Inasprimento delle leggi, controllo delle partenze e diffusione delle attività illegali legate alla migrazione.
I migranti più giovani, il cui percorso migratorio comincia dopo la metà degli anni 1980, hanno incontrato maggiori difficoltà per quanto riguarda la partenza, ma anche per quanto riguarda il loro status di straniero in Europa.
Le partenze intraprese all’interno dei percorsi ufficiali, stabiliti dagli accordi di manodopera firmati con la Francia, sono limitate a causa del numero ridotto di contratti disponibili e dell'aumento dei criteri necessari per ottenere un permesso di soggiorno. Per questo motivo una parte di migranti parte con il visto turistico per poi cercare lavoro sul posto. Tuttavia, non è semplice riuscire a partire in modo regolare dopo l'inasprimento delle condizioni di concessione dei visti in Francia a partire dal 1986 e in Europa dal 1995 dopo l'introduzione del visto Schengen.
In generale, per comprendere e realizzare tutte le tappe richieste dalle ambasciate europee, è necessario recarsi diverse volte a Tunisi, dove si trovano gli uffici amministrativi. Inoltre, bisogna ricordare che in Tunisia, in alcune zone rurali, i bambini non sono registrati alla nascita. Si comprenderà quindi la difficoltà in certi casi di fornire i documenti richiesti. Infine, le condizioni poste per la concessione di visti turistici prevedono che il cittadino che lo richiede abbia validi motivi per rientrare, ad esempio un lavoro stabile, per diminuire il rischio che rimanga nel paese oltre alla data limite fissata dal visto. Questo criterio è spesso difficile da
soddisfare, perché in molti casi i candidati alla partenza lavorano senza contratto, o sono studenti (l'iscrizione all'università non è sufficiente per assicurare il ritorno alla scadenza del visto).
Dall'imposizione dei visti per i tunisini nel 1986, un secondo criterio impone di dimostrare che si possiede una somma sufficiente di denaro per sopravvivere nel paese d'accoglienza attraverso l'inserimento nel fascicolo di richiesta del visto dell'estratto conto bancario. In Tunisia non tutti possiedono un conto bancario, nella maggioranza dei casi il pagamento dello stipendio si effettua in contanti in loco. La difficoltà della procedura, aggiunta al rischio di vedersi rifiutare il visto, spinge i migranti a cercare strade alternative. Sulla base delle conoscenze e delle reti all'estero e sul territorio tunisino, il migrante trova altri mezzi per partire a costi differenti.
Nella maggioranza delle testimonianze, si parla di un intermediario che si occupa di definire il collegamento tra migranti e amministrazione in un contesto di corruzione. Alcuni pagherebbero tra 16 000 e 30 000 dinari (tra 8 000 e 15 000 euro) per un visto falso per un qualsiasi paese europeo. Questo permette loro di approfittare dello spazio di libera circolazione di Schengen per raggiungere il paese di destinazione. Altri acquistano un contratto di lavoro (10 000 o 20 000 euro), reale o finto, e riescono così ad ottenere un permesso di soggiorno. Altri ancora, avendo un parente prossimo che ha un contratto in Europa e che rientra per la pensione, prendono il suo posto. Un altro sistema per partire è via nave, dalla Libia o direttamente dalla Tunisia (il prezzo è tra i 500 e i 1000 euro da dopo la rivoluzione). Alcuni, grazie a un falso permesso di soggiorno riescono a fare delle andate-‐ritorno e mantenere i contatti con la famiglia (200 euro). Durante la rivoluzione, con una diminuzione dei controlli da parte tunisina, la fine della paura delle ritorsioni della polizia, e il basso costo della traversata, c'è stato un aumento delle partenze via mare.
L'approvazione della famiglia è importante per un giovane candidato alla partenza. In generale, tranne il rifiuto della partenza via mare, a causa della sua pericolosità, la famiglia sostiene il giovane nel suo progetto migratorio, e se un membro della famiglia è già all'estero, cercherà di ottenere un contratto o dei documenti falsi.
Per chi arriva nel paese scelto, è difficile rientrare nel caso in cui si renda conto che non trova lavoro o che la situazione non corrisponde a quello che si desiderava. Le aspettative create nel lungo periodo di preparazione del viaggio, il rischio di essere incarcerato in Tunisia64, i debiti contratti con amici e genitori e la famiglia sono
anch'essi un ostacolo al ritorno. La persona sente una sorta di obbligo a rimanere nel paese d'accoglienza finché non li avrà rimborsati e avrà guadagnato abbastanza denaro per rientrare senza subire umiliazioni. Il migrante spera di regolarizzare, prima o dopo, la sua situazione. Nel frattempo sopravvive grazie ad amici e alla famiglia all'estero, e talvolta anche facendosi inviare del denaro dalla Tunisia.
