Extra domum: nuovi spazi e occasioni della comunicazione femminile in Urbe ed extra moenia
4. Extra moenia: le donne romane presso le truppe
4.1 Gli antecedenti: Veturia e Coriolano
Nel 493 a.C. Marco Coriolano aveva sconfitto i Volsci, conquistando la città di Corioli. Tra il 489 e il 488 a.C. fu condannato a morte per aver proposto di vendere il grano donato a Roma da Gelone invece che distribuirlo al popolo1
. La pena capitale fu poi commutata in esilio, così costui si rifugiò proprio presso la popolazione sconfitta cinque anni prima. Ottenuto il comando, Coriolano mosse l’esercito contro Roma. In questo frangente, anche le matrone si attivarono per far fronte al pericolo e indissero una riunione, presieduta da Valeria, figlia o sorella di Valerio Poblicola, la quale era stata ostaggio di Porsenna durante la guerra contro gli etruschi2
. In seguito, le donne si recarono presso la casa in cui abitavano la moglie e la madre di Coriolano, Volumnia e Veturia, per supplicarle di intercedere presso il figlio affinché desistesse dai suoi propositi di vendetta:
“Allora le matrone accorsero in folla da Veturia, madre di Coriolano, e dalla moglie Volumnia: non risulta se ciò avvenisse per iniziativa del senato o per ispirazione della paura femminile; ad ogni modo riuscirono a convincere Veturia, di età già avanzata, e Volumnia, portando seco i due figlioletti di Marcio, a recarsi con loro nel campo nemico e, dal momento che gli uomini non erano in grado di difendere la città con le armi, a difenderla loro, donne, con le preghiere e le lacrime”3.
Le due donne e i figlioletti arrivarono nell’accampamento nemico, provocando la commozione generale:
“Quando giunsero agli accampamenti e fu annunciato a Coriolano l’arrivo di una numerosa schiera di donne, dapprima colui che non si era lasciato commuovere né dalla pubblica maestà né dalla religiosa riverenza che incutevano alla vista e all’animo i sacerdoti, rimase ancor più ostinato dinanzi al pianto delle donne”4.
1 Sulla vicenda cfr. Dionys. VIII 39-55; Liv. II, 40; Val. Max. V 2,1 e 4, 1; Plut. Cor. 33-35;
BONJOUR 1975, pp. 157-181; BELTRAMI 1998, pp. 123-176; VALENTINI 2012, pp. 143-148.
2 Sulla figura di Valeria cfr. Plut. Publ. 18.
3 Liv. II, 40, 2: Tum matronae ad Veturiam matrem Coriolani Volumniamque uxorem frequentes
coeunt. Id publicum consilium an muliebris timor fuerit, parum invenio:pervicere certe, ut et Veturia, magno natu mulier, et Volumnia duos parvos ex Marcio ferens filios secum in castra hostium irent et, quoniam armis viri defendere urbem non possent, mulieres precibus lacrimisque defenderent.
4 Liv. II 40, 3: Ubi ad castra ventum est nuntiatumque Coriolano est adesse ingens mulierum agmen,
ut qui nec publica maiestate in legatis nec in sacerdotibus tanta offusa oculis animoque religione motus esset, multo obstinatior adversus lacrimas muliebres erat).
Veturia nel suo discorso fece leva sulla pietas, il rispetto, che Coriolano le doveva in quanto madre, riuscendo in questo modo a modificare i progetti del figlio: “Dopo queste parole, l’abbraccio della moglie e dei figli, il pianto levatosi da tutta la folla delle donne, i lamenti per la sorte loro e della patria piegarono infine l’animo dell’eroe. Abbracciati i suoi cari li congedò e allontanò il campo dalla città”5.
La vicenda di Veturia e Volumnia, per la memoria della quale è probabile una riscrittura di molto successiva, forse addirittura di età augustea, presenta numerose analogie, per aspetti diversi, con episodi di età successiva. Il discorso di Veturia funge da diretto antecedente rispetto al discorso pronunciato nel foro da Giulia, in difesa del fratello proscritto e riferito al figlio Marco Antonio. Anche in questo caso la presenza di Giulia in un luogo tradizionalmente precluso alle donne era giustificata dall’urgenza del momento e la sfrontatezza del suo comportamento era dettata dalla certezza della propria incolumità fisica, dall’obbedienza e dal rispetto, poiché mai Antonio avrebbe osato violare davanti a tutti il vincolo di pietas che lo legava alla madre.
