LA CONDIZIONE ADULTA
IL DISAGIO DELLA MENTE di Umberto Margiotta
6. Apprendimento e vita
Ora indagare il concetto di apprendimento implica immediatamente che si ana-lizzi il suo rapporto con il fenomeno della vita. Non è necessario dare una im-possibile definizione della vita (Hardin e Bajema, 1978, § 6), ma si può parlare di ciò che caratterizza l’essere vivente. L’essere vivente, comunque si voglia pro-varsi a definirlo, è in ogni caso un trasformatore di energia: “semplicemente con-verte una forma di energia in un’altra” (Id., 1983, p. 66). Le fonti energetiche che consentono alle cellule di un organismo di risolvere codesto problema costi-tuiscono la parte essenziale del suo ambiente come del suo dinamismo. Quale che sia l’origine della vita, il numero dei tentativi e i processi della sua forma-zione, è indubbio che essa in ogni sua manifestazione richiede un rapporto co-stante e organico con un medium nel quale realizzare i processi metabolici (di as-similazione e conversione di energia) che la alimentano e la evolvono, dalle sue forme più elementari e primordiali (Dyson, 1987) a quelle più complesse e at-tuali.
Comportamento di sopravvivenza. E’ questo il modo di essere fondamentale del-l’essere vivente, che si manifesta nell’individuo attraverso i processi metabolici e i rapporti con l’ambiente che essi richiedono, e nella specie umana con i mecca-nismi di riproduzione (Van Sommers, 1976, cap. I).9Per usare le parole di F. Dy-son, già citato, (che a sua volta fa risalire il concetto a un matematico, J. Von Neumann, noto piuttosto come padre della cibernetica), “la vita è due cose, me-tabolismo e replicazione” (Dyson, 1987, p. 18). Se dunque l’apprendimento ha con la vita il rapporto immediato che si diceva, è necessario a questo punto esa-minarlo in concreto negli esseri viventi: per un verso in relazione al loro com-portamento di sopravvivenza, costitutivo della vita stessa, e ai modi in cui si
ma-gramma di ricerche che si proponeva come leva di contraddizione alle opzioni concettuali ed epistemologiche correnti, cercando invece di configurarsi come spazio euristico e inter-disciplinare di comunicazione per la formazione. “Il nostro passato – dicevamo – è il nostro cer-vello, nella sua stratificata composizione ideologica e neuronale, nella sua configurazione se-mantica, nella sua non ancora compiutamente sondata funzionalità. Il futuro è invece la no-stra mente, e le esperienze che la modificano rappresentano il nostro orizzonte delle aspet-tative. La creatività è infine il nostro programma positivo per il futuro.” (Margiotta, 1997b).
9 “Tutti i sistemi viventi sono costituiti in modo da attirare a sé e di accumulare energia” me-diante “particolari e spesso complicatissime strutture fisiologiche” che realizzano una essen-ziale e costante dinamica di adattamento al mondo in cui vivono (Lorenz, 1974, pp. 47-48).
nifesta; per un altro in vista del medium da cui essi estraggono l’energia neces-saria, reagendo variamente agli stimoli che ne provengono con l’intento costan-te di adattamento cui si è già accennato.
