LA CONDIZIONE ADULTA
IL DISAGIO DELLA MENTE di Umberto Margiotta
8. Dei miti che cadono e di altre scoperte
Non è raro ritrovare in numerose argomentazioni di insegnanti, educatori e pe-dagogisti l’utilizzo di concetti non oggettivi e spesso deleteri che, in realtà, col-tivano solo una tradizione retorica nella conoscenza e nello sviluppo dei proces-si educativi.
Tra questi concetti, il mito più diffuso indubbiamente rimane quello per cui è necessario fornire tipi di informazione diversificati ai due emisferi cerebrali, ovvero a quello destro e a quello sinistro, per poter massimizzare l’efficacia de-gli apprendimenti. Cosicché è nato il mito che il pensiero logico risieda in uno dei due emisferi e, collateralmente, le emozioni e le passioni nell’altro. O peg-gio che esistano individui le cui attività mentali fanno prevalentemente perno sull’emisfero sinistro o su quello destro. E, ancor più superficialmente, si tende ad accreditare l’idea che l’emisfero sinistro sia sede del pensiero analitico, logico o linguistico; mentre quello destro avrebbe capacità olistiche, di elaborazione dell’informazione spaziale e di controllo bilaterale dello spazio. Le neuroscienze ci dicono invece che i due emisferi comunicano efficientemente e sistematica-mente equilibrando e complementando i loro rispettivi e dominio-specifici po-tenziali. Certo la teoria delle differenze emisferiche, elaborata per spiegare il comportamento cognitivo e cosciente di individui con cervello diviso (Gazzani-ga, 1995) conserva la sua validità riferita al settore specifico, ma non è genera-lizzabile al punto da consentire la divisione degli individui in categorie diverse. Un altro mito è quello derivato dall’idea che il cervello presenta scatti di
crescita e di sviluppo in modo simile in tutti i suoi distretti o aree funzionali. Ne è conseguita l’idea popolare che, dunque, tali scatti corrispondano a ritmi di apprendimento in ordine ai quali debbono essere organizzati specifici obiettivi educativi; che l’assestamento generale di tali scatti possa essere identificato al su-peramento di una età critica, coincidente con la cosiddetta “maturità scolastica” (18/19 anni di età dell’allievo); e che, per via complementare, il superamento di una certa “età critica”, in assenza di appropriate stimolazioni, comporterebbe no-tevoli difficoltà di apprendimento. In realtà, oggi, risulta sempre più chiaro che esistono di certo scatti di crescita e di sviluppo neuronale, ma questi interessano solo alcuni distretti o aree del cervello e non altri; e che, per di più, lo stesso ti-po di stimolazione ha effetti selettivi su alcuni distretti specifici del cervello so-lo in particolari periodi critici, mentre può incidere più a lungo e in modo “car-sico” su molti altri distretti del cervello.
Un ulteriore mito è quello secondo il quale, a dispetto di tutti i nostri sfor-zi educativi, del potensfor-ziale del nostro cervello noi riusciamo ad utilizzarne solo il 20%, e che dunque l’istruzione ha senso solo in quanto, per suo tramite, noi riusciamo ad imparare ad utilizzarne una percentuale maggiore. Questa convin-zione popolare deriva dalla scoperta che la corteccia cerebrale comprende, accan-to alle aree che presidiano i processi cognitivi superiori “lateralizzati”, anche molte altre aree “silenziose”. Sappiamo, invece, oggi che siffatte aree silenti me-diano funzioni cognitive complesse e non soltanto attività sensoriali o di base. Gli studi, in particolare di Damasio, hanno anzi dimostrato (attraverso analisi di esperimenti condotti con tecnologia non invasiva) come tali aree silenti presidino proprio lo sviluppo dei sentimenti e dell’albero coscienziale del proto-sé. Con la conse-guente maturazione dell’idea che la coscienza non consegue allo sviluppo senso-motorio e logico-operativo e, ancor meno, al processo di inculturazione cui la scuola provvede prioritariamente; ma che, al contrario, la coscienza nasce dai sentimenti e con i sentimenti, e si sviluppa interagendo sistematicamente con i processi biologici fondamentali della mente e con gli input istruzionali collate-rali. Dunque la coscienza è educabile.
Altre scoperte delle neuroscienze in ordine ai meccanismi dell’apprendi-mento impongono ulteriori più radicali cambiamenti epistemologici nell’ap-proccio ai problemi posti dall’organizzazione degli apprendimenti e degli inse-gnamenti.
