I. 10.5 «Una forma letteraria sfuggente»
I.10.6. L’«anti-genere» moderno e l’età dei Lumi
Non da ultimo in virtù della sua complessità interazionale, dialogica, critica, gli studi più acuti riservano al saggio un posto di primissimo piano tra le forme che guidano l’innovazione nella letteratura dell’età moderna (SCHLAFFER, 1997: 523).127 Poiché in-novâre è alterare l’ordine delle cose
stabilite per fare cose nuove, dunque esercizio di critica: spinta al dissesto delle fissità formali e teoriche per fare (poiein) del nuovo. Lo si rileva su più versanti, la fondazione della letteratura nella modernità passa dalla dissoluzione della rigidità normativa dei generi, nonché delle prescrizioni
estetiche che basavano sulla tradizione dei generi. Il «cambio di valenza del
genere letterario», l’«avversione ai generi letterari» e «l’attualità del saggio» (CANTARUTTI, 2007a: 28) sono pertanto fenomeni strettamente interrelati.
La letteratura nasce e si afferma con la decadenza dei generi. Nella società
premoderna generi e sottogeneri, elaborati da una tradizione che incomincia almeno con il rinascimento italiano, rispondevano alle esigenze di un mondo fortemente ritualizzato. Ogni genere si inseriva in un cerimoniale sociale. C’erano generi alti e generi bassi. Ognuno di essi era funzionale a un gioco sociale e come ogni gioco aveva regole. […] Ma con il formarsi di un pubblico borghese e degerarchizzato nel Settecento – non si insisterà mai abbastanza sull’importanza dell’Illuminismo per la nostra storia – tutti i sistemi di regole vengono posti in discussione, e decadono. Invece che di buon gusto che è un attributo sociale, si parla di
126 Devo questa pregnante definizione ad un colloquio privato con il prof. Hartwig
Kalverkämper.
127 «Wie der Roman gehört der Essay zu den Leitformen innovativer Literatur in der Neuzeit,
und wie der Roman ist er eine offene Form, deren Beschreibung und Bestimmung den Autoren wie den Kritikern Schwierigkeiten bereitet» [«Come il romanzo, il saggio figura tra le principali forme innovative della letteratura della modernità, e come il romanzo anche il saggio è una forma aperta, la cui descrizione e definizione presentano difficoltà sia agli autori sia ai critici»]. È un pensiero che sottende la scelta «del saggio e del romanzo» come forme d’elezione «per rintracciare gli effetti dei campi di forze pluriculturali» nell’àmbito della Exiliteratur e
genio che è un attributo individuale (GUGLIELMI, 1998: 86)
[corsivo, S.R.].
L’interrelazione, fortissima, tra i fenomeni di modernità descritti da Guglielmi ed il nostro «anti-genere» viene colta con asciutta chiarezza da Berardinelli in La forma del saggio e le sue dimensioni: guardando al «genere letterario del pensiero critico e antidogmatico» si mostra «la crescita storica dell’individuo moderno», e in filigrana si legge altresì lo sviluppo storico «della pubblica discussione e della ragione critica applicata a temi di interesse collettivo» (BERARDINELLI, 2007: 35).
L’importanza decisiva che l’epoca di formazione della sfera pubblica borghese ha avuto nel processo di scardinamento delle codificazioni letterarie è peraltro riconosciuta non solo da studiosi che si pongono nel solco della Teoria estetica adorniana, rilevando la dimensione della letteratura come «emergenza storica». 128 Il Settecento è altresì centrale per studiosi che
segnalano il proprio antidogmatismo con e in virtù di felici frequentazioni con la letteratura scientifica e con il barocco (BATTISTINI, 1977, 1998).129
Come nel giornalismo, il grande nuovo contenitore di generi figlio dell’Inghilterra del XVIII secolo, con la sua giustapposizione di discipline limitrofe e non,130 in questi territori è possibile rintracciare la straordinaria
128 «Nella sua forma moderna, il concetto di ‘letteratura’ nasce nel XVIII secolo e giunge a
completo sviluppo solo nel XIX, anche se le vere condizioni del suo delinearsi s’erano andate sviluppando sin dal rinascimento» (WILLIAMS, 1979: 62) citato, come la precedente citazione da
Guglielmi, in (DI GESÙ, 2005: 20sg.).
