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Figura 7 Prove dello spettacolo Viaggio e morte per acqua oscura, 1974. Foto Ketty La Rocca, (ASL)

In concomitanza con la prima dello spettacolo Vedute di Porto Said. Interni in Esterno – Esterni in interno apre alla galleria Zona di Firenze, gestita da Maurizio Nannucci la mostra a cura di Pier Luigi Tazzi Incontri ravvicinati di terzo tipo. Vengono esposte nei giorni 10/13/15/17 del mese di febbraio 1978 le opere di quattro artisti fotografi, amici e collaboratori del gruppo Il Carrozzone: Fulvio Salvadori, Ketty La Rocca (venuta a mancare esattamente due anni prima), Verita Monselles e Gianni Melotti. In linea con la nuova ricerca del gruppo, incentrata sullo studio dei rapporti tra la libertà e l’immaginazione interna dell’individuo e l’esterno, luogo di realizzazione del contatto e dello scontro con l’esistenza di una collettività, la mostra era organizzata sull’esposizione di opere che incarnassero uno sguardo sulle attività del gruppo. L’evento, nato anche per sottolineare un momento di passaggio per la compagnia, non fu pensato solo come giro di boa e occasione per esporre le tracce di un percorso artistico in divenire che vedeva tornare il gruppo all’interno di una galleria d’arte fiorentina, ma venne

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organizzato per proporre una nuova linea di interpretazione dell’atto teatrale da parte del gruppo, dove all’osservazione dettagliata di scenari in movimento si contrapponeva ora uno sguardo incrociato: se fino ad allora lo sfondamento della superficie aveva riguardato soprattutto l’interno dello spettacolo e ogni figura in scena si era manifestata come l’emanazione di un altrove da penetrare e indagare accanto al complesso di oggetti e spazi significanti esposti allo sguardo di uno spettatore che si voleva coinvolto nel viaggio, ora allo sguardo dello spettatore si opponeva uno sguardo speculare il cui compito si sarebbe rivelato, di lì a breve, quello di intrappolare sulla superficie della messa in scena, intesa come un’ideale barriera-punto limite, lo scontro in atto.

Messa efficacemente in scena nella performance Rapporto confidenziale, allestita nel mese di giugno del 1978 a Bologna in occasione della Settimana Internazionale della Performance, questa nuova visione di un punto limite individuato nella barriera visiva posta tra lo spazio interno e intimo dello spettacolo e lo spazio esterno, venne già preconizzato nell’azione che si tenne ai Lavatoi Contumaciali di Roma nel febbraio del 1976, in occasione della quale lo spazio era stato così predisposto:

Abbiamo circondato la casa dei lavatoi con uno spazio di fuoco: delle candele formano un corridoio nel cortile che porta al Lavatoio.

La prima scena è vista dall’esterno, la gente dietro una ringhiera di ferro guarda una porta chiusa con un vetro smerigliato. Sul vetro appaiono una mano e un viso. Poi una Falce. La porta si apre e si vede l’interno di una cucina. C’è un tavolo con una luce a cono sopra. Intorno al tavolo ci sono: una ragazza che dorme vestita di nero (la tovaglia è bianca); un ragazzo che mangia una mela, interrompendo e pausando il gesto; una donna seduta con un uccello sul capo e dei fiori di mimosa vestita di nero; una sirena sta sotto il tavolo.243

Al di là della linea di fuoco, della parete di vetro e dell’inferriata del cancello Il Carrozzone espone ancora in quest’occasione i propri simboli feticcio ma, per la prima volta, predispone lo spazio non per coinvolgere lo spettatore ma per fargli attraversare da solo una serie di soglie. Per la performance non viene fatta menzione di nessun narratore che inquadri i dettagli tramite l’uso di una puntuale sorgente di luce ma è il quadro stesso a muoversi, ad emergere da sé, mano a mano che si immagina la penetrazione dello spettatore nello spazio. La performance culmina in un boato sonoro, respingente: alle melodie della fisarmonica che, alla stregua di un piffero magico, faceva strada nei precedenti spettacoli, qui gli attori cercano rifugio dietro tendaggi rossi, ma rimangono inesorabilmente esposti agli sguardi, quindi non possono reagire in altro modo se non

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battendo rabbiosamente i piedi a terra per allontanare gli spettatori, per la prima volta sentiti come invadenti.

