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II.3.1 Progetto Agamennone

Da più di un anno i Magazzini Criminali (il gruppo fiorentino da anni all’avanguardia nel campo della nuova sperimentazione teatrale) si sono stabiliti a Scandicci, dove hanno presentato il loro ultimo lavoro Sulla strada da Keruac. Il loro stretto rapporto con l’amministrazione comunale prevedeva una serie di ‘interventi’ dell’attività del gruppo nel tessuto sociale e urbano di questa città «di frontiera», in modo che il suo lavoro artistico si rivolgesse in modo preferenziale alla gente del luogo.

Questo impegno si realizza ora grazie a «Materiali di un teatro di poesia», la rassegna di ‘tracce’ e memorie artistiche in programma da oggi al 30 luglio. L’iniziativa segna l’inaugurazione di Magazzini, un nuovo spazio permanente in cui il gruppo ora raccoglie in una mostra i materiali dei suoi spettacoli passati. L’esposizione permetterà al gruppo – come ha detto il suo leader Federico Tiezzi alla presentazione dell’iniziativa – non solo di far conoscere ma anche di riscoprire e ripercorrere criticamente tutto un cammino teatrale durato dieci anni, e articolatosi in lavori ormai ‘storici’ come Crollo nervoso. 176

Dopo un anno di collaborazione culminato con la partecipazione da parte del comune di Scandicci alla produzione dello spettacolo Sulla strada, tra il comune e i

174 Cfr. la sezione Premi in «Magazzini 7», Ubulibri, Tipografia Sociale di Monza 1984, p. 125.

175 Il materiale promozionale inerente queste giornate di lavoro è conservato nell’ASL e consta di una locandina-invito pieghevole. Gli incontri si svolsero dal 15 al 17 dicembre 1982.

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Magazzini Criminali Productions venne stipulato un contratto di convenzione triennale che prevedeva l’affidamento della gestione del teatro alla compagnia, la quale si impegnava a portare a termine un progetto di lavoro che seguisse una linea di ricerca e sperimentazione drammaturgica sull’attore e sul suo relazionarsi con i diversi elementi della scena (suono, spazio, luce), oltre a garantire un continuo impegno nel documentare e diffondere, tramite l’organizzazione di incontri e momenti di condivisione, i materiali prodotti in margine agli spettacoli.

In un primo momento si pensò di intitolare il progetto, che prenderà presto il nome di Progetto Agamennone, alla leggenda della città di Atlantide, un mito su cui il gruppo aveva già ragionato nel 1974 come dimostrano le pagine di appunti presi in occasione del lavoro con il musicista Azio Corghi, Tactus177. A riprova di questo primo passaggio178 nel 1983 i Magazzini Criminali Productions pubblicarono un pezzo musicale dal titolo Atlantide (manifesto degli addio) nell’album di Alessandro Mendini e Studio Alchimia

Architettura sussurrante179 per la casa di produzione Ariston Music.

A una lettura dei documenti relativi al progetto – le prime stesure e, poi, gli atti effettivi – risulta come il riferimento alla cultura classica andasse progressivamente a sfociare, dall’ambito delle tematiche e dei titoli delle opere da realizzare, verso l’impostazione che il gruppo volle dare al centro e alle produzioni ad esso legate, via via tendente sempre più a quell’antico modello greco di Accademia, risorto proprio a Firenze nel Rinascimento grazie a grandi pensatori come Marsilio Ficino.

In uno dei dattiloscritti su carta intestata della compagnia, allegati al documento sul Progetto Agamennone firmato dal curatore Franco Quadri, si legge infatti:

Nella ricostruzione di uno spazio “per la classicità” (spazio che è anteriore a quello dell’anfiteatro e che affonda le sue radici dentro il concetto di Agorà e di Polis) è impostato il lavoro dei Magazzini Criminali che con il Progetto Agamennone cercano di restituire a una città in cerca della sua identità (Scandicci) un tessuto culturale che naturalmente (come nella Grecia Attica) abbia il teatro al primo posto180.

177 Tra gli appunti riguardanti i materiali di ispirazione per lo spettacolo c’è una pagina intitolata Atlantide in cui vengono riassunte alcune teorie tratte dagli studi e dai racconti dell’archeologo Augustus Le Plongeon (1825-1908). Cfr. anche Paola Maurizi, Quattordici interviste sul nuovo teatro musicale in Italia, cit., p. 21.

178 Questa informazione è derivata da un’intervista inedita a Federico Tiezzi datata marzo 1983 (ASL). Non è segnato il nome dell’autore dell’intervista.

