Corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali Comparate
Università Ca’ Foscari
Tesi di Laurea
Migrazioni e Sviluppo
L'esempio dei lavoratori non specializzati del
nord-‐est tunisino
Relatore:
Professoressa Emanuela Trevisan Semi
Corelatore:
Professoressa Paola Gandolfi
Laureando:
Giulia Breda
Matricola 963521
Anno Accademico
2012/2013
INDICE
INTRODUZIONE ... 4
1. QUADRO TEORICO E METODOLOGIA DELLA RICERCA ... 7
1.1. LA RELAZIONE TRA MIGRAZIONE E SVILUPPO: UN PRIMO APPROCCIO ALLA QUESTIONE. ... 7
1.1.1. Approcci deterministici alla relazione tra migrazione e sviluppo: una sintesi. ... 7
1.1.2. Gli studi empirici e il superamento degli approcci deterministici: evidenza dell’eterogeneità di fattori che intervengono nella relazione tra migrazione e sviluppo. ... 10
1.1.3. La proposta di un nuovo quadro teorico: un tentativo di analisi dell’eterogeneità. ... 12
Teorie della migrazione internazionale alla base del quadro teorico ... 12
La necessità di un’analisi multilivello per lo studio degli effetti della migrazione sul territorio d’origine ... 16
1.1.4. Oggetto e problematica della ricerca: gli effetti della migrazione nella regione del Nord-‐Est tunisino ... 19
1.2. METODOLOGIA DELLA RICERCA ... 21
1.2.1. Scelta della metodologia: una triangolazione di metodi ... 22
1.2.2. Svolgimento della ricerca sul campo: approccio graduale a un contesto sensibile ... 25
1.2.3. Limiti della ricerca e osservazioni: difficoltà linguistiche e rapporti di forza ... 29
1.2.4. Analisi dei dati della ricerca sul campo: una rilettura costante delle ipotesi tramite le interviste ... 32
2. L’EVOLUZIONE DELLE MIGRAZIONI TUNISINE: L’INFLUENZA DEL CONTESTO SOCIO ECONOMICO E POLITICO NAZIONALE E INTERNAZIONALE ... 34
2.1. DALLA COLONIZZAZIONE AGLI ANNI 1980: CRESCITA ECONOMICA IN EUROPA E LIBERTA’ DI MOVIMENTO ... 34
2.1.1. Il periodo coloniale e le migrazioni interne ... 34
2.1.2. L'Indipendenza e l'aumento delle migrazioni verso l'estero ... 36
2.1.3. Gli anni 1970: il cambiamento del contesto economico internazionale e il tentativo di controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo ... 39
2.2. GLI ANNI 1990: L’INTERNAZIONALIZZAZIONE
E LA CRIMINALIZZAZIONE DELLE MIGRAZIONI ... 43
2.2.1. L’evoluzione della politica migratoria europea verso una migrazione selezionata ... 43
2.2.2. Gli accordi bilaterali tra Tunisia e Italia e Francia: la cooperazione allo sviluppo e il controllo concertato delle migrazioni ... 48
2.2.3. L’influenza del clima politico internazionale nella legislazione tunisina ... 49
2.2.4. Qualche dato sulle nuove mobilità tunisine ... 51
La migrazione “clandestina” dalla Tunisia ... 53
Migrazioni, diaspora e sviluppo economico. ... 54
2.3. 2011: LA RIVOLUZIONE E LA CRISI DI LAMPEDUSA ... 56
3. ANALISI DEI DATI DELLA RICERCA ... 59
3.1. LE MIGRAZIONI NELLA REGIONE AGRICOLA DEL NORD-‐OVEST ... 60
3.1.1. La crisi delle campagne e l’esodo rurale ... 60
3.1.2. La zona rurale di Ghardimaou e le sue migrazioni ... 62
3.2. L’EVOLUZIONE DEL CONTESTO INTERNAZIONALE E GLI EFFETTI SUI PERCORSI MIGRATORI ... 65
3.2.1. Le ragioni delle partenze: effetto pull e causa cumulativa delle migrazioni. ... 66
3.2.2. Tipologie di mobilità prima degli anni 1980: una maggiore libertà di circolazione ... 71
Il soggiorno nel paese d’accoglienza: le diverse esperienze tra i permessi stagionali e a lunga durata ... 72
Il ritorno e le difficoltà di reinserimento ... 73
3.2.3. Tipologie di mobilità dopo gli anni 1980 e la “chiusura delle frontiere” ... 74
Inasprimento delle leggi, controllo delle partenze e diffusione delle attività illegali legate alla migrazione. .. 74
Il soggiorno nel paese d’accoglienza: la moltiplicazione e precarietà degli status giuridici ... 76
Il ritorno: maggiori probabilità di fallimento del progetto migratorio ... 77
3.2.4. Effetti della migrazione sulle famiglie nel paese d’origine secondo lo status giuridico dei migranti nel paese d’accoglienza. ... 79
Problematiche legate alle donne: emancipazione o emarginazione? ... 79
Problematiche legate ai figli: maggiore investimento nell’educazione in assenza della figura paterna. ... 81
3.3. STATUS GIURIDICI DEI MIGRANTI E DIFFERENZE NELL’ACQUISIZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO, UMANO E SOCIALE ... 86
3.3.1. Capitale economico: scarse risorse, ostacoli agli investimenti e percezione sociale negativa ... 86
3.3.2. Capitale umano: status giuridici precari, emarginazione e difficoltà di trasferimento delle nuove conoscenze e capacità nel paese d’origine ... 89
3.3.3. Capitale sociale: tramite per le partenze e supporto durante l’esperienza migratoria. ... 93
CONCLUSIONI ... 97 BIBLIOGRAFIA……….101 ANNESSI ... 109
I) RICERCA SUL CAMPO ... 109
QUESTIONARIO QUANTITATIVO: ... 109 TRACCIA DELL’INTERVISTA SEMI-‐STRUTTURATA: ... 111 I QUADERNI DELLA RICERCA SUL CAMPO:
UNA SELEZIONE DELLE INTERVISTE PIÙ SIGNIFICATIVE ... 116
Introduzione
L'affermazione degli stati-‐nazione come nuova organizzazione politica ed economica dei territori nei secoli XVIII e XIX è accompagnata dalla creazione di frontiere fisse. Questi confini sono legittimi in quanto racchiudono una popolazione unita da una stessa cultura, lingua e storia, e perché ne facilitano la gestione politica ed economica. Le nuove istituzioni, create per amministrare una popolazione sedentaria, favoriscono una gerarchizzazione tra la popolazione locale e gli stranieri. Le migrazioni rimettono in discussione questo sistema in quanto spesso sfuggono al controllo delle istituzioni nazionali e si organizzano invece in reti di solidarietà interpersonali.
