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Donne che difesero se stesse in tribunale

Extra domum: nuovi spazi e occasioni della comunicazione femminile in Urbe ed extra moenia

3. In Urbe: strade, tribunale e foro

3.2.4 Donne che difesero se stesse in tribunale

La convocazione di una matrona in sede giudiziaria, come abbiamo visto, non rappresentava una procedura eccezionale, ma non era certo una pratica consueta nella

res publica romana.

In età arcaica le donne non potevano essere convocate in tribunale neanche come testimoni; un’eccezione registrata dalla tradizione venne fatta per la vestale Fufezia, identificabile con Gaia Taracia e poi estesa a tutte le vestali. In seguito il diritto di difendersi in tribunale fu concesso a tutte le donne, benché con numerose limitazioni, ad eccezione delle adultere alle quali fu tolto con la lex Iulia49

.

L’interdizione per le donne di praticare l’avvocatura in difesa di qualcuno, oltre a se stesse, sembra risalire a un editto pretorio che venne poi tramandato da Ulpiano e inserito nei Digesta di Giustiniano:

La ragione del divieto sta nell’opportunità di evitare che [le donne] si immischino nelle cause altrui, contro la pudicizia che si addice al loro sesso, e che esercitino compiti maschili50.

Il divieto deriverebbe dal timore che lo spazio maschile per eccellenza potesse essere invaso e conquistato dalla componente femminile della società. Secondo Goria, il provvedimento sarebbe stato motivato da una situazione politica                                                                                                                

48 Sulla dichiarazione di Lepido hostis publicus cfr. soprattutto Cic. ad Brut. I 12,1; 13,1; 15,13; 17,7;

18,2; ROHR VIO 2013, p. 40.

49 ROTONDI 1966.

50 Ulp. dig. 3,1,1,5: Et ratio quidem prohibendi, ne contra pudicitiam sexui congruentem alienis causis se

contingente, ma in origine doveva avere validità annuale; tuttavia venne rinnovato di anno in anno dai pretori in carica fino a diventare parte integrante della legislazione51

. Lo studioso, che non motiva la sua proposta di datazione, ha però il merito di istituire una relazione causale tra la situazione politica e la disposizione pretoria, poiché se in questa circostanza venne tolto alle donne il diritto di postulare

pro aliis, questo implica necessariamente che prima di tale editto questa possibilità

fosse loro concessa.

Dalla testimonianza di Ulpiano sembra che l’interdizione derivi dai concetti tradizionali di pudicitia e verecundia che dovevano caratterizzare la condotta delle donne e che dovevano tenerle lontane dagli affari pubblici; in un secondo momento l’autore invece riporta un episodio che sarebbe da ritenere il motivo scatenante del provvedimento e che è legato alla figura di una donna in particolare, Gaia Afrania.

• Gaia Afrania

“L’origine [della regola] va ricondotta a Carfania, donna sfrontatissima, che difendendosi senza verecordia e molestando il magistrato fornì motivo per questo editto”52.

La notorietà di Carfania, ‘donna sfrontatissima’, deriva dalle sue numerose apparizioni in tribunale durante le quali rifiutò di essere difesa da avvocati professionisti preferendo parlare da sola in difesa di se stessa53. Afrania usa la voce

in un contesto istituzionale, dove tradizionalmente le era preclusa, per questioni che avevano una ricaduta anche pubblica. Ulpiano descrive la donna come improbissima,

inverecunda e inquietans, aggettivi che fanno trasparire in modo inequivocabile

l’opinione dell’autore su di lei e che sono accomunati dalla presenza del prefisso negativo in- e dal rimando alla sfera sessuale54

. Improbus in particolare ha una specifica valenza giuridica, poiché indica colui che non può ‘probare’, cioè ‘svolgere il ruolo di testimone’, ma veniva utilizzato anche per descrivere chi era                                                                                                                

51 Per il carattere annuale dell’editto pretorio Goria rinvia a Cic. Verr. 2, 109. Cfr. GORIA 1987.

52 Ulp. dig. 3,1,1,5: origo vero introducta est a Carfania, improbissima femina, quae inverecunde

postulans et magistratum inquietans causam dedit edicto. Sulla figura di Gaia Afrania cfr. anche Val.

