LA CONDIZIONE ADULTA
FIGURE E FORME DELL’ADULTO di Ivana Padoan
2. Forme della vita adulta
2.1. Perché interessarsi alla vita adulta?
Occuparsi della vita adulta significa entrare in una sorta di paradosso, dice Bou-tinet57. Da un lato, si fa riferimento al picco più alto del processo generaziona-le, l’universo dei grandi, le figure idealizzate nell’infanzia ma anche nella vec-chiaia, figure incarnate dal desiderio di imitazione, dalla nostalgia, dalla rasse-gnazione58. Sono figure di riferimento, avanguardie della società destinate ad as-sicurare il mantenimento e la crescita in una logica di economia produttiva e di sviluppo e costituiscono modelli destinati ad ispirare i giovani. D’altra parte, nel parlare di vita adulta si entra in una logica abbastanza banale, di generalizzazio-ne incarnata in quelle forme di normalità del quotidiano, fatta di adulti, alla cui maturità si chiede di risolvere i problemi, una realtà che nasconde all’esistenza molti fatti/simboli familiari e sociali negativi (piccanti)59. Dall’altro lato ancora, si parla di noi, della nostra realtà, della nostra forma esistenziale, dei nostri rap-porti con gli altri e con il mondo, con il nostro passato, il futuro e con l’esisten-za quotidiana60. Dimenticare questa simbologia personale significa ingannare l’opera che ci comprende, la nostra esistenza, ma anche la nostra scrittura. Il per-ché di questa attenzione, dice Boutinet, è giustificato dal fatto che ognuno di noi, pur trovandoci dentro a uno statuto, un ruolo, quello di genitore o inse-gnante o professionista, ricorre molto facilmente all’identità di adulto. Il padre e la madre come l’insegnante e l’educatore, preferiscono lasciarsi percepire come adulti prima di essere considerati per il loro specifico status. Si ricorre facilmen-te a questo statuto di adulto perché sembra più facile e meno forfacilmen-te nell’ordine della trasmissione e della trasferibilità rispetto ai legami forti.
L’età adulta viene considerata un’età della responsabilità, responsabilità di es-sere e di avere, età del trasmettere, dell’educare e del formare. L’adulto nella so-cietà postmoderna sta acquisendo una visibilità sui ruoli tradizionali di trasmis-sione, fino ad ora assunti dalla famiglia, dalla scuola e dall’autorità. La riduzione del processo trasmissivo, da parte dei ruoli tradizionali, si misura con scompagi-namenti di forme, di figure e di attribuzioni. La conoscenza non è più proprietà di condizioni e ruoli attribuiti, ma è un processo diffuso in itinere. I ruoli e le isti-Ivana Padoan
57 Boutinet J.P., Psychologie de la vie adulte, PUF, Paris 1995.
58 Ah! quando eravamo più giovani, dicono gli anziani! Vorrei 30 anni di meno! 59 Boutinet J.P., Psychologie de la vie adulte, cit.
tuzioni formative non sono più la rappresentazione simbolica, ma semplicemen-te funzionale. Lo sfumarsi delle identificazioni dell’età con la maturità e il sapere evidenziano da un lato, un’adultificazione precoce e dall’altro, una forma di adul-to spesso infantile, spesso perduta in un mondo inceradul-to e complesso. Boutinet parla di genitori immaturi e di figli adulti, dell’adulto come prolungamento del-l’adolescenza. L’adulto si trova di fronte a un doppio vincolo: da un lato, vi è uno statuto di capacità, grazie alla sua dimensione autonoma e alla sua responsabilità, come sottolineato dai giuristi, dall’altro, vi è l’adulto come processo, una mobi-lizzazione che si articola su diversi decenni, che si snoda attraverso una serie di trasformazioni e metamorfosi di passaggi (Levinson 1978)61.
2.2. La questione dell’età
L’adulto è una metafora? La nozione di adulto dal punto di vista biologico si de-finisce nel raggiungimento della maturità dell’organo, un compimento fisico. La referenza fisica non garantisce necessariamente un transfert psicologico. Tuttavia l’uso ordinario, ma anche le teorizzazioni, hanno dato origine nel corso dei seco-li ad una formulazione retorica: l’adulto è riconosciuta nell’analogia della matu-rità biologica con quella psicologica. Lo scompaginamento delle età nella post modernità porta a ripensare le definizioni che hanno costruito l’identità adulta: l’abilità, l’expertise, la maturità, la generatività, la responsabilità. Tutte queste caratteristiche sono state luoghi storici dell’adulto nel tempo e nelle forme del-le società. L’immagine che l’adulto mostra oggi non sembra per niente assomi-gliare all’immagine che i nostri padri simbolici ci hanno trasmesso, ma nemmeno a quella dei nostri padri reali. Forse diventa necessario ripensare ad un’altra im-magine dell’adulto.
