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Fig. 7 Cartolina/invito allo spettacolo Genet a Tangeri Fig. 8 Cartolina/invito allo spettacolo Genet a Tangeri, retro. L’annotazione a penna è di Sandro Lombardi

Lorenzo Mango negli anni Novanta a proposito delle produzioni dei Magazzini dopo la Trilogia della Memoria scriveva che:

Il progetto compatto della trilogia lascia adesso il campo ad una fase di lavoro più varia e articolata in cui vengono affrontati, per la prima volta, testi drammatici di altri autori259.

Ma, se è vero che il Progetto Agamennone costituisce l’unica trilogia compiuta, almeno nelle intenzioni la compagnia avrebbe seguito quel modello di compattezza ancora per qualche stagione. Una volta portato a termine il Progetto Agamennone infatti Tiezzi imbastisce un nuovo piano di lavoro che intitola questa volta alla figura di Artaud ma il cui nucleo di interesse sta nella seconda parte del titolo: Drammaturgie. L’idea è quella di portare avanti un progetto per due anni consecutivi, dedicando la prima fase di lavoro ad uno spettacolo tratto da Beckett, la seconda fase alla messa in scena di Alla meta di Thomas Bernhard con la partecipazioni delle attrici Teresa Telara e Marisa Fabbri, mentre la terza fase avrebbe visto il lavoro sulla messa in scena dello spettacolo Artaud. Una tragedia in occasione della manifestazione Documenta 8 a Kassel, nel settembre 1987 Il secondo anno di lavoro avrebbe dovuto prevedere invece, secondo il dattiloscritto del progetto conservato nell’ACLT, uno spettacolo su Mr Arkadin di Orson Welles. Questa volontà di riservare gran parte dei lavori alla messa in scena di un testo ibrido, costituito da una sceneggiatura e da un film già esistenti, da convogliare in un’opera teatrale, evidenzia l’interesse sotteso a questo secondo progetto della

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compagnia, evidentemente volto all’analisi di una possibile contaminazione di più fonti drammaturgiche. In questo senso, le lezioni che erano state previste per gli attori da parte di Franco Quadri, curatore della traduzione del testo di Beckett e di Eugenio Bernardi, inizialmente proposto come traduttore di Bernhard, erano incentrate non solo sull’elaborazione di un testo per il teatro a partire dagli autori scelti come riferimenti diretti, ma anche sulla possibilità di elaborare delle interpolazioni tra i testi dei drammaturghi e il lavoro previsto in chiusura del progetto sul testo filmico. Il lavoro avviato sulla drammaturgia di Heiner Müller, ultimo dei progetti qui presi in considerazione, apre da quel momento in poi all’uso della struttura della trilogia, o ad ogni modo dell’elaborazione di più lavori teatrali di uno stesso autore, che diventerà una modalità operativa ricorrente, in linea con l’attenzione rivolta dal Teatro di Poesia non solo all’opera finale quanto all’intero progetto di un autore, solo così comprensibile a più livelli e liberamente contaminabile.260

La trilogia Perdita di memoria consta di tre parti, la prima delle quali è dedicata alla figura dell’autore Jean Genet. Quella che viene messa in scena nello spettacolo è la narrazione di una vita immaginaria dello scrittore, ricomposta a partire da suggestioni prelevate direttamente dalle sue opere o da esse ispirate. I primi a fare ingresso in scena sono una hostess e un pinguino che accolgono gli spettatori e introducono alla comparsa di Genet che, in volo sopra Tangeri, lancia un messaggio in una lingua incomprensibile. La scena si sposta dall’aperto al chiuso, in una stanza d’albergo dove Genet siede circondato da alcuni personaggi dei suoi libri oltre che dallo scrittore William Burroughs e dal fantasma di Fassbinder. Le azioni in questo passaggio sono frutto di rielaborazioni di scene tratte dai suoi libri e dalla sua biografia personale. Di nuovo la scena si sposta in un esterno e irrompe ancora il suono di una lingua sconosciuta. Compare Artaud che recita brani del suo scritto Pour enfinir avec le jugement de Dieu. La scena seguente è animata dalla presenza di Fassbinder che pronuncia messaggi apparentemente insensati, sotto forma di giochi di parole. A Tangeri, nei locali dei Bagni Internazionali, si incontrano

