LA CONDIZIONE ADULTA
IL DISAGIO DELLA MENTE di Umberto Margiotta
3. La formazione come cruna dell’ago
Misuriamoci allora con questa sfida. E procediamo, intanto, da un postulato che accomuna oggi tutti i popoli e tutte le credenze: una formazione ha o non ha un progetto uomo. Esso può rimanere implicito o essere esplicito, ideologico o politi-co, istituzionale o mercantile. Ma la radice della sua credibilità è nella direzione di senso cui orienta la razionalità e la condotta dei suoi abitanti.
Ora radice si dice di ciò che permette la vita del suo frutto, e che contem-poraneamente affonda in qualcosa di più vasto da cui trae nutrimento, selezio-nando le materie e i composti organici di cui ha bisogno. Radice si dice dell’al-bero e, in metafora, di tutto ciò che spiega l’esistenza di qualcos’altro. Sicché per secoli si è detto che l’uomo ha bisogno, per crescere, di partecipare ai frutti
del-l’albero della vita e deldel-l’albero del sapere. E variamente si è visto l’uomo, ora co-me radice dell’albero della vita e di quello del sapere, ora coco-me testimone della divaricazione tra natura e cultura, tra vita e sapere, ora come mediatore tra le due. L’alternanza non è avvenuta per caso. È storicamente spiegabile caso per ca-so ma è difficilmente generalizzabile. Ma questo conta relativamente al momen-to. Conta piuttosto osservare come l’educazione per secoli abbia tratto nutri-mento da questa metafora naturalistica: la sua radice pescava nella terra della tra-dizione, della storia e del sapere. La sua legittimità era data dalla misura con cui essa rispecchiava coerentemente la direzione di crescita, l’espansione e la vitalità dell’albero della vita ora, ora di quello del sapere. L’educazione serviva, come lin-fa vitale, a rigenerare e a moltiplicare i valori che la linlin-fa di quegli alberi, tra lo-ro identificati, o dispaiati o correlati, esprimeva. La formazione non era altlo-ro che il contenitore organizzato di quei valori. Quando l’organizzazione sociale, poli-tica e teologica del mondo conosciuto richiedeva la stretta identificazione tra vi-ta e sapere, la formazione non aveva bisogno di esistere come preoccupazione pri-maria. Essa non aveva alcun progetto per sé. Perché tutto le era dato1.
Quando l’insorgere della divisione tra natura e cultura, tra natura e società impose l’uso della forza e della volontà per ricongiungere i due alberi tra loro e orientarli alla stabilità economica, politica e sociale del «regnum hominis», la formazione dovette esistere per praticarvi una mediazione. Mediazione tra valo-ri discordanti o reciprocamente contraddittovalo-ri, tra disuguaglianze di partecipa-zione ai frutti dei due alberi, tra fini pubblici e privati. La mediapartecipa-zione si faceva così, al tempo stesso, contenuto e scopo della sua esistenza. Ma poiché si tratta-va di un’attività da diluire tra tutti i livelli e le pratiche istituzionali che com-pongono e regolano l’esistenza umana, la mediazione finiva per attraversare tut-ti i momentut-ti di vita delle istut-tituzioni formatut-tive, manifestando nel corso della sua pratica le contraddizioni che l’avevano generata2.
Finché la divisione tra natura e società si è conservata nello spazio politico dei poteri, la formazione ha perseguito un obiettivo: essa educava gli allievi ad Umberto Margiotta
1 Cfr. Nardi B. (a cura di), Il pensiero pedagogico del Medioevo, Sansoni, Firenze 1956; Manacor-da M.A., Momenti di storia della peManacor-dagogia, Sei, Torino 1977; Vegetti M., Alessio P., Fabietti R., Papi F., Educazione e società, Zanichelli, Bologna 1976, v. I, ma anche Vegetti M.,
Marxi-smo e società antiche, Feltrinelli, Milano 1977; Stenzel J., Platone educatore, Laterza, Bari 1966.
2 Cfr. Charlton R., Education in Renaissance England, Routledge, London 1963; Kocher P.H.,
Science and religion in Elizabethian England, Octagon, New York 1969, Hobbes T., De homi-ne, Einaudi, Torino 1975, soprattutto l’introduzione di A. Negri.
interiorizzare una condotta ispirata dalla razionalità dei fini. L’albero del sapere sovrasta l’albero della vita e perciò si impone all’attenzione degli uomini. Ma ciò risulta possibile se la partecipazione al sapere si traduce in un disciplinamento costante del corpo, dei pensieri, della condotta dell’uomo. La razionalità dei fini deve sistematicamente trasparire dalla meccanica del disciplinamento del sapere e dell’uomo che l’apprende3. E tuttavia, paradossalmente, fin d’ora la formazio-ne accetta di non avere più radici. Essa consiste e vale unicamente per il rigore, la coerenza, la sapienza meccanica del suo disciplinamento. È la formazione del-le regodel-le dell’evidenza, del metodo. Si fa spazio artigianadel-le della ricostruzione del corpo e della mente che ha già abbandonato lo status dialettico dell’operare e dell’inventio propri dell’artigiano.