Origini della vita. L’ipotesi di Dyson che la vita abbia avuto inizio due volte si innesta su quella più generale, secondo la quale essa può avere avuto inizio molte volte; e tuttavia la critica10. Il modo in cui Dyson vede le cose è partico-larmente interessante, perché consiste nell’immaginare due inizi tuttavia con-fluenti in uno. La vita dunque “incominciò due volte, e con creature diverse, le une dotate di metabolismo ma incapaci di replicarsi esattamente, le altre, vice-versa, capaci di replicarsi ma prive di metabolismo” (1987, pp. 17-18). Secondo Dyson, le numerose esperienze che dovrebbero riprodurre la sintesi dei due com-ponenti di questo, come di ogni altro nucleoide costitutivo del RNA, non spie-gano persuasivamente le modalità della sua originaria formazione. Ora, senza en-trare nei particolari della interessante spiegazione di Dyson, questo modo di pensare l’origine della vita consente di ritrovare nel rapporto tra apprendimento e vita una matrice originaria e radicale, e cioé che all’origine della vita, e in ogni movimento del suo dinamismo evolutivo, si dia un rapporto fra i protoviventi, per il quale un tipo di essi, le cellule primordiali capaci di metabolismo, e un al-tro tipo, il RNA capace di replicazione, riuscirebbero, attraverso una serie di tentativi ed errori, a costituirsi in unità organica. L’ipotesi più comune, invece, contempla piuttosto la possibilità che i parassiti autoreplicantisi abbiano potu-to provenire dall’esterno ad invadere esseri viventi capaci essenzialmente di meta-bolismo e poi anche di riprodursi in modo “inesatto”, ma non di replicarsi esat-tamente. Il rapporto fra i due tipi di protoviventi sarebbe comunque fondato sul-la possibilità per l’uno di “imparare” ad adattarsi all’altro. Ma nell’ipotesi di Dy-Umberto Margiotta
10 La teoria ortodossa, infatti, sostiene che dai “primitivi eterotrofi” capaci di moltiplicarsi ali-mentandosi con i materiali presenti nel brodo primordiale, nelle ristrette zone consentite alla vita dall’ultravioletto solare ancora libero di giungere quasi dovunque sulla terra e in profondità nelle acque, dovrebbero essersi sviluppate infatti, con l’esaurirsi di quei mate-riali, nuove forme di vita: e cioè “debbono essere stati via via sempre più favoriti organismi che avevano imparato a sintetizzare le sostanze mancanti, e soprattutto quelli che, con l’in-venzione della fotosintesi, si sono alla fine resi indipendenti nel brodo primordiale”. Sareb-bero così apparse “le prime popolazioni autotrofe, capaci di utilizzare l’energia solare” per le operazioni necessarie ad estrarre dall’atmosfera l’occorrente alla vita. Ma anche nella suc-cessiva ed ultima fase di questa vicenda primordiale, quando l’ultravioletto solare fu scher-mato sufficientemente dall’ossigenazione dell’atmosfera e “l’intero oceano era ormai a di-sposizione della vita...alcuni organismi hanno imparato ad utilizzare l’ossigeno per procu-rarsi energia”: e sono apparse le prime cellule eucariote eterotrofe.
son c’è qualcosa di più. Egli applica una teoria statistica generale di genetica del-le popolazioni (Kimura) al probdel-lema deldel-le origini della vita, e cioè che la popo-lazione molecolare della cellula proteinica raggiungerebbe uno stato ordinato mediante “un meccanismo puramente casuale, la deriva genetica”. Il passaggio della “sella” che divide uno “stato disordinato, in cui le molecole non collabora-no e socollabora-no per lo più inattive “ e che rappresenta la “morte” della cellula, ad ucollabora-no “stato ordinato” – la “vita” – in cui “la maggior parte delle molecole collabora per mantenere quei cicli catalitici che le tengono in attività” è “il grande salto statistico” affidato ancora alla mera casualità e caratterizzato da un alto tasso di errore (pp. 64 segg.). L’origine della vita dà luogo pertanto ad esiti ancora ca-suali, ma in cui il tasso di errore è destinato via via a diminuire (ossia, in termi-ni biologici, appare la tendenza alla sopravvivenza): un esito di accrescimento della popolazione molecolare della cellula (per “assimilazione di nuovi monome-ri dall’ambiente”), ed un processo egualmente casuale (affidato a cause esterne) di “indebolimento” e “divisione” innesca appunto quel meccanismo di riprodu-zione inesatta di cui si diceva (Dyson, 1987, cap. IV).