260 La possibilità di prendere in considerazione l’intera opera di un autore dovendo preparare una messa in scena fa di questa figura l’equivalente di quello che, scenicamente, aveva proposto l’artista Alighiero Boetti per lo spettacolo Crollo nervoso. L’artista, che non aveva proposto una soluzione spaziale specifica né aveva suggerito l’uso delle tende veneziane, si limitò a trasmettere al gruppo l’idea cardine del suo modo di intendere l’arte, parlando agli attori nei termini di una necessità che consta nell’avere sempre un punto di riferimento in quella che lui definiva come una «griglia del pensiero», attraverso la quale gestire tutto, dal respiro allo stile dell’attore. Cfr. Alighiero Boetti, a cura di Sandro Lombardi, Dall’oggi al domani, L’Obliquo, Brescia, 1988.

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Genet e Burroughs, oltre al caldo si percepisce l’incombenza di truppe rivoluzionarie. Il fantasma di Fassbinder porta Genet in volo sopra i campi profughi di Sabra e Chatila: il riferimento è a un testo di Genet sui massacri della guerra libanese. In un interno, la hall di un cinema a Tangeri, Genet incontra un personaggio femminile/custode della morte che lo sfida alla roulette russa. Genet muore e il suo corpo viene esposto allo sguardo degli spettatori su una scala/ekkyklema. Fassbinder accompagnato da un pinguino trasporta il cervello e il cuore di Genet verso il Polo Nord.261

In scena il segno del procedimento operato per comporre lo spettacolo non è fornito dagli elementi più riconoscibili della messa in scena, né dalle citazioni evidenti di spettacoli precedenti della compagnia, ma da quella che potremmo definire una scenografia discreta, che emerge all’attenzione dello spettatore come segno divergente e, allo stesso tempo strutturale della visione. La presenza sul fondale della riproduzione di una sagoma tratta dalla pittura etrusca, non sembra voler citare in maniera parodica la cultura antica ma appare piuttosto come la manifestazione visiva di un procedimento linguistico in atto: la tragedia barbara Genet a Tangeri è costruita principalmente sulla base degli stimoli sonori procurati allo spettacolo dall’invenzione di una lingua nuovissima e antica, poetica, con la quale si tenta di ricreare suoni che sta all’attore veicolare dal passato o dall’oltretomba. Non siamo pertanto dell’idea di considerare il richiamo alla cultura antica come una particolare forma di citazione che vuole ironizzare sul repertorio figurativo etrusco262, anzi riteniamo di poter considerare la presenza di questo richiamo come parte di una strategia precisa di messa in scena che riempie lo spazio di indizi da cogliere anche a livello inconscio per elaborare l’immagine nella sua totalità.

261 La trama dello spettacolo è desunta dai documenti conservati nell’ACLT e dal testo di presentazione dello spettacolo pubblicato nel catalogo del XXXIII Festival Internazionale del Teatro di Venezia, lo spettacolo degli anni Ottanta. L’azione, Marsilio, Venezia, 1985, pp. 199-200.

262 «Le false pitture etrusche che fanno da quinte nello spettacolo dei Magazzini Criminali Genet a Tangeri appartengono a questo gruppo di operazioni. Non solo esse infatti sono assolutamente etorogenee rispetto agli altri materiali […], ma la loro eterogeneità aumenta in quanto esse sono anche un evidente frutto di falsificazione, come le ridipinture etruschizzanti che si facevano verso fine ottocento, in piena epoca eclettica.» (Fortuna degli Etruschi, catalogo della mostra a cura di Franco Borsi, Electa, Milano 1985, p. 143).

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Fig. 9 Preparazione della scena per lo spettacolo Genet a Tangeri, Foto Giovanni Marini. (ASL).

