d’accoglienza.
Per le famiglie rimaste nel paese d'origine, l'assenza del padre per decine di anni ha conseguenze profonde sull'equilibrio familiare. I contatti sono normalmente mantenuti per telefono e durante le vacanze trascorse a casa. Si osserva, tuttavia, una differenziazione dei problemi vissuti secondo lo status e la tipologia di reddito del migrante all'estero.
Problematiche legate alle donne: emancipazione o emarginazione?
Durante l'assenza del marito, la donna gestisce le attività della casa, si occupa dell'istruzione dei bambini e gestisce anche l'economia familiare. La donna assume quindi il ruolo di capofamiglia e aumenta il suo carico di lavoro. Tuttavia, non sembra beneficiare di un riconoscimento sociale maggiore corrispondente alle sue nuove responsabilità in ragione dei valori tradizionali di una società patriarcale. Gli uomini della famiglia allargata hanno sempre l'autorità di imporle decisioni in assenza del marito. Il marito stesso riprende il suo ruolo di capofamiglia ogni volta che ritorna a casa, nonostante la scarsa conoscenza del contesto a causa dell'assenza prolungata.
Al tempo stesso, le donne intervistate sostengono di essersi abituate alle condizioni di vita senza i mariti. La migrazione è un fenomeno diffuso a Ghardimaou, così come l'assenza della figura maschile, che è considerata normale.
D'altra parte, possiamo distinguere due tipi di situazioni collegate, in parte, al livello economico e alla posizione della casa di famiglia rispetto alla città e al contesto del quartiere. Se la famiglia abita in un quartiere intermedio o agiato, e magari vicino al
mercato, le mogli dei migranti godono della libertà di spostarsi e di avere una vita sociale maggiore rispetto a quando sono sotto il controllo del marito. Se l'ambiente sociale è meno agiato e la posizione geografica più isolata, queste donne rischiano di rimanere emarginate.
Nel primo caso, le testimonianze mostrano la solidarietà che si crea tra le donne sole del quartiere. Le battute e le chiacchiere verso i mariti mostrano che esse riescono a gestire in modo adeguato la loro condizione. Ammettono qualche problema al momento del ritorno del marito durante le vacanze, dovuti al fatto che devono rinunciare al ruolo di capofamiglia e tornare sotto l'autorità del marito:
«Quando rientra è in vacanza e non fa niente. Passa la giornata sul divano a dare ordini. Sono io che devo occuparmi di lui, con tutto quello che ho già da fare! Quando c'è ho meno possibilità e tempo per uscire.» -‐Intervista con Arwa, 9 maggio 2012 a Ghardimaou-‐
Un altro elemento importante è il tipo di relazione costruita con la famiglia acquisita. Se il controllo del marito è sostituito da quello della famiglia, la moglie rischia di essere meno libera che prima della sua partenza. È più difficile chiedere il permesso di uscire alla famiglia acquisita in quanto si teme un giudizio negativo e le possibili interferenze nella relazione, già difficile, con il coniuge lontano:
«Quando mio marito non c'è, suo fratello viene spesso a controllarmi e a controllare i bambini. Se voglio uscire sono obbligata a chiedergli il permesso. Ma non lo faccio volentieri. Abbiamo avuto un problema con lui qualche mese fa: ha chiamato mio marito in Francia dicendo che io gli avevo rubato il cavo dello stereo e che non mi comporto dignitosamente e che esco troppo spesso. Quando mio marito c'è, non ci sono questi problemi.»
-‐Intervista con Ahlem, 11 maggio 2012 a Ghardimaou-‐
Al contrario, se le relazioni con la famiglia del marito sono migliori, la presenza di uno zio o di un nonno in casa può essere un grande aiuto, ad esempio per l'istruzione dei figli, mentre, se isolata, la moglie di un migrante è obbligata a ricoprire il ruolo di padre e di madre contemporaneamente.
Problematiche legate ai figli: maggiore investimento nell’educazione in assenza della figura paterna.
Si osserva che la migrazione del padre influisce sui risultati scolastici dei bambini, che variano anche secondo le condizioni socio-‐culturali della famiglia.
