Extra domum: nuovi spazi e occasioni della comunicazione femminile in Urbe ed extra moenia
3. In Urbe: strade, tribunale e foro
3.2.1 Gli antecedenti:
• Quaestiones de veneficiis
Livio conserva testimonianza di quattro processi per veneficium, avvenuti rispettivamente nel 331 a.C., nel 180 a.C., nel 179 a.C. e nel 154 a.C. di cui furono protagoniste nel ruolo di imputate alcune matronae. Secondo quanto testimoniato dalle fonti antiche, questi episodi si verificarono in momenti di crisi generalizzata per la res publica, durante i quali era fondamentale che le donne si comportassero in modo rispettoso del mos maiorum, per salvaguardare la civitas e mantenere la pax
deorum. Questi episodi, che creavano una condizione di emergenza a Roma,
18 Per l’espressione di Plutarco vd. supra.
19 La volontà di partecipazione alle vicende politiche la accomuna a Sempronia, che partecipò alla
maturarono in un contesto socio-economico di crisi e coinvolsero a loro volta molteplici aspetti della società, quali la vita religiosa, la sicurezza pubblica e naturalmente le virtutes femminili.
Dal punto di vista giuridico, l’accusa che veniva mossa alle imputate era di essersi servite di mala venena, ‘sostanze velenose’, per scopi delittuosi20. Secondo la
critica moderna le prime forme di regolamentazione dell’uso dei venena risalirebbero addirittura alle leggi delle XII tavole21, ma questa imputazione sarebbe diventata un
reato vero e proprio solo nell’81 a.C. quando Silla promulgò la lex Cornelia de
sicariis et veneficiis22
.
Livio racconta che nel 331 a.C., durante il consolato di M. Claudio Marcello e C. Valerio, una terribile pestilenza aveva provocato numerose vittime tra i cittadini delle famiglie più illustri di Roma23
. La tragedia era stata imputata inizialmente a cause naturali, ma successivamente si era diffuso il sospetto di un intervento umano, una fraus muliebris, avvalorato dalla testimonianza di un’ancella all’edile Quinto Fabio Rulliano:
“[…] Essa allora rivelò che la città soffriva per un complotto di donne e che erano le matrone a preparare i veleni; se volevano seguirla immediatamente potevano coglierle sul fatto”24.
La vicenda è degna di interesse poiché assistiamo ad un intervento per verba
20 Il termine venenum può assumere due valenze di significato a seconda del contesto in cui viene
utilizzato: una positiva nel senso di ‘rimedi medicamentosi’ e una negativa nel senso di ‘sostanze velenose’. Secondo CAVAGGIONI 2004, pp. 59-60 in questo contesto il termine indicherebbe letteralmente il reato compiuto attraverso l’uso di venena, assumendo un significato esclusivamente negativo, legato all’utilizzo di mala venena.
21 La menzione di tale reato nelle leggi delle XII tavole sarebbe avvalorato dalla testimonianza di Plut.
Rom.
22 La necessità di regolamentare questo tipo di reati, potrebbe derivare proprio dall’impossibilità di
identificare nei venena un gruppo univoco e definito di sostanze. La lex Cornelia de sicariis et
veneficiis considerava il possesso e la somministrazione di tali sostanze come un crimine
pubblicamente perseguibile. Sulla lex cfr. ROTONDI 1966, pp.
23 L’episodio, databile grazie alla menzione della coppia consolare, è testimoniato da Liv. VIII 18, 1-
12; Oros. III 10; Liv. Per. 8, 9-10. La maggior parte della critica è concorde nel ritenere l’episodio attendibile dal punto di vista storico, cfr. BAUMAN 1992, pp. 13-14; CANTARELLA 1996, pp. 72- 73; CENERINI 2002, pp. 42-43; CAVAGGIONI 2004, pp. 71-72; l’attendibilità è messa in dubbio invece da REINACH 1908, pp. 236-253. Per un riassunto sulla questione cfr. CAVAGGIONI 2004; VALENTINI 2012, pp. 83-117.
24 Liv. VIII 18, 6: […] tum patefactum muliebri fraude ciuitatem premi matronasque ea uenena
in una sede istituzionale da parte di una schiava, che per la sua condizione sociale doveva essere esclusa da ogni forma di partecipazione delle questioni pubbliche; l’ancilla invece sporse denuncia al magistrato, utilizzando la voce come strumento comunicativo. L’episodio si rivela particolarmente significativo poiché rappresenta l’unica testimonianza di un intervento verbale di una schiava in un contest pubblico, mentre in seguito gli unici interventi verbali di cui siamo a conoscenza furono promossi dalle donne dell’elité romana.