129 Si vedano inoltre (BATTISTINI, 1977, 2000a, 2000b); nonché (BATTISTINI, 2007) e il
recentissimo (BATTISTINI, 2011). Del resto, il barocco rappresenta un periodo di grande rilievo per la questione dei generi, un periodo che si apre con la vivissima spinta innovativa dei dialoghi di Giordano Bruno, tra tutti La cena de le Ceneri (1584), pervaso da «un’insopprimibile e indomabile vocazione alla scrittura letteraria all’interno della ricerca filosofica, che oltrepassa, di conseguenza, i confini dei generi letterari e ne fa […] una mistione quanto mai complicata e varia» (BÁRBERI SQUAROTTI, 1997: 42).
130 Vitale per il processo di sviluppo del giornalismo è stata la formazione nel Settecento di una opinion publique o di un public spirit: «Bisogna aprire le pagine dei complessi e rivoluzionari
rapporti fra letteratura e politica e fra giornalismo e politica nell’Inghilterra del Settecento, dove Tories e Whigs si combattevano fondando testate giornalistiche e prendendo a servizio gli intellettuali – con l’Examiner di Swift o la Review di Defoe – per trovare le radici di un’informazione politica consapevole e organizzata. Secondo il filosofo Jürgen Habermas, in
Storia e critica dell’opinione pubblica, un ruolo decisivo venne rivestito in particolare dal
conservatore Henry Saint-John Bolingbroke: “Senza il giornalismo politico che Bolingbroke stesso ha contributo a fondare, il sense of the people non sarebbe mai diventato un public spirit
ricchezza e l’importanza di opere eccentriche rispetto alle forme e ai generi della storiografia letteraria canonica. Opere periferiche perché composte da scritture non fictional che lambiscono o affondano le radici nel terreno di quelle che l’eruditio settecentesca, «mista di sapere» (CANTARUTTI, FERRARI, 2007: 7), chiamava scienze sode.131 Opere che oggi invece, nel segno di un
settorialismo miope e falsante, sono le più neglette dal canone e contrapposte a forme di letteratura ‘pura’: un misconoscimento che non si evince solo sfogliando recenti opere di storiografia letteraria italiana – dove «non si trovano presenze che non siano quelle dei cosiddetti letterati puri» (DI GESÙ, 2005: 36) –, ma si fa denominatore comune di una tendenza diffusa e transnazionale a relegare il non canonizzabile, perché ‘impuro’, miscellaneo, cangiante, nel limbo del silenzio.
Tale insipienza è additata da tutti i maggiori studiosi, che non mancano di dare rilievo alla crucialità del Secolo dei Lumi (KÜNTZEL, 1969). Non è un caso che René Wellek faccia nascere proprio nel Settecento, con l’Illuminismo, la «critica letteraria classica», una forma con cui fiorisce il giornalismo e molto più, «una forma del pensiero filosofico e morale moderno» (WELLEK, 1978). E Berardinelli annota:
Nel Settecento la poesia venne messa in crisi dalla vitalità dei narratori e dei philosophes, la prima invenzione della modernità è opera loro (BERARDINELLI, DI GESÙ, 2007: , passim) [corsivo, S.R.].
come opposizione”. Finché nel 1781, annota Habermas, l’Oxford Dictionary non registra la voce
public opinion», cfr. (PAPUZZI, 2010: 84). Del giornalismo torneremo a parlare a proposito dell’intervista: sezione IV del presente lavoro.
131 Alla centralità del Settecento per il transfert delle ‘scienze sode’ attraverso il medium della
traduzione è stato di recente dedicato il convegno internazionale a cura di Giulia Cantarutti e Stefano Ferrari Scienze, storia e arte: traduzioni e transfert nel Settecento tra Francia, Italia e Germania (Accademia Roveretana degli Agiati, 6-7 maggio 2011), cui sono intervenuti Lorenza Rega, Gisela Schlüter, Serena Luzzi, Daniela Gallingani, Antonio Trampus, Ezio Vaccari, Silvia Caianiello, Renato Mazzolini, Clorinda Donato e Lorenzo Lattanzi. Preziose prospettive furono anche aperte dal volume, anch’esso nato in seno all’Accademia Roveretana degli Agiati:
(CANTARUTTI, FERRARI, FILIPPI, 2001), cfr. specie i contributi di PAOLA MARIA FILIPPI La
periferia traduce (pp. 163-217); di GIULIA CANTARUTTI su «L’antologia romana» (pp. 257-316); di
RITA UNFER LUKOSCHIK sul Transfert culturale tra Italia e Germania nelle riviste del Settecento italiano
E non è un caso che proprio i philosophes ed il secolo della «Naturwissenschaft des Menschen» siano stella polare dei più grandi saggisti del passato e del presente. Un esempio su tutti di come l’eredità illuministica sia confluita nel saggismo scientifico, nella scrittura «populärmedizinisch», è l’Alfred Döblin di Leib und Seele (1914): ma la portata delle riflessioni di Giulia Cantarutti va oltre il caso che indaga, rilevando una costellazione tipica per l’area tedesca, ma dai riverberi assai più ampi:
se il Novecento appare ovunque come «il secolo della saggistica» e il Settecento come quello in cui questo genere letterario per la prima volta dispiega tutte le sue possibilità, in Germania il saggio nasce con e nell’Illuminismo e il suo momento di nascita è, insieme, la stagione dei più fertili incontri fra letteratura e medicina.