La scena dello spettacolo Ritratto dell’attore da giovane, secondo tratto della trilogia, si apre su una piscina intorno e dentro alla quale si muovono gli attori/personaggi Marion e Sandro. Marion rievoca in riva alla piscina in maniera frammentaria il suo incontro con Arkadin, la sua infanzia, il cinema e le attrici che aveva frequentato mentre esprime la sua ossessione per i cadaveri che ritiene siano sul fondo, pendant alle innumerevoli citazioni cinematografiche con sui sono imbastite le sue battute e le sue azioni. È perennemente al suo fianco la figura ossessiva di una Muta che nel corso del primo atto viene da lei uccisa. Sandro, l’altro attore in scena, si rende conto che il suo quadro è stato gettato sul fondo della piscina e tenta di recuperarlo: anche lui ricorda il passato, per il tramite di citazioni da Henrich von Kleist. Accanto a lui, un Muto. Sandro e il muto, insieme recupereranno la Speranza, simboleggiata dal quadro nell’acqua. L’azione dello spettacolo si esaurisce nel salvataggio del quadro ma intorno a quest’unica azione e all’uccisione della Muta da parte di Marion, gli attori animano due speculari deliri della memoria. I discorsi sono di nuovo parzialmente incomprensibili, ma la scena è chiaramente illustrata dalla netta opposizione di principi positivi (incarnati dai due Muti) e negativi (gli attori, abbandonati ai ricordi).

Secondo le stesse parole del gruppo, in questo spettacolo l’attore è fatto di una sostanza trasparente, inconsistente, per permettere di guardare meglio il teatro. Le battute

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sono costituite quasi esclusivamente da citazioni cinematografiche e il corpo degli attori è come dominato da immagini della storia dell’arte: viene ripreso qui quello schema abbozzato soltanto che trattava della sensazione di vertigine data dal riuscire o meno a cogliere il momento di variazione tra luce e buio, quel momento di passaggio in cui l’attore riesce a trovare la chiave per compiere il movimento da un punto A, o potremmo dire da una postura A, ad una postura B; dove A e B sono due punti scelti, due immagini a cui dare forma mentalmente e fisicamente ed è il tragitto ad essere di stretta competenza dell’attore il quale deve in qualche modo riempirlo di senso e non di storia. Anche questa volta, al discorso intorno all’attore, si sostituisce nel linguaggio del gruppo, quello intorno al binomio luce/ombra263:

Cominciamo dalla fine: quando portiamo in salvo un quadro, sommerso sul fondo di una piscina. Il quadro è il Naufragio della Nave Speranza, di Frederich e per noi la scena è assolutamente simbolica: è la necessità di salvare la speranza. I due atti dello spettacolo sono altrettanti deliri di memoria: il primo di una stella del cinema […] il secondo di un attore-ballerino. Nel “Ritratto”, l’attore è una visione, è una canzone, è un corpo trasparente […]. Possiamo anche dire che è un’opera sulla luce e sull’ombra, sul loro mescolamento.264

Nell’ultimo tratto della trilogia le scene sono ispirate direttamente alla Vita immaginaria di Paolo Uccello scritta da Marcel Schwob. Nel prologo veniamo avvertiti del fatto che il dramma originale su Paolo Uccello è perduto e ne sono rimasti solo dei frammenti che si è cercato di unire dando forma ad una storia il cui significato è sfuggente. Nel primo frammento un’attrice e un regista parlano di realizzare un film, che potrebbe essere proprio la storia di Paolo Uccello. Nel secondo, Uccello, Donatello e Brunelleschi parlano dei mezzi migliori per riprodurre la realtà attraverso l’arte. Il terzo frammento è dedicato a Paolo che espone la sua ultima opera, compiuta in un lunghissimo tempo ma che si rivela essere solo un intrico di linee. Lo spirito dell’arte rivela a Paolo la sua predilezione ma egli urlandole contro la denuda. Nell’ultimo frammento avviene lo scontro, durante i giochi in onore di Lorenzo il Magnifico, tra Lorenzo e Paolo, arte e potere. Lo spettacolo rimane incompiuto e si passa alla recita in greco del Prometeo incatenato di Eschilo.