Il termine “adulto” mantiene ancora un valore di immagine ideale, mentre “bambino, adolescente e anziano” sono termini di precisione, perché corrispon-dono ad età precise; la vaghezza dell’età adulta apre uno spazio sempre più in-certo man mano che la nostra vita si allunga. Se è vero, come dice Bourdieu (2003),62 che l’età obbedisce ad una manipolazione simbolica nella sua separa-zione mitico-rituale, l’età adulta deve essere vista come una manipolasepara-zione sim-bolico-evolutiva in cui si tratta di svelare i significati soggiacenti.
Ogni società infatti organizza la vita dei suoi membri attorno a una doppia
61 Levinson, D.J., Darrow, C.N., Klein, E.B., Levinson, M.H., McKee B., The seasons of a man’s
life, Knopf, New York 1978.
temporalità, diacronica e sincronica63. Lo sviluppo generazionale occidentale è stato ordinato e stabile per molti secoli. L’ordine delle cose permetteva il pas-saggio delle diverse età attraverso i compiti e i ruoli da assumere. La crescita, la scolarizzazione, il lavoro, l’uscita di casa, la nuova famiglia, la trasformazione pa-rentale, la cura degli anziani e la morte. Tutti questi riti erano governati e ri-spettavano socialmente un equilibrio di età. All’età corrispondevano i compiti sociali, istituzionali e religiosi, all’età corrispondevano livelli della formazione e i livelli di inserimento e sviluppo professionale, all’età corrispondevano i com-portamenti morali e civili, le forme ludiche e di impegno. Un qualsiasi debor-damento di un gruppo d’età sull’altro diventava segno di disequilibrio profondo a livello personale, ma soprattutto sociale. In ogni caso la temporalità diacroni-ca favoriva le relazioni fra pari, creava comunità di appartenenza sincronidiacroni-ca e ga-rantiva la trasmissione ereditaria gerarchica e culturale. La temporalità sincroni-ca garantisce fondamentalmente la stabilità dei gruppi attraverso il vissuto de-gli stessi avvenimenti e dede-gli stessi problemi. Boutinet (1995) sottolinea come la contemporaneità sviluppi meccanismi di solidarietà e garantisce un certo po-sto, una certa funzione e una significazione sociale. Il modello sincronico è stato stabile nelle società tradizionali a basso livello di scolarizzazione.
La società industriale con lo sviluppo dell’istruzione e dei ruoli, ha scompi-gliato la stabilità di questi modelli, pur mantenendo stabile la doppia tempora-lità. Nella doppia temporalità l’adulto ha progressivamente occupato il lungo tempo di mezzo della generazione, identificandosi con la maggior parte dei fe-nomeni sociali nel corso della storia, ma anche con la crescita e lo sviluppo del vivere quotidiano.
Dalla rivoluzione industriale fino alla rivoluzione giovanile, l’adulto è stato il gestore della maggior parte dei movimenti della modernità (Boutinet 1995). La generazione degli adulti è stata per diversi secoli dopo il periodo classico – e fi-no alla nascita dei movimenti giovanili e di costume – la generazione che ha gui-dato la società nelle sue multi funzioni. Essa ha integrato progressivamente mar-gini destinati alle altre classi, erodendo l’età adolescenziale con l’anticipo del la-voro nel periodo della prima industrializzazione, l’età della vecchiaia con l’al-lungamento del periodo attivo, con la cura della salute e del benessere. Il tempo lungo dell’età adulta ha promosso una certa stabilità di forme64, e si è identifi-Ivana Padoan
63 Boutinet J.P., Psychologie de la vie adulte, cit.
64 Famiglia, educazione, livelli di scolarizzazione, modelli di inserimento lavorativo, welfare (salute, cura e mantenimento) avvenimenti sociali e strutture istituzionali, modelli comu-nicativi, usi e costumi, un senso della vita personale.
cato con l’età dell’azione, del riconoscimento identitario, della forza lavoro, del-lo sviluppo, della creazione, dell’innovazione; si è riconosciuta agente del mer-cato e delle responsabilità sociali ed economiche e ha intrattenuto, legittiman-dole, le relazioni con le altre classi di età: l’infanzia, l’adolescenza e la vecchiaia, classi considerate inattive. La de-legittimazione delle altre classi di età ha permes-so all’adulto di costruirsi un immagine di sé duratura nel tempo.