Un fenomeno interessante è l'importanza che i genitori emigrati danno all'istruzione dei figli, ma anche delle figlie. Questo si percepisce dai sacrifici, e dell'investimento materiale e psicologico che questi mettono nell'istruzione. La vedono come un mezzo di evitare ai figli le stesse sofferenze dovute alla condizione di migrante. In generale, la riuscita scolastica dei bambini dei migranti è legata ad un fattore di compensazione. Spesso i figli si rendono conto del sacrificio del padre e dei vantaggi economici per la famiglia che ne derivano. Saranno quindi più responsabili e più motivati nei loro studi. Inoltre, il fatto di avere entrate più alte, permette di pagare corsi di recupero e aumentare le opportunità di successo scolastico.
Tuttavia, in un ambiente rurale, come quello di Ghardimaou, vi sono degli svantaggi rispetto a contesti più urbanizzati. Le madri sono generalmente meno istruite, e quindi meno in grado di seguire i figli nella carriera scolastica. Un altro fattore è la mancanza di professori, e le grandi dimensioni delle classi che raccolgono studenti di età differenti, diminuendo la qualità dell'istruzione. Inoltre, negli ambienti rurali, spesso i bambini aiutano la madre nel lavoro nei campi, dedicando meno tempo allo studio.
È interessante osservare che le bambine incontrano meno difficoltà a scuola rispetto ai maschi. Secondo gli insegnanti intervistati i ragazzi hanno più tendenza ad abbandonare gli studi prima del diploma e a intraprendere percorsi devianti, come l'abuso di droghe o di alcol. Sulla base di alcune testimonianze raccolte durante le interviste con i figli e le figlie di migranti, si è potuto osservare che le bambine
soffrono meno dell'assenza del padre, approfittando di una maggiore libertà. In molte testimonianze, ci raccontano come l'assenza del padre non le abbia toccate tanto quanto i fratelli e che, al contrario, soffrono la severità del padre quando questo rientra durante le vacanze. Da alcune conversazioni con i figli dei migranti, invece, si percepiva chiaramente la sofferenza provocata dalla mancanza di una guida o di un esempio:
«Mio padre non c'era quando avevo bisogno di lui. Io non farò mai mancare ai miei figli quello che mi è mancato. Mio fratello è clandestino in Francia e ha lasciato i suoi figli qui. Cerco di occuparmi di loro. Non sono d'accordo con la sua scelta.»
-‐Intervista con Maauia, 14 febbraio 2012 a El Khala-‐
Sostengono che l'assenza di supporto da parte del padre sia la causa che li ha portati a non continuare gli studi, e dicono che pensano solo a raggiungerlo all'estero. Questo è spesso un desiderio contrario alle speranze dei genitori che dedicano del denaro e delle energie al successo scolastico dei figli, per permettere loro un futuro e una posizione sociale migliore senza dover ricorrere alle migrazioni. Tuttavia, i ragazzi vedono come esempio di successo quello dei migranti, e perdono interesse negli studi:
«Studiare non serve a nulla in Tunisia. Per lavorare bene bisogna andare fuori. Io voglio partire e raggiungere mio padre.»
-‐Intervista con Ridha, 9 maggio 2012 a Dkhailia-‐
Una soluzione per questi problemi è talvolta il ricongiungimento familiare, che eviterebbe gli squilibri dovuti all'assenza del padre. Tuttavia il tasso di partenze per ricongiungimento familiare rimane basso (12% secondo i dati del nostro studio quantitativo). Il fenomeno è spiegabile in parte se si guarda al grande numero di migranti irregolari, e di coloro che possiedono dei contratti stagionali e che quindi non hanno diritto al ricongiungimento. Tuttavia, spesso anche chi possiede un titolo
di soggiorno che permette il ricongiungimento familiare, non utilizza questa possibilità. Questa scelta è legata all'importanza di far crescere i figli al bled, circondati dagli stessi valori dei genitori, ma anche alla volontà di non obbligare la propria famiglia a vivere le stesse difficoltà che il migrante vive all'estero. Spesso i migranti nascondono ai famigliari i problemi di adattamento al contesto diverso, le condizioni di alloggio e di vita, generalmente meno buone di quelle in patria. Si preoccupano anche del fatto che le mogli e i figli possano essere vittime di razzismo e di isolamento, oppure, al contrario, che si integrino allontanandosi troppo dai valori arabo-‐musulmani. Un discorso comune a numerose testimonianze descrive il cambiamento del comportamento dei bambini e delle mogli dei migranti che si trasferiscono in Europa. Secondo gli intervistati, il rischio per i bambini è di dimenticare le tradizioni, e di allontanarsi dai genitori e dalla religione. Per quanto riguarda le relazioni di coppia, queste saranno messe alla prova in un contesto caratterizzato da precarietà e da isolamento sociale. Un esempio citato spesso è quello delle mogli che sono talvolta obbligate a lavorare per contribuire all'economia familiare, o che diventano titolari di indennità familiari o di disoccupazione:
«Lavorare apre loro gli occhi e cominciano a fare cose folli. Non ascoltano più il marito e hanno troppa iniziativa. La moglie di un algerino che abitava vicino a me a Marsiglia, nascondeva il denaro che guadagnava. Quando il marito l'ha scoperto, c'è stata una violenta discussione e lei non ha voluto dargli il denaro. Poi lei ha deciso di divorziare!»