E aggiunge con assai fine sensibilità terminologica:
Nel paesaggio di straordinaria ricchezza espunto dalla filosofia idealistica l’epiteto "popolare", oggi avvertito come inconciliabile con la qualità di scrittura, ha tutt’altra valenza (CANTARUTTI, 2009:
25sg.) [corsivo, S.R.].132
Tale valenza non sfugge a Kalverkämper, da sempre interessato ai fenomeni di «Popularisierung», cui dedica un’intera sezione del volume
Fachliche Textsorten. Lo studioso indaga il genere di scrittura saggistica del literarischer wissenschaftlicher Dialog nelle fattispecie del Dialogo sopra i due massimi sistemi (1630) di Galileo e dell’Entretiens sur la Pluralité des Mondes (1686) di
Bertrand Le Bovier de Fontenelle (KALVERKÄMPER, 1996). Entrambi i dialoghi saggistici rientrano nella sfera della comunicazione scientifica, con Kalverkämper, «eine mit speziellen Merkmalen inkludierten Form der
fachlichen Kommunikation», una forma con caratteristiche proprie facente
parte dalla comunicazione specialistica. E qui viene messo in luce la peculiare modalità ‘divulgativa’ riscontrabile in questi testi di natura
populärwissenschaftlich si sviluppi nel solco di una terza via dei «saperi misti», di
autentica interdisciplinarità, che si concreta in un dialogo in grado di superare
132 «Il più antico e il più nuovo coincidono. Il nesso psicofisico come tutto ciò che concerne
l’uomo è per eccellenza problema antichissimo», come per le citazioni precedenti, Ibid., p. 25. Sulla scrittura saggistica di Alfred Döblin cfr. (CANTARUTTI, 2000) e (CANTARUTTI, 2006a).
la spaccatura tra le due culture scientifiche (scienze naturali – scienze umane) di cui parlava più di mezzo secolo fa Charles Percy Snow già nell’incipit del celebre The Two Cultures (1959): «By training I was a scientisti: by vocation I was a writer» (SNOW, 2007: 1). «Der verständliche und verständigende Dialog zwischen Fachleuten und Laien, zwischen Experten und interessierten Gebildeten gilt hier als ein Schlüssel», aggiunge Kalverkämper,
man müsse den Dialog zwischen den Fachleuten und den interessierten Laien stärker fördern; der produktive Dialog zwischen Wissenschaft, Politik, Kunst gilt als Weg der Humanität (KALVERKÄMPER, 1996: 689). 133
Un dialogo di cui proprio il saggio si fa interprete privilegiato, specie nella sua valenza di forma della comunicazione specialistica – come vedremo a breve nell’àmbito della nostra Verortung del genere. Qui se ne anticipa un aspetto chiave, un aspetto che evidenzia come solo tenendo presente il ricco orizzonte dei «saperi misti» sia possibile recepire la peculiarità del saggio come «anti-genere», da sempre atopico rispetto ai settorialismi. L’inadeguatezza delle definizioni sostanzialistiche ritorna infatti ad essere presupposto delle riflessioni di Kalverkämper sulla possibilità di tracciare confini tra comunicazione letteraria e comunicazione specialistica: il dialogo
letterario scientifico si qualifica come eminente esempio di una tradizione in cui
lo specialismo (Fachlichkeit) non è un elemento discreto, ma continuo e presente in proporzioni graduali all’interno della comunicazione. Si può quindi parlare «von einer kalibrierten, also im Sinne einer Skala zu verstehenden Fachlichkeit wie deren (in Texten!) zugehöriger Fachsprachlichkeit»
Sogenannte alltags- oder gemeinsprachliche Texte und Kommunikationsformen wären demnach als fach(sprach)lich maximal reduziert anzusehen, mit nur äußerst wenigen Signalen der Fach(sprach)lichkeit; dagegen – auf der anderen Seite der Skala – die ‘echten’, ‘wirklichen’ Fachtexte, von Fachleuten für
133 «Il dialogo, comprensibile e di comprensione, tra specialisti e profani, tra esperti e colti
interessati [alla materia] è la chiave: bisognerebbe promuovere con maggior forza il dialogo tra gli specialisti ed i profani interessati; il dialogo produttivo tra scienza, politica e arte è la via per l’umanità».