L'evoluzione della "globalizzazione", come conseguenza dello sviluppo dei trasporti, delle telecomunicazioni e dalla liberalizzazione dei mercati internazionali, è la causa principale della progressiva dissoluzione dei confini degli stati-‐nazione. Pochi settori rimangono prerogativa assoluta della sovranità statale, tra cui il principale è la sicurezza nazionale. Se la libera circolazione dei prodotti è ormai accettata, la circolazione delle persone è ancora oggetto di un controllo rigoroso e in gran parte giustificato dalla necessità di proteggere la popolazione autoctona contro la criminalità e il terrorismo.
In questo contesto, la migrazione è diventata un argomento sempre più presente nel discorso politico. Temi come l'integrazione, l'assimilazione, l'emarginazione, la coesione sociale, il multiculturalismo, il post-‐colonialismo, il transnazionalismo e il co-‐sviluppo sono parte integrante dei dibattiti politici e accademici.
Nell’area mediterranea, dal 1970, in conseguenza della crisi economica seguita allo shock petrolifero, si costata un graduale irrigidimento dei criteri per ottenere un visto o un permesso di soggiorno in Europa. Questa scelta da parte dei governi
europei è finalizzata a promuovere l'occupazione della popolazione nazionale, ma anche a escludere gli stranieri dai servizi sociali e dai sussidi pubblici.
Tuttavia, l'economia del Nord non riesce a rinunciare totalmente alla mano d’opera flessibile e poco remunerata messa a disposizione dalla migrazione. Invece di chiudersi completamente, infatti, i paesi dell'Europa occidentale hanno scelto, di accettare l'immigrazione sottoponendola a un forte controllo e a una severa selezione. Molte leggi nazionali e convenzioni internazionali sono state firmate tra i paesi di origine e di destinazione per regolamentare e controllare i flussi migratori. L'obiettivo dei paesi di destinazione, generalmente più sviluppati economicamente e quindi con un potere di negoziazione maggiore, è l’attuazione di politiche selettive sulle migrazioni, nonché la possibilità di rinviare al paese d'origine gli immigrati indesiderati. Tuttavia, le politiche di chiusura delle frontiere non hanno portato una diminuzione dei flussi migratori, ma piuttosto una trasformazione delle traiettorie, delle modalità di partenza (regolare o irregolare) e della loro composizione.
I governi dei paesi d’origine, da parte loro, partecipano al controllo delle frontiere europee e alla mercificazione del fenomeno migratorio, ricevendo in cambio, dai paesi d’accoglienza, aiuti allo sviluppo e buone relazioni diplomatiche.
La Tunisia ne è un esempio. La migrazione in questo paese è un fenomeno molto comune che tocca quasi tutte le famiglie. Per quanto riguarda la politica interna, la migrazione è vista come un "male necessario"1. Le è data una connotazione negativa
ma viene comunque considerata essenziale per ridurre la pressione demografica, il tasso di disoccupazione e per beneficiare delle rimesse inviate dai migranti.
Oggi, mentre le teorie migratorie si diversificano e i loro approcci evolvono, le democrazie europee faticano a sviluppare politiche migratorie adeguate e a trovare una "buona governance" di questo fenomeno. Se inizialmente il dibattito politico ruotava quasi esclusivamente intorno alle esigenze e alle necessità del paese d’accoglienza e al ruolo che i migranti dovessero occupare all’interno della sua
società, a partire dagli anni 2000, le nuove politiche migratorie europee promuovono il modello di migrazione temporanea sulla base di una logica di triple
win che coinvolge anche il paese d’origine. Questo modello permetterebbe allo
stesso tempo di ridurre i costi per i paesi ospitanti, di aumentare i benefici in termini di sviluppo per il paese d’origine e di sostenere i migranti, garantendogli un soggiorno legale, il diritto a una formazione, nonché a un’assistenza al momento del ritorno nel loro paese d'origine.
Diverse critiche sono state fatte a questo modello da parte dei ricercatori che ne rilevano la fragilità dei presupposti. In particolare essi pongono l’accento sulla mancanza d’informazioni e di studi scientifici sull'impatto che ha la migrazione nel paese di origine e dei fattori che influenzano questo processo. Mentre gli studi sugli effetti delle rimesse e sullo sviluppo economico sono molti, ciò che manca è una conoscenza approfondita degli effetti delle migrazioni sulla società d’origine, con particolare riguardo alle diverse categorie socio-‐professionali dei migranti e alla durata della migrazione.
