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Apertura Gallerie, mostre, spettacoli: dalla presentazione alla

Anche La donna stanca incontra il sole debuttò in una galleria fiorentina. Nel febbraio del 1972 Alberto Moretti, Raoul Dominguez e Roberto Cesaroni Venanzi inauguravano, in via della Vigna Nuova, la Galleria Schema, dove si avvicendarono da quel momento eventi e seminari che coinvolsero artisti legati all’arte concettuale, alla body art e all’architettura radicale83. Lo spettacolo esordì in quell’ambiente culturale nel novembre dello stesso anno e da lì si fece notare, tramite Giuliano Scabia, dai critici che lo avrebbero incluso nel programma di due rassegne nazionali: nel giugno 1973 Giuseppe Bartolucci invitò il gruppo alla prima edizione della Rassegna-Incontro/Nuove Tendenze a Salerno, e Franco Quadri ne appoggiò la selezione alla seconda edizione del festival teatrale di Chieri I giovani per i giovani (20 giugno-1 luglio, 1973), dove la compagnia portò una nuova versione dello spettacolo rielaborata e arricchita di un lungo, volutamente provocatorio, prologo che ne dilatava le «pure e secche figurazioni»84.

A Salerno Il Carrozzone incontra Eugenio Battisti85, docente di Storia dell’Architettura all’Università di Firenze, che in quell’anno aveva tenuto proprio alla galleria Schema un corso sulle avanguardie artistiche86. Battisti volle alternare alle sue lezioni degli incontri con artisti e attori e propose al gruppo di condurre un seminario. Quando il progetto venne realizzato la compagnia aveva già preso parte alla mostra romana Contemporanea87 collaborando alla messa in scena dello spettacolo A Mad Man, a Mad Giant, a Mad Dog, a Mad Urge, a Mad Face di Robert Wilson e aveva anche prodotto per quella mostra un proprio spettacolo: Viaggio e morte per acqua oscura88.

distruzione completa di certe cose. Valori tradizionali e antichi, distruzione dello spettatore stesso, per cominciare con lui una ricerca dialettica o di superamento di se stesso, non di sistemi ma di vita.

Ora: come distruggere dei valori e idee tradizionali, come compiere la ricerca».

83 Cfr. Desdemona Ventroni, La galleria Schema a Firenze. Azioni e comunicazioni (1972-1976), in «Ricerche di storia dell’arte», n. 2, maggio-agosto 2009, pp. 37-48.

84 Franco Quadri, Il viaggio del Carrozzone verso un teatro materialista, in «Teatroltre», n. 16, 1977, p. 37.

85 Questo incontro è ricordato da Sandro Lombardi in Gli anni felici, cit., p. 96.

86 Cfr. Desdemona Ventroni, La galleria Schema a Firenze. Azioni e comunicazioni (1972-1976), cit., p. 40.

87 Cfr. Contemporanea. Catalogo della mostra. Parcheggio di Villa Borghese, Roma, novembre 1973- febbraio 1974, Roma, Incontri Internazionali d’arte- Firenze, Centro Di 1974.

88 Nel fascicolo che raccoglie i materiali sugli incontri universitari tenutisi a Firenze, le pagine dedicate al Carrozzone, scritte – secondo una dicitura segnata a penna – , «a cura del seminario», sono composte da una lunga analisi immagine per immagine dello spettacolo. Su quotidiani e riviste (cfr., tra gli altri, Franco Cordelli, Nel buio del Carrozzone, in «Paese Sera», 12 marzo 1974; Rino Mele, Il viaggio, la morte, in «Proposta», n. 16-17, 1974-1975) si parlava di un’assillante penombra e dell’estremo rallentamento delle

