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Generare conoscenza e apprendimento

Nel documento II LA SOCIETÀ FORMATIVA (pagine 168-172)

LA CONDIZIONE ADULTA

MULTI IDENTITÀ E FORMATIVITÀ di Massimiliano Costa

3. Generare conoscenza e apprendimento

Il disagio delle identità nella multi appartenenza ha trovato nella dimensione la-vorativa sicuramente un fattore moltiplicativo. Oggi l’organizzazione del lavo-ro e della plavo-rofessione diviene espressione di reti di ruoli e appartenenze molte-plici che si manifestano in un fitto intersecarsi di cerchie sociali (Simmel 19846).

6 Simmel (Simmel G., 1984; Vom Wesen der Kultur, 1908. In Das Individuum und die

Freiheit. Berlin: Wagenbach) dedica molto del suo studio sullo spazio e il tempo nella

so-cietà moderna: il presupposto è che lo spazio vuoto che esiste tra due persone è il luogo del-l’interazione sociale. Simmel delinea le caratteristiche fondamentali dello spazio con cui le configurazioni della vita sociale devono fare i conti: l’esclusività, la fissazione, il nesso vici-nanza-lontananza e l’esistenza di confini. Il sociologo tedesco, peraltro, considera anche le conseguenze di questi condizionamenti spaziali. Emerge così il concetto delle cerchie so-ciali, cui è dedicato un capitolo dell’antologia. Si tratta di un concetto piuttosto rilevante, perché è alla base della tesi per cui la libertà sociale cresce con l’allargarsi della cerchia so-ciale di riferimento. Nella formazione delle cerchie sociali si può notare, infatti, che, men-tre, originariamente, la comune appartenenza locale e fisiologica era determinata dal ter-minus a quo, successivamente essa viene sostituita “nella maniera più radicale dalla sintesi in base al punto di vista dello scopo, dall’interesse oggettivo intrinseco o, se si vuole, indi-viduale” (Alfierj P., Rutigliano E. (a cura di), Simmel, Georg, Ventura e sventura della

moder-nità. Antologia degli scritti sociologici, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 312). A questo

proposito è poi opportuno ricordare che, secondo Simmel, la pluralità di appartenenze so-ciali rafforza l’unità personale: “Proprio perché la personalità è unità, essa è suscettibile di scissione; quanto più molteplici sono i gruppi di interessi che vogliono incontrarsi e trova-re accomodamento in noi, tanto più decisamente l’io diventa consapevole della sua unità” (Alfierj P., Rutigliano E. (a cura di), Simmel, Georg, Ventura e sventura della modernità.

Anto-logia degli scritti sociologici, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 321). E, ancora in questo

contesto, incontriamo la considerazione per cui i bisogni istintivi dell’uomo sono rivolti in due direzioni opposte: egli vuole sentire e agire con altri, ma anche contro altri. Questo istinto viene esemplificato nel testo affermando che, se, all’interno di una cerchia, domina una forte concorrenza, i membri cercheranno volentieri quelle cerchie estranee che sono il più possibile prive di concorrenza: “Perciò nel ceto commerciale si trova una decisa predi-lezione per i circoli sociali, mentre la coscienza di ceto dell’aristocratico, che esclude abba-stanza la concorrenza all’interno della propria cerchia, gli rende abbaabba-stanza superflue inte-grazioni del genere e piuttosto congeniali le forme di associazione che sviluppano in sé una concorrenza più forte, ad esempio tutte quelle tenute insieme da interessi sportivi” (Alfierj

Il soggetto è chiamato da una parte ad un compito attivo nella gestione del suo ruolo nelle varie situazioni, e dall’altra alla ricomposizione di identità parziali e specifiche che dovrebbero costituire un attore coerente ed equilibrato. Il lavora-tore pertanto diviene il centro di un processo di una flessibilizzazione e virtua-lizzazione del lavoro che scompone il processo di acquisizione, applicazione, rie-laborazione, trasformazione e condivisione della conoscenza in frammenti di multi identità precarie.