-‐ Intervista con Ridha, 15 luglio 2012 a Ghardimaou, nel quartiere "cité de France" -‐
Una possibilità più accettata è che la donna raggiunga il marito all'estero per occuparsi di lui, una volta che i figli sono grandi e sono divenuti indipendenti, a condizione che ci sia almeno un figlio maschio che possa rappresentare l'autorità paterna e occuparsi dei nonni.
Per quanto riguarda il ritorno dei migranti, intervistando le famiglie riunite dopo anni di separazione, è interessante osservare come dopo una prima dichiarazione di soddisfazione collegata al ritorno del migrante, i membri della famiglia svelano una serie di problemi e di preoccupazioni. Per la famiglia rimasta in patria, è difficile riabituarsi alla presenza del padre in casa. Soprattutto se la madre e le figlie avevano approfittato di una certa libertà durante l'assenza del padre, tornare sotto l'autorità di quest'ultimo comporta uno sforzo di adattazione importante.
Le condizioni socio-‐economiche dovute alla tipologia di mobilità e allo status del padre emigrante non sono le sole variabili che influenzano l'equilibrio familiare e l'istruzione dei figli, ma sono comunque un fattore importante.
Le interviste con le famiglie dei migranti stagionali rivelano una situazione familiare meno problematica. Il fatto di rientrare per parecchi mesi ogni anno, permette di coltivare meglio le relazioni intra-‐familiari e permette all'emigrante di conservare un posto importante nella soluzione dei vari problemi che incontra la famiglia. Inoltre, anche se il reddito non permette una vita particolarmente confortevole, si osserva un alto livello di solidarietà rispetto ad altre famiglie più agiate. Anche al momento del ritorno definitivo dell'emigrante, il processo di riadattamento sembra più facile per gli stagionali, che hanno avuto la possibilità di mantenere e coltivare le relazioni sociali ogni anno per parecchi mesi, e non hanno perduto i legami con il territorio d'origine.
Per gli irregolari, al contrario, i figli trascorrono parecchi anni senza vedere il padre, che non ha la possibilità di rientrare periodicamente. Inoltre, nel caso in cui il migrante non trovi lavoro, la famiglia deve occuparsi di lui. L'elemento di compensazione economica che giustifica, agli occhi della famiglia, l'assenza del padre sparisce, e le relazioni familiari diventano spesso problematiche.
In generale sono i genitori stessi che rivelano le loro preoccupazioni in riferimento comportamento dei figli. Temono che la mancanza di un modello di identificazione, soprattutto per i ragazzi, e la frustrazione dei figli verso l'impossibilità di raggiungere il padre, li spinga verso percorsi di devianza, come la droga e l'alcol, oppure verso il rifugio dato da valori tradizionali, come la fede e la pratica religiosa.
In una conversazione di gruppo su queste tematiche con alcuni giovani di Ghardimaou, candidati alla partenza per la Francia, il commento su cui molti si sono trovati d'accordo è stato:
«Le nuove generazioni che partono hanno imparato. Non vogliono passare la vita lontano dalle mogli. Cercano di portarle con loro oppure si sposano in Francia. Io sono partito da solo, ma io e la mia famiglia stavamo troppo male a vivere separati. Mia moglie doveva arrangiarsi da sola con i bambini e loro mi chiedevano sempre di tornare. Appena ho trovato un buon lavoro nella ristorazione e una bella casa dove abitare, ho chiesto il ricongiungimento familiare.»
