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Anonimato come segno di un processo di individuazione “

«La compagnia non desidera la pubblicazione dei nomi degli interpreti.»100 Così, nel 1974 il Carrozzone compilava la scheda tecnica dello spettacolo Viaggio e morte per acqua oscura, inserito nel circuito di diffusione proposto dall’ETI che pubblicava quell’anno la terza informativa globale del teatro di ricerca. Anche con questa scelta il gruppo portava avanti la sua poetica e la sua politica del travestimento. Così come Il Carrozzone faceva in scena largo uso delle maschere, dei costumi risultati da un accumulo di segni, del buio utilizzato come immagine in negativo o visione della mente, così la scelta di non divulgare i nomi degli attori non rappresentava un tentativo di occultamento o di annientamento decadente ma un estremo atto di liberazione o vera e propria libertà creativa.

Il 1976 segna, anche su questo piano, un momento di passaggio. La fluidità con cui la compagnia aveva fino a quel momento vissuto l’attraversamento dei diversi piani di realtà veniva reinterpretata. Gli attori inizialmente mettevano in scena gli spettacoli anche nell’appartamento condiviso dal nucleo originario del gruppo (D’Amburgo- Lombardi-Tiezzi condividevano durante gli studi universitari un appartamento in via Panicale, a Firenze), allo stesso modo in cui, alcuni artisti in quello stesso periodo aprivano i loro studi, dove spesso vivevano, per allestire mostre personali e – in alcuni casi ‒ collettive.

Se Lo spirito del giardino delle erbacce era nato sotto il segno della malattia sancendo la nascita di un teatro analitico-patologico-esistenziale, con Il giardino dei sentieri biforcati Il Carrozzone inizia a teorizzare una relazione tra linguaggio scenico e linguaggio cinematografico basata non solo su una composizione che procede per sequenze, ma anche su una nuova possibilità di movimento maggiormente libera e sganciata da coordinate spaziali dettate dalla presenza (reale o immaginaria) di un palcoscenico. È in questo spettacolo infatti che gli attori iniziano ad esplorare soffitti e pareti sfidando, appesi a delle corde o sollevando gli oggetti, la forza di gravità101.

100 Il Carrozzone, Schede tecniche delle compagnie di Ricerca Tre, in «Ricerca Tre», anno XVII, maggio 1974, l’inserto è s.i.p.

101 Cfr. Pietro Bruno e Lorenzo Velle, Il viaggio dei «Magazzini», in «Corriere del Giorno», 24 aprile 1983, p.15.

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La nuova libertà di movimento delle figure nello spazio inizia qui a scollegarsi definitivamente dalla necessità di una trama sottesa allo spettacolo e, di conseguenza, a richiedere agli spettatori nuove e più provocatorie modalità di presenza, di osservazione e di esperienza. Sandro Lombardi, pensando alla drammaturgia dello spazio negli spettacoli del Carrozzone parlerà di un mutamento di «misurabilità», non tanto legata alla possibilità, per lo spettatore, di cogliere a colpo d’occhio uno spazio vivibile, oppure di poterne assemblare i diversi elementi (corridoi, pedane, etc…) per renderlo mentalmente abitabile, ma vincolata piuttosto alla capacità degli attori ‒ ottenuta spettacolo dopo spettacolo ‒, di renderlo un luogo ideale, sospeso. Sta agli attori decidere di volta in volta se lasciare che il pubblico viva l’esperienza dello spettacolo come un evento idealmente presente o se provocare negli spettatori un senso forte di distacco temporale, quasi simile alla differita102.