La prima è quella relativa alla modificabilità cognitiva del cervello. Si è sco-perto infatti che l’apprendimento modifica la struttura fisica del cervello, ren-dendolo così una entità unica, singola, non uguale ad un’altra. Ogni individuo nasce, appunto, con un potenziale biologico differenziato che, inserito in un pro-Umberto Margiotta
cesso biodinamico di modellizzazione delle connessioni epigenetiche, si svilup-pa e cresce a svilup-partire dalle distinzioni primarie Ne consegue che le connessioni epigenetiche rappresentano i circuiti neuronali percorsi più di frequente; e che il corrispondente biologico delle informazioni possedute dal soggetto consente a quest’ultimo di gestire meglio, in un quadro di apertura costante (cfr. principio di sopravvivenza) l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Se, quindi, l’or-ganizzazione neuronale acquisisce, nel corso della maturazione individuale, spe-cificità funzionali, il sistema cognitivo diviene, in sede di ontogenesi, un siste-ma complesso a funzionalità interrelate i cui indirizzi processuali si modellano gradatamente e prendono forma tendendo a stabilizzarsi biologicamente per en-tro specificità e differenziazione. Come ci ricorda M. Dellantonio:
“… questi dati vanno accettati per quello che sono: la nostra intelligenza e le nostre capacità di apprendimento sono, in parte, geneticamente pre-determinate. Naturalmente l’intelligenza non è ereditata in senso proprio; ciò che si eredita sul piano biologico è soltanto un insieme di geni che, per ogni generazione, si ridistribuiscono interagendo reciprocamente e deter-minando per via indiretta le condizioni organiche che sono alla base del-l’intelligenza” (Dellantonio, 1991, 140).
Non è pertanto da escludere, come molti ricercatori propongono, che il mo-do con cui si impara e ci si rappresenta il linguaggio sia differente dai modi con cui si apprendono l’elaborazione numerica, la percezione dei volti, il riconosci-mento spaziale. Insomma le modificazioni strutturali del cervello sviluppano modificazioni significative nelle architetture cognitive e metacognitive del cer-vello stesso, con la conseguenza che ogni apprendimento ha il potere di riorga-nizzare in modo diverso la funzionalità di quest’ultimo.
Un’ulteriore scoperta ci sembra particolarmente significativa, ed è quella se-condo la quale porzioni diverse di cervello possono svilupparsi in tempi diversi, mostrandosi così diversamente pronte ad apprendere in momenti diversi. Ne consegue che derivare le differenze di apprendimento in un fanciullo rispetto ad un adolescente dalla globale immaturità (presunta) del cervello del primo, ri-spetto a quello del secondo, è cosa priva di senso; dal momento, invece, che le funzioni sensoriali e percettive, indispensabili all’apprendimento, e che vengono espresse dalla compiuta maturazione delle aree corticali primarie, secondarie e terziarie di alcune zone del cervello, non differiscono per i due livelli di età in termini di sviluppo ontogenetico (Zani in Frauenfelder, Santoianni, 2002, 93-96).
“… Questi risultati forniscono la base neurobiologica per spiegare feno-meni in parte noti ad educatori e conoscitori delle modalità di apprendi-mento dei fanciulli. Il fatto cioè che i prepuberi siano incapaci di seguire attentivamente programmi educativi fondati sull’utilizzo di modalità di informazione omogenee, e che essi rispondano efficacemente, invece, a for-me di informazione ricche e fortefor-mente variegate, in grado di catturare i loro processi di attenzione. Il raggiungimento di un maggiore livello or-ganizzativo del cervello, e di più efficienti funzioni di controllo regolate da queste zone, permettono invece agli adolescenti l’utilizzo efficace ed ef-ficiente di aspettative internamente generate e confrontate con l’input rea-le. Questa capacità di proiettarsi nel futuro, analizzare il presente e con-frontarlo con il passato, che è fondata su una funzione matura dei lobi frontali, permette a questu ragazzi maggiori capacità di apprendimento efficienti quando si forniscano ambienti che possano essere da loro effica-cemente esplorati” (ivi, 96).
Inoltre le ricerche sulla neuroplasticità cerebrale (Kujala, 1995; Neville, 1997; Roder, 1999) dimostrano che le zone del cervello, preposte negli indivi-dui integri all’analisi dell’informazione uditiva e visiva, rispondono maggior-mente a stimoli di diversa modalità sensoriale in individui adulti non vedenti o non udenti. Ne consegue che appare lecito supporre l’esistenza di processi di riorganizzazione adattiva funzionale nel cervello di questi individui. E dunque l’organizzazione funzionale del cervello, per quanto determinata da vincoli bio-logici, risente fondamentalmente degli effetti dell’esperienza. Il settore della pe-dagogia speciale dovrebbe quindi porre particolare attenzione a questi studi, in considerazione del fatto che ogni intervento rieducativo pensato in tale ambito deve tenere bene a mente che specifiche aree del cervello nei portatori di handi-cap rispondono efficacemente a canali e a codici di informazione e di comunica-zione totalmente diversi da quelli utilizzati “normalmente”.