In questo contesto come si denota la cifra epistemica del lavoratore della co-noscenza? Qualora volessimo caratterizzarla come epistemologia oggettivista, al-lora dovremmo affermare che si basa sul presupposto che i criteri e processi di costruzione della conoscenza siano indipendenti dal soggetto, quindi sono og-gettivi. Un enunciato vero è quindi tale, indipendentemente da chi lo pronun-cia, e il sapere diviene il sistema degli enunciati oggettivamente veri. Di con-verso un’epistemologia che si dichiari soggettivista deve assumere che i criteri e i processi attraverso i quali attribuiamo un giudizio di verità non sono dati in-dipendentemente dal soggetto, bensì che dal soggetto, in qualche modo, dipen-dano. In altre parole il soggetto che produce conoscenza contribuisce anche alla produzione dei criteri e dei processi di verificazione e giustificazione. Nella mul-ti-identità non ha dunque senso parlare di sapere tout court, ma di vari “saperi” che dipendono dai diversi criteri di verificazione e legittimazione prodotti da soggetti differenti. Come entri in gioco la specificità del soggetto nella “produ-zione” della verità è stato descritto in filosofia e nelle scienze cognitive in modi diversi. Ai fini di questo lavoro, è sufficiente notare come esista un denomina-tore comune nell’idea che ciascuno di noi produce dei modelli interpretativi del-la realtà che, da un punto di vista cognitivo, hanno del-la funzione di criteri in ba-se a cui un determinato enunciato viene ritenuto vero o falso. A livello indivi-duale (o cognitivo), tali premesse sono state chiamate ad esempio contesti (Bou-quet, 1998; Giunchiglia Ghidini, 2001), modelli mentali (Johnson Laird, 1992), spazi mentali (Fauconnier, 1985). Da questo punto di vista un sapere appare co-me un qualche cosa che si articola su due livelli, poiché è al tempo stesso preco-messa e contenuto: è premessa, in quanto comprende il sistema di “assiomi” all’interno Massimiliano Costa

P., Rutigliano E. (a cura di), Simmel, Georg, Ventura e sventura della modernità. Antologia

de-gli scritti sociologici, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 332). L’idea della separazione di un

gruppo le cui qualità concettuali generali erano prima fuse con le determinazioni partico-lari dei suoi elementi, mentre questi elementi definiscono ora il punto di intersezione del-la nuova cerchia con le redel-lazioni che essa si è del-lasciata dietro, trova conferma nei casi del del- la-voratore, del commerciante e della donna, tutti descritti nel brano.

uomo/mon-del quale un determinato contenuto (una parola, una frase, o un qualsiasi simbo-lo) assume un determinato significato; è contenuto, in quanto – all’interno di cer-te premesse – esso costituisce una rappresentazione del mondo dal punto di vista di un certo soggetto. In breve, il sapere è al contempo un sistema di condizioni di verificazione/legittimazione di un contenuto e il contenuto stesso. A livello collettivo – ovviamente quello che interessa maggiormente parlando di azione or-ganizzata in contesti professionali e lavorativi – questa impostazione pone il pro-blema di come sia possibile parlare di un sapere collettivo o comune a più sog-getti. Il problema nasce proprio dall’accettazione di un’epistemologia soggettivi-sta a livello individuale: poiché ciascun soggetto produce modelli interpretativi autonomi, non direttamente accessibili agli altri se non attraverso il linguaggio; è solo attraverso l’interazione sociale (e soprattutto linguistica) che è possibile ne-goziare modelli interpretativi, per quanto possibile condivisi, senza i quali non sa-rebbe possibile comunicare alcunché. In caso contrario, ciascuno prodursa-rebbe in-terpretazioni scorrelate (e arbitrarie) di uno stesso contenuto. Secondo questa li-nea di argomentazione, il concetto di modello interpretativo individuale può es-sere esteso a collettività organizzate, enucleando il concetto di “strutture pretative condivise”, negoziate a livello sociale, risultato cioè di un accordo inter-soggettivo più o meno esplicito tra i membri di una comunità di parlanti.

La centralità dell’azione risiede pertanto nell’agire comunicativo (Padoan 2000), che ha la funzione di assicurare le condizioni di una riuscita riproduzione sim-bolica (Habermas 1990): e cioè [di] comprendere valori, norme e culture in vi-sta del conseguimento dell’accordo su di una comune autocomprensione capace di orientare l’azione” (Petrucciani 2000). In sostanza, oggetto dell’agire comuni-cativo è l’interazione volta a definire un comune universo di significati che per-metta agli interlocutori di rendere intellegibili i messaggi che si inviano reci-procamente. Questo punto può essere meglio chiarito rifacendosi al concetto di apprendimento sviluppato da Wenger (2000): per l’autore il rapporto tra mon-do e uomo avviene necessariamente attraverso rappresentazioni che “organizza-no” i fenomeni in una struttura di significati intellegibili a quest’ultimo. Ma le rappresentazioni non si danno come definitive una volta per tutte, poichè “la vi-ta comporvi-ta un cosvi-tante processo di interprevi-tazione, cioè di attribuzione di si-gnificato ai fenomeni con cui entriamo in contatto. La natura negoziale del pro-cesso implica continua interazione [...]. Il significato non è in noi né nel mon-do, ma nella relazione dinamica tra noi e il mondo”7. La necessaria creazione di

do, si riferisce al testo di Manca S., Sarti L., Il rapporto tra comunità virtuale e apprendimento, in Biolghini D. (a cura di), Comunità in rete e net learning, Etas, 2001.

un’interfaccia tra noi e il mondo che fissi i significati dei fenomeni, quindi, non è un processo statico, ma dinamico, e altro non è che l’apprendere. L’apprendi-mento è infatti il continuo ri-negoziare con il mondo i significati adottati in pre-cedenza. Ma l’apprendimento, inteso come creazione dinamica di una semantica del mondo, non è un processo che gli individui svolgono singolarmente, è anzi un processo necessariamente sociale, è una creazione intersoggettiva di significati. Ad esempio si pensi alla concezione che Popper (Popper, 1970) ha della scienza. In essa il significato scientifico dei fenomeni, cioè la loro corrispondenza o me-no al concetto di verità scientifica, è costruzione intersoggettiva, nel senso che vie-ne considerato vero solo ciò che vievie-ne accettato come tale dalla comunità scien-tifica secondo le regole che essa stessa si è data, in armonia con quello che è l’o-rizzonte culturale della società intera.