Fachleute geschrieben oder gesprochen, die einen maximalen Einsatz von Signalen der Fachlichkeit und Fachsprachlichkeit (in den Termini, in der Morphosynthax, der Textstruktur, der Thema- Rhema-Verteilung, bei den Voraussetzungen von Vorwissen, bei den eingebrachten Erklärungen, usw. usw.) verlangen und bieten (KALVERKÄMPER, 1996: 688).134
Allo stesso modo, lungi dall’essere ascrivibile all’una o all’altra cultura scientifica, il saggio è la forma di una specifica rappresentazione di entrambe. La letterarietà, come lo specialismo, le peculiarità della lingua speciale della comunicazione letteraria, come quelle della lingua speciale delle diverse discipline della comunicazione specialistica, sono riflesse ed assorbite nella diverse forme della svariata fenomenologia del saggio in gradi diversi, distribuiti su di un ideale continuum.
Le prospettive sulla ricchezza del saggio in quanto Mischform per eccellenza, che proprio nel secolo dei Lumi diviene, in tutte le sue forme – di dialogo, lettera, annotazioni diaristiche, articolo di giornale – veicolo principe dei «saperi misti» (ibid.), sono spesso trascurate. Si dimentica che attraverso il saggio hanno trovato espressione la filosofia, le scienze linguistiche, il pensiero politico e sociologico, le scienze naturali dal Saggio
sull’intelletto umano (1690) di John Locke al il Dizionario filosofico (1764) di
Voltaire, dall’Encyclopédie (1750-1772) di Diderot e D’Alambert alle Operette
morali (1835) di Leopardi, da La gaia scienza (1882) di Nietzsche o La politica e la scienza come professioni (1919) di Max Weber a La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) di Thomas S. Kuhn o ai saggi linguistici di M.A.K.
Halliday.135 Si dimentica che il saggio ha preso forma nella scrittura diaristica
ed autobiografica – si pensi solo a Musil e Kafka – e che del saggio si sono
134 «Di uno specialismo calibrato, da intendersi nel senso di una scala [di specialismo], come
della sua corrispondente lingua speciale»; «I testi e le forme di comunicazione cosiddetti di linguaggio quotidiano o comune sarebbero dunque da intendersi come modalità estremamente ridotte di specialismo/ lingua speciale, aventi solo pochissimi segnali di specialismo/ lingua speciale; al contrario – dall’altro lato della scala – gli ‘autentici’, ‘veri’ testi specialistici, scritti o pronunciati da specialisti per specialisti, richiedono ed offrono il massimo impiego di segnali di specialismo e lingua speciale (nella terminologia, nella morfosintassi, nella struttura testuale, nella distribuzione tra tema-rema, nel sapere propedeutico presupposto, nelle spiegazioni offerte, e così via)».
135 Per una puntuale analisi sul Fachbezogener Essay dei saggisti inglesi nominati si rimanda a
nutriti generi giornalistici come reportage e intervista, nonché la comunicazione
scientifica – squisitamente saggistica tanto nei dialoghi rinascimentali, quanto
negli scritti che Freud compone a proposito dei suoi diversi «casi clinici». Sulla congenialità della forma aperta (offene Form) del saggio per la «scoperta di nuovi campi di ricerca» (BERARDINELLI, 2007: 38) si tornerà a breve (I.11.).
Nelle opere degli autori che hanno creato innovazione letteraria «in conflitto con la società e con le più tradizionali aspettative del pubblico, ma anche in polemica con se stessa», il ricorso alla forma del saggio come luogo di «autoriflessione e autogiustificazione provocatoria o difensiva» è stato costante – per attraversare i secoli nei nomi di grandi saggisti basterà muovere lo sguardo da Montaigne a Sulzer, da Knigge «agli stessi Lichtenberg, Forster e Seume» da Francesco de Sanctis da Montale e Saba, Pasolini e Calvino, Benn e T. S. Eliot, Enzensberger, Grünbein. La question
espineuse della definizione di una forma che per natura «sfugge sia alle
teorizzazioni che a una valutazione critica pertinente», non toglie dunque l’essenzialità del saggio come «genere letterario fondamentale», egida di «innumerevoli opere memorabili e canoniche», appartenenti a tutti i campi del sapere.