
Nel 2002, il consiglio di Siviglia ribadisce l'importanza della lotta contro l'immigrazione clandestina e condiziona gli aiuti allo sviluppo alla volontà di cui faranno prova i paesi di emigrazione se vorranno collaborare a questa lotta. Nelle Conclusioni della Presidenza del Consiglio, vengono dichiarati i principi da seguire per favorire la prosperità economica dei paesi coinvolti e, grazie a questo, per
ridurre le cause all'origine dei movimenti migratori23. I mezzi per arrivare a questi
obiettivi sono l'intensificazione della cooperazione economica, lo sviluppo degli scambi commerciali, gli aiuti allo sviluppo e la prevenzione dei conflitti. Il consiglio richiede che negli accordi futuri con i paesi terzi venga inserita una clausola relativa alla gestione dei flussi migratori, ma anche alla riammissione obbligatoria in caso di immigrazione illegale. L'obbligo non è limitato alle persone che possiedono la nazionalità del paese terzo, ma include anche le persone che non hanno la nazionalità, il cui transito attraverso il paese in questione può però essere riscontrato. Questo è il principio chiave contenuto in tutti gli accordi bilaterali tra i paesi della riva nord e i paesi della riva sud del Mediterraneo, che lega la
21 Direttiva 2001/140/CE del Consiglio europeo, 28 maggio 2001. 22 Direttiva 2001/51/CE del Consiglio europeo, 28 giugno 2001.
cooperazione allo sviluppo alla collaborazione per la lotta contro l'immigrazione illegale.
Il consiglio europeo del 4 e 5 novembre 2004 approva il programma dell'Aia (2005-‐ 2010)24 e definisce le priorità relative al nuovo spazio di "giustizia, libertà e
sicurezza": lottare contro l'immigrazione illegale, in particolare contro la tratta di donne e di bambini; favorire l'integrazione dei migranti nei paesi dell'Unione Europea. Insiste sull'attuazione del sistema informatico relativo ai visti, che deve essere applicato su larga scala e che sarà realizzato con il nome di Schengen
Information System (SIS), insieme alla creazione di Frontex25 (agenzia europea per
la gestione della cooperazione operativa le frontiere esterne degli Stati membri)26 .
Nel 2004 viene elaborata anche la Politica Europea di Vicinato per rinforzare il processo di Barcellona. Tale politica prevede che l'Unione firmi degli accordi di partenariato e di cooperazione economica e finanziaria con i paesi della riva sud del Mediterraneo, tra cui la Tunisia. Come contropartita si richiedono degli impegni in materia di garanzie dei diritti dell'uomo e una liberalizzazione dei movimenti di capitali e merci. Tale politica esige anche un impegno per quanto riguarda il controllo dei flussi migratori per la lotta all'immigrazione illegale. L'unione europea cerca in questo modo di spostare la gestione delle sue frontiere nel Nord d'Africa, spingendo i governi maghrebini a farsene garanti.
Questo aspetto è sottolineato dalla prima Conferenza Euro-‐Africana sulle Migrazioni e lo Sviluppo tenutasi a Rabat nel 2006, che riunì 60 paesi euro-‐africani e l'Unione Europea. I ministri degli affari esteri e i ministri competenti in materia di migrazioni dei paesi partecipanti si incontrano per trovare un accordo sui principi fondamentali di una cooperazione che ha come obiettivo lo sviluppo dei paesi del sud, in cambio di un controllo più severo sulle migrazioni da questi paesi.
Con il Trattato di Lisbona (2007), l'immigrazione entra nel diritto comunitario dell'Unione Europea, diventa quindi oggetto di co-‐decisione tra la Commissione e il
24http://europa.eu/legislation_summaries/justice_freedom_security/citizenship_of_the_union/l160
02_fr.htm
25Agence de control des FROntières EXtérieures - agenzia di controllo delle frontiere esterne.
26http://europa.eu/legislation_summaries/justice_freedom_security/free_movement_of_persons_a
Parlamento, attraverso l'approvazione a maggioranza qualificata. Questo viene considerato come un passo avanti perché comporta una maggiore democraticità nel processo decisionale riguardante l'argomento. Le decisioni relative all'entrata sul territorio e alla gestione delle migrazioni all'interno dello spazio nazionale rimangono comunque prerogative nazionali.
La direttiva sui rimpatri del 16 dicembre 200827 definisce le condizioni della
detenzione preventiva e l'allontanamento degli stranieri e fissa a 180 giorni la durata massima della detenzione di un immigrato clandestino dei centri di detenzione previsti. Questa direttiva fissa degli standard più bassi rispetto a quelli già previsti da molti Stati.
Nel 2009, con il programma di Stoccolma28, la Commissione europea presenta il
piano per lo sviluppo di un sistema di sorveglianza delle frontiere europee (EUROSUR29), che fino ad ora ha visto un'evoluzione importante a livello politico,
ma anche tecnico. EUROSUR è considerato come l'iniziativa chiave della strategia di sicurezza interna dell'Unione Europea.
La Tunisia è il primo Stato maghrebino ad avere ratificato l'accordo d'associazione euro-‐mediterraneo e nel 2010 ha avviato i negoziati per ottenere lo "status
avanzato"30 presso l'Unione Europea, ottenuto alla fine del 2012. La pressione
europea, attraverso incontri diplomatici e accordi bilaterali ha influenzato notevolmente la formazione della politica e della legislazione migratoria in Tunisia.
27http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32008L0115:fr:NOT
28http://europa.eu/legislation_summaries/human_rights/fundamental_rights_within_european_uni
on/jl0034_fr.htm
29 Questo sistema attua un meccanismo grazie al quale le autorità degli Stati membri, che si
occupano della sorveglianza delle frontiere, possono cooperare e scambiare informazioni tra loro e con Frontex.
30 Lo "status avanzato" consiste nell'attuazione di una zona di libero scambio e nell'accesso della
Tunisia alle prestazioni delle agenzie europee specializzate: Eurojust, Europol, Agenzia europea per la sicurezza aerea o l'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze. Lo statuto di partner privilegiato comprende anche la promozione della cooperazione tra i due firmatari, nel settore della formazione e della ricerca, la creazione di partnership che coinvolgano le istituzioni di ricerca e l'attuazione di una serie di piattaforme tecnologiche in cui saranno coinvolte le imprese.