Dalla casualità alla selezione naturale. Ma la casualità nel modello cede il po-sto alla logica della selezione naturale dal momento in cui “qualunque cellula ac-quisisce la capacità di dividersi spontaneamente” diminuendo drasticamente co-sì il tasso di errore nella riproduzione, ed assicurando alla propria linea genetica una sopravvivenza molto più sicura. In questo modo “il meccanismo della sele-zione” risulta essere un meccanismo appreso, dal momento in cui, cioè, accresci-mento e divisione si integrano “nel ciclo metabolico cellulare” (p. 86). “Le cel-lule entrerebbero dunque in competizione l’una con l’altra in un modo tipica-mente darwiniano, in cui il premio della sopravvivenza va a coloro che hanno imparato ad accrescersi e a dividersi con rapidità ed affidabilità massime (Ivi). Su questo tipo di cellula primordiale si innesta poi l’attività parassitaria del RNA capace di replicazione esatta, che la cellula stessa “imparerebbe” successivamen-te ad assimilare.11
11 Una seconda teoria, complementare e concorrente a quella di Dyson, (Ageno, 1987, p. 10) assume che i protoviventi siano stati autotrofi, e che la fotosintesi sia stata alla loro origi-ne. Il procedimento di Ageno, che prende le mosse dall’esame di un batterio iniziale, la Escherichia coli, ne enuclea un “dispositivo” elementare quasi secondario che, trasversal-mente alla membrana in cui ha luogo il processo fotosintetico vitale del batterio, opera ad accumulare energia solare attraverso la membrana stessa, ed ha al tempo stesso l’effetto di arricchire di ioni H+ l’ambiente liquido da essa circoscritto. Questo dispositivo è ipoteti-camente collocato da Ageno in liposomi, “sacche chiuse di dimensione microscopiche”
ori-Costanti della vita. Le teorie appena sinteticamente accennate servono solo a mostrare come, nell’intreccio di ricerche, ipotesi, dibattiti che da più secoli or-mai si vanno svolgendo intorno alle origini della vita, fino alle teorie più recen-ti, appaiono alcune costanti relative ai caratteri della vita stessa che hanno a che fare strettamente con il nostro tema. Le costanti riguardano in primo luogo la connessione fra il carattere di sopravvivenza inerente alla vita e l’apprendimento inteso come cambiamento dei comportamenti che l’assicurano. Una seconda co-stante che merita segnalare è, poi, la dipendenza dei nuovi comportamenti bio-logici dall’acquisizione di “capacità”: nella teoria del Dyson si parla di capacità di accrescimento e di divisione della cellula proteinica, di capacità da parte del-la protocelludel-la di assimidel-lare il RNA parassita utilizzandolo per del-la propria repli-cazione (per la “finalità” di sintetizzare altre repliche di se stessa: cfr. Monod, 1970, p. 29). Nella concezione più generale (ortodossa) le capacità poi riguarda-no la sintesi delle sostanze mancanti del brodo primordiale, la fotosintesi, il me-tabolismo ossidativo. Ma in generale appare ormai chiaro che non è possibile parlare né del vivente né del suo sviluppo biologico senza ipotizzare capacità ap-prese o “inventate” (Ageno, 1986, p. 396) sia in dipendenza di fenomeni ester-ni (l’energia solare, i materiali esistenti nel brodo o nell’atmosfera primordiale), sia in conseguenza della più fondamentale capacità di combinare le strutture ge-netiche con l’influenza e il condizionamento dei primi.
Umberto Margiotta
ginate da glicerolipidi, abbondanti nel brodo prebiotico, ed atti (secondo un’ipotesi avan-zata da Goldacre e ripresa da M. Calvin) a disporsi uniformemente costituendo una doppia membrana a sua volta esposta a costituire le sacche sotto il doppio impulso meccanico del-l’acqua e dell’aria. Le sacche nel loro contenuto, che è quello della laguna primordiale, rac-chiuderebbero già i materiali in essa presenti costitutivi della vita. Nelle loro membrane potrebbero inoltre “facilmente esser catturate molecole varie” fra cui quelle atte ad attiva-re il dispositivo di captazione energetica e a costituiattiva-re all’interno delle sacche un ambiente acido. I liposomi hanno anche attualmente la capacità (meccanica) di accrescersi e di ap-piattirsi dividendosi in due. Un ambiente acido è quello necessario a sintetizzare gli ioni fosfato (che nel brodo esterno precipitavano, come si è detto, in fosfati di calcio) con gli zuc-cheri, le purine e pririmidine per formare l’energia captata nell’ATP. In questo ambiente avrebbe potuto quindi aver inizio la formazione degli oligomeri (peptidi, nucleotidi e mi-sti) necessari alle funzioni metabolica e replicativa, secondo l’ipotesi già avanzata. Anche se permane la casualità di tutti questi eventi e le difficoltà relative (ma attenuate, secondo Ageno), il vantaggio iniziale della nuova teoria sta soprattutto nel fatto che essa si fonda sul “dispositivo” che si può constatare operante anche attualmente almeno nella Escherichia co-li, da cui infatti la teoria ha preso le mosse e che si presta perciò ad una immediata verifi-ca di quel “primo passo verso la vita” che rimane ancora oscuro nella concezione corrente. (Ageno, 1981, 1986, 1987).