Extra domum: nuovi spazi e occasioni della comunicazione femminile in Urbe ed extra moenia
3. In Urbe: strade, tribunale e foro
3.1.1 Gli antecedent
• Claudia, una matrona contro la folla
Il primo episodio, che registra un’azione femminile promossa in forma individuale, è relativo a Claudia1
, sorella di Appio Claudio Pulcro2
, la quale nel 246 a.C. fu accusata di aver parlato in modo offensivo per strada. All’uscita da uno spettacolo la matrona si sarebbe trovata schiacciata tra la folla e in questa circostanza avrebbe espresso il desiderio che il fratello, sconfitto tre anni prima a Drepana, tornasse in vita e con una nuova disfatta liberasse Roma dalla folla che le impediva di passare3
.
“La figlia del famoso Appio Cieco aveva assistito ai ludi, e all’uscita fu sballottata nella gran confusione e nel pigia pigia della gente. Quando riuscì a tirarsi fuori si lamentò d’essere stata maltrattata: “Chissà che sarebbe stato di me, e quanti più spintoni e gomitate mi sarei presa, se mio fratello Publio Claudio in quella battaglia navale non avesse perduto insieme con la flotta un bel po’ di cittadini! Di sicuro, adesso, ci sarebbe stata più folla e sarei morta
1 Su Claudia cfr. MÜNZER 1899, col. 2885; Liv. Per. 19; Val. Max. VIII, 1, 4; Svet. Tib. 2, 3; Gell.
X, 6, 2. SCOULAHTI 1977, pp. 148-150; CAVAGGIONI 2004;
2 Su Appio Claudio Pulcro, console nel 249 a.C., cfr. MRR I, p. 214.
3 Sulla battaglia di Drepana cfr. Polyb. I, 49-51; Cic. Nat. deor. 2.7; CAVAGGIONI 2004, pp. 112-
schiacciata. Vorrei proprio che tornasse in vita mio fratello e portasse un’altra flotta in Sicilia e mandasse in tanta malora questa massa di gente che ora mi ha tutta pestata”4.
Le fonti storiografiche riferiscono che, dopo aver pronunciato tali parole, avrebbe preso avvio un provvedimento giudiziario a suo carico, sulla natura del quale gli autori non sono concordi5
.
Secondo il racconto che rendono della vicenda l’autore delle Periochae e Gellio, Claudia fu condannata dagli edili plebei Gaio Fundanio e Tiberio Sempronio6
al pagamento di una multa che ammontava a 25000 assi7
. La menzione di una sanzione pecuniaria tuttavia non indica necessariamente l’avvio di un procedimento giudiziario a suo carico, poiché potrebbe trattarsi di una semplice sanzione amministrativa e non di una pena giudiziaria8
; più precisa sembra invece l’espressione di Svetonio ‘iudicium maiestatis apud populum’ che attesta senza dubbio l’esistenza di un processo a suo carico, di cui il biografo specifica anche il capo d’imputazione, la maiestas9
. L’attestazione di Valerio Massimo, che
4 Gell. X, 6, 2: Appi namque illius Caeci filia a ludis, quos spectaverat, exiens turba undique
confluentis fluctuantisque populi iactata est. Atque inde egressa, cum se male habitam diceret: "quid me nunc factum esset" inquit "quantoque artius pressiusque conflictata essem, si P. Claudius, frater meus, navali proelio classem navium cum ingenti civium numero non perdidisset? certe quidem maiore nunc copia populi oppressa intercidissem. Sed utinam" inquit "reviviscat frater aliamque classem in Siciliam ducat atque istam multitudinem perditum eat, quae me nunc male miseram convexavit!"
5 Per un’analisi delle fonti storiografiche sull’episodio cfr. CAVAGGIONI 2004, pp. 108-120. 6 Sugli edili cfr. MRR I, pp. 216-217.