La Trilogia della memoria si propone come un lavoro che mette in campo un dramma della scena, un dramma dell’attore e un dramma dell’autore/regista. Genet a

263 Cfr. qui p. 118, n. 235.

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Tangeri, esplicitando i canoni primari del Teatro di Poesia lasciava che a parlare fosse la totalità dei segni, uno accanto all’altro, ma già in Ritratto dell’attore da giovane è percepibile un riassorbimento dei segni sparpagliati nello spazio verso la linearità di una situazione entro cui è l’attore a dover prendere posizione e a mantenere una presenza costante. L’ultimo della trilogia si chiude esibendo un’opera sconosciuta o di cui perlomeno non è dato conoscere il contenuto ma solo (anche se approfonditamente) la forma. Il copione originale dello spettacolo infondo reca le istruzioni per la messa in scena di questo spettacolo-involucro, che è al tempo stesso una dichiarazione d’intenti e d’impotenza: l’intento sembrerebbe essere quello del regista che dichiara di stare al gioco del caso o dello Spirito dell’arte, accettando di mettere in scena un qualcosa che si ammette di non conoscere, di controllare del tutto; l’ammissione di impotenza sta proprio nel non poter lasciare al caso proprio nulla e, pur accettando e ribadendo che l’opera è e resterà un non finito, sempre, intanto si pongono continuamente le basi per la chiusura definitiva. Così Tiezzi nelle avvertenze alla messa in scena:

La scena Prima delle prove, la scena deve essere completa. Gli attori devono scegliersi gli oggetti e sapere (genericamente) cosa vogliono utilizzare. Lo spazio deve essere preparato “come il piano di Cage: preparato prima delle prove, predisposto in antecedenza: dato che gli elementi della scena devono servire anche per suggerire i movimenti degli attori stessi, e lo spazio condizionare questi movimenti. La scena è circondata d’oro: tutto è d’oro, perdita del punto di fuga.

Avvertenza in fine Gli attori si trasformeranno su indicazione del testo, nel contrario di sé stessi. Si trasformano nel loro contrario: non voglio specificare niente di più: con questa trasformazione essi danno origine a personaggi di una ipotetica altra storia: seguire allora, nel teatro, questa nuova storia che è nata. In fine di spettacolo, nella fine della trilogia gli attori cambiano e il teatro si riduce a sé stesso: si origina una storia ininterrotta, eterna. Anzi un progetto sarebbe quello di creare uno spettacolo partendo da una storia base e attraverso la “trasformazione nel contrario” degli attori arrivare a un teatro creato, come narrazione e come azione, dal ciclo degli attori.

La trilogia si ferma qui: a questa trasformazione e alla storia che da lei si crea. Una fine del mondo attraverso le piaghe d’Egitto delle quali, gli attori, come nei drammi seicenteschi, divengono le figurazioni.

La trilogia della classicità si ferma a questo punto: nel punto in cui la drammaturgia si assenta, nel punto in cui al teatro che sparisce si sostituiscono le intermittenza del cuore.265.

Samuel Beckett, Antonin Artaud e Heiner Müller sono i primi autori affrontati dalla compagnia. Il romanzo Come è si presta per primo ad essere elaborato per arrivare a quel «teatro creato dagli attori» di cui parla Tiezzi associando all’idea di attore quella della trasmutazione nel suo contrario: non un essere plasmabile, che si fa a immagine e somiglianza d’altro ma il creatore di un ritratto dell’autore.

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La storia di Come è narra dell’incontro di un personaggio narrante, La Voce, con Pim e dell’unione tormentata che ne nasce. Nella prima parte viene descritto il mondo prima dell’incontro: un mondo progettato dalla Voce, vuoto, desolato e pervaso da un dolore-non-dolore. Immagini e suoni dell’infanzia arricchiranno progressivamente lo spazio vuoto, come per preparare ad una seconda parte in cui avviene l’unione immaginaria dei due personaggi. Solo nella terza verrà però svelato che a mantenere i due personaggi dove sono, «separati dallo stesso spazio» come è detto nell’opera, non è un’unione, reale o immaginaria che sia, ma un semplice sistema di rapporti carnefice- vittima; lo stesso che genera la creazione di un’opera teatrale.