La cultura postindustriale ha modificato le componenti di età e i loro refe-renti comportamentali e di azione. Grazie ai media e alle forme educative pre-coci, l’infanzia ha un’iniziazione precoce alla vita adulta. Le tradizionali forme di riservatezza e di comportamenti adulti, nascosti all’infanzia, scompaiono di fron-te a una comunicazione e a una visibilità generalizzata65: il bambino infatti co-mincia presto a partecipare alla vita adulta, a prendere coscienza dei comporta-menti adulti perché non più riservati ai soli adulti. In questo, non solo gli stru-menti dei media sono influenti, ma anche i comportastru-menti, il linguaggio e le forme di vita sempre più compartecipative tra infanzia e adulto. L’adolescente, da un lato, ha una vita che permane in seno alla famiglia per lungo tempo, una dipendenza esistenziale, economica e funzionale elevata, tanto da rientrare sim-bolicamente nell’età dell’infanzia, dall’altro, gode in famiglia degli stessi mo-delli della vita adulta: libertà, autonomia, funzionalità, economia (Boutinet 1996)66. Se da un lato si può parlare di liberalizzazione delle età iniziali dal vin-colo dell’età anagrafica e biologica, questa libertà anticipa una forma di adulto precoce, un adulto tuttavia mancante delle categorie con le quali la definizione di adulto si è formata. L’anticipazione di condizioni simboliche di adulto porta con sé un cambiamento dell’immagine comunicativa e comportamentale delle tappe, degli stadi e dei passaggi identitari (Erikson,1981; Lewinson,1968), ver-so un continuum atemporale dell’esistenza, un flusver-so incorporato del cambia-mento portatore di una inattività prolungata rispetto alle categorie dell’adulto attiva della modernità.
La fluttuazione dell’età professionale è il grande cambiamento che subisce l’a-dulto della post modernità, con le nuove condizioni di precarietà e di dipenden-za: precarietà del lavoro e di vita familiare, dipendenza formativa e dei rapporti sociali
La condizione di nuova analfabetizzazione comunicativa e tecnologica
dell’a-65 Boutinet J.P., Psychologie de la vie adulte, cit. 66 Ibidem, p. 46.
dulto oggi e la questione della precarizzazione del ruolo professionale riportano l’adulto a condizioni di non conoscenza e di crisi esistenziale di non autonomia. Non possedere gli strumenti per la sopravvivenza professionale, e soprattutto i codici di decisione nella nuova società situa l’adulto in una situazione di dipen-denza permanente, di lunga adolescenza. In questo, si verifica un doppio movi-mento (Boutinet 1995)67: una forma di liberazione precoce dai comportamenti rigidi di un educazione infantile tradizionale e un’infantilizzazione della vita adulta di fronte alle dipendenze che la minacciano: sentimento di inutilità, sen-timento di ignoranza di fronte alla formazione, sensen-timento di vulnerabilità per-manente nelle realtà professionali e sociali di inserimento, di lavoro interinale, di dispositivi di precariato.
Del resto, il mito del lavoro della modernità, radicalizzato dalla ideologia del valore aggiunto della filosofia marxista, ha dato valore di sacralità al lavoro. Inol-tre, il mito della professionalità e dell’expertise – mito radicatosi con le psicolo-gie del lavoro degli anni ’80 – ha acuito ulteriormente l’ansia di prestazione e il sentimento di inadeguatezza professionale. D’altro canto, la lunga stabilizzazio-ne dell’età della vita adulta rallenta la progressiostabilizzazio-ne di carriera degli adulti, co-stretti per molto tempo a rallentamenti di scelte e di decisioni, ponendoli psi-cologicamente in condizione di inattività psicologica, malgrado una forma ele-vata di attività tecnica e fisica. La rappresentazione di forme di inattività o atti-vità inadeguate, i tempi lunghi per posizionarsi nel mondo, accentuano la re-gressività di uno sviluppo maturativo e riflessivo nel rapporto tra sé e il mondo.