Questo lavoro di tesi vuole approfondire la conoscenza del sistema migratorio tra Tunisia e Francia e in particolare le ripercussioni delle migrazioni sulla società d’origine dei migranti. Ci si concentrerà soprattutto sui migranti lavoratori non specializzati, oggetto delle politiche di “migrazione temporanea” e detentori di contratti stagionali.
Data l'importanza dei flussi migratori nel Mediterraneo, studiarne le cause e gli effetti nei luoghi di origine è essenziale per articolare meglio le politiche locali, nazionali e internazionali.
1. QUADRO TEORICO E METODOLOGIA DELLA RICERCA
1.1. LA RELAZIONE TRA MIGRAZIONE E SVILUPPO: UN PRIMO
APPROCCIO ALLA QUESTIONE.
Il capitolo che segue ha come obiettivo quello di collocare questo lavoro di tesi all'interno del quadro teorico della relazione tra migrazione e sviluppo. L'obiettivo è di posizionarsi in riferimento ai differenti approcci esistenti in questo campo. Per fare ciò, in una prima parte si spiegherà l'evoluzione degli studi svolti in merito, per poi approfondire più in particolare l'approccio scelto come base teorica per il presente studio.
1.1.1. Approcci deterministici alla relazione tra migrazione e
sviluppo: una sintesi.
Questo testo ripercorrerà, in breve, la storia delle teorie esistenti sul legame tra migrazione e sviluppo dalla metà del 1900. Senza voler realizzare un'analisi approfondita, faremo una sintesi dei concetti discussi dai principali autori. Questo sarà utile per contestualizzare gli approcci più attuali utilizzati nel presente lavoro di ricerca.
Approcci ottimisti: la migrazione come strumento di crescita economica.
I primi lavori scientifici che hanno concettualizzato la relazione tra migrazioni e sviluppo sono stati realizzati negli anni 1950 e 1960. A quell'epoca, le teorie sullo sviluppo erano inserite in un contesto fortemente eurocentrico, espressione della prospettiva ideologica della colonizzazione, che attribuiva alle potenze coloniali un ruolo paternalista nei confronti dei paesi colonizzati. I paesi sviluppati dovevano guidarli verso un modello di sviluppo occidentale: la "modernizzazione". Naturalizzando e generalizzando il processo di sviluppo contestuale al processo
storico europeo e occidentale, la teoria dello sviluppo di questi anni lo definiva come un percorso lineare, a tappe, da una società tradizionale a una società del consumo di massa. Come spiegato da Walt Whitman Rostow, lo sviluppo sarebbe possibile grazie alla maturazione di alcune condizioni nella sfera economica, sociale e culturale, come ad esempio il processo di industrializzazione, lo sviluppo tecnologico e il regolamento dei rapporti sociali sulla base della razionalità economica. L'industrializzazione sarebbe, secondo il modello di Arthur Lewis, la condizione essenziale dello sviluppo, possibile grazie all'accumulazione del capitale tramite l'aumento della produttività del settore agricolo. Nei paesi in via di sviluppo, questo surplus è storicamente assente: diventa quindi necessario attirare capitale dall’estero.
In questo quadro teorico si inseriscono gli studi scientifici sulla relazione tra migrazione e sviluppo detti "ottimisti" (J.E. Taylor, 1999). Le migrazioni, grazie alle rimesse e agli investimenti, contribuirebbero all'invio, nei paesi del "sud", del capitale necessario a investire in attività che possano contribuire alla crescita economica del paese. In secondo luogo, al di là del capitale finanziario, i migranti possono contribuire allo sviluppo del paese d'origine anche grazie al nuovo capitale umano (le nuove conoscenze acquisite durante l’esperienza migratoria). Inoltre, la diminuzione della quantità di manodopera nei paesi d'origine, dovuta alla partenza dei lavoratori verso l'estero, contribuirebbe, per una questione di riequilibrio tra domanda e offerta di lavoro, all'aumento dei salari. In questo senso, le migrazioni sarebbero parte dei fattori che contribuiscono alla diminuzione delle disparità sociali e al processo di crescita economica dei paesi d'origine. Infine, secondo gli ottimisti dello sviluppo, il fenomeno migratorio sarebbe destinato a interrompersi nel momento in cui la crescita economica cancellasse le disparità salariali tra paese d'origine e paese di accoglienza (M.P. Todaro, 1969; D.S. Massey 1993).
Approcci pessimisti: la migrazione come risultato del rapporto di dipendenza “Nord-‐Sud”
Negli anni 1970 e 1980, gli studi sullo sviluppo, influenzati dagli approcci strutturalisti e dalla teoria della dipendenza, assumono una visione diametralmente opposta ai precedenti. L’assenza di sviluppo non è più interpretata come l'effetto di variabili endogene ma, al contrario, una caratteristica costitutiva della relazione tra Nord e Sud (orientamento neo-‐marxista). Questa relazione è inserita in un sistema unico attraversato da legami di dipendenza: le reti di centri urbani e commerciali dominano la periferia. Il centro (paesi del Nord) più integrato nel mercato internazionale, domina la periferia (paesi del Sud), sfruttando la manodopera a basso costo e approfittando dello "scambio ineguale" tra materie prime e prodotti finiti. Le risorse della periferia sono attirate dal centro a suo unico beneficio.