Figura 8 Il Carrozzone, Rapporto confidenziale, Settimana Internazionale della Performance, bologna 1978.

Foto Silvia Lelli Masotti

Era stata Dacia Maraini a notare in una sua recensione allo spettacolo Lo spirito del giardino delle erbacce che Il Carrozzone, pur preoccupato di immettere spazialmente lo spettatore nella visione, non aveva fin lì ingaggiato uno scambio e che, pur avendo animato lo spettacolo con una nuova tensione al movimento non aveva liberato le figure. Per la Maraini:

Ci accingiamo a seguire Laing nel suo viaggio attraverso le paludi della schizofrenia, cullati dalla voce purissima di una pellegrina del sogno.

Ma, ecco, la traversata risulta subito monotona e faticosa. I fantasmi evocati dall’inconscio non riescono a comunicarci niente di inquietante. I simboli sontuosi, enigmatici, che da fermi irradiano una forza stregata, quando si muovono perdono la loro bellezza, ciondolano, si urtano, vagano a caso, senza armonia.

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La cosa senza dubbio più bella di tutto lo spettacolo è un ballo dolente, angoscioso e placido fra due donne, che si snoda come un serpente assonnato fra le gambe degli spettatori.244

Arrivare fra gli spettatori, con cose che si possano toccare; ecco il movimento di cui aveva bisogno Il Carrozzone quando, qualche mese dopo Lo spirito del giardino delle erbacce mette in scena alla Rassegna-Incontro Nuove Tendenze di Salerno Il giardino dei sentieri biforcati. In occasione di questo spettacolo le recensioni in cui si parla dei precedenti spettacoli del Carrozzone come di un capitolo ormai chiuso, fatto di itinerari visibili solo o da troppo vicino o da troppo lontano, sono molti; le critiche all’uso fatto in scena delle lamette da parte di Federico Tiezzi che si ferisce ripetutamente le braccia, rischiano di far passare in secondo piano le rigorose novità messe in campo dal gruppo che, con questo spettacolo, partecipa alla Rassegna con cui, secondo Giuseppe Bartolucci, nasce la Postavanguardia. È in quest’occasione che Il Carrozzone sfonda per la prima volta dall’interno verso l’esterno, lo spazio. E lo fa tramite la citazione di performance artistiche di body art, grazie alle quali può finalmente liberare le figure e arrivare a toccare lo spettatore, insinuandosi tramite la percezione, fra i suoi processi mentali. Scriveva Franco Quadri, a proposito del movimento dall’interno all’esterno messo in scena dal gruppo in questo spettacolo:

[…] il disagio degenera in malattia: il rifiuto passa radicalmente attraverso il sacrificio fisico. Ed ecco un figlio prendersi a rasoiate sulle braccia fino a disegnare reticolati di sangue sotto gli occhi afoni della madre, ecco un Padre nudo e dal capo bendato venir ricoperto di visceri e di carne sanguinolenta, e solcato da vermi.245

Il passo da questo tipo di sfondamento all’immissione in scena di oggetti semplici, che contenessero tutte le possbilità di situazione, come il ventilatore presente in Vedute di Porto Said, è quello che porterà durante l’anno il gruppo verso sperimentazioni analitiche che si dispiegheranno nei successivi spettacoli coniando nuove tipologie di ricerca, in linea con il linguaggio della Postavanguardia, almeno fino al momento in cui, questa non venne ufficialmente decretata conclusa.246

244 Dacia Maraini, La parola è un ballo fra donne, «Il Tempo Illustrato», p.11. Non è stato possibile risalire al numero esatto della rivista su cui è pubblicato l’articolo, conservato in copia nell’ASL.