A seguito della testimonianza dell’ancilla, venti matrone vennero processate pubblicamente nel foro, tra di esse vennero scelte due rappresentanti, che pronunciassero la difesa a nome delle altre. Seguì una lunga inchiesta al termine della quale furono arrestate centosettanta matrone con l’accusa di preparare veleni: “Li (i veleni) portarono nel foro e fecero chiamare da un pubblico ufficiale circa venti matrone, in casa delle quali erano stati trovati i veleni. Cercando due di esse, Cornelia e Sergia, entrambe di stirpe patrizia, di sostenere che quelle erano pozioni salutari, la delatrice confutando le loro affermazioni, le invitò a bere, se volevano dimostrare che essa aveva inventato una falsa accusa. Allora presero un po’ di tempo per consultarsi tra di loro e, fatta allontanare la folla, riferirono la cosa alle altre; anche queste non rifiutarono di bere e davanti agli occhi di tutti, ingoiata la pozione, tutte perirono per il loro stesso inganno”25.
L’altissimo numero di donne implicate spinse i giudici a considerare l’episodio alla stregua di un prodigium, causato da una pazzia collettiva, che doveva essere espiata con un rituale che prevedeva la nomina del dictator clavi fugendi
causa 26.
La vicenda assunse carattere paradigmatico, diventando post res un modello, elaborato dalla storiografia successiva con l’intento di elogiare l’operato dei Fabi.
25 Liv. VIII 18, 8-9: quibus in forum delatis et ad uiginti matronis, apud quas deprehensa erant, per
uiatorem accitis duae ex eis, Cornelia ac Sergia, patriciae utraque gentis, cum ea medicamenta salubria esse contenderent, ab confutante indice bibere iussae ut se falsum commentam arguerent, spatio ad conloquendum sumpto, cum submoto populo [in conspectu omnium] rem ad ceteras rettulissent, haud abnuentibus et illis bibere, epoto [in conspectu omnium] medicamento suamet ipsae fraude omnes interierunt.
26 Liv. VIII 18, 11-12: “La cosa fu considerata come un prodigio e parve opera di menti uscite di senno
più che scellerate: perciò, essendo ricordato negli annali che un tempo durante le secessioni della plebe era stato piantato un chiodo dal dittatore e che le menti umane uscite di senno per misericordia con quel rito espiatorio erano tornate in sé, fu deciso di nominare un dittatore per piantare il chiodo”. (Prodigii ea res loco habita captisque magis mentibus quam consceleratis similis visa; itaque
memoria ex annalibus repetita in secessionibus quondam plebis clavum ab dictatore fixum alienatasque discordia mentes hominum eo piaculo conpotes sui fuisse, dictatorem clavi figendi causa creari placuit). Sulla figura del dictator clavi fugendi causa cfr. POMA 1978, pp. 39-50.
Questa cosituisce l’unica circostanza, precedente all’età tardo repubblicana, in cui alle matrone fu permesso di parlare direttamente in propria difesa: le imputate scelsero Cornelia e Sergia, esponenti di due importanti gentes romane in qualità di portavoce. Per assistere nuovamente ad un intervento di questo tipo bisognerà aspettare il 42 a.C. con il discorso di Ortensia. La difesa delle due donne si basava sul tentativo di far riconoscere i venena sequestrati come sostanze medicamentose, ma quando fu loro intimato di ingerirle per dimostrare la bontà della testimonianza, esse interruppero la seduta e uscirono a consultarsi con le altre. Questo particolare sottolineato da Livio ci permette di ricostruire le modalità con cui doveva essersi svolto il processo27
: con tutta probabilità, infatti, le due rappresentanti erano le uniche donne ammesse al dibattimento, mentre le altre dovevano aspettare fuori insieme alla folla, iter che potrebbe essere stato adottato anche in occasione del discorso di Ortensia. Secondo E. Cantarella le matrone in questa circostanza non avrebbero perseguito un intento politico, ma volevano porre fine alla pestilenza che stava flagellando la città, agendo quindi per il bene dell’intera civitas28
. Ciò che rende l’azione del 42 a.C. priva di precedenti è invece la sua connotazione politica: le matrone questa volta scesero in piazza per manifestare il dissenso nei confronti di un provvedimento triumvirale che reputavano ingiusto nei loro confronti e dunque intrapresero un’iniziativa per se stesse come gruppo sociale. Si intromisero nella vita politica romana, occuparono il foro e si servirono della parola in pubblico, violando le norme di comportamento stabilite dal mos maiorum e appropriandosi di una dimensione fisica e ideologica prima preclusa29
.