-‐ Intervista con Rafiq, 8 maggio 2012, Al Ghorra-‐
3.3. STATUS GIURIDICI DEI MIGRANTI E DIFFERENZE
NELL’ACQUISIZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO, UMANO E
SOCIALE
Nei paragrafi successivi cercheremo di mettere in relazione i dati raccolti relativi ai cambiamenti dei percorsi migratori e i loro effetti sulla società d'origine, in un'ottica non solo economica ma che tenga anche in considerazione l'aumento del capitale umano e sociale.
3.3.1. Capitale economico: scarse risorse, ostacoli agli investimenti
e percezione sociale negativa
I benefici tratti dell'emigrazione in Tunisia sono significativi. Dal punto di vista economico, l'emigrazione contribuisce alla diminuzione della disoccupazione, al riequilibrio del mercato del lavoro interno, e alla compensazione del deficit tra le transazioni finanziarie internazionali. Infatti, se gli investimenti diretti esteri (IDE) e i proventi del turismo sono ai primi posti nella composizione del Pil, le rimesse dei migranti sono al terzo posto e seguono una tendenza annuale di crescita (H. Boubakri, 2010). È difficile calcolare la quantità esatta di rimesse che arrivano in Tunisia in quanto, spesso, queste non passano per i canali bancari o postali, ma entrano nel paese in maniera non ufficiale, sotto forma di regali alla famiglia oppure attraverso il trasporto di denaro liquido durante i viaggi di ritorno. Tuttavia, è possibile constatare che più della metà delle rimesse che rientrano attraverso i canali ufficiali sono versate nelle regioni costiere, dove si trovano le città più importanti, e da dove parte la maggioranza dei migranti con un buon livello di studi, che in generale hanno, in Europa, una situazione occupazionale più favorevole dal punto di vista dello stipendio66.
La rete migratoria che comprende Ghardimaou non è una rete di commercianti che si sono arricchiti nelle grandi città europee, ma piuttosto, e in maggioranza, si tratta di una rete di operai agricoli e di lavoratori edili. I modesti salari di questi migranti
sono investiti prioritariamente nella costruzione di case, nelle spese per la festa di matrimonio, nella sussistenza della famiglia, nell'istruzione dei figli o anche nella partecipazione alla costruzione di moschee. Quello che resta viene utilizzato per acquistare delle terre, delle macchine agricole, un gregge di pecore, dei camioncini per il trasporto commerciale, o dei piccoli negozi di beni alimentari: caffè, drogherie, macellerie.
Questi ultimi appartengono soprattutto a chi ha soggiornato per lungo tempo all'estero e che ha un capitale da investire al momento della pensione.
Un esempio è quello di Ridha, che prima di partire era un funzionario pubblico, e che a Marsiglia ha lavorato in un'impresa di costruzioni e di ristrutturazione di facciate di edifici. Ha instaurato una relazione d'amicizia col suo datore di lavoro, che gli ha insegnato i segreti del mestiere e l'ha aiutato a creare un'impresa di sua proprietà. Grazie al suo status di lavoratore autonomo, è riuscito a ottenere un permesso di soggiorno di lunga durata, che gli permette di rientrare regolarmente in Tunisia. Da una quindicina d'anni, durante l'inverno, lavora a Marsiglia nella sua azienda, mentre in estate rientra a Ghardimaou per lavorare in agricoltura sui terreni che ha potuto comprare grazie a quanto guadagnato dalla sua attività in Francia. Oggi, a cinquant'anni, vuole rientrare, sposarsi con una donna del bled, e sistemarsi a Ghardimaou, dove ha costruito una grande casa e una panetteria "di lusso" .
Per quanto riguarda i lavoratori stagionali, invece, essi spendono la maggior parte dei loro guadagni in sussistenza, per i bisogni quotidiani della famiglia durante la loro assenza. Una volta rientrati, chi non ha avuto un'interruzione del contratto e ha raggiunto l'età della pensione, spesso può contare solo su qualche centinaio di euro al mese di pensione, sulla base dei contributi pagati durante le decine d'anni di lavoro.