Max. VIII, 3.

53 Sulla figura di Gaia Afrania cfr. MARSHALL 1989, pp. 35-54; CANTARELLA 1994, pp. 527-530;

CANTARELLA 1996, pp. 15-17; BERRINO 2006, pp. 29-41.

particolarmente audace e spregiudicato in ambito sessuale. Il fatto che l’autore connoti la donna con questo aggettivo, usato al superlativo, caso unico nella letteratura latina, indica esplicitamente che voleva sottolineare la sua immoralità.

La Carfania citata nel Digesto di Ulpiano è tradizionalmente identificata con la Gaia Afrania55, moglie di Licinio Buccone, senatore di età sillana di cui abbiamo

pochissime informazioni biografiche56. Il soprannome ‘Bucco’ gli fu attribuito per i

comportamenti licenziosi della moglie e deriva da una maschera dell’Atellana, che indicava la figura dello stupidus. Gli studiosi si sono a lungo interrogati sull’attendibilità storica del personaggio di Gaia Afrania e la sua storicità sarebbe dimostrata dalla notizia dell’anno della morte, avvenuta nel 48 a.C. come riporta Valerio Massimo attraverso l’indicazione della coppia consolare di Gaio Cesare e Publio Servilio57.

“Caia Afrania, moglie del senatore Licinio Buccone, naturalmente incline alle liti, si difese sempre da sé davanti al pretore, non perché le mancassero gli avvocati, ma perché era l’impudenza fatta a persona. E così, stancando continuamente con le sue urla, insolite per il foro, i tribunali, divenne la personificazione dell’intrigo femminile, al punto che alle donne di cattivi costumi si suole appioppare l’appellativo calunnioso di ‘Caia Afrania’. Costei visse fino al secondo consolato di Caio Cesare e primo di Publio Servilio: ché di un simile mostro bisogna far sapere ai posteri più quando scomparve che quando nacque”58.

Il giudizio di Valerio Massimo nei suoi confronti risulta severo poiché la donna di frequente provocava liti, a causa del suo carattere riottoso e intemperante, che lei stessa andava a discutere in tribunale non perché non potesse disporre di un avvocato, ma perché era estremamente impudente. Si recava in tribunale da sola per difendersi e non aveva alcun timore di proteggere i propri interessi davanti al pretore con le sue urla. Afrania infranse due delle virtutes matronali più importanti, poiché                                                                                                                

55 Per l’identificazione tra Cafrania e Gaia Afrania cfr. MÜNZER 1899, col. 1589; MARSHALL 1989,

pp. 35-54; CANTARELLA 1996.

56 Per Licinio Buccone cfr. MÜNZER RE XIII, 1 s.v. Licinius, n. 39. 57 Sui consoli Gaio Cesare e Publio Servilio cfr. MRR II, p. 272.

58 Val. Max. VIII, 3, 2: C. Afrania uero Licinii Bucconis senatoris uxor prompta ad lites contrahendas

pro se semper apud praetorem uerba fecit, non quod aduocatis deficiebatur, sed quod inpudentia abundabat. itaque inusitatis foro latratibus adsidue tribunalia exercendo muliebris calumniae notissimum exemplum euasit, adeo ut pro crimine inprobis feminarum moribus C. Afraniae nomen obiciatur. prorogauit autem spiritum suum ad C. Caesarem iterum <P.> Seruilium consules: tale enim monstrum magis quo tempore extinctum quam quo sit ortum memoriae tradendum est.

non fu né tacita né domiseda. Innanzitutto si appropriò di luoghi prima estranei alla componente femminile, il tribunale e il foro, si difese da sola davanti a un magistrato e per farlo utilizzò la propria voce, il canale comunicativo precluso alle donne se non all’interno del perimetro domestico e alla presenza dei soli familiari. Si trattò inoltre di una voce tradotta in urla, ovvero in una forma non adatta ad una matrona, il cui comportamento doveva invece essere ispirato alla compostezza. A causa di queste gravi violazioni del mos maiorum relative al comportamento femminile, l’autore paragona il modo di parlare di Afrania al latrare di un cane, con l’intento di sminuirne la femminilità e trasferire la donna su un piano ferino.