L’intervento di Veturia e Volumnia presso l’accampamento nemico, che mette in relazione una donna con le truppe, tuttavia potrebbe costituire il modello anche per il ruolo svolto da Fulvia a Brindisi in occasione della decimazione dei soldati e soprattutto durante la guerra di Perugia. Tale accostamento risulta particolarmente significativo poiché Fulvia non sarebbe la prima donna ad aver avuto contatti con l’ambiente militare, anche se tra le due circostanze è necessario mettere in evidenza alcune differenze fondamentali. Le matrone, nei momenti in cui la res
publica si trovava in grave crisi, potevano agire anche al di fuori dei limiti imposti
tradizionalmente dal mos maiorum per affrontare e risolvere la situazione di pericolo. In queste circostanze esse agivano come gruppo e il loro comportamento extra mores veniva tollerato e accettato poiché era perfettamente allineato con il contesto di emergenzialità in cui si esplicava.
5 Liv. II 40, 9-10: Uxor deinde ac liberi amplexi, fletusque ob omni turba mulierum ortus et
comploratio sui patriaeque fregere tandem virum. Complexus inde suos dimittit: ipse retro ab urbe castra movit.
Per quanto riguarda la vicenda del 489-488 a.C. le due donne si recarono nel luogo che più di ogni altro era precluso alla componente femminile, l’accampamento militare; tuttavia non agirono individualmente, ma con il sostegno di un gruppo di matrone. Esse inoltre presentarono le proprie richieste servendosi dei mezzi comunicativi tradizionalmente leciti per le donne, i lamenti e il pianto, allo scopo di suscitare una reazione emotiva nei presenti e non tentando di convincerli attraverso l’argomentazione a parole, propria degli uomini. L’unica che utilizza la voce, nella sua forma più complessa, è Veturia, madre di Coriolano, protetta dal vincolo di
pietas che le garantiva il rispetto del figlio. Volumnia, moglie di quest’ultimo,
accompagnava la suocera, ma rimase in silenzio poiché spettava alla matrona più anziana il compito di parlare. Alla scena assistettero i due figli piccoli di Coriolano, che contribuirono a conferire un ulteriore elemento di legittimità all’iniziativa delle due donne, quasi che esse avessero agito in vece dei bambini.
Nella modalità di svolgimento dei fatti emergono alcune somiglianze con i futuri comportamenti di Fulvia, ma allo stesso tempo gli intenti dell’azione marcano fondamentali differenze. Innanzitutto la moglie di Antonio agì individualmente, anche nelle occasioni in cui si fece accompagnare da una matrona più anziana come al processo contro Milone o quando Antonio venne dichiarato hostis publicus, poiché portava avanti da sola un’iniziativa politica. Inoltre Veturia non agì di sua iniziativa, ma il suo intervento fu caldeggiato dalle altre matrone che la costrinsero in qualche modo a violare un contesto prima precluso, tuttavia l’unica relazione diretta che intrattenne fu con il figlio. I soldati assistettero alla scena ma non ebbero alcun tipo di interazione con le matrone presenti; Fulvia invece scelse autonomamente di svolgere un ruolo in questo contesto, anche se le proprie iniziative erano sempre accompagnate dalla presenza di un uomo, come il cognato Lucio Cesare o i figli ancora bambini. Durante la decimazione dei soldati a Brindisi rimase spettatrice passiva a fianco del marito, ma durante la guerra di Perugia fu lei stessa ad assumere la direzione delle operazioni belliche: arruolò le truppe, diede la parola d’ordine ai soldati, incitò l’esercito prima della battaglia. Fulvia insomma si relazionò verbalmente e direttamente ai soldati, perdendo ogni caratteristica di donna e assumendo quelle del dux.
Ma soprattutto la tradizione sull’iniziativa presa dalle matrone in questa circostanza sembra risentire di rimaneggiamenti dell’età augustea legati alla più recente vicenda di Ortensia nel 42 a.C. la quale tuttavia aveva come modello vero e proprio l’abrogazione della lex Oppia nel 195 a.C6
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