179 Cfr. Rossella Bonfiglioli, Frequenze barbare…, cit., pp. 96-97; Jennifer Malvezzi, Remedi-action. Dieci anni di videoteatro italiano, Postmedia, Milano 2015, nota 29, p. 47.

180 Il documento di presentazione del progetto è tra gli allegati al consuntivo del primo anno firmato da Franco Quadri e datato 3 marzo 1984. I materiali sono conservati nell’ACLT.

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Di seguito, sul consuntivo del secondo anno di lavoro al progetto avviato nel gennaio 1983 e il cui termine era previsto – salvo rinnovi – nel dicembre 1985, si trovano tutte le informazioni sulla preparazione degli spettacoli e sugli incontri organizzati a teatro intorno al tema del rapporto e dello scambio possibile tra la cultura classica e quella contemporanea:

Il Progetto Agamennone partito come una riflessione sulla classicità, volta alla realizzazione dello spettacolo tratto da Eschilo, si è poi sviluppato e allargato a una ricerca sulla cultura classica e la realtà contemporanea. Proprio su questo tema, il 3 marzo (ore 17.30) presso, “Magazzini”, Peter Stein è stato invitato ad un Dialogo sulla tragedia con il critico Franco Quadri. Alla conversazione con Stein […] seguirà la prima trasmissione in Italia del video-film Orestea tratto dallo spettacolo da lui realizzato […]. Stein è stato preceduto, nei mesi scorsi, da incontri con Rubina Giorgi, docente all’Università di Salerno, con gli scrittori Ippolita Avalli, Pier Vittorio Tondelli, Franco Bolelli, dalla dimostrazione di lavoro del gruppo teatrale Parco Butterfly e dalla proiezione del film di Patrice Cheréau L’homme Blessé. […] Magazzini vuole essere anche un luogo d’incontro e di scambio, con l’ambizione di ricreare un “clima culturale” che coinvolga artisti, intellettuali, organizzatori, allievi interessati ai molteplici eventi che il Progetto Agamennone elenca, e in particolare alla ricerca dei Magazzini Criminali, da sempre incentrata sull’attore, sullo spazio, sulla musica, oggi anche sul testo e sul teatro di poesia181.

Seppur con toni ammiccanti e con un marcato accento di indignazione sarà il critico Tommaso Chiaretti182, in una recensione dello spettacolo Genet a Tangeri a notare e mettere in rilievo i mutamenti intercorsi nello stile della compagnia non tanto per quanto riguardava la messa in scena, quanto per il nuovo e più studiato (in senso propriamente accademico) modo di proporsi:

Leggo subito in un denso libro bianco che Genet a Tangeri è come Edipo a Colono. […] mi pare, se ho capito bene, che tutti quelli che cercano di portare questo Genet dei Magazzini Criminali, verso il mito greco degli Atridi e di autori togatissimi, gli rendono un cattivo servizio, gli fanno un irritante regalo. Capisco che il regalo, bene incartato, è quasi richiesto dal nuovo volto dei Magazzini, che da una presentazione esplosiva alla Andy Warhol, con tanti sessi in vetrina, hanno trasformato la loro rivista in una sorta di candido bollettino editoriale della asessualità formale, che se avesse la carta paglierina sarebbe vicino ai «Quaderni della Critica». […] Portare Genet […] a Tangeri con un pinguino […] appartiene a una giusta indicazione di spettacolo sorridente. Mettere un Guido Reni sul fondo è un criptogramma impossibile da sciogliere anche a chi se ne

181 Ivi, pp. sgg.

182 I messaggi minatori ricevuti da Tommaso Chiaretti da parte di certi “Magazzini Ultras Roma”, in disaccordo con i giudizi da lui espressi sugli spettacoli furono, per volontà del critico, resi di pubblico dominio sulle pagine del quotidiano «La Repubblica» (cfr. l’edizione del 10 maggio 1984) e contribuirono ad esacerbare un clima di delusione, quando non di vero e proprio dissenso verso l’operato della compagnia prima e dopo lo spartiacque di Sulla strada, in cui qualcuno aveva già individuato una linea stilistica degradante rispetto ai lavori precedenti. A questo proposito e sulle vicende che interessarono Tommaso Chiaretti cfr. Paolo Lucchesini, Il Magazzino? È esaurito, «La Nazione», 22 luglio 1984; Italo Moscati, I Criticoni, «Linus», gennaio 1988. C’è da dire che i toni delle recensioni di Chiaretti dovevano essere da tempo noti agli scurrili difensori dei Magazzini Criminali se dal 1983 il critico paragonava i loro spettacoli a «dolorose confessioni di impotenza» (Tommaso Chiaretti, Un miraggio per chi cerca la libertà, «La Repubblica», 17 aprile 1983).