La voce femminile era intesa tradizionalmente come sinonimo di pettegolezzo, lusinga e potente arma di seduzione, di cui il canto ammaliatore delle sirene costituisce l’esempio più rappresentativo; in questa circostanza invece perse ogni caratteristica del fascino muliebre e si ridusse ad un latrato. Si produce una struttura a climax nella memoria delle modalità comunicative femminili, pubbliche o politiche: dalla gestualità alla comunicazione per verba, e in questo caso dai lamenti alle parole, dai discorsi alle urla, fino alla distorsione in modi che non sono propri del genere umano e degradano gli uomini a livello dei ferini.

Il giudizio dell’autore nei suoi confronti risulta negativo sotto ogni aspetto, poiché la donna che veniva meno al silenzio doveva essere condannata per i suoi costumi; arriva addirittura a definirla ‘monstrum’, termine usato solitamente per indicare l’amore incestuoso tra due fratelli, con il preciso scopo di peggiorare ulteriormente la sua immagine e connotarla negativamente anche a livello sessuale.

Secondo gli autori antichi, la presenza delle donne in tribunale poteva ‘inquietare’ il magistrato, ovvero influenzarne le decisioni grazie o per colpa delle loro capacità seduttrici59

. Secondo Labruna, questo sarebbe il motivo per cui i Romani tolsero alle donne il diritto all’avvocatura60

; di opinione diversa invece sembra Peppe il quale ritiene che l’immagine di debolezza della natura femminile non sia da ritenere completamente veritiera in quanto secondo gli autori più antichi la donna era tradizionalmente connotata da doti quali la furbizia e la forza d’animo61

.                                                                                                                

59 Cfr. BERRINO 2006, pp. 29-41. 60 LABRUNA 1964, pp. 419-420. 61 PEPPE 1984, p. 79.

La Carfania di Ulpiano e la Gaia Afrania di Valerio Massimo riecheggiano a loro volta la Carfinia di Giovenale, ricordata per i costumi poco rispettabili. Il nome compare tra quelli delle donne processate per adulterio in un contesto in cui si discute su quale sia l’abito più adatto che un oratore debba indossare in tribunale:

“Come fuggirono scornati i nostri stoici davanti a verità cantate con tanta chiarezza! Non era forse vero quel che diceva Laronia? Ma che cosa non faranno gli altri, o Cretico, quando tu, vestito di veli, col popolo sbalordito a vederti vestito così, scatenerai in tribunale le tue orazioni contro qualche Procula o Pollitta? È vero: Fabulla è adultera; condanna pur anche, se vuoi, Carfinia, ma è vero anche che colei che tu condanni non indosserà mai una toga come la tua”62.

Nel passo sopra riportato, Giovenale si riferisce a Cretico, un avvocato, rimproverandolo di essersi presentato in tribunale con un abbigliamento non adeguato alle circostanze e lo accusa di indossare una toga più scandalosa di quella che era costretta ad indossare Carfinia, accusata di adulterio. Non tutte le donne a Roma potevano indossare la stola, abito caratteristico delle matrone63

; le donne che avevano commesso adulterio, così come le prostitute, dovevano indossare una tunica semitrasparente che ne rendesse le forme visibili a tutti, secondo la concezione che una donna che aveva violato i costumi tradizionali e sia era macchiata di impudicizia perdeva il rispetto e la tutela che era dovuta al suo corpo e che era visivamente rappresentata dall’abito64

. La colpa di adulterio equiparava la matrona alla prostituta e la rendeva completamente priva della tutela corporis.

L’episodio si colloca alla fine di un’arringa in difesa delle donne sostenuta da Laronia contro un personaggio ambiguo e misterioso che si ergeva a difensore della politica moralizzatrice di Augusto, ma che a suo carico aveva accuse per comportamenti perversi e pederastici. Laronia era una donna dai costumi disinvolti,                                                                                                                

62 Iuv. II, 64-70: fugerunt trepidi uera ac manifesta canentem

quid/ non facient alii, cum tu multicia sumas, Proculas et Pollittas? est moecha Fabulla; damnata togam.