Nel 331 a.C., dunque, in piena età repubblicana, quando il comportamento delle donne risultava allineato quasi senza eccezioni al modello, una donna di condizione servile e donne espressione della classe dirigente utilizzarono la parola in un contesto pubblico quale il tribunale, agendo attraverso proprie rappresentanti. L'utilizzo della parola in tribunale da parte di quste donne si giustificava in ragione
27 Cfr. Liv. VIII, 18, 8-9.
28 Cfr. CANTARELLA 1996. Diversamente invece HERMANN 1964, p. 48 e BAUMAN 1992, p. 14,
i quali ritengono che nel processo del 331 a.C. le matrone agirono per far riconoscere i propri diritti politici sulla scia delle lotte tra patrizi e plebei.
della situazione di emergenza vissuta dalla città, colpita da numerose morti all'apparenza inspiegabili.
Dopo questa vicenda, come si è osservato, si verificarono altri tre episodi ascrivibili al II secolo a.C. che presentano alcune analogie con quello del 331 a.C. in particolare quello del 180 a.C. quali il riferimento a una pestilenza, l’interpretazione degli eventi alla stregua di un prodigium e la necessità di riti di espiazione per purificare la città e ripristinare la pax deorum. In essi tuttavia viene a mancare la connotazione sociale e di genere, poiché le fonti non precisano se gli imputati fossero solo donne, o anche uomini30
.
A partire dal III-II secolo a.C. a Roma si sviluppò una tradizione letteraria che aveva al centro il topos della donna come avvelenatrice, argomento che continuerà ad essere ripreso anche in età imperiale. L’attribuzione in prevalenza alle donne dei reati de veneficium ha spinto gli studiosi ad affermare con sicurezza che i quattro episodi sopra ricordati fossero da ascrivere alla componente femminile 31
. Tuttavia solo per due di essi, quello del 331 e quello del 154 a.C., vengono esplicitamente menzionati i nomi delle responsabili, mentre per gli altri due le fonti non forniscono informazioni sulla provenienza sociale degli imputati oppure utilizzano il generico termine homines. Si può dunque affermare che l’accusa de
venefiiis sia tradizionalmente imputata all’elemento muliebre, secondo quanto
attestato dall’episodio esemplificativo del 331 a.C., ma che storicamente sia stata attribuita anche all’elemento maschile.
30 Nel 184 a.C. il pretore Quinto Nevio Matone, appena nominato governatore della provincia di
Sardegna, fu incaricato di condurre un’indagine de veneficiis che portò ad un gran numero di processi e alla condanna di duemila persone. Cfr. Liv. XXXIX 41, 5-6. Il secondo processo è datato al 180 a.C., anno in cui a Roma si verificò la morte improvvisa di due magistrati, il console Caio Calpurnio Pisone e il pretore Ti. Minucio e di molti altri uomini illustri, su questi decessi aleggiava il sospetto di un’umana fraus: i pretori C. Claudio e C. Memio vennero incaricati di indagare sulle azioni che erano all’origine di tale pestilenza e alla fine dell’inchiesta vennero condannate tremila persone. Cfr. Liv. XL 37, 5-7. Nel 154 a.C. furono messe sotto processo due donne, Licinia e Publilia, accusate di aver ucciso i propri mariti, rispettivamente il senatore Claudio Asello e il console Postumio Albino. Riguardo alla natura del processo le fonti non sono concordi: secondo Valerio Massimo esse vennero giudicate in privato dai loro familiari; secondo le Periochae invece il processo si svolse pubblicamente alla presenza del pretore. Entrambe le fonti attestano che le donne furono giustiziate in sede privata. Cfr. Val. Max. VI 3, 8; Liv. Per. XLVIII 12-13. Sugli episodi sopra ricordati cfr. CAVAGGIONI 2004; VALENTINI 2012, pp. 83-101.
Dopo aver presentato, seppure brevemente, gli antecedenti, analizziamo adesso la tipologia e l’evoluzione degli interventi matronali in tribunale nel corso dell’ultimo secolo della Repubbica.