Nel 1977 Nicola Garrone evidenzia il passaggio di stato verificatosi all’interno della compagnia nel corso della stagione precedente103: Il Carrozzone era ‒ come affermerà Marion D’Amburgo qualche anno più tardi ‒ un nome che riecheggiava luoghi e situazioni dell’immaginario toscano104, una vita da saltimbanchi girovaghi tra le occasioni di festa religiosa e profana nei paesi delle terre del Chianti, con i suoi risvolti ilari e grotteschi da una parte e legati alla serietà e sacralità dei riti primitivi dall’altra105. Sotto questo ombrello protettivo ‒ per metà scudo magico e per metà simbolo di legame

102 A proposito della messa in scena de La donna stanca incontra il sole, Sandro Lombardi scriveva: «Gli spettatori si siedono in terra, al buio e in silenzio e dal buio e dal silenzio sono circondati. Ma sono l’uno a gomito dell’altro, partecipano allo stesso rito, non sono a vedere uno spettacolo. Mediazione tra i due spazi è la luce, che si realizza tramite il narratore che, seduto e confuso tra gli spettatori, idealmente li collega agli attori-dei che la luce trae dal profondo buio, ma rinfrancato dalla vicinanza dei compagni, lo spettatore assiste ad una fiaba antica. Ma forse è più antico lui. È come vedere un dipinto di Piero della Francesca con gli occhi stupiti di un uomo del Medioevo…». (Sandro Lombardi, Sullo spazio in Per un teatro analitico esistenziale, cit., p. 61).

103 L’elenco dei nomi degli attori figura finalmente negli articoli apparsi sulla stampa a partire dalla stagione 1976-1977: «Federico Tiezzi ed i suoi compagni che si chiamano più o meno immaginosamente (Per vari anni si sono rifiutati di fornire a critici e spettatori le loro generalità, anche quelle false) Alessandro Lombardi, Marion D’Amburgo, Teresa Saviori, Luca Abramovich, Luisa Saviori, Laura Salvi, Pier Luigi Tazzi e Sandra Lombardi, rigettano programmaticamente lo spettacolo come prodotto finito […]». (Nicola Garrone, Venere e lo sterminatore, in «La Repubblica», 27 gennaio 1977).

104 Sandro Lombardi in Queste assolate tenebre racconta un episodio della sua adolescenza, quando la sua professoressa di scuola media gli fece avere una poesia tratta dalla raccolta Onore del vero di Mario Luzi e ispirata dall’acqua del fiume e da quei luoghi intorno dove Sandro, a Poppi, andava spesso a passeggiare: «[…] Son luoghi ove il girovago, flautista/o lanciatore di coltelli, avviva/il fuoco, tende per un po’ le mani,/prende sonno; il vecchio scioglie il cane/lungo l’argine e guarda la corrente […]». (In Sandro Lombardi, Queste assolate tenebre. Un’amicizia con Mario Luzi, Metteliana, Città di Castello 2013, p. 27). 105 Cfr. Marion D’Amburgo in N. Garrone, Lentamente noi cambiamo così, in «La Repubblica», 19-20 novembre 1978.

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forte e di attaccamento al proprio retroterra culturale ‒, i componenti del gruppo celavano la loro identità, anteponendo idealmente una missione da compiere (la liberazione) all’affermazione di sé come individui e come gruppo. È con la presentazione del loro nuovo lavoro, Presagi del Vampiro. Studi per ambiente che la compagnia sceglie di rivelare i nomi dei componenti e, alcuni di loro, propongono o si fanno assegnare dai compagni dei nomi d’arte con cui farsi conoscere dal pubblico. A questa operazione non corrisponde però una precisa definizione dei ruoli all’interno della compagnia.