245 Franco Quadri, Il giardino dei sentieri biforcati, «Panorama», 27 luglio 1976, p. 16.

246 Mimma Valentino riporta nel suo volume sul Nuovo Teatro in Italia l’episodio che sancì, al convegno Spazio, ambiente, teatro di Padula, la chiusura della corrente postavanguardistica nel 1978, e che vide protagonista tra gli altri Federico Tiezzi: «Siamo alle origini della “tragedia”. Andrea Ciullo, Giorgio Barberio Corsetti, Il Carrozzone certificano, con i loro interventi, un momento di disagio e disorientamento; sullo sfondo della Certosa di Padula, Federico Tiezzi, giunto in scena con un cappello dalla falda larga, occhiali scuri e una pistola, inizia a parlare di crimini e delitti, teorizzando un’ipotesi di teatro come “buco nero”, punto di risucchio e passaggio tra due universi paralleli, luogo come il crimine di massima

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CAP. II Gli anni Ottanta

II.1 Nuova sensibilità drammaturgica

Fig. 7 I costumi della Donna stanca e del Sole. Mostra Materiali per un Teatro di Poesia, Scandicci 1983

Da La donna stanca incontra il sole a Sulla strada passano dieci anni. E questi dieci anni sono ben rappresentati dall’immagine dei costumi del primo spettacolo esposti in mostra nel 1983 in occasione dell’inaugurazione dello spazio del teatro Magazzini a Scandicci. A terra, nell’immagine, si riconosce il telo che faceva da scenario allo spettacolo nel 1972, dietro, sul muro di fondo, le scene disegnate da Tanino Liberatore per Sulla strada. Un paesaggio stilizzato e in bianco e nero quello che veniva esposto alle spalle degli attori negli anni Settanta; una suadente giungla fumettistica ad incorniciare i giochi di luce dello spettacolo che prendeva a pretesto il libro di Keruac per parlare di

concentrazione e disfunzione al medesimo tempo». (Mimma Valentino, Il Nuovo Teatro in Italia 1976- 1985, Titivillus, Corazzano 2015, pp. 63-64).

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una gioventù, quella della generazione degli attori, diversamente bruciata rispetto a quella dello scrittore. Malgrado la scenografia di Sulla strada evochi dei riferimenti apparentemente lontani dalle maschere e dai vestiti pesanti sotto cui si volevano far sparire i corpi degli attori per far sì che in scena rimanessero a galleggiare come puri simboli solo le spoglie di antichi idoli, c’è qualcosa nell’abito della donna che ritorna e passa dai costumi della Donna stanca al testo di Sulla strada ed è l’idea dello «scrigno». Nel manoscritto in cui veniva data descrizione dei costumi si leggeva a proposito del costume della Donna:

Il costume di ogni personaggio deve essere come a strati di preziosità. Nella povertà dei gesti, nella semplicità dei suoni il costume che indossa il personaggio è molto “prezioso”, curato ma non minuzioso. Come una pietra di ametista che da fuori presenta una scorza calcarea dura e una volta spezzata, aperta contiene meravigliosi cristalli viola. O come un reliquario d’oro estremamente tempestato di gemme all’interno. L’interno non è visibile. Ma a momenti una chiusura male fermata lascia intravedere lo splendore dell’interno. Allora si resta stupiti di fronte a tanto splendore. Questi idoli sono come scrigni, dall’interno splendido. 247

Avevamo già messo in evidenza che per i costumi dei primi spettacoli la compagnia potrebbe aver attinto alle descrizioni presenti nel volume tradotto da Eugenio Battisti e ristampato nel 1970 sulla civiltà azteca, immagini riscontrabili a partire già dalla Donna stanca, dove vengono descritti mantelli piumati e tempestati di gioielli, e non ci sembra un caso che il tempio, presente in scena dal secondo atto di Sulla strada, sia proprio un tempio azteco. I costumi per questo spettacolo sono derivati da suggestioni provenienti dal mondo della grafica e in particolare dai lavori del fumettista francese Moebius, ma quello che ci interessa in questo caso è il testo dove troviamo una traccia del tipo di evoluzione compiuta dalla compagnia in dieci anni di attività.

Questo l’incipit dell’atto secondo di Sulla strada: Scena prima: Tramonto tropicale, caldo.

(Terry, Bull Lee)

La scena è occupata ora da tre grandi colonne decorate con una coda di serpente e da un tempio azteco ricoperto dalla vegetazione e invaso dall’umidità. Sulla destra, un grande attrezzo metallico con piano di tessuto elastico che permette di fare grandi salti. La struttura metallica è incassata sotto il piano del pavimento e è appena visibile. All’apertura del sipario, Bull sta saltandovi sopra mente Terry è accucciata ai piedi del tempio. Poi si alza, gira su se stessa, battendosi le cosce con le mani.