L'influenza di questi approcci teorici e degli studi empirici sulle migrazioni, condotti in quegli anni, modificano la visione ottimista delle teorie precedenti sulla relazione tra sviluppo e migrazione, e aprono la strada a un approccio più "pessimista" (J.E. Taylor 1999). La migrazione è vista come un fenomeno causato dalla povertà creata dal sistema capitalista, nonché una delle cause dell'aumento delle ineguaglianze e del sottosviluppo. Tramite le migrazioni, il paese d'origine viene privato dei lavoratori più qualificati che potrebbero contribuire al suo sviluppo, ma la cui partenza contribuisce, al contrario, a quello che viene definito brain-‐drain (fuga di cervelli). Anche le rimesse hanno meno importanza secondo questo approccio: gli studi empirici dimostrano che le rimesse dei migranti non sono utilizzate per investimenti utili allo sviluppo locale, ma, nella maggioranza dei casi, per la soddisfazione dei bisogni quotidiani o per l'acquisto di prodotti importati dai paesi di emigrazione (M. Lipton, 1980). Le rimesse contribuiscono quindi all'inflazione e all'aumento delle disparità sociali, e non alla riduzione della povertà, alimentando l'emigrazione e rafforzando la dipendenza nei confronti dei paesi ricchi. Questo processo avrebbe anche effetti sociali negativi, come l'abbandono dei valori tradizionali in favore di valori consumistici occidentali, la perdita della solidarietà
tra gruppi sociali, e l’indebolimento, per i migranti, dei legami con la società d'origine (L. Heering 2004; D.S. Massey 1993). Secondo questi autori, solo una forte politica pubblica potrebbe limitare questi effetti negativi.
1.1.2. Gli studi empirici e il superamento degli approcci
deterministici: evidenza dell’eterogeneità di fattori che
intervengono nella relazione tra migrazione e sviluppo.
Una nuova fase nell’evoluzione delle teorie sulla relazione tra migrazione e sviluppo inizia negli anni 1990, a seguito della diversificazione degli studi empirici su questo tema. Questi lavori riscoprono l'eterogeneità dei fattori economici, politici, sociali e culturali che influenzano la relazione tra sviluppo e migrazione. Essi si allontanano dai precedenti approcci, troppo deterministici per tenere conto di questa eterogeneità, e ne criticano la logica circolare, che non tiene in considerazione la possibilità dell'esistenza di contro-‐meccanismi. Ad esempio, l’interpretazione “pessimista” del fenomeno migratorio come "circolo vizioso", che avrebbe come causa l'impoverimento delle periferie a seguito dell'arricchimento delle regioni del
centro, non può continuare all'infinito. In effetti, l'impoverimento di una società
comporta anche la diminuzione dei flussi migratori, e il suo arricchimento ne aumenta la mobilità (S. Castels, 2008). Altri autori indicano i problemi d’inconsistenza logica di queste argomentazioni, al cuore degli approcci pessimisti. Se per questo tipo di approccio la relazione tra migrazioni e sviluppo è lineare e inversamente proporzionale (più migrazioni = meno sviluppo), i nuovi studi dimostrano che questa relazione è curvilinea (curva a "J" o "U" rovesciata): a breve termine, l'aumento dello sviluppo aumenta le migrazioni, fino a una stabilizzazione degli equilibri sul lungo termine e une conseguente diminuzione dei flussi migratori (Z. Zelinsky 1971). Infine, se gli approcci pessimisti sostengono che le migrazioni giochino un ruolo nell'aumento delle disparità sociali, i nuovi studi empirici mostrano, al contrario, che il denaro inviato dai migranti serve, talvolta, a creare occupazione e contribuisce al mercato locale, ad esempio con l'impiego di muratori e l'acquisto di materiali per la costruzione di case.
Questi nuovi studi empirici permettono quindi di contraddire i due argomenti chiave degli approcci pessimisti: le migrazioni non hanno sempre l'effetto di aumentare le disparità sociali, e l'aumento della povertà non è alla base dei flussi migratori.
Inoltre i recenti studi empirici apportano delle nuove idee anche per quanto riguarda l'analisi degli effetti delle rimesse. Queste ultime, anche se non sono più considerate come il mezzo ultimo per superare i vincoli strutturali dello sviluppo (approcci ottimisti), servono, in un contesto di assenza o di malfunzionamento dei mercati, a sopperire all’insufficienza delle politiche sociali (J.E. Taylor, 1999). Tuttavia, questo non costituisce una prova che le rimesse partecipano alla diminuzione della povertà a livello macro. Si osserva che le rimesse non sono spesso indirizzate a gruppi sociali più poveri, o ai paesi meno sviluppati. Tuttavia, esse sembrano avere un'influenza sulla società d'origine in termini di aumento dei salari, dei prezzi e dell'occupazione. La relazione tra la migrazione e l'aumento delle disparità delle entrate rimane ambigua: se è vero che i primi emigranti provenivano dalle classi meno povere della popolazione, il loro trasferimento all'estero ha, sul lungo termine, contribuito alla creazione di reti che permettono, grazie a legami di solidarietà e alla circolazione di informazioni, la possibilità di partire anche ai ceti sociali meno abbienti.
Per quanto riguarda gli investimenti valutati improduttivi dagli approcci pessimisti, si osserva, nell'ambito dei nuovi studi empirici, come questi creino occupazione e contribuiscano al funzionamento del mercato locale.