7 L’ammontare esatto della multa viene riportato solo nelle Notti Attiche di Gellio, il quale indica
esplicitamente la propria fonte nel libro De iudiciis publicis dell’opera di Ateio Capitone. Cfr. Gell. X, 6, 3: “Per questa dichiarazione così cattiva e brutale della donna gli edili della plebe Gaio Fundanio e Tiberio Sempronio le inflissero una multa di venticinquemila assi pesanti. Il fatto avvenne, come attesta Ateio Capitone nel commentario Sui processi pubblici, durante la prima guerra punica, sotto il consolato di Fabio Licinio e Otacilio Crasso”. (Ob haec mulieris verba tam inproba ac tam incivilia C. Fundanius et Tiberius Sempronius, aediles plebei, multam dixerunt ei aeris gravis viginti quinque milia. IV. Id factum esse dicit Capito Ateius in commentario de iudiciis publicis bello Poenico primo Fabio Licino Otacilio Crasso consulibus).
8 L’espressione multam dicere potrebbe fare riferimento semplicemente ad una misura amministrativa
applicata dagli edili in conformità al loro diritto di coercitio, anche se l’inserimento della vicenda da parte di Ateio Capitone nel libro De iudiciis publicis suggerisce invece che la multa fosse il risultato di un procedimento giudiziario avviato contro di lei. Sulla questione cfr. CAVAGGIONI 2004, pp. 174-176.
9 Svet. Tib. 2, 7: […] “e quella che, fatto senza precedenti per una donna, venne tradotta in giudizio
davanti al popolo per lesa maestà, perché, mentre la sua carrozza avanzava con difficoltà in mezzo
alla folla compatta, aveva esclamato: “Ah! Se potesse vivere di nuovo mio fratello Pulcro, e perdere di nuovo una flotta, quanta meno gente ci sarebbe in Roma”. (et quae novo more iudicium maiestatis
cronologicamente precede quelle sopra menzionate, risulta la più complessa dal punto di vista interpretativo. L’autore sostiene, infatti, che la donna fu senza dubbio oggetto di un procedimento giudiziario, ma che, nonostante fosse innocente rispetto al crimen per cui era stata accusata, fu ugualmente condannata per il votum impium da lei pronunciato, ovvero il desiderio che il fratello redivivo potesse tornare a Roma e compiere una nuova strage10.
Gli autori concordano invece sulle motivazioni che spinsero gli edili a intervenire nei confronti della matrona, istituendo un nesso causale diretto tra le parole della donna e la sua imputazione. Claudia aveva usato la parola in un contesto in cui tradizionalmente la voce femminile era preclusa, la strada, e l’aveva fatto per pronunciare parole oltraggiose, rendendosi responsabile di una duplice violazione, aver trasgredito i limiti fisici e ideologici imposti dal canone matronale.
La vicenda innanzitutto dal punto di vista spaziale non è ambientata entro le mura domestiche, luogo tradizionalmente destinato alle donne, ma per strada e si concluse in tribunale, una delle sedi istituzionali dove la presenza femminile doveva essere limitata ed esplicata solo attraverso testimonianze silenziose11
. Claudia inoltre si appropriò di un canale comunicativo che le era precluso nei contesti pubblici, quello dell’oralità:
“Il pubblico castigo venne inflitto non solo alle azioni ma anche agli eccessi verbali: tanto si giudicò doveroso mantenere inviolato il prestigio della disciplina romana”12.
Gellio definisce le parole di Claudia improba e incivilia13
presentando l’azione della donna come degna di punizione perché contraria ai doveri del cives optaverat, ut frater suus Pulcher revivisceret atque iterum classem amitteret, quo minor turba Romae foret).
10 Val. Max. VIII, 1, damn. 4: “Si aggiunga a questo il caso di Claudia, che, innocente della colpa di
cui era accusata, si fece condannare per aver espresso un empio desiderio: tornando a casa dallo spettacolo dei giochi, vedendosi malmenata dalla ressa, si era augurata che suo fratello, responsabile primo della perdita delle nostre forze navali, potesse ritornare in vita e, rieletto più volte console, collaborasse alla riduzione demografica di Roma con infauste battaglie”. (Adiciatur his Claudia, quam insontem crimine, quo accusabatur, uotum impium subuertit, quia, cum a ludis domum rediens turba elideretur, optauerat ut frater suus, maritimarum uirium nostrarum praecipua iactura, reuiuesceret saepiusque consul factus infelici ductu nimis magnam urbis frequentiam minueret).
