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Fulvia e Giulia al processo contro Milone

Extra domum: nuovi spazi e occasioni della comunicazione femminile in Urbe ed extra moenia

3. In Urbe: strade, tribunale e foro

3.2.3 Fulvia e Giulia al processo contro Milone

Nella primavera del 52 a.C. si aprì il processo contro Tito Annio Milone, accusato dell’omicidio di Clodio avvenuto pochi mesi prima. Furono chiamate a testimoniare anche Fulvia e la madre Sempronia44

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Resero testimonianza per ultime Sempronia, figlia di Tuditano, suocera di Publio Clodio, e sua moglie Fulvia, e con il loro pianto commossero profondamente coloro che assistevano al processo45.

Rispetto all’arringa di Cicerone, la collera e la pena suscitate dalla matrona nei presenti commossero i giudici, che condannarono Milone all’esilio presso                                                                                                                

41 Sulla modalità comunicativa di Sempronia cfr. ROHR VIO 2014a. 42 Vd. infra le vicende di Caia Afrania, Mesia Sentinate e Ortensia. 43 DIXON 2007, pp. 24-32; VALENTINI 2012, pp. 245-247.

44 Sulla testimonianza di Fulvia al processo cfr. VIRLOUVET 1994, pp. 74-75; ROHR VIO 2013, pp.

38-41.

45 Ascon. Mil. 40: utimaae testimonium dixerunt Sempronia, Tuditani filia, socrus P. Clodii, et uxor

Marsiglia. Si tratta della prima apparizione di Fulvia in una sede pubblica di cui siamo a conoscenza, ma non era la prima volta che si verificava la presenza di una matrona in tribunale: alle donne, anche se eccezionalmente, era consentito deporre in tribunale, purché la loro testimonianza rispettasse le modalità stabilite dal mos

maiorum, come dimostra il caso di Sempronia46

. Come si evince dall’esempio relativo alla sorella dei Gracchi, le donne in tribunale dovevano offrire la propria testimonianza servendosi di canali comunicativi diversi dalla parola, poiché secondo il costume tradizionale la voce di una donna doveva rimanere racchiusa entro le mura domestiche ed essere nota solo ai membri più intimi della famiglia. Nel suo resoconto, Asconio sottolinea che Fulvia e la madre riuscirono a commuovere i giudici con il loro pianto. A partire da questa affermazione è possibile ipotizzare che la testimonianza delle due donne si sia esplicata solo ed esclusivamente attraverso questa manifestazione tipicamente femminile e che, con tutta probabilità, nessuna delle due abbia tentato di pronunciare un discorso, poiché in tal caso le fonti non avrebbero taciuto un fatto considerato ancora eccezionale47

.

L’obiettivo politico e processuale di Fulvia doveva essere raggiunto non tanto attraverso il contenuto vero e proprio della testimonianza, visto che la donna non aveva nemmeno assistito all’uccisione del marito, quanto attraverso la scelta della modalità comunicativa, che con la sua forte carica emotiva doveva essere in grado di suscitare nel pubblico che assisteva alla scena commozione, pietà e finanche solidarietà nei confronti di una vedova straziata dal dolore. Fulvia infatti non era stata testimone oculare dell’omicidio, quindi la sua funzione si incentrava nel dar conto delle tragiche conseguenze della morte del marito. Per enfatizzare il suo ruolo di moglie devota Fulvia si presentò in tribunale accompagnata dalla madre, in conformità ad una prassi, ormai consolidata in età tardo repubblicana, secondo la quale quando una donna era chiamata a intraprendere un’iniziativa pubblica, contraria o estranea al mos maiorum tradizionale, doveva essere accompagnata da una matrona più anziana, come la madre o la suocera, che conferisse legittimità alla sua azione. L’accusa contro Milone sembra voler creare una sorta di rovesciamento:                                                                                                                

46 Per la testimonianza di Sempronia cfr. infra.

47 Sull’evoluzione delle testimonianze femminili in tribunale cfr. BERRINO 2006; ROHR VIO 2014a,

Clodio aveva la fama di essere un innovatore e di avvalersi anche della violenza per trasformare Roma; se Clodio era stato accusato di aver violato il mos maiorum, questa sua fama viene attenuata presentando una Fulvia invece perfettamente allineata ai dettami del mos maiorum.

Fulvia in questa circostanza si fece depositaria della memoria del marito e portavoce dei gruppi che a lui facevano riferimento, ma esplicò questo ruolo non tanto attraverso la testimonianza vera e propria, quanto attraverso la sua stessa presenza; operò in difesa e a vendetta dei familiari offesi, perseguendo un preciso obiettivo politico e nel rispetto della pietas, una delle virtù fondamentali del mos

maiorum. L’immagine di Fulvia come sovvertitrice della morale e di ogni valore,

elaborata dalla tradizione a lei ostile in ottica denigratoria e delegittimante, si pone in contrasto con l’atteggiamento tenuto in questa circostanza e risulta interessante notare che la notizia sia riportata soltanto da Asconio, commentatore di Cicerone, e che invece venga taciuta dagli autori che volevano screditare la sua figura. In entrambe le circostanze, il funerale di Clodio e il processo contro Milone, Fulvia dimostrò la sua propensione a prendere parte alle vicende pubbliche e a interferire nelle questioni politiche.

La testimonianza al processo contro Milone rappresenta una prima evoluzione del ruolo politico e comunicativo di Fulvia, innanzitutto perché si tratta della sua prima apparizione in un luogo pubblico. In occasione del funerale di Clodio, infatti, l’azione di Fulvia si era dispiegata entro il luogo privato e femminile per eccellenza, la domus, che lei era riuscita a caricare di una forte valenza politica aprendo le porte della casa ed esponendo il corpo di Clodio alla vista di amici e

clientes, in modo tale che fosse il ‘pubblico’ a ‘invadere’ un’ambientazione privata.

Non sappiamo se seguì il feretro durante la pompa funebris, ma in ogni caso non intraprese alcuna azione clamorosa di cui sia rimasta traccia nella memoria storiografica. Nel caso della sua testimonianza processuale invece Fulvia abbandona la casa e si appropria direttamente dei luoghi pubblici da cui tradizionalmente era esclusa la componente femminile della società. Così avrebbe fatto di nuovo nel 43 a.C. quando si recò nel foro e nelle strade di Roma, accompagnata dalla suocera Giulia, per supplicare i senatori di non dichiarare suo marito Antonio hostis publicus;

e lo stesso fece Giunia Seconda, moglie di Lepido, insieme alla madre Servilia per convincere il Senato a risparmiare il marito dalla stessa sorte di Antonio, in nome dei figli che rischiavano di essere trascinati nell’onta insieme al padre. A differenza di Fulvia, Giunia era pronta ad abbandonare il marito al suo destino, ma voleva proteggere i figli e a questo scopo la donna tentò di convincere Cicerone a traferirne la tutela dal padre al fratellastro, Marco Giunio Bruto, in modo che il patrimonio della famiglia restasse intatto e che essi potessero aspirare alle massime cariche della

res publica48

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