La diffusione delle generalità degli attori, avvenuta proprio in concomitanza della produzione di uno spettacolo analitico come i Presagi, ha lo stesso peso di una dichiarazione d’intenti: lo scopo della recitazione sembra quello di indagare il reale, mettendo a confronto diretto la fisicità dell’attore, il ritmo dei suoi gesti e della sua presenza nello spazio, con l’esplorazione del dispiegarsi delle energie e dei segni che ne attestavano il fluire nel vuoto interposto tra persone e oggetti. Sono adesso i segni semplici, minimi ‒ non più le figure mitiche e archetipe ‒ a popolare lo spazio della visione: segni che si impongono, tuttavia, ancora come impronte viventi di antiche storie. I nuovi nomi degli attori106 sono da considerarsi come tracce di un rinnovamento in atto, di un ulteriore processo di liberazione e, contemporaneamente come larve, ombre di antenati con cui lottare: anche quando Federico Tiezzi, Luisa Saviori, Pier Luigi Tazzi e Sandro Lombardi decidono di mantenere la propria identità, lo fanno sempre alimentando con essa un dialogo vivo, come con una maschera o un doppio. Ma cos’era stato a determinare all’interno della compagnia questi spostamenti? Cosa aveva innescato la necessità di far esplodere all’esterno della ristretta cerchia dei partecipanti un primo, chiaro, segno di rottura? Con i Presagi del vampiro, infatti, si aprì un periodo in cui le azioni del gruppo non venivano verificate tanto nella fase delle prove, quanto in un sistema di scrittura scenica che potesse essere tradotto in una partitura visiva il più possibile analitica degli spazi e dei flussi di movimento. La trascrizione degli Studi portò all’apice quell’idea di visual-scenario prodotto a margine de La donna stanca incontra il sole. La partitura visiva dello spettacolo rispecchiava l’operazione di messa a fuoco dei singoli «corpi del linguaggio teatrale», che venivano isolati e analizzati in un processo

106 I componenti del gruppo nel 1976 sono: Federico Tiezzi, Sandro Lombardi, Pier Luigi Tazzi e Luisa Saviori, che scelgono di mantenere il loro nome di battesimo; Teresa Saviori, per la quale Tiezzi inventa il soprannome di Alga Fox; Luca Fiorentino, che sceglie di comparire con il nome d’arte di Luca Abramovich in onore della body artist Marina Abramovich (dal 1978 diventerà Luca Vespa) e Marion D’Amburgo (Loriana Nappini). Cfr. Sandro Lombardi, Nomadismi, in Gli anni felici, cit., pp. 145-152.

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con cui ci si proponeva di evitare sistematicamente l’oggetto spettacolo ripetibile e si tentava invece di rendersi disponibili, come attori, a «captare le onde dei luoghi e degli ambienti»:

La successione degli Studi non è obbligatoria a priori, ma è determinata di volta in volta dai fattori dell’esterno: lo spazio fisico in cui si agisce, la situazione emotivo-culturale della città in cui si presenta lo spettacolo, il rapporto esistenziale-personale che si instaura con essa, etc.107

Gli schemi di movimento tracciati come schizzi, mappe o liste di spostamenti venivano poi riprodotti, dagli attori o da artisti108 amici, come fossero parte integrante dell’opera e al contempo sua diretta esplicitazione: un frammento da ripercorrere semplicemente per rivedere lo spettacolo attraverso i flussi di energia registrati.

Il Carrozzone sembra, con i Presagi, aver rivoluzionato la sua pratica scenica. Franco Quadri parla del loro teatro di quel periodo come di un teatro concettuale109. Il gruppo però preferisce definire il proprio processo di lavoro come manierista110 e ascrive gli Studi a quel periodo della ricerca avviato con Lo spirito del giardino delle erbacce, proseguito nel confronto con il linguaggio cinematografico111 proposto ne Il giardino dei

sentieri biforcati e che è, infine, approdato ai risultati dei Presagi.

Questo percorso fu possibile grazie a una crisi data anche dall’inclusione dei nuovi componenti e dal confronto, sempre più diretto e coinvolgente, con loro, oltre che con altre compagnie e con artisti dell’ambiente toscano e romano. In questo clima, l’impegno degli attori rimaneva quello di traslare nei termini della messa in scena teatrale una

107 Sandro Lombardi, L’orizzonte degli eventi…, cit., p. 50.

108 Oltre alle trascrizioni degli Studi curate da Tiezzi, D’amburgo e dagli altri componenti della compagnia, figurano delle indicazioni grafiche di Roberto Cerbai, un artista conosciuto nell’ambito delle Manifestazioni Artistiche Fiorentine (Maf) ai tempi degli spettacoli al Centro Techne. Cfr. Rossella Bonfiglioli, Frequenze barbare, La Casa Usher, 1981, p. 52; Giuseppe Bartolucci, Achille e Lorenzo Mango, Per un teatro analitico esistenziale, cit., pp. 80-87.