Ciò vuol dire che l’agire comunicativo si sostanzia in una negoziazione colletti-va con il mondo sul significato dei fenomeni, e cioè nell’interferenza tra rappre-sentazioni del mondo di individui diversi. In questo senso deve essere inteso l’ enunciato, che possiamo adottare anche come definizione di agire comunicativo, “creazione di una semantica comune”.

L’apprendimento in questo contesto diviene co-generativo (Costa 2003) in quanto deve produrre la risorsa divenuta più scarsa: il senso. E il senso, nasce an-cora, per la massima parte, da un processo sociale di condivisione: non si genera senso da soli, ma insieme. Per mobilitare conoscenze diffuse e accoppiarle al sen-so che queste hanno, per le persen-sone che vivono il mondo del lavoro, la raziona-lità strumentale non basta e l’organizzazione, che di tale razionaraziona-lità è portatrice prima, non può operare da sola. Nel produrre la conoscenza, infatti, gli uomini non producono soltanto uno strumento, un mezzo destinato ad un fine ben de-limitato, ma danno corpo ad una visione del mondo che, lo si voglia o no, ha na-tura riflessiva. Definendo il mondo esterno, definiamo anche noi stessi, e trovia-mo (o non troviatrovia-mo) il senso del nostro vivere e operare. Seguendo Habermas (1981)8, si può affermare che la razionalità strumentale dell’organizzazione che definisce il regno dei vantaggi proprietari deve essere affiancata (o corretta) dal-la razionalità comunicativa di altre situazioni e istituzioni sociali, che presidia-no invece la condivisione, lo stare insieme, l’intendersi (Habermas 1986) dando senso e identità per le persone coinvolte. Nell’apprendimento, l’unica razionalità che funziona è quella comunicativa che parte dalla ricerca della condivisione e del senso e che, solo in seconda istanza, genera risultati utili.

Massimiliano Costa

8 Habermas J., Theorie des Kommunikativen Handelns, vol. 1 e 2, Frankfurt am Main, Suhrkamp 1981, trad. it., Teoria dell’agire comunicativo, vol. 1, Razionalità nell’azione e razionalizzazione

Nell’imparare e nel conoscere, anche nella dimensione lavorativa, gli uomini mettono in gioco se stessi: possono mettere la loro “anima” al servizio di emo-zioni, passioni, idee coinvolgenti solo se si sentono di partecipare in profondità ad un’esperienza condivisa. L’esperienza dell’apprendimento diviene non più semplice acquisizione di nozioni e conoscenze proposte da altri, quanto piutto-sto esperienza attiva di coinvolgimento, inteso come continuo processo di scam-bio e di rielaborazione dell’esperienza all’interno di specifici contesti d’azione.

L’apprendimento così definito rinvia ad una visione del processo d’accumula-zione del sapere come processo di costrud’accumula-zione condivisa del mondo (Orr, 1990; Lave, 1988). Le dinamiche sociali e le dinamiche cognitive sono intimamente le-gate fra loro perché la definizione di una rappresentazione condivisa del sapere rappresenta di per sé una costruzione problematica nella misura in cui il sistema sociale nel suo complesso ne definisce continuamente le condizioni costitutive d’esistenza. Imparare non significa semplicemente acquisire un sistema di no-zioni astratte, mutuate da una sintesi di saperi d’ordine superiore, quanto piut-tosto partecipare a un sistema di relazioni sociali che contribuisce a rinnovare e a confermare l’esistenza di questo stesso sapere. La possibilità di generalizzare idee e saperi non dipende dalla capacità di generare conoscenze astratte gerar-chicamente ordinate rispetto a saperi locali, ma dalla possibilità di ricreare le condizioni, affinché un sistema di rappresentazioni codificate torni ad essere un vissuto individuale e collettivo.

L’adulto in formazione risponde dunque non più a processi evolutivi traman-dati o a semplici logiche pratiche, ma a processi e ad esperienze motivazionali di necessità, in situazione di intercostruzione e di interrelazione interdipendente e reciproca tra sè e gli altri; tra sè, le istituzioni e le organizzazioni; tra sè e le cul-ture; tra sè e gli ambienti professionali; e con se stesso.

Nel documento II LA SOCIETÀ FORMATIVA (pagine 168-172)