11 Per la presenza femminile in tribunale vd. infra.
12 Gell. X, 6, 1: Non in facta modo, sed in voces etiam petulantiores publice vindicatum est; ita enim
debere esse visa est Romanae disciplinae dignitas inviolabilis.
onesto e perché a Roma non si punivano solo i facta, ma anche le voces
petulantiores.
Il ritratto di Claudia che emerge, in particolare dal racconto di Svetonio, è caratterizzato dal disprezzo nei confronti della plebe, dall’indifferenza verso la situazione politica e militare di Roma e soprattutto dalla superbia, comportamento che più di tutti doveva essere estraneo ad una donna14.
La vicenda di Claudia mette in luce chiaramente che la parola femminile non era tollerata dai Romani e che anzi era ritenuta un crimen che doveva essere punito e il fatto che la donna venga sottoposta ad un processo pubblico ne costituisce la prova. Allo stesso tempo tuttavia la vicenda costituisce un valido antecedente rispetto agli episodi relativi al nostro ambito cronologico di interesse poiché mostra una donna che, due secoli prima dei grandi cambiamenti che si verificarono nel I secolo a.C. e che portarono le matrone ad acquisire nuovi spazi di azione, frequentava i luoghi pubblici e le sedi istituzionali, dove non aveva alcun timore di far sentire la propria voce.
• Donne nella seconda guerra punica
Un altro episodio relativo all’occupazione delle strade da parte delle donne è testimoniato da alcuni avvenimenti relativi alla seconda guerra punica e vide le matrone coinvolte come gruppo. Nel 216 a.C. quando nell’Urbe si diffuse la notizia che i Romani erano stati sconfitti presso il lago Trasimeno e a Canne, le matrone spaventate si riversarono per le strade e nel foro, senza chiedere alcun permesso, tanto che il Senato dovette intervenire duramente per ripristinare l’ordine.
Annibale aveva inviato a Roma dieci prigionieri in rappresentanza degli ottomila catturati per chiedere il riscatto; i parenti degli ostaggi, comprese le donne, si radunarono nel foro per supplicare i senatori che dovevano prendere la decisione, ma la proposta fu respinta.
14 In questo suo atteggiamento la figura di Claudia viene paragonata da Svetonio a quella di Appio
Claudio Pulcro. L’intento potrebbe essere quello di rilevare genericamente la superbia che caratterizzava la loro gens di appartenenza o forse testimoniare che Claudia era diventata la portavoce e la continuatrice dell’azione politica del fratello, morto pochi anni prima. Sulla questione cfr. Svet.
“A Roma, non appena giunse la notizia di quella sconfitta, vi fu un accorrere del popolo nel foro con enorme terrore e scompiglio. Le matrone, errando per le vie, chiedendo ai passanti di quale improvvisa sconfitta sia giunta notizia o quale sia la sorte dell’esercito. E poiché, a guisa di affollata assemblea, una gran massa si era riversata nel comizio e nella curia e chiamava i magistrati, finalmente non molto prima del tramonto il pretore M. Pomponio annunciò: “Siamo stati sconfitti in una grande battaglia”[…]. Il giorno dopo e poi ancora per alcuni giorni stazionò presso le porte una folla in cui le donne eran quasi più numerose degli uomini, ad aspettare o qualcuno dei propri o le notizie”15.
In seguito Annibale giunse alle porte di Roma, le matrone si riversarono confusamente per le strade correndo da un tempio all’altro per supplicare la benevolenza degli dei.
Il passo di Livio riferisce esplicitamente che le matrone ebbero parte attiva in questa situazione di emergenza e che uscirono dalle proprie abitazioni per essere informate e coinvolte in merito ai gravi fatti che stavano turbando la res publica e utilizzarono la voce per chiedere notizie ai passanti.
L’episodio sopra descritto e la vicenda relativa a Claudia sono ricordati anche nel discorso tenuto da Lucio Valerio in occasione dell’abrogazione della lex Oppia nel 195 a.C. e costituiscono degli antecedenti diretti degli episodi che coinvolsero le matrone nell’età tardo-repubblicana.