109 Cfr. Franco Quadri, Carrozzone, in «Laica Journal», n. 18, april-may 1978, p. 29.

110 Federico Tiezzi dichiarava nel 1978: «Nel Giardino dei sentieri biforcati avevamo commesso tutti i parricidi possibili (dal Living a Grotowski, a Wilson a Foremann), volevamo ricominciare da zero, con freddezza, lucidità, smontando, ciascuno per proprio conto, perché il gruppo attraversava anche una crisi di rapporti personali, lo spettacolo. Però un certo lato diabolico continuava ad esserci: usavamo gli elementi conoscitivi del teatro con l’occhio pazzo, deformante, traditore dei manieristi.» (Federico Tiezzi, in Nico Garrone, Lentamente noi cambiamo così, cit., p. 21). A questo proposito può essere interessante un confronto con il giudizio critico di Lorenzo Mango che, proprio a proposito di Lo spirito del giardino delle erbacce, dopo una breve descrizione, lo definisce nel complesso uno spettacolo poco riuscito in quanto «rischia di scadere nel manierismo» (Lorenzo Mango, Teatro di poesia, cit., p. 61).

111 È da rilevare che proprio nel 1976 si tenne a Firenze, dal 29 marzo al 9 aprile, presso la Facoltà di Lettere, un interessante convegno dal titolo Indagine sui rapporti tra cinema e teatro. Strutture/linguaggi/prospettive. Per il programma completo degli interventi cfr. «Teatro Regionale Toscano. Quaderni», n. 3-4 gennaio-aprile 1976, p. 45.

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situazione vissuta, creando, a partire da un’esperienza concreta, un’espediente scenico che la traducesse, un’equivalenza.112

Le difficoltà affrontate nel 1976 dal gruppo, che si trova a dover far nascere nuove sinergie e nuovi scontri tra le idee e i comportamenti di tutti gli attori, si traduce in scena nella scoperta della fuga prospettica. Negli spettacoli del primo periodo lo spazio veniva organizzato intorno a un punto idealmente posto al centro, spesso combaciante con un luogo di pericolo da attraversare, una zona a rischio; ora invece si arriva a raggiungere un nuovo spazio drammaturgico centrifugo e schiacciante.

Nelle sue memorie d’attore, Sandro Lombardi annota il sentimento di stupore con cui in quel tempo si rendeva conto a posteriori di quanto un particolare spettacolo fosse stato in un preciso momento storico, premonitore di un clima di tensione oppure di particolare armonia all’interno del gruppo, attribuendone a volte il merito alla particolare sensibilità di Federico Tiezzi, di fatto, sin dagli inizi, il regista della compagnia.

D’altra parte lo studio dei testi di Antonin Artaud, Gordon Craig, Samuel Beckett, Bertolt Brecht, mirava esattamente a questo: affinare la capacità di osservare il reale e l’immaginario tenendoli costantemente a confronto, per saper recuperare e dare forma a quel sentimento di stupore di fronte a una qualsiasi vicenda che appare sempre, contemporaneamente, già nota e sconosciuta. Quel sentimento di stupore che è parte di un più specifico sentimento del teatro.

112 Gli Studi segnano un periodo di approfondimento intorno al problema di un linguaggio scenico da scomporre nei suoi diversi elementi costituiti da corpo, oggetto, luce, suono, movimento, etc.; Federico Tiezzi sottolineava negli anni Ottanta che le improvvisazioni nate dal vuoto dello spazio facevano sempre riferimento ai testi e alle opere d’arte che il gruppo condivideva come cultura comune (cfr. Federico Tiezzi, in Oliviero Ponte di Pino, Gli analisti del nomadismo mentale, cit., p. 63). Invece, alla base dello spettacolo Vedute di Porto Said. Interni in esterno-Esterni in interno, che farà conoscere il gruppo anche all’estero a partire dal 1978, ci saranno proprio «le ultime, soggettive esperienze dei componenti del Carrozzone». (Claudio Scorretti, Vedute di Porto Said: Scene di ordinaria follia, in «Vita», 25 novembre 1978, p. 6).

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