63 Val. Max. II, 1, 5: “Inoltre perché il decoro delle matrone fosse protetto dal baluardo della pudicizia,

fu proibito a chi citasse una donna di sfiorarne il corpo, onde la sua stola rimanesse non tocca da mano altrui”. (Sed quo matronale decus uerecundiae munimento tutius esset, in ius uocanti matronam corpus eius adtingere non permiserunt, ut inuiolata manus alienae tactu stola relinqueretur).

ma sincera e virtuosa secondo la descrizione che di lei ci fornisce Giovenale:

“[…] Guarda prima gli uomini, guardali bene, quante ne fanno più di noi; ma son tanti a farne che il numero stesso li difende e stretti a falange son ben riparati dagli scudi. Come vanno d’accordo questi rammolliti! Mai tra noi donne si troverà esempio così deplorevole”65.

Il discorso della donna è teso a dimostrare che gli uomini erano più corrotti delle donne per i loro diffusi atteggiamenti omosessuali ed effemminati, che spesso sconfinavano nell’ambito delle prerogative femminili, mentre le donne erano sempre rimaste al proprio posto, fedeli alla virtuosa visione tradizionale che si aveva di loro. L’intervento di Laronia in difesa della reputazione di tutte le donne, e in particolare di quelle che si erano macchiate di adulterio, può essere giustamente inteso come un caso di testimonianza pro aliis. Nonostante la protagonista dimostri una disinvolta conoscenza del diritto e una discreta competenza del linguaggio giudiziario, rimane una donna che aveva violato il codice tradizionale e che aveva osato intervenire in tribunale in difesa di altre donne. Questa iniziativa rappresentava un motivo sufficiente per classificarla come donna lasciva, continuamente invischiata in questioni giudiziarie66.

La vicenda relativa a Gaia Afrania è riferita anche da Valerio Massimo nella sezione dedicata alle “donne che difesero se stesse o altre persone in presenza dei magistrati”67

:

“Neppure bisogna passare sotto silenzio quelle donne, che né il sesso né la verecondia dell’abito femminile valsero a far tacere nel foro e nei tribunali”68.

Di questa sezione fanno parte anche altre due figure femminili, Mesia Sentinate e Ortensia. Secondo il giudizio dell’autore queste matrone sono tutte da                                                                                                                

65 Iuv. II, 44-48: […] respice primum/

iunctaeque umbone phalanges./ tam detestabile sexu.

66 Marziale in uno dei suoi epigrammi sostiene di avere ottime ragioni per trascinare in tribunale una

certa Laronia che avrebbe rifiutato di vendergli uno schiavo, con il quale, secondo l’autore, avrebbe intrattenuto una relazione clandestina. Cfr. Mart. 2, 32, 5.

67 Val. Max. VIII, 3: Quae mulieres apud magistratus pro se aut pro aliis causas egerunt.

68 Val. Max. VIII, 3: Ne de his quidem feminis tacendum est, quas condicio naturae et uerecundia

considerarsi exempla negativi, poiché osarono recarsi in tribunale da sole, rifiutarono la tutela di un avvocato e osarono appropriarsi della voce per sostenere le proprie istanze, non perché non potessero disporre di un avvocato, ma perché scelsero volontariamente di rappresentare se stesse, violando i ogni modo il pudor matronale, tuttavia come vedremo, per il caso di Ortensia è necessario fare delle distinzioni.

• Mesia Sentinate

Mesia69 proveniva dalla città umbra di Sentino e probabilmente in età

ciceroniana sostenne personalmente di fronte al pretore Lucio Tizio70

un processo penale intentato contro di lei, dal quale fu pienamente assolta.

“Mesia Sentinate, essendo stata incriminata, si difese, alla presenza del pretore Lucio Tizio e del collegio giudicante da lui presieduto, in mezzo a gran folla di popolo e, svolte regolarmente tutte le parti della sua difesa, non solo accuratamente, ma anche con coraggio, fu assolta nel primo giudizio e con verdetto quasi unanime. Costei, poiché nascondeva sotto l’aspetto di donna un animo virile, ebbe il soprannome di Androgine”71.