E tuttavia la mediazione che vi si praticava era mediazione logica tra generi. L’insegnamento si faceva argomentazione, il metodo esposizione sistematica. L’e-ducazione incitava all’interiorizzazione di regole di vita nel mentre che si legitti-mava nella nostalgia della metodica. La trama di poteri che si contendevano il pos-sesso della vita pubblica e sociale accettava una formazione che, nei suoi gradi più alti, abilitasse alle professioni liberali, esercitando gli allievi attraverso l’interpre-tazione dei classici. Interprel’interpre-tazione, non produzione. La formazione di Galilei è pa-rentesi eccitante, non prassi costante e diffusa. Né è un caso che questa formazio-ne scopra l’infanzia come luogo privilegiato di disciplinamento e la società, per suo conto, la utilizzi come experimentum iniziatico di microfisica dei poteri4.
Con tutto ciò la formazione non critica il potere ma rifiuta sdegnosamente di essere considerata quale instrumentum regni. Il suo spazio è mediano e aspira a coincidere con la dialettica dello spazio politico senza averne la potenza5. Ma di quella dialettica si ciba e al senso della sua onnipresenza educa più che con i te-sti, le regole, i trattati.
3 Cfr. Ariés P., Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Laterza, Bari 1976; ma anche Ga-rin E., L’educazione in Europa, Laterza, Bari 1967.
4 Cfr. Foucault M., L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971; Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976; Le parole e le cose, Einaudi, Torino 1977; ma anche Le Goff J., Tempo della
chie-sa e tempo del mercante, Einaudi, Torino 1977.
5 Una verifica interessante proviene dall’analisi degli «Ideologues» francesi. Cfr. su di essi Moravia S., ll pensiero degli Ideologues. Scienza e filosofia in Francia, La Nuova Italia, Firenze 1967. Tra le fonti vedi ad es. Cabanis F., Opinion sur le projet d ‘organisation des écoles
primai-res et en general sur I instruction publique in Oeuvprimai-res philosophiques par Lehec C. e Cazenewe J.,
Nel frattempo la rivincita dell’albero della vita mina alle fondamenta l’albero del sapere. Lo spazio politico trascolora e diviene nei fatti subalterno allo spazio economico. In questo la tecnica anticipa la teoria, allarga i poteri, modifica le for-me di esistenza, consente l’espansione dei for-mercati, incentiva la riproduzione socia-le dei nuovi stili di vita. Ottenuto il potere, lo spazio economico non dimentica la formazione. Anzi la potenzia e la diffonde: o meglio ne amplia il meccanismo ren-dendolo più efficiente. La mediazione tra fini e contenuti di apprendimento si par-cellizza. Il tempo e gli spazi di apprendimento si uniformano. L’organizzazione del sapere entra in contrasto con l’organizzazione dell’apprendimento: deve decidersi ben presto a stabilire contenuti e obiettivi di apprendimento e si fa didattica. A fronte di un sapere che lo sviluppo tecnico va rendendo esponenziale nel suo dila-tarsi, a fronte di un sapere che ha già incorporato la macchina quanto a suo mo-dulo esemplare, a fronte di un mercato che ha ribaltato diritti e benefici dei pos-sessori tradizionali delle forme di sapere rispetto ai nuovi pospos-sessori degli stru-menti di produzione del sapere, la formazione è costretta a sviluppare una media-zione, non più logica, ma reale tra due poteri. Il primo consiste nel circuito di or-ganizzazione e di produzione del sapere che ha radice, motivazione e vita nello spa-zio economico-politico; il secondo, derivato dal primo, concerne l’organizzarsi de-gli spazi e dei momenti di riproduzione delle regole di condotta sociale. Con un effetto di dilatazione e di ispessimento progressivi dei contenuti di interiorizza-zione per un verso, e delle modalità di riproduinteriorizza-zione sociale per l’altro6.
La consistenza della mediazione reale tra due forze non ancora in equilibrio reciproco, pur se generate all’interno di uno stesso spazio (quello economico-po-litico), è tutta nella tipologia della formazione nel 900. Infatti la formazione è il luogo privilegiato dell’apprendimento di contenuti e di norme. Ma tale appren-dimento è selettivo, centrato sulla parola dell’insegnante, incardinato sul ruolo delle figure adulte, figura esso stesso dell’organizzazione gerarchica della società. L’organizzazione autonoma e critica dell’apprendimento personale è nei fini, sco-po inalienabile e autonomo della formazione. E tuttavia, per quanti sforzi di ot-timizzazione si compiano, essa si rivela drasticamente inefficace per tutti. Essa finisce per essere considerata, piuttosto, illusione di autonomia. Rinvia ai modi di riproduzione sociale ormai innescati nel corpo sociale dalla ragione tecnica do-minante7.