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intende. Tutte quelle scale da acrobata, invece, mi paiono una gustosa, benché plateale e consumata, idea reiterata. […] Insomma ci sono due Genet a Scandicci: uno sembra appartenere a uno scherzo garbato, quasi inoffensivo […] ma poi appaiono insensati collages sonori come il Don Camillo o Casta Diva, o le sonatine di Satie, e nulla è più credibile.183

Il denso libro bianco cui si fa riferimento è certamente il numero 7 della rivista «Magazzini» che, uscito in una veste appositamente rivisitata e pronta ad accogliere gli interventi dei partecipanti agli incontri, nel 1984 si impose con la sua nuova silhouette da volume saggistico contro quello che era stato l’ultimo dei numeri della rivista uscito nell’estate del 1983 ancora in forma di fanzine.

Il numero 6 della rivista fu totalmente dedicato alla pubblicazione degli apparati informativi sull’evento con cui si era inaugurato lo spazio Magazzini a Scandicci, la mostra Materiali di un teatro di poesia che si tenne nel teatro dal 29 giugno al 20 luglio 1983. In mostra furono esposti i lavori di molti fotografi e grafici che avevano collaborato con i Magazzini, oltre a quelli di artisti e musicisti; furono allestite zone dove esporre alcuni costumi degli spettacoli storici e, durante la notte, fu possibile assistere alla proiezione dei video prodotti sulla compagnia e dalla compagnia. La sera dell’inaugurazione della mostra fu mostrato il video realizzato da Rainer Werner Fassbinder che era stato presentato al Festival dei Popoli di Firenze nel settembre del 1981 e che fu girato da Fassbinder in occasione del festival Theater der Welt a Colonia nel giugno dello stesso anno e dove I Magazzini Criminali misero in scena Ebdomero 2, Crollo nervoso e una performance dal titolo Ins Null. Gli spettacoli furono ripresi da Fassbinder e inseriti nel suo documentario come unici rappresentanti del lavoro di compagnie italiane al festival184.

183 Tommaso Chiaretti, Genet non sarà troppo grande per i giochi dei “Magazzini”?, «la Repubblica», 6 maggio 1984, p. 12.

184 «Si tratta dell’unico documentario girato da Fassbinder sul festival Theater der Welt 81 a Colonia. In 14 episodi vengono presentati alcuni dei gruppi teatrali presenti alla manifestazione: lo Squat-theatre di New York, i Magazzini Criminali di Firenze, i Kipper Kids della California, il Wuppertaler Tanz-theater di Pina Bausch, ecc. La voce-off di Fassbinder accompagna le immagini leggendo brani da Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud. Fassbinder procede allineando uno dietro l’altro spezzoni di spettacoli, citando esclusivamente messe in scena di un teatro non di parola, di un teatro del corpo, dell’azione. Gli estratti da Artaud su un teatro della crudeltà e della follia forniscono il fondamento teorico per gli spettacoli presentati nel documentario. La descrizione del documentario è tratta dal pieghevole riguardante il Colloquio su Fassbinder: voglio solo che mi si ami, tenutosi presso il Goethe-Institut di Roma dal 18 al 21 gennaio 1985. Il documento è conservato nell’ACLT.

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II.3.2 Trilogia

Nel “Ritratto dell’attore da giovane” (come era stato in “Genet a Tangeri”) i sipari vengono utilizzati in modo da contraddire la loro specifica funzione di elementi discriminanti, e divengono invece abito, rifugio, caverna, ecc., costituendo insomma un possibile luogo d’azione e non di separazione. All’interno dello spazio che essi delimitano, la sola struttura scenografica presente è una grande piscina, una vasca, una fossa d’acqua oscura in fondo alla quale giace naufragato un quadro: “Il naufragio della speranza” del tedesco C. D. Friederich e i morti di quel naufragio, attori185.