L’eterogeneità dei risultati degli studi empirici non deve essere assimilata a un relativismo assoluto, ma deve essere presa in considerazione per la creazione di un nuovo quadro teorico. Questo sarebbe possibile per mezzo di una serie sistematica di studi empirici e teorici che possano contribuire a costruite una griglia d’analisi utile per lo studio di processi e strutture sociali che, pur esprimendosi in modo sempre differente, hanno principi comuni di causalità.
1.1.3. La proposta di un nuovo quadro teorico: un tentativo di
analisi dell’eterogeneità.
Teorie della migrazione internazionale alla base del quadro teorico
Secondo De Haas, nel suo articolo "Migration and development: a theoretical perspective" (H. De Haas, 2010), un nuovo quadro teorico dovrebbe tener conto, nell'analisi degli effetti della migrazione, del ruolo della struttura (il contesto dei vincoli politici, istituzionali, economici, sociali e culturali) e del ruolo dell’agency individuale o di gruppo (la capacità di andare al di là dei vincoli imposti dalla "struttura" e contribuire alla ridefinizione delle strutture stesse). In questo lavoro, egli propone, infatti, tenendo conto degli approcci post-‐moderni della teoria sociale, come ad esempio "la teoria della strutturazione" di Giddens (1984)2, di integrare gli
approcci pluralisti relativi agli effetti della migrazione sullo sviluppo: il "New
Economy Labour Migration" (NELM), gli approcci detti "mezzi di sussistenza"
(livelihoods), e quelli relativi alla ricerca sociologica e antropologica sul "transnazionalismo delle migrazioni".
Nell'ambito del quadro teorico della NELM, il comportamento del migrante viene inserito in un contesto sociale più ampio. Nel fare l'analisi del fenomeno migratorio, si considera la famiglia e non l'individuo, come unità per la presa di decisioni. La migrazione è quindi la risposta della famiglia ai rischi legati all'instabilità delle entrate. Migrare significa aggirare i vincoli del mercato locale grazie alle risorse delle rimesse. L'effetto della migrazione sullo sviluppo non esiste solo al momento del ritorno del migrante, ma anche durante tutta la durata dell'esperienza migratoria.
La NELM sottintende l'approccio che si focalizza sulla strategia delle famiglie per assicurarsi "dei mezzi di sussistenza". Questo approccio non vede i migranti come vittime passive del sistema capitalista, ma tiene in considerazione la capacità di azione umana (human agency), e quindi la capacità di migliorare attivamente i
2 La struttura emerge dall'azione delle persone. È fattore e risultato, allo stesso tempo, della
propri mezzi di sussistenza aggirando gli ostacoli strutturali. Le strategie del nucleo familiare che mirano ad assicurare i propri mezzi di sussistenza comprendono le capacità, le risorse (materiali e sociali), e le attività necessarie per raggiungerli. L'analisi di questi fattori non deve limitarsi a interessarsi alle attività della famiglia, ma deve anche prendere in considerazione le relazioni con le istituzioni e con le altre famiglie, senza dimenticare i meccanismi di accesso alle risorse (F. Ellis e S. Biggs 1998). Emigrare quindi è una scelta, non un obbligo imposto dal sistema capitalista (A. Bebbington, 1999).
La presa in considerazione della famiglia, come unità d'analisi, aiuta anche nella descrizione dell'eterogeneità degli effetti delle migrazioni, poiché le caratteristiche variano in funzione del tempo (tra generazioni), dello spazio e dei gruppi sociali. Combinando la NELM e l'approccio dei mezzi di sussistenza, possiamo dire che la migrazione è una scelta deliberata dei gruppi sociali (ad esempio le famiglie) destinata a diminuire i rischi legati all'instabilità delle entrate, ma anche destinata a migliorare lo status socio-‐economico e ad aggirare i vincoli legati al livello di sviluppo locale.
Secondo De Haas (2010), questi concetti possono anche essere integrati all’approccio transnazionale alle migrazioni. Questo approccio teorizza il fatto che con l'evoluzione dei mezzi di comunicazione e di trasporto, tipici del mondo globalizzato, aumenta la possibilità per i migranti e per le loro famiglie di vivere in modo transnazionale e di adottare delle identità transnazionali (S. Vertovec 1999). Questo permette lo sviluppo di una doppia lealtà, poiché l'integrazione nel paese di accoglienza non implica più necessariamente la rinuncia all'impegno verso il paese d'origine. Questo impegno può perdurare anche attraverso le generazioni, permettendo la partecipazione dei migranti e delle loro famiglie alla vita culturale, politica e sociale del paese d'origine. In questo contesto, il problema del brain-‐drain diventa secondario dato che i migranti investono spesso buona parte del loro guadagno nell’educazione dei figli rimasti in patria.
Questi tre approcci sono quindi integrabili: la migrazione internazionale è parte integrante della strategia transnazionale per l'acquisizione di mezzi di sussistenza
per le famiglie e per altri gruppi sociali (H. De Haas, 2010).
Limiti delle teorie e necessità di una riflessione sulla nozione di sviluppo
De Haas (2010) propone un nuovo quadro teorico per l'analisi della relazione tra migrazioni e sviluppo che parta dagli approcci appena descritti oltrepassandone i limiti. Il primo limite è il rischio, nell'approccio NELM, di interpretare l'unità d'analisi "famiglia" come un’unità con obiettivi e strategie chiari e ben definiti. Al contrario: la famiglia è attraversata da differenze d'età e di genere che ne influenzano gli equilibri interni e che possono anche avere come risultato la diversificazione e l'incoerenza delle strategie dei suoi componenti. In secondo luogo, un difetto dell'approccio NELM è quello di non tener conto dell'influenza, nel processo decisionale della famiglia, della relazione con le altre famiglie e del contesto macro.