Valerio Massimo riconosce la buona conoscenza del linguaggio giuridico da parte della donna e le sue discrete abilità retoriche, ma critica aspramente i suoi costumi; in questo senso acquista corpo l’ipotesi di Hermann, secondo il quale il reato imputato a Mesia sarebbe quello di adulterium72

. Come avevamo già visto in precedenza, secondo Valerio Massimo le donne che si appropriano di spazi e prerogative maschili devono essere condannate.

Mesia viene definita con l’aggettivo ‘Androgine’, poiché in lei sotto l’aspetto di donna si cela un animo virile; questo termine nega ad una donna qualunque tipo di attrattiva sessuale e a partire da Platone possiede una netta connotazione negativa73

. Questo stesso aggettivo viene utilizzato dagli autori antichi anche per descrivere                                                                                                                

69 Su di lei cfr. MÜNZER 1928, coll. 282-283; MARSHALL 1989, pp. 35-54; CANTARELLA 1996,

pp. 15-17; BERRINO 2002, pp. 15-26; BERRINO 2006, pp. 29-41.

70 Su di lui cfr. MRR II, p. 466.

71 Val Max. VIII, 3, 1: Amesia Sentinas rea causam suam L. Titio praetore iudicium cogente maximo

populi concursu egit modosque omnes ac numeros defensionis non solum diligenter, sed etiam fortiter executa, et prima actione et paene cunctis sententiis liberata est. quam, quia sub specie feminae uirilem animum gerebat, Androgynen appellabant.

72 HERMANN 1964, pp.

Fulvia, quando assunse il ruolo di comando durante la guerra di Perugia. Anche nel caso relativo alla moglie di Antonio, il termine ha una marcata valenza dispregiativa, allo scopo di trasmettere l’idea che la donna che osava allontanarsi dai limiti imposti dal canone matronale con i propri comportamenti, non solo si poneva extra mores, ma perdeva progressivamente le fattezze della propria femminilità per assumere invece i tratti virili. Insomma una matrona che si appropriava dei ruoli e delle caratteristiche maschili non era più degna di essere considerata una donna a pieno titolo.

La sezione di Valerio Massimo dedicata alle donne che difesero se stesse o altri in tribunale si conclude con il riferimento alla vicenda di Ortensia, che tuttavia presenta alcune differenze rispetto alle due precedenti:

“Ortensia, figlia di Quinto Ortensio, essendo stati imposti dai triumviri gravi balzelli alle matrone e non osando alcuno prenderne le difese, discusse lei con coraggio e felicemente la causa presso i triumviri: riproducendo, infatti, l’eloquenza di suo padre, ottenne per le donne l’esonero dalla maggior parte delle tasse. Parve allora rivivere nella figlia Quinto Ortensio ed ispirarne le parole: del quale se i posteri di sesso maschile avessero voluto imitare l’efficacia, la grande eredità dell’eloquenza di Ortensio non sarebbe finita con la sola orazione di una donna”74.

L’autore sottolinea che, a differenza di Gaia Afrania e Mesia, Ortensia era stata spinta a prendere direttamente la parola in tribunale poiché non vi era alcun uomo che potesse difendere lei e le altre matrone; in questo caso non si tratta dunque di un’azione volontaria, ma di una necessità dettata dall’impossibilità di agire diversamente. Lo storico inoltre risulta piuttosto indulgente nei confronti di Ortensia, che apparentemente aveva agito allo stesso modo delle altre due donne, probabilmente a causa degli interessi che lo legavano alla gens Hortensia. Per questo motivo, grazie ad un escamotage, la figlia del famoso retore non viene inserita tra gli esempi negativi, in quanto sarebbe stata solo lo strumento attraverso il quale far                                                                                                                

74 Val. Max. VIII, 3, 3: Hortensia uero Q. Hortensi filia, cum ordo matronarum graui tributo a

triumuiris esset oneratus <nec> quisquam uirorum patrocinium eis accommodare auderet, causam feminarum apud triumuiros et constanter et feliciter egit: repraesentata enim patris facundia impetrauit ut maior pars imperatae pecuniae his remitteretur. reuixit tum muliebri stirpe Q. Hortensius uerbisque filiae aspirauit, cuius si uirilis sexus posteri uim sequi uoluissent, Hortensianae eloquentiae tanta hereditas una feminae actione abscissa non esset.

rivivere l’eloquenza e la personalità del padre75

.

3.3 Foro