Negli Ottanta, presso la sede di Scandicci i Magazzini si dedicano quindi a un progetto triennale con il quale si impegnano a mettere in scena ogni anno una tappa di un percorso intitolato originariamente al personaggio mitico di Agamennone. Fanno parte di questo progetto gli spettacoli Genet a Tangeri, Ritratto dell’attore da giovane, Vita immaginaria di Paolo Uccello. Attraverso queste tre opere la compagnia elabora quella nuova forma di scrittura scenica che, come abbiamo visto, intitola Teatro di Poesia in omaggio a Pasolini. Come sempre, I Magazzini conservano intatta la volontà di non creare subordinazione tra le diverse parti dello spettacolo, di non asservire l’attore al disegno del regista e di non far coincidere il progetto dello spettacolo con un’opera creata separatamente. L’attore, l’autore e il regista dovrebbero essere tre entità fuse in una grazie a un teatro il cui compito non è quello di mettere in scena una traccia preesiste, ma di costruire una scena insieme a un testo che dialoghi con essa.

Così come l’argomento di un loro spettacolo può essere rintracciabile non in una vicenda ma in un atto artistico come quello dello scrivere, del dipingere, del comporre o del suonare, allo stesso modo nel 1986 i Magazzini186 realizzano una serie di Ritratti187 d’artista per un progetto di video-teatro. Ogni sezione del progetto prevede la realizzazione di video dedicati a personaggi che incarnano la loro arte di riferimento e vengono filmati nei loro ambienti, nei loro studi, mentre conversano con gli attori: presenze che rappresentano un altro tempo, un altro luogo rispetto a quello filmato. Presenze in qualche modo assenti, quindi.

185 Sandro Lombardi, dal programma di sala di Ritratto dell’attore da giovane, Teatro ai Magazzini, Scandicci 27 aprile 1985 (qui, p. 382).

186 I Magazzini dall’ottobre del 1985 variano la denominazione della compagnia che non è più Magazzini Criminali Productions ma diventa Magazzini s.r.l.

187 I Ritratti di fine millennio. Mosaici elettronici byzantyni della pittura, sono video-ritratti di pittori contemporanei come Alighiero Boetti, Bruno Ceccobelli, Nicola De Maria, Gianni Dessì, Luigi Ontani, e Mario Schifano.

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Il Ritratto è l’idea-sagoma in cui lo spettacolo, che potremmo definire flusso, si impiglia.

La trilogia è il primo vero testo teatrale creato da Federico Tiezzi per la scena, sulla base della tecnica manierista del pastiche. Non bisogna credere che la sfida in questo caso, come generalmente mai nel postmoderno, stia nel rintracciare le fonti dei testi citati, ma, come suggeriva Franco Quadri nell’introduzione al volume in cui i testi degli spettacoli della trilogia sono stati pubblicati188, è il caso di porre l’orecchio all’onda ritmica generata dalla scrittura del testo (per chi legge) e dalla recitazione delle parole scelte da Tiezzi, per chi poté essere presente allo spettacolo. Nel Teatro di Poesia i personaggi non pronunciano le loro battute ma «raccontano liricamente»189 in modo che chi ascolti e osservi percepisca uno sbalzo tra l’uno e l’altro attore, tra l’uno e l’altro personaggio come, infine, tra i personaggi e il se stesso presente alla rappresentazione. Il gioco di rispecchiamenti e di compenetrazioni tra interno e esterno, lungamente indagato negli Studi come negli spettacoli da essi derivati e nelle performance, nel Teatro di Poesia si allinea alla richiesta pasoliniana di ripetere, «rivivere drammaturgicamente realtà d’oggi».190

La trilogia che comprende i tre spettacoli è intitolata ad una Perdita di memoria che è dispersione della memoria in una miriade di momenti presenti, dove è possibile che, come nel Teatro Nô, i morti convivano con i vivi, il presente e il passato si verifichino nello stesso momento e che le parole diano luogo ad uno spazio nello spazio. Lo spazio della pagina, dalla quale le parole si scollano diventando suoni e azioni fisicamente presenti nello spazio della scena tramite il corpo dell’attore, che si fa in questo modo veicolo191.

L’idea iniziale dunque si trasforma e, come scriveva Lorenzo Mango, «Perdita di

memoria sarà il titolo dato alla versione conclusiva del progetto»192. Una perdita di

memoria che da Federico e dal gruppo è intesa come una sospensione dell’immediato passato per permettere ai ricordi di una cultura classica assimilata durante gli studi di

188 Franco Quadri, Introduzione, in Federico Tiezzi, Perdita di memoria. Una trilogia per Magazzini Criminali, Ubulibri, Milano 1986, pp. 7-18.

189 Ivi, p. 17. 190 Ibidem.

191 L’attore-veicolo (mezzo di trasporto) è la definzione secondo Federico Tiezzi più giusta per definire l’attore che agisce nel suo Teatro di Poesia. Da una conversazione al Teatro della Pergola di Firenze, avvenuta il 7 ottobre 2016.