Infine, è necessaria una migliore comprensione della circolarità della relazione tra cause ed effetti della migrazione. Se si considera che la migrazione abbia come scopo il miglioramento dei mezzi di sussistenza della famiglia, non possiamo dimenticare che alcuni fattori contrari possono verificarsi e influenzare la volontà di investimento del migrante. Ad esempio, il contesto politico ed economico del paese d'origine può diminuire la propensione all’investimento del migrante. Tale limite è anche presente negli approcci transnazionali, che spesso non tengono in considerazione il ruolo dei “conto-‐fattori”, come ad esempio l'assimilazione nel paese di arrivo e l'allentamento dei legami tra migranti e paese d'origine (H. De Haas, 2010).
Questo rimetterebbe in discussione l'esistenza di un legame automatico tra cause della migrazione e lo sviluppo del paese d'origine se valutiamo lo sviluppo solamente sulla base di un differenziale di entrate. Se invece, come propone De Haas, partiamo, da un’interpretazione più ampia e pluralista della nozione di sviluppo, il legame tra cause della migrazione e sviluppo rimane intatto.
In effetti l'assenza di riflessione sulla nozione stessa di sviluppo rappresenta un’importante mancanza degli studi precedentemente citati. La maggior parte dei lavori scientifici suggerisce implicitamente una valutazione del livello di sviluppo e delle entrate di un paese o di un gruppo sociale, secondo il metro della qualità e del livello di sviluppo dei paesi del Nord. Questa interpretazione dello sviluppo, specifico del processo storico dei paesi occidentali, non può essere applicato ai paesi del Sud senza venire, prima, problematizzato nuovamente.
La nozione di sviluppo umano teorizzato dall'economista indiano e premio Nobel
Amartya Sen, lasciando da parte i suoi utilizzi strumentali3, permetterebbe secondo
De Haas, di uscire dalla dicotomia tra migrazione e crescita economica: il suo approccio si focalizza sulle capabilities (capacità) dell'individuo e permette di interpretare lo sviluppo umano come il processo di espansione delle libertà reali della persona. Tali libertà sono realizzate nella pratica nel concetto di “capacità” umana, vale a dire la possibilità di scegliere di condurre una vita ritenuta degna e di aumentare il numero di scelte potenziali reali. La capacità di controllare la propria vita ha, per quanto riguarda la valutazione del grado di sviluppo, una maggiore importanza rispetto al livello delle entrate. In questo contesto teorico, il legame tra migrazione e sviluppo esiste nella misura in cui la migrazione è interpretata come l'opportunità per un gruppo sociale di migliorare le proprie condizioni socio-‐ politiche, e non solo economiche. Migrare permette di aumentare l'investimento nei settori dell'istruzione, della salute, dell'alimentazione, dell'alloggio, ma anche in progetti comuni.
Inoltre, per una concettualizzazione della relazione tra migrazione e sviluppo più equa, bisogna anche sottolineare il fatto che la migrazione ha effetti positivi non solo sul paese d'origine, ma contribuisce anche allo sviluppo dei paesi d'accoglienza. Il lavoro dei migranti rafforza la competitività delle economie occidentali e il contatto con la società d'accoglienza può anche stimolare gli scambi e l'arricchimento culturali (N. Piper, 2009). In questo senso, secondo Piper, gli approcci che
3 La nozione di sviluppo elaborata da Amartya Sen è alla base dell’Indice di Sviluppo Umano
utilizzato dalle Nazioni Unite per analizzare e mettere in relazione il grado di sviluppo dei diversi paesi del mondo. Questo è stato oggetto di numerose critiche, in particolare per il fatto che non tenesse conto dei fattori strutturali che influenzano la possibilità di sviluppo.
prevedono il trasferimento di sviluppo a senso unico, dai paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, non sono realisti. Lo sviluppo si persegue contemporaneamente in vari luoghi connessi tra di loro da spazi migratori circolari. Lo spazio geografico da prendere in considerazione, quando si parla di relazioni tra migrazione e sviluppo, è quello in cui si sviluppa una catena globale: un insieme di relazioni di scambi economici, sociali e politici (N. Piper, 2009).
La necessità di un’analisi multilivello per lo studio degli effetti della migrazione sul territorio d’origine
Grazie agli studi teorici ed empirici sulla relazione tra migrazione e sviluppo, è possibile concludere che tale relazione ha un carattere eterogeneo, e che essa è fondamentalmente legate al contesto spaziale e temporale nel quale è inserita. Per meglio comprendere questa eterogeneità, suggerisce De Haas, bisogna tener conto del fatto che la migrazione non è una variabile indipendente che “provoca" lo sviluppo (o l'inverso), ma che si tratta di una variabile endogena, parte integrante del cambiamento e fattore che permette altri cambiamenti. Questo è il motivo per cui è più giusto parlare di relazione reciproca tra migrazione e processi più ampi di sviluppo, che di "impatto" a senso unico della migrazione sullo sviluppo (H. De Haas, 2010).
Sempre all'interno dell’articolo "Migration and development: a theoretical prospective" (H. De Haas, 2010), De Haas suggerisce di fare una distinzione quando si analizzano i fattori che stanno alla base delle differenti relazioni tra migrazione e sviluppo, tra il contesto di sviluppo a livello nazionale o internazionale; il contesto di sviluppo a livello locale o regionale; e i fattori legati all'ambiente sociale ed economico delle famiglie dei migranti.