La mancanza di sicurezza e la sensazione di un tempo rallentato nella pro-gressione della carriera mette l’adulto in situazione di sentirsi scoperto, di in-certezza, un sentimento di inutilità, di ignoranza, di vulnerabilità …di incom-piutezza.
Da un lato, corre il rischio di cadere in una forma di adolescenzialità perma-nente, invasa da punte di egocentrismo nevrotico, marcate da domande di segni di riconoscimento, dall’altro, si strutturano forme di disagio esistenziale, di per-dita di sicurezza, di sentimento di incompetenza, marcando una pericolosa de-pressione individuale e relazionale di autoesclusione o di paranoia relazionale, come nelle forme di disagio, stress, mobbing, burn-out.
L’idea di maturità incarnata in un continuum senza tappe, scandite da forme autorappresentate come passaggio, si struttura in forme di istantaneità perma-nente, forme di attesa di essere, di diventare. La condizione di pensionamento Ivana Padoan
anticipato e di allungamento della vita grazie al benessere e alla salute, corre il rischio di rendere l’ideale esistenziale dell’adulto incompleto. L’idea di un adul-to di diritadul-to, auadul-tonomo nella sua legittimità si sfuma in un’azione evolutiva inattiva, un ideale impossibile da raggiungere e una realtà sempre meno acces-sibile.
I riferimenti temporali sembrano essere dunque una linea di demarcazione che separa una concezione stadiale dell’età moderna, rispetto a un sconvolgi-mento della struttura temporale dell’età postmoderna. La percezione di una di-versa relazione con il tempo marca una didi-versa percezione del rapporto tra pas-sato, presente, futuro: un passato memoria, percepito come ricordo forse nostal-gico, un presente vincolato permanentemente ad una gestione del quotidiano, e una vecchiaia in cerca di recupero di forme e stabilità del passato. La struttura della postmodernità si caratterizza come incorporamento tra presente e futuro68. L‘estensione dell’orizzonte temporale sullo spazio mette l‘adulto di fronte e den-tro una complessità cacofonica in cui la sensazione di essere solo a governare l’in-sieme delle cose diventa sempre più parossistica. La complessità e la pluralità so-no diventate orizzontali e so-non più temporali come nel corso di tutta la storia umana. Il sentimento di essere lasciato solo a gestire il proprio percorso, le cri-si, gli avanzamenti, le regressioni, le riuscite e le disillusioni, gli sbagli, metto-no l’adulto di fronte a una individualizzazione eccessiva. La rappresentazione di questa incorporazione tra futuro e presente si legge necessariamente nell’ideolo-gia del progetto e della progettazione, diventato il mito di una società che ha paura del futuro, e che riesce a prevederlo in un tempo breve, pari al riconosci-mento anticipato dei suoi risultati. Mentre la società moderna costruiva le sue identità sulla produzione, la società postmoderna naviga nell’ideologia dell’in-novazione. L’innovazione necessariamente non è progresso, ma realizzazione qua-litativa migliore, una forma estetica del tempo a venire, strutturata su uno spa-zio d’immagine. L’estetica dell’esistenza come spaspa-zio-permanenza preme sull’e-sistenza come tempo.
Ne è dimostrazione l’opera architettonica di questi ultimi anni. L’allarga-mento degli spazi in architettura è il tentativo di integrare il tempo nello spa-zio. La linearità del tempo scompare nella complessità delle cose. Il tempo con-sumato dalla pluralità delle cose si fa flusso permanente, movimento infinito: il tempo è movimento, non più evoluzione e idealità. Il movimento è spazio. Una doppia dissociazione appare: il tempo individuale si dissocia dal tempo sociale,
diventando un tempo individuale fuori e dentro il luogo69. Da un lato il sentimen-to di essere dentro, dall’altro il sentimensentimen-to di essere fuori. Il tempo in quessentimen-to senso è il doppio vincolo dell’età: essere dentro a una età psico-biologica e fuori da un età socio-temporale. Una condizione di immaturità permanente si accom-pagna a una maturità atemporale70.
Di fronte al cambiamento radicale del rapporto spazio-tempo del soggetto quale prospettiva è possibile? Boutinet individua “una mancata conciliazione delle due temporalità individuale e sociale, i cui riti di passaggio di separazione e di unione spariscono lasciando il posto a una indifferenziazione. Tutto si fa sen-za marca sociale, vi sono solo tappe bloccate”71. Lo stesso avviene nel lavoro: il passaggio marcato da un cambio di ruolo è sostituito da un cambio di compito, un allargamento del campo d’azione, riconosciuto temporalmente nello spazio, una traiettoria orizzontale.