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riaffiorare. Non solo adesso il testo si pone come protagonista della scena ma la scena stessa in questo momento muta ulteriormente, evolvendosi secondo un processo avviato subito dopo lo spettacolo Ebdomero 2, quando si spostò con più precisione l’asse della messinscena sulla presenza e sulla sperimentazione nell’uso dei video.

In una lettera a Enzo Bargiacchi, Sandro Lombardi scriveva:

È stato curioso leggere l’ultima parte del tuo articolo dove avvertivi tutta una serie di motivi che effettivamente negli ultimi tempi per noi erano causa di disagio e che ci hanno spinto alla svolta di ‘ Sulla Strada’.193

Nell’articolo a cui si riferisce Lombardi, Bargiacchi compie un’analisi dell’evoluzione del linguaggio scenico del gruppo da Vedute di Porto Said a Ebdòmero 2 ed evidenzia come nelle Vedute gli elementi derivati da esperienze precedenti e le innovazioni si miscelassero in un risultato che definiva la più alta espressione del loro periodo analitico-concettuale. Seguendo la riflessione del critico era in Punto di rottura che si poteva rintracciare un preciso lavoro su forma e contenuti in grado di rendere il tessuto di citazioni dai linguaggi delle arti visive quasi l’effettivo corrispondente di un canovaccio, in più ottenendo questo alto risultato formale con un ulteriore e nuovo valore spettacolare. Ma, se ancora in Crollo nervoso e soprattutto nel primo Ebdòmero era l’analisi dei mass media ad interessare la struttura dello spettacolo, in Ebdòmero 2 accadeva qualcosa che, seppur soddisfacendo sempre a livello stilistico, faceva suonare un campanello d’allarme negli occhi e nelle menti degli spettatori più accorti:

Le doti del gruppo fiorentino sono fuori discussione, tuttavia il rischio è quello di adagiarsi su moduli espressivi marcatamente “pop” con venature iperrealiste. C’è in loro una chiara consapevolezza della allarmante situazione del mondo in cui viviamo e di tutte le sue contraddizioni. Ciò è sentito ed espresso con rigore, ma la registrazione tende a trasformarsi in una pura “presa d’atto” che può invischiare il gruppo nelle suggestioni degli stessi richiami pubblicitari e di moda su cui si concentra la sua attenzione. Del resto la carica esistenziale dei Magazzini Criminali sembra troppo compressa nella formula attuale come già lo era nelle lentezze dei suoi primi lavori visivi mitico-rituali e nei successivi studi freddamente analitici. La possente energia del gruppo potrebbe consentire un nuovo scarto, una nuova impennata creativa che, superando i limiti indicati, si apra verso nuove prospettive194.

193 La consultazione della lettera dattiloscritta su carta intestata della compagnia, datata 23 dicembre 1982 e firmata da Lombardi, mi è stata concessa da Enzo Bargiacchi che la conserva nel suo archivio personale. 194 Enzo Bargiacchi, I Magazzini criminali e la spettacolarità del mondo attuale, «Segno», n. 18, novembre- dicembre 1980, p. 56.

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II.3.3 Una società a compartimenti stagni. Macello

I Magazzini a Scandicci erano in espansione. La ridefinizione della loro immagine poteva suscitare lecitamente dubbi in quanti si erano in qualche modo abituati a non considerare violenze e oscenità nelle performance e nelle pubblicazioni come una delle tante maschere indossate dagli attori, ma nelle intenzioni corrispondeva a quel progressivo allargamento di vedute che li aveva portati a diffondere e a condividere la loro cultura di gruppo, nutrita da sempre di letture e riflessioni sui materiali più disparati: dallo sport alla pornografia, dalla spiritualità alla mercificazione. Questa espansione ora risultava evidente, dati gli esiti raggiunti nei più di dieci anni di attività e le condizioni favorevoli del momento, ma era in atto da sempre, in ognuna delle strategie che avevano nel tempo alimentato cooperazioni e scambi che, conclusosi un ciclo o un’esperienza lavorativa, dovevano necessariamente se non cessare, tramutarsi in altro. Molti i casi in cui con gli attori i rapporti si erano interrotti, come con Luca Fiorentino e le sorelle Saviori, ma molte anche le collaborazioni che avevano subito un passaggio di stato, come quella con Pier Luigi Tazzi, il quale, pur non comparendo più in scena e non avendo lavorato alle ultime produzioni, curò parte della mostra a Scandicci. Lo stesso dicasi per