Questi tre insiemi di variabili sarebbero collegati gli uni agli altri da differenti relazioni funzionali e da meccanismi di feedback. Il contesto di sviluppo delle strutture politiche, economiche e sociali, nazionali e internazionali, influenza lo sviluppo locale. Allo stesso tempo, il contesto macro determina la misura in cui esistono delle possibilità di migrazione (politiche migratorie, richiesta di manodopera) e ha un impatto sull'ampiezza, la natura (irregolare, regolare,
professionale, politica, famigliare) e la selettività iniziale della migrazione.
A sua volta, il contesto locale determina in quale misura le persone sono in grado di condurre una vita che considerano rispettabile e stimabile, e di aumentare il numero e la qualità delle scelte potenziali. In tal modo, il contesto locale, inteso come la qualità e la quantità del capitale finanziario, sociale e umano di un gruppo sociale, influenza anche la propensione e la capacità a migrare. Questa propensione è considerata come il risultato delle aspirazioni e delle capacità di realizzare il progetto migratorio: può aumentare nella misura in cui le aspirazioni non aumentano più velocemente rispetto ai mezzi di sussistenza locali.
L'effetto di feedback proviene dagli stessi processi migratori, che influiscono sul contesto dello sviluppo locale grazie al loro effetto sull'offerta di lavoro, sul consumo, sugli investimenti, sull'ineguaglianza, sulla stratificazione sociale, sulla cultura e sulle aspirazioni.
I cambiamenti a livello di contesto locale legati alla migrazione possono, infine, influenzare lo sviluppo a livello macro, sebbene in misura ridotta, in ragione dell'ampiezza limitata delle migrazioni, ma anche in ragione del loro carattere spesso individuale, familiare (H. De Haas, 2010).
Per includere gli elementi macro e micro in un quadro teorico generale, è utile adottare un approccio meso-‐analitico. Gli studi teorici ed empirici precedenti si limitano alle prospettive analitiche macro o micro (S. Ammassari e R. Black, 2001). Questo significa che si focalizzano sugli effetti delle strutture socio-‐economiche e politiche del paese d'origine o di accoglienza, oppure sui fattori normativi psico-‐ sociali, che determinano i comportamenti individuali e influenzano la presa di decisione (percezioni, motivazioni, aspirazioni, attese, valori). Per colmare il vuoto teorico tra il livello di analisi micro e macro, si propone un approccio meso-‐analitico. Tale approccio considera l’interazione tra caratteristiche individuali e vincoli strutturali. Questa interazione deve essere studiata tramite il modo in cui, per superare gli ostacoli strutturali, il soggetto utilizza le proprie risorse inserendosi all'interno di relazioni di interdipendenza. La rete sociale che si può mobilizzare per ottimizzare le risorse che si ha a disposizione, rappresenta quindi tale livello di analisi intermedio (D.S. Massey, 1993). Secondo questo approccio, è necessario
considerare che le decisioni del migrante non sono influenzate solo dai legami intra familiari o dai vincoli strutturali, ma anche dalle relazioni di solidarietà con altre reti sociali. La composizione, le caratteristiche e le opportunità di queste reti sono modellate dalle istituzioni economiche, politiche e culturali. La valutazione del capitale sociale è quindi un elemento fondamentale per l'analisi degli effetti dei fenomeni migratori. Infatti, se i lavori scientifici sulle migrazioni ne spiegano gli effetti, soprattutto grazie all'utilizzo dei concetti di capitale finanziario e umano, il capitale sociale che il migrante ottiene durante il proprio percorso è spesso ignorato. In generale si parla di capitale sociale come un presupposto alla partenza del migrante, il mezzo che permette la migrazione, ma raramente viene analizzato come un risultato dell’esperienza migratoria da reinvestire in altri campi che non siano la migrazione.
Studi approfonditi sono stati svolti, da una parte, in merito agli effetti delle rimesse sugli investimenti al momento del ritorno del migrante e, d'altra parte, sul trasferimento al paese d'origine delle capacità acquisite durante l'esperienza migratoria (attraverso percorsi di formazione o di studio). In relazione al capitale sociale, la ricchezza potenziale che può essere dedotta dalle relazioni sociali realizzate dal migrante non è sistematicamente integrata negli approcci analitici. Il capitale sociale è l'insieme delle risorse, reali o virtuali, accumulate da un individuo o da un gruppo, grazie alla capacità di creare una rete più o meno istituzionalizzata e durevole di relazioni di solidarietà e di riconoscimento reciproco. Tali relazioni si basano su obblighi e attese reciproci, nonché sulle norme di reciprocità, di fiducia e di solidarietà (P. Bourdieu, 1979). Il capitale sociale del migrante consiste, ad esempio, nelle relazioni interpersonali e nei legami sociali rafforzati dalle nuove competenze linguistiche, nonché dal miglioramento delle sue capacità di interazione in un contesto sociale nuovo, grazie alla maggiore familiarità con le norme sociali straniere. Queste competenze sono trasferibili all'ambiente sociale d'origine e possono contribuire al processo di sviluppo definito da Amartya Sen.
1.1.4. Oggetto e problematica della ricerca: gli effetti della
migrazione nella regione del Nord-‐Est tunisino
In questo lavoro di tesi terrò conto di queste teorie al fine di contribuire alla riflessione sulle interazioni tra migrazione e sviluppo nel contesto tunisino. Voglio anche contribuire, attraverso lo studio di un caso particolare, al dibattito scientifico più generale sulla relazione tra migrazione e sviluppo i cui gli studi non tengono in considerazione le diverse categorie socio-‐professionali dei migranti, come ad esempio i lavoratori migranti non specializzati (N. Piper, 2009).