Questo disfacimento dei riti di passaggio situati socialmente resta in carico al singolo adulto. Nel passaggio l’adulto rischia di perdere la sua soggettività ver-so un procesver-so di individualità debole, in transizione permanente. Un’identità in transizione, un’identità di passaggio, diventa il referente reale del soggetto og-gi. Del resto, gli antropologi da tempo considerano l’identità un rapporto e non una qualificazione individuale, come la intende il linguaggio comune. La do-manda non è più “chi sono” ma “chi sono in rapporto all’altro, chi sono gli altri in rapporto a me”. Il concetto di identità non può fare a meno del concetto di al-terità (J.F. Gossiaux, 1997)72. Questa minaccia di instabilità del soggetto, vei-colata tuttavia dalle condizioni sempre più tecniche e comunicative che facilita-no la vita, rende di conseguenza più dipendenti e più fragili e soli gli adulti. An-che ritornare nei banchi di scuola da adulto, come avviene nella formazione con-tinua, può far tuttavia immaginare, dice Boutinet73, di rivivere una nuova di-Ivana Padoan
69 Philip Dick, in un romanzo, Tempo fuori luogo, Edizioni Corriere della Sera, Milano 1959. Come quasi tutte le sue storie, parla di un dis-astro, un deragliamento, un andare fuori as-se del tempo che comincia in modo impercettibile, una vita che deve trasformarsi. 70 Bateson sottolinea con il concetto di doppio vincolo la crisi dello sviluppo: “il tempo è
fuo-ri squadra”, perché le due componenti che governano il processo evolutivo non vanno più al passo l’una con l’altra. L’immaginazione ha oltrepassato abbondantemente il rigore. Il so-gno è un processo che non viene corretto né dal rigore interno né dalla ’realtà’ esterna”, in
Mente e natura, Adelphi, Milano 1984.
71 Boutinet J.P., Psychologie de la vie adulte, cit., p. 50.
72 Despret V., Gossiaux P.P., Pugeault C., Yzerbyt V. Anthropologie, in L’Homme en société, Pres-ses Universitaires de France, Paris 1995.
pendenza. La proposta della formazione continua è diventata una forma obbli-gata per l’adulto. E il rischio di un uso esclusivamente strumentale della forma-zione lascia vuoto lo spazio di autonomia del soggetto. La long life learning (ap-prendimento per tutta la vita) porta con sé un paradosso: la capacità di garanti-re competenze da un lato, ma dall’altro capace di promuovegaranti-re un inserimento a prezzo di una dipendenza continua dalla formazione stessa.
Se gli autori della seconda modernità sottolineano che la modernità non è sta-ta altro che la dipendenza dalla ragione, dobbiamo forse ipotizzare la formazio-ne, la grande regìa della dipendenza nella società postmoderna?
2.3. La questione dell’esperienza
La questione dell’età è stata per secoli il fondamento della presa di coscienza del-l’evoluzione del tempo e dell’ esperienza. In tutta la storia umana, almeno dalla cultura greca in poi, il concetto di esperienza marca il rapporto dell’uomo con la conoscenza e con l’esistenza: l‘esperienza è irrinunciabile e ogni soggetto fa le sue proprie esperienze; sperimentare e far parte di esperienze significa nella storia es-sere un uomo e svilupparsi come sé, come identità. Aristotele la concepiva con una doppia valenza, empereia: la prima valenza era orientata all’esperienza attra-verso la pratica che consiste nella padronanza delle capacità; la seconda investi-va l’idea di esperienza come incontro con il mondo. Ma, secondo Hegel, essa è anche il processo dialettico attraverso il quale le nostre conoscenze, le nostre ca-pacità e i criteri di conoscenza si modificano continuamente.
La domanda filosofica sull’esperienza è stata importante per la filosofia, per la formazione74e per la storia della conoscenza. Al di là delle domande epistemo-logiche che attraversano i confini dei saperi e dei secoli, è significativo sottoli-neare le concezioni che più hanno a che fare con la nostra analisi. Innanzitutto, ci si chiede se l’esperienza si debba configurare come la res cogitans di Cartesio