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Nel 1974, forse per la grande risonanza del nome di Wilson e dell’evento straordinario della mostra Contemporanea, passò un po’ in sordina nella storia del gruppo l’azione scenica Tactus, un lavoro realizzato con il musicista Azio Corghi e andato in scena a Como nel settembre di quell’anno89. In quell’occasione il gruppo ebbe modo di collaborare per la prima volta con un compositore che accostava allo studio del linguaggio sonoro quello del gesto e della parola (cantata, recitata e scritta), per ottenere la creazione di sonorità avanguardistiche, ma anche e soprattutto per dare origine a nuove modalità di scrittura attraverso la musica, che consentissero di raggiungere una nuova forma compositiva, equivalente musicale del racconto90. Questa esperienza91 pose le basi per le collaborazioni che Il Carrozzone avrà modo di attuare, negli anni successivi, con musicisti formatisi in ambiti spesso molto diversi e fu la prima occasione di incontro e di scambio

azioni come di scelte che stessero a significare la resa a un’esistenza priva di significati, fatta eccezione per rari momenti della vita, sanciti – si ripeteva spesso ‒ con uno spirito prettamente cattolico e senza ombra di ironia, da eventi rituali come nascita, matrimonio, morte, etc… Nello scritto lo spettacolo veniva analizzato soprattutto a partire dalle fonti iconografiche degli studi compiuti dalla compagnia, cercando così di sottolineare come il riferimento al “viaggio” non alludesse ad un viaggio-storia cui assistere durante la messa in scena, ma al di fuori e al di là di essa. Le immagini, presentate ‘in scorrimento’ come diapositive (F. Cordelli), tendevano a procurare negli spettatori una prosecuzione intima e mentale degli avvenimenti. Rino Mele, nel sostenere che Il Carrozzone aveva «generosamente fallito con questo viaggio», notava «una certa immaturità nella traduzione figurativa (si sentono ancora troppo le idee di partenza, scolorando la plasticità della figurazione)» e lamentava il fatto che «In questo viaggio il Carrozzone non lavora più sul tempo su un segno coniugabile ma sul rapportarsi di continue e successive presenze in uno spazio chiuso tra due momenti speculari che dovrebbero spiegare un mito con un altro» (cit., pp. 16 e 20). Nel dattiloscritto, composto anche con la collaborazione di giovani che entreranno di lì a poco a far parte della compagnia, si legge però che la messa in scena «tende ad estraniare ogni immagine o concetto, simbolo o mito, dal contesto tradizionale in cui la nostra cultura l’ha posto»). Di nuovo un moto in direzione di una liberazione, questa volta tutto interno alla rappresentazione e quindi più facilmente fraintendibile (cfr. Marion D’Amburgo, Spazio simbolico, in Giuseppe Bartolucci, Per un teatro analitico esistenziale, Studio Forma, Torino 1980, pp. 63-67).

89 Como, Autunno musicale, settembre-ottobre 1974.

90 «Nel caso di Corghi, spesso la scrittura [musicale] evoca gesti, immagini, pensieri, pur mantenendo un’assoluta autonomia espressiva musicale» (Lidia Bramani, Composizione musicale. Colloquio con Azio Corghi, Jaca Book, Milano, 1995, pp. 14-15. Cfr. Paola Maurizi, Quattordici interviste sul teatro musicale in Italia, Morlacchi, Perugia 2004).

91 La compagnia conserva degli appunti intitolati Quaderni di Tactus in cui viene specificata la definizione del concetto di corpo che si vuole portare in scena in questo lavoro: non un corpo concreto ma un corpo che rimandi ad altri corpi tramite l’esercizio dell’uso separato di testa, voce, volto, mani, piedi (con riferimento al “corpo celato” teorizzato negli scritti di Enrico Castelli, filosofo italiano autore di testi che indagavano il rapporto tra arte e religione). In linea con questa scelta si danno delle indicazioni rispetto alla recitazione del narratore che deve impersonare contemporaneamente più personaggi. Nelle ultime due righe dello scritto, al termine di una riflessione sull’elemento mostruoso nell’arte romanica (così come analizzato da Henri Focillon), si legge di nuovo, sotto una cancellatura, una frase sul rapporto tra la ricerca costante di una liberazione e l’atto del mostrare.

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con quella forma di teatro musicale che aveva visto nascere e svilupparsi proprio a Firenze, tra gli anni Quaranta e Sessanta, una scuola di musicisti d’avanguardia92.