TERRY Ehi, ragazzo, svegliati! BULL Cosa succede?

TERRY Siamo bloccati. BULL Ma cosa è successo?

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TERRY penetriamo in dolcezze incredibilmente infinite andando a zig-zag verso Sud.

BULL Sta arrivando un altro uragano. TERRY Lo porta il vento.

BULL L’orizzonte è oscurato dalle nebbie. TERRY Ho il vento negli occhi.

BULL In alto nubi di corallo.

TERRY l’uragano… ci siamo dentro tutti in questo maledetto affare. È sempre così prima di uragano.

BULL Vuoi dire gli spari? Le belve sentono l’uragano nell’aria. TERRY sto andando verso Sud e tu sarai con me, ragazzino. BULL Ci perderemo nella giungla.

TERRY passeremo molte notti insonni nella giungla. BULL Agua caliente nelle radure sommerse. Il Sud è laggiù. TERRY è il momento di esplorare le rovine.

BULL ci sono stati gli aztechi qui.

TERRY ci saranno immensi tesori nascosti. BULL Che siano le rovine di Atlantide?

TERRY Per me non fa nessuna differenza. Beviamoci su248.

Al di là di quello che sta accadendo in scena ci interessa evidenziare le immagini che nel lavoro drammaturgico ritornano a formare un sostrato a cui attingere. Se è vero infatti che il testo di Keruak è alla base di questo lavoro è altrettanto vero che Tiezzi riscrive il già fatto e le parole che usa ci interessano non tanto per il loro significato quanto per il metodo di composizione teatrale che sottendono. Se è lecito pensare che per Sulla strada Tiezzi ha in mente La donna stanca e coglie l’occasione dei dieci anni precisi trascorsi per rilanciare una scrittura scenica fatta di immagini, questa volta anche verbali, allora possiamo guardare in particolare alla battuta di Terry: «ci saranno immensi tesori nascosti» come ad una battuta in cui è riposto il nocciolo di una questione teatrale. Gli attori nella Donna stanca avevano dei costumi-struttura che, oltre a far sparire i corpi e ad essere intessuti di simboli e significati alchemici, avevano in scena l’imponenza di grandi statue sproporzionate per lo spazio d’azione in cui erano costrette a muoversi lentamente e a dare l’impressione non di camminare ma di scivolare sul pavimento perché infondo prive delle gambe, che venivano sostituite da gonne ampissime e scultoree, bianche o nere. In più, dall’analisi dei collages pubblicati nel volume sullo spettacolo abbiamo appreso che ogni personaggio era una manifestazione di un altrove sulla scena, un elemento di sfondamento della superficie. Impossibile ritrovare la ieraticità di quello spettacolo nelle danze e negli esercizi di acrobatica compiuti in Sulla strada ma un sentore di sacralità pervade le immagini tradotte in parola proprio tramite i riferimenti alle figure

248 Sceneggiatura dello spettacolo Sulla strada, in Sandro Lombardi, Marion D’Amburgo, Federico Tiezzi, Sulla strada dei Magazzini Criminali, cit., pp. 63-64.

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dello spettacolo che Tiezzi ha molto probabilmente negli occhi mentre scrive. La frase di Terry sui tesori nascosti assume un significato metateatrale se analizzata alla luce di questa supposizione: come nella Donna stanca i personaggi erano considerati «scrigni», spazi prelevati da altri mondi conchiusi in se stessi e visibili per gli spettatori solo dall’esterno, nella manifestazione relativa allo spazio fisicamente condiviso da attori e spettatori della messa in scena, così, adesso, l’attore si è liberato dello spazio, non lo indossa più come una struttura, ma ci vive dentro, come un corpo qualunque vivrebbe in una stanza vuota. E allo stesso tempo la stanza vuota, come dice il personaggio di Terry, è diventato lo scrigno. Questo tipo di liberazione del personaggio dallo spazio che lo ingloba e quindi dalla storia che porta addosso è uno dei temi più importanti per guardare alle regie di Tiezzi, se pensiamo che l’immagine della figura liberata lo accompagna dalla stagione 1976-77 quando consegue la laurea in storia dell’arte sugli anni di formazione dello scultore Claus Sluter. In un passaggio particolarmente interessante della tesi, dedicato alle riflessioni del regista sui materiali esposti precedentemente, Tiezzi scriveva:

La diffusione del pensiero di Occam determina uno dei raggiungimenti fondamentali dell’opera di Sluter: il distacco della statua dalla «servitù del muro» (Focillon): gli studiosi francesi e non hanno completamente ignorato il problema limitandosi a accennare quello che secondo loro è una importante innovazione (solo il Focillon indica la portata di quella novità).