Umberto Margiotta
6 Biraben J.N., Le medecin et l’enfant au XVIII siècle, in «Annales de demographie historiques», Paris 1973; Armengaud A., L’attitude de la societè à l’ègard de l’enfant au XIX siècle, ivi, 1973. 7 Fohlen C., Révolution industrielle et travail des enfants, in «Annales de demographie histori-que», 1973; Petit M., Expansion industrielle et évolution démographique en Bourgogne, Paris
Compare, in modo esplicito, in questa formazione la contraddizione tra Bil-dung e Erziehung, tra formazione integrale della persona e socializzazione genera-le degli stili e degli strumenti di convivenza civigenera-le. L’educazione si riduce, nelgenera-le masse, ad aspirazioni nazional-popolari o a rispetto delle convenienze sociali. Lo spazio della mediazione tra i due poli si restringe al punto da aver bisogno di una legittimazione politica ed economica insieme. Tutto ciò non impedisce isole di progettazione alternativa geniale e di ripensamento radicale, ma non le favori-sce. Più facilmente tende a edulcorarle. In questo spazio la logica trionfante del mercato ha il tempo e i mezzi per radicare nel più profondo i processi di ripro-duzione sociale e di assimilazione della condotta dominante. La tecnica e la con-dotta conseguente, la razionalità utilitaristica e strumentale, la separatezza tra compattezza dei comportamenti microsociali e privati e tendenziale aderenza al-la real-latività dei traffici e dei mercati nel pubblico, tutto questo si fa, fin d’ora, senso comune diffuso. Più in radice, la violenza si afferma come sradicamento delle coscienze, affermazione del negativo, formalizzazione difensiva dei rappor-ti giuridici, tendenziale legitrappor-timata affermazione del formalismo pedagogico nella prassi educativa quotidiana.
Ma se accetta di non possedere radici, questa formazione paventa ormai, nei suoi spiriti più franchi, il momento in cui riconoscerà di non poter produrre un progetto uomo. E perciò sceglie di battersi nello spazio stesso da cui sorge la con-traddizione più evidente: il lavoro. Il lavoro come prassi di mediazione tra l’uo-mo e la natura, il lavoro come prassi attuosa, febbrile, inventiva di una trasfor-mazione progrediente del soggetto individuale e collettivo? Allora il lavoro co-me significante primo del formarsi dell’uomo. Filosofia del lavoro, morale del la-voro. Logica strumentale e formativa della produzione. Il lavoro come exemplum connotativo della radice strutturale del farsi uomo. La formazione trova il suo centro nell’attività del soggetto, graduale, preparatorio, progrediente: ed è atti-vità intimamente manipolativa, trasformativa, combinatoria. Per sopravvivere, infine, la formazione incorpora la contraddizione più reale del rapporto tra na-tura e culna-tura, tra individuo e società. Il lavoro, idealizzato a mediazione uni-versale e fonte di progresso, viene a sostanziare e ad innovare il senso stesso e la ragione d’esistenza della formazione. La mediazione, tra poli diventati opposti reali nel periodo precedente, si trasforma da mezzo in fine.
1971; Agulhon M., Une ville ouvrière aux temps du socialisme utopique, Toulon 1815-1851, Paris 1970; Lloyd de Mause (ed.), The history of the Childhood, New York 1994.
Volge il nuovo secolo e la formazione si legittima come spazio istituzionale, popolare, diversificato, di apprendimento della logica strumentale del lavoro. La persistenza di antichi caratteri, gerarchie sociali, professionali e culturali ormai transuma verso spazi più ampi di coesistenza con nuovi processi di riproduzione sociale della condotta. L’ibrido non spaventa e il gusto e la moda del tempo lo comprovano. Ma a questo punto la formazione è costretta a riflettere su se stes-sa e torna al suo principio. Nel qual caso esstes-sa rifiuta di sviluppare opera di me-diazione tra il sapere e la vita, tra la natura e la cultura, tra l’individuo e la so-cietà. Condotta dallo stesso movimento storico che l’ha prodotta, sospinta quin-di dalla nientificazione della pratica quin-di mequin-diazione in cui per secoli si è ricono-sciuta, la formazione ricerca, dentro di sé, principio e sostanza di propria determinazio-ne. In quanto poi quella formazione si sforzava di porre determinazioni del sape-re come valide anche per la vita, e perciò poneva determinazioni immediate, a ciascuna di esse si contrapponeva immediatamente una negativa. Ambedue si presentavano con uguale necessità, l’una richiedeva una dimostrazione contro l’altra e la formazione perdeva contemporaneamente il proprio carattere d’im-mediatamente vera e l’incontestabile principio del pensare.
Con quale diritto, poi, presume di educare a vivere?