Il soggiorno nel paese d’accoglienza: la moltiplicazione e precarietà degli status giuridici
Durante il periodo passato nel paese di accoglienza, lo statuto giuridico del migrante è spesso oggetto di cambiamenti. In Italia, ad esempio, i migranti irregolari possono approfittare di campagne periodiche di regolarizzazione di massa, oppure, se si trova un datore di lavoro disponibile all'assunzione, di una regolarizzazione tramite contratto di lavoro. In Francia, queste possibilità sono ridotte ma esistono. Una grossa campagna di regolarizzazione è stata effettuata nel 1998, a seguito di importanti manifestazioni dei lavoratori irregolari svoltesi nel 1996 (un'altra campagna nel 2006, era riservata ai bambini scolarizzati in Francia e ai loro genitori). Per quanto riguarda le regolarizzazioni tramite contratto di lavoro, esse si limitano a professioni definite dalla prefettura e sono possibili dalla legge del 2006 e, in particolare, con l'applicazione dei protocolli dell’"Accordo quadro relativo alla gestione concertata delle migrazioni e allo sviluppo solidale tra il governo della Repubblica francese e il governo della Repubblica tunisina", firmato a Tunisi il 28 aprile 2008. Allo scadere del contratto o del titolo di soggiorno, il migrante rientra nella categoria degli irregolari. Un'altra possibilità consiste nel mostrare di aver vissuto ininterrottamente in Francia e di essersi integrato abbastanza bene
(esistenza di legami sociali e conoscenza base della lingua) per un periodo di 10 anni (la legge del 24 luglio 2006 ha abrogato questa possibilità) per poter portare il proprio file in prefettura e regolarizzare la situazione. Per i lavoratori irregolari, questo è possibile se riescono a procurarsi un permesso di soggiorno falso che permette loro di essere assunti, non in nero, e di ricevere i documenti legati allo stipendio e al sistema di previdenza sociale.
Gli effetti di questa condizione di precarietà si riflettono sulla vita familiare del migrante. Come già detto, la durata del periodo tra la partenza e il matrimonio, nel caso in cui il migrante sia celibe, cambia in funzione dello status all’estero e dello stipendio del migrante. Il fatto di partire in modo irregolare comporta un ritorno tardivo, a causa del periodo più lungo necessario per ottenere la regolarizzazione e per guadagnare abbastanza denaro per sposarsi. Inoltre, le magre entrate dovute allo sfruttamento del lavoro nero e all’irregolarità dell'occupazione, nonché l'irregolarità di entrate stabili, impediscono al migrante di occuparsi delle necessità della sua famiglia, se non addirittura delle proprie.
I migranti che riescono ad ottenere una regolarizzazione vengono visti come esempio di successo. Saranno in grado di occuparsi della famiglia, di costruire una casa moderna, di fornire una buona istruzione ai figli, e quindi di migliorare il proprio status sociale. Sono in una condizione invidiabile, perché nonostante le difficoltà del periodo di irregolarità, sono riusciti ad avere un permesso di soggiorno. Questi esempi di successo, poco importa quanti sono, aumentano la propensione alla partenza di altri migranti.
Il ritorno: maggiori probabilità di fallimento del progetto migratorio
Per quanto riguarda il ritorno definitivo, il caso degli irregolari è più problematico. Se si rientra volontariamente, si rischia che l'amministrazione tunisina alla dogana si renda conto della partenza illegale, a causa della mancanza del timbro di uscita dal paese. In casi come questo la legge tunisina prevede fino a sei mesi di
detenzione65. Nel caso in cui il ritorno sia forzato, il migrante è sottoposto a una
doppia umiliazione. L'umiliazione della detenzione nel paese di accoglienza e la il ritorno forzato al paese d'origine sono vissuti come un fallimento. Durante le interviste, quando si chiedono informazioni sulla situazione dopo il rimpatrio, le risposte sono omogenee. Chi non lavorava prima di emigrare, continua a non trovare lavoro, e chi lavorava in una situazione precaria, ha perduto il diritto a quel lavoro. Il fallimento del progetto migratorio non permette un facile reinserimento nel paese d'origine. I debiti, le prese in giro degli amici, aggiunte alle umiliazioni ripetute e subite durante il viaggio, non permettono di riscattarsi dalla situazione di illegalità.
Secondo gli studi realizzati a questo proposito da Mehdi Mabrouk (2010), all’epoca delle prime partenze irregolari gli harraga erano considerati negativamente dalla società. Erano stigmatizzati ed emarginati, specialmente da chi possedeva un permesso di soggiorno in Francia. Ma con la realizzazione, da parte dei paesi europei, di pratiche di regolarizzazione massicce, queste persone potevano ritornare nella città d'origine durante l'estate, portando con sé le tecnologie all'avanguardia, oppure organizzando matrimoni sontuosi, e quindi inducendo un cambiamento d'opinione degli abitanti verso di loro. Con le espulsioni e i rimpatri, questa fase di riscatto non esiste più. Rimangono solo i debiti e il desiderio di ripartire. Per molti, la seconda partenza è ancora più necessaria della prima. Vengono chiamati i "recidivi", e sono i primi nomi sulle liste delle organizzazioni che preparano i viaggi verso l'Europa.
Dalla rivoluzione, e con l'affermazione di gruppi salafiti e l'indebolimento del controllo politico sui fenomeni di politicizzazione della religione, cominciano anche a vedersi casi di migranti che hanno visto fallire il loro progetto migratorio che vengono intercettati da questi gruppi per andare a combattere la jihad in Siria. Le espulsioni e l'impossibilità di ottenere un visto sono due delle ragioni che i giovani di Ghardimaou menzionano tra le cause della scelta di associarsi alla guerra di
religione, che sembra essere molto redditizia (si promette un compenso di $ 100 al giorno).