Le attività realizzate prima del ritorno dei migranti, si limitano a piccoli negozi, soprattutto di beni alimentari. Anche coloro che avrebbero la possibilità finanziarie di investire in progetti più importanti e contribuire allo sviluppo del villaggio, spesso non lo fanno, frenati dalla lenta burocrazia di un sistema dittatoriale che vuole avere il controllo, se non bloccare, qualsiasi iniziativa personale. Inoltre, c'è
una certa difficoltà a trovare le competenze necessarie per la gestione di progetti durante la propria assenza. Infatti, si preferisce, piuttosto che assumere uno specialista anonimo del settore, dare lavoro a un membro della famiglia allargata. Queste regole morali tradizionali non si inseriscono bene in una logica capitalista che ha come obiettivo il profitto e l'efficienza. Si basano sulla forza delle relazioni intra-‐familiari, in un contesto di assenza del ruolo sociale dello Stato. Gli investimenti sono dunque circoscritti ai piccoli progetti gestiti dalla famiglia, più facili da controllare anche a distanza, e utili alla sussistenza della famiglia e all'uscita dei figli dalla condizione di disoccupazione.
Per quanto riguarda i migranti in situazione irregolare, talvolta essi non hanno neanche i mezzi per sopravvivere e sono obbligati a dipendere dalla famiglia. La loro condizione viene riscattata nel momento in cui riescono a regolarizzare la loro situazione e diventano la principale fonte di guadagno della famiglia stessa.
A Ghardimaou, i migranti non hanno contribuito ad uno sviluppo visibile. La percezione del fenomeno migratorio non è quindi sempre positiva per chi rimane. La migrazione non è sempre vista con comprensione e come esempio di successo, ma talvolta con gelosia e disprezzo. Gli abitanti testimoniano la frustrazione legata al fatto che le somme più significative sono investite nell'acquisto di visti o di contratti per partire all'estero, oppure per la costruzione di case moderne che vengono ingrandite ad intervalli regolari. Si arriva anche a rimproverare ai migranti il fatto di conservare molto denaro ("milioni di dinari") nelle banche invece di investirlo in attività utili per il villaggio o di prestarlo a chi vuole investirlo in progetti economici.
Le interviste con i direttori dei due istituti bancari di Ghardimaou permettono di smentire questa informazione. I migranti non hanno molto denaro da parte, fermo nei conti bancari. Al contrario, questi chiedono spesso prestiti per costruire la loro casa. Questi commenti, però, ci fanno comprendere quali sono le idee collegate alle migrazioni: visto che si trovano all'interno di una logica di ostentazione, i migranti sono considerati come molto più fortunati di quanto siano in realtà.
La migrazione è vista come un problema anche da coloro che gestiscono delle imprese e che necessitano di mano d’opera. Questi risentono della mancanza di giovani disponibili a lavorare. Dicono che i giovani di Ghardimaou pensano solo a partire:
«Vogliono guadagnare molto e velocemente, per questo partono. C'erano delle fabbriche che hanno chiuso perché non c'era nessuno che voleva lavorarci. I loro padri non sono presenti per dare il buon esempio. La città è vuota. Tutti gli uomini sono partiti e lavorano fuori. Non c'è l'esempio dei lavoratori. Per questo non facciamo niente qui. Vedono il padre solo quando rientra in vacanza e non fa niente tutto il giorno. Si annoiano. Ci sono molti giovani che si drogano e che bevono. Non hanno voglia di fare nulla. Non hanno la mentalità per creare dei progetti.» -‐Intervista con Ahmed, 11 maggio 2012 a Jendouba-‐
Questo fenomeno è anche spiegabile per il fatto che, con un salario inferiore a 10 dinari al giorno (cinque euro), i giovani che cercano di diventare indipendenti e di lasciare la casa familiare non possono farlo. Inoltre, se si considera che il salario minimo è di 286 DT al mese (141 euro), una cifra che in Tunisia non permette di assicurare una sussistenza degna a una famiglia, si comprende la mancanza di motivazione dei giovani verso il lavoro e la difficoltà a immaginarsi un futuro nel proprio paese.