Sandro Lombardi motiva la scelta del testo sottolineando il fatto che, anche se l’autore lo ha sempre negato, si tratta di un’autobiografia:

Leggendolo abbiamo avuto la convinzione che sarebbe stato possibile mettere in scena non soltanto il romanzo ridotto o trasformato in inchiesta teatrale, ma anche il personaggio Beckett. È un romanzo autobiografico anche se l’autore lo nega continuamente. La scrittura del testo di Beckett è determinata da una voce narrante che espone un monologo interiore, dal punto di vista del nostro teatro questo era un elemento di grande fascino. Il romanzo è diviso in tre cantiche dantesche [...] e noi abbiamo diviso lo spettacolo in tre fasi: Prima di Pim, con Pim, e dopo Pim, dove Pim è un personaggio non meglio identificato che sta a rappresentare l’altro da sé.266

Dal punto di vista della messa in scena lo spazio si presenta inizialmente chiuso in una scatola di veneziane nere. Il cubo è ruotato di taglio, in modo che lo spigolo fenda la quarta parete dividendola esattamente a metà. Una voce su nastro viene raddoppiata e arriva da diversi punti mentre, sul piano visivo, all’inizio, da dietro le veneziane, vediamo come moltiplicati gli occhi e i volti dei personaggi. Tutt’intorno gli oggetti sono riconoscibili come simboli appartenenti all’universo teatrale di Beckett, dalla sedia a rotelle, all’ombrellino di Winnie, alla sedia a dondolo. Nel dopo Pim, Sandro Lombardi non è più inseguito solo dalla Voce ma è anche perseguitato dalla sua immagine ripresa e ritrasmessa in un monitor, nel bel mezzo di una moltiplicazione di sguardi che lo rende, paradossalmente impossibilitato a dire: come agire in scena sotto un simile assedio? Nel solo modo possibile: con una perfetta indifferenza267.

266 Sandro Lombardi in Maria Teresa Giannoni, L’avanguardia rende omaggio ai maestri: ecco i Magazzini, «Il Tirreno», 12 febbraio 1987, p. 29.

267 «Mentre la Voce inanella parole (il testo di Come è), io la lascio scorrere inascoltata, abbandonata al suo destino disperato di una coazione a dire e ridire […]. A tutto questo, in scena, mi mostro indifferente». Sandro Lombardi, Nella stanza del demone meridiano, in «Magazzini 9», cit., p.106.

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Fig. 10 Sandro Lombardi e Emanuela Villagrossi in Artaud, (ASL).

Lo spazio in cui si svolge la tragedia è diviso in due: da una parte la hall del teatro e cioè il Fuoriscena, la Città, il Presente, la Storia.

Dall’altro il palcoscenico e cioè la Scena, il Silenzio, il Mito, l’Assenza, il Vuoto. Fuori della scena […] il Fiume Rumoroso della Storia. Dentro la Scena […] il Fiume silenzioso del Mito. Nel punto di confluenza dei due Fiumi si pone la presenza di Antonin Artaud […]. In scena non c’è che lui: tutti gli attori infatti interpretano Artaud. Questa tragedia, quasi muta e dedicata allo sguardo, è da considerarsi una discesa nell’inferno di un Magnifico Cervello del nostro secolo, nel cervello di un poeta.268

Se il romanzo di Beckett era una biografia dissimulata dell’autore, lo spettacolo Artaud. Una tragedia segue di scena in scena le tappe della vita dell’artista, dentro e fuori le sue visioni. Già nel prologo in cui Artaud viene colpito da una coltellata, la mano che lo ferisce non è di un uomo ma di un angelo. Lo spettacolo procede a ritroso quindi dal momento della sua morte, all’insorgere della follia e allo sdoppiamento di personalità cui fa seguito la chiusura nella gabbia del manicomio. Viviamo il suo viaggio in Messico attraverso la gabbia, simbolo delle allucinazioni e della pazzia che lo accompagna, e da questo continuo entrare e uscire è scandito tutto lo spettacolo, fino all’epilogo.

Se il personaggio beckettiano e l’affollato mondo dal quale era circondato tenevano asserragliati gli attori, costringendoli quasi a tapparsi le orecchie e ad estraniarsi

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dal proprio carcere, Artaud è una situazione devastante. L’uomo, il mito, il cervello poetico di Artaud creano una vastità incontenibile sulla scena, dove tutto è Artaud. Nessun attore può arginarlo in un corpo, ognuno deve far confluire la propria presenza269 in questo buco nero, irrapresentabile.

Lo spettacolo è quasi muto, puro, studiato per lo sguardo, torna qui quel linguaggio misterioso creato per Genet a Tangeri, la lingua dei morti creata da un insieme