Sotto quale pressione, quali stimoli culturali determinarono una liberazione così netta della statua dal contesto architettonico che l’aveva posseduta fino a quel momento?

Le idee di Occam ci sono sembrate quelle che possono aver determinato questo elemento in atto già da tempo nella cultura figurativa francese. E alle idee di Occam attribuiamo anche quella svolta nel verso del naturalismo che Sluter darà con la sua opera.249

Come notava Lorenzo Mango nell’opuscolo pubblicato dalla casa editrice L’obliquo su Crollo nervoso, fu in occasione di quello spettacolo che la compagnia elaborò e mise in scena per la prima volta in maniera compiuta uno spettacolo-camera dove per camera si intendono un luogo e un tempo semplicemente non identificati, che lasciano spaziare chi vi si pone250.

Lo spazio fisico di una scena avviluppata alle figure, dopo i pesanti costumi dei primi spettacoli veniva realizzato tramite ombre luminose proiettate sui corpi degli attori, che si aggiravano ad esempio in Porto Said con il peso di intere griglie luminose o gabbie di luce addosso, provocando il dissolvimento del corpo nel buio o facendolo comparire

249 Federico Tiezzi, La formazione di Claus Sluter, Tesi di laurea non pubblicata, relatore Roberto Salvini, Università di Firenze, Facoltà di Lettere, anno accademico 1976-77, p. 7.

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solo in forma di distorsione delle linee, mentre la scenografia pensata per Crollo nervoso esibiva il distacco come conquista e liberava nello spazio gli elementi.

A proposito della scenografia di Crollo nervoso e dell’uso delle veneziane in scena Federico Tiezzi sosteneva sul finire degli anni Otanta:

Le veneziane appaiono una prima volta nel 1980 nella mia prima regia firmata, cioè Crollo nervoso, ma là avevano una funzione piuttosto di riferimento a un’immagine di certi luoghi della città, anche se la loro disposizione creava un solido geometrico molto puro ed efficace. […] il palcoscenico è una caverna: le veneziane sono stalagmiti che deformano lo spazio, lo terremotano, lo ricreano daccapo ogni volta. Lo contengono e lo dilatano, lo comprimono e lo misurano, e lo spazio scenico si lascia modellare […]. Dunque, concludendo, è un solido geometrico vuoto lo spazio che stilisticamente vedo accompagnare e far vivere la mia drammaturgia poetica, uno spazio vero, concreto, utilizzabile, preparato, come direbbe Cage del suo piano, per il dipanarsi di quella geografia emotiva che è uno spettacolo251.

Fig. 5 Vedute di Porto Said, 1978. Foto di

Giuseppe Pino (ASL). Fig. 6 Crollo Nervoso, 1980. Foto di Xandra Gadda (ASL).

Del 1980 sono le performance realizzate fuori dai teatri, come Ins Null a Monaco nell’Olympia Stadion e Blitz, ambientata in diversi luoghi nella città di Rimini, tra i quali un distributore di benzina e un Luna Park. In queste occasioni gli attori sono liberi negli spazi della città, soprattutto se relazionati agli abitanti, inavvertitamente spinti a percorrere traiettorie abituali e sclerotizzanti. L’autonomia degli attori che agiscono in strada sta nell’assoluta libertà di scegliere reagendo a situazioni non predeterminate, ma avendo solo il compito di essere fisicamente preparati se necessario anche ad una lotta per conquistare lo spazio che, se non obbliga, neppure vuol dire che si offra ad essere occupato.

251 Federico Tiezzi, La scena come «forma simbolica», in Gordon Craig in Italia. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Campi Bisenzio, 27-29 gennaio 1989, a cura di Gianni Isola e Gianfranco Pedullà, Bulzoni, Roma 1993, pp. 258-259.

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