Degli approcci pluralisti relativi alla relazione tra migrazione e sviluppo precedentemente menzionati, si manterrà la valutazione quale l’unità d'analisi non del migrante come individuo, ma della famiglia, oppure più generalmente del gruppo sociale. La migrazione internazionale sarà quindi intesa come parte integrante della strategia transnazionale delle famiglie e dei gruppi sociali dei migranti, miranti all'acquisizione di mezzi di sussistenza.
Allo stesso tempo, prenderemo in considerazione tre livelli di analisi dei fattori che influenzano i mezzi di sussistenza del migrante, della sua famiglia e del suo gruppo sociale: il livello macro delle strutture economiche, politiche e sociali locali, nazionali e internazionali: il livello micro del processo di decisione e delle motivazioni del migrante e della sua famiglia; e il livello meso delle relazioni di solidarietà tra reti di persone e gruppi sociali (S. Ammassari e R. Black 2001). Nella maggior parte degli studi realizzati in passato, l'idea di sviluppo è basata sulla visione che ne hanno gli occidentali. Benché una ridefinizione meno eurocentrica della nozione di sviluppo sia necessaria, il presente lavoro non ha come scopo di rielaborarla. Tale ridefinizione meriterebbe un lavoro di tesi dottorale e un dibattito molto più ampi. SI prenderà in considerazione la definizione di sviluppo di Amartya Sen, che si allontana dalla definizione eurocentrica di questa nozione. Lo sviluppo sarà quindi interpretato come la capacità, la libertà di un individuo di influenzare, potenzialmente, il proprio ambiente per condurre una vita che considera di valore.
Questi approcci sono quindi contestualizzati nell'ambito del sistema migratorio Tunisia-‐Francia, che esiste da lungo tempo e che comprende la maggioranza della migrazione tunisina. In particolare la ricerca sul campo si concentrerà sulla migrazione dei lavoratori non specializzati.
La ricerca sarà dedicata ad analizzare come i fattori macro, micro e meso possono influenzare i percorsi migratori di lavoratori non specializzati originari delle zone rurali in Tunisia. Questo lavoro sarà anche dedicato a comprendere in quale misura questi fattori influenzino il processo di sviluppo, inteso come acquisizione di capitale economico ma anche umano e sociale, caratteristico dello spazio migratorio franco-‐ tunisino.
Più specificatamente, mi limiterò allo spazio migratorio che coinvolge Berre l’Etang (Marsiglia) e Ghardimaou (regione del Nord-‐Est tunisino), due città rurali che fanno parte, dall'epoca della decolonizzazione, di un circuito migratorio di lavoratori non specializzati (soprattutto lavoratori agricoli). Grazie al lavoro sul campo, potrò entrare in contatto con diverse generazioni di migranti e comprendere se e come le differenti "epoche", legate ai cambiamenti economici, politici e sociali a livello
macro, hanno influito sui percorsi migratori e sulla vita delle famiglie. L'influenza
dei fattori macro sulla capacità dei migranti di accrescere il loro capitale finanziario, sociale e umano verrà anch'essa studiata.
1.2. METODOLOGIA DELLA RICERCA
A seguito delle ricerche bibliografiche destinate ad approfondire la mia conoscenza del contesto macro delle migrazioni tunisine, ho scelto il campo della mia ricerca in funzione della problematica, ma anche in funzione di criteri pragmatici di tempo e di fattibilità. Una volta individuate le differenti fasi della migrazione tunisina, nonché il contesto socio-‐economico e politico che le ha caratterizzate, era necessario studiare le interazioni di questi elementi macro e i loro effetti a livello di scelte individuali e di gruppo (livello micro), nonché sulla socializzazione e la creazione di reti di migranti (livello meso). Tutto ciò tenendo anche in considerazione il fatto che la popolazione studiata è composta da lavoratori migranti non specializzati.
Era necessario scegliere un'area toccata dai movimenti migratori da lungo tempo. L'obiettivo era incontrare migranti appartenenti a generazioni diverse. Si è voluto paragonare il percorso e le esperienze migratorie delle differenti generazioni al fine di comprendere meglio gli effetti di un contesto macro in continua evoluzione. D'altra parte, questo paragone poteva aiutare a delineare meglio l'influenza del contesto macro sulla capacità dei migranti di agire sul contesto d'origine in termini di sviluppo.
La città di Ghardimaou, e le aree rurali che la circondano, rispondevano alla perfezione a questi criteri. Nota per essere una delle prime aree di partenza dei migranti verso l'estero dopo la colonizzazione, Ghardimaou è caratterizzata da un numero elevato di migranti stagionali che lavorano nell'agricoltura e nell'edilizia nel sud della Francia.
Abbiamo realizzato delle indagini in questa zona durante il periodo di un anno, ad
intervalli regolari4, a partire da ottobre 2011. A quell'epoca, le indagini erano
realizzate nel quadro della redazione di una tesi di master di I livello relativa a una popolazione diversa: i migranti espulsi da Lampedusa nel 2011. Questo lavoro è servito da pre-‐inchiesta, permettendomi di scoprire le caratteristiche del territorio e
4 La ricerca si è svolta durante sei missioni: dal 4 al 7 ottobre 2011; dal 12 al 17 febbraio 2012;
dall'8 al 12 maggio 2012; dal 17 al 19 maggio 2012; dal 9 al 7 giugno, dal 14 al 17 luglio 2012; a novembre 2012.