LA CONDIZIONE ADULTA
MULTI IDENTITÀ E FORMATIVITÀ di Massimiliano Costa
4. Formatività e multi identità
Secondo quanto fino ad ora affermato, nella società della conoscenza, la possibi-lità di una razionapossibi-lità dell’agire comunicativo diventa l’orizzonte della prassi umana, circostanza che sottrae alla formazione una propria struttura “nomologi-ca” in cui i destinatari diventano “oggetti” di intervento, ma apre uno spazio di riflessività reciproca in cui gli agenti si riconoscono attori e non agiti.
Lo stesso agire comunicativo sposta l’attenzione del ricercatore sul rapporto tra dimensioni intenzionali e non intenzionali dell’agire formativo, cioè tra le fi-nalità esplicite perseguite, le determinanti soggettive e contestuali e la loro espressione simbolica (senso). Di qui emerge il nuovo ruolo della formazione
co-me co-mediatore per la ricostruzione dei diversi significati (senso) che l’esperienza dell’interazione assume per i soggetti, a partire dalle individualità di apparte-nenza.
Il valore di mediazione della formazione, che nel periodo fordista aveva as-servito la logica strumentale del lavoro come ambito di dominio della tecnica sull’uomo, libera (Peters, cit. in Margiotta 1998) nel post-fordismo capacità in-dividuale di auto-determinare le mappe e i vettori di senso. Come afferma Mar-giotta (1997) è necessario individuare una forma-azione che coniughi la raziona-lità dell’esperienza con l’esperienza del valore, partendo dalla considerazione che la soluzione pragmatica della condotta dell’uomo (le sue scelte, il suo rischio) an-ticipa la sua esperienza di senso e il suo valore.
Questa visione interpreta la formazione, analogamente al processo di cono-scenza, come un processo attivo di significazione. Come affermato da Honoré (1994) la formazione caratterizza la dimensione finalizzata (teleonomica) dei fe-nomeni umani. “Formativo” allora non è solo ciò che attiene a situazioni strut-turate di apprendimento ma comprende tutto ciò che rende “significante” un’a-zione volta alla creaun’a-zione di valore. Formaun’a-zione è “dare forma”, ma solo a parti-re dalla possibilità di generaparti-re forme nuove di conoscenza orientate al valoparti-re; in epoca post-fordista la formazione diviene spazio di un agire strategico orientato all’attivazione di un senso creativo e generativo che dà valore alla conoscenza: è da questo punto di vista che l’agire formativo garantisce la costruzione di nuovi significati e valore.
La formazione si fa mediazione delle istanze individuali, nella co-generazione di quel significato-valore propedeutico al governo del cambiamento. Nel proces-so di globalizzazione, ove il movimento globale è compreproces-so nel movimento di ogni parte, dove l’inizio del cammino può essere ovunque, la direzione qualsiasi, i passi diseguali, le tappe arbitrarie, l’arrivo imprevedibile (Margiotta 1998), la formazione presidia lo spazio della scelta, della decisione, del cambiamento, lo sviluppo. In un siffatto “eco-sistema di reti mentali” il motore principale del-le continue interazioni è un processo reciproco e multipolare di interpretazione e di co-generazione di conoscenza. Questa visione immerge la formazione nelle in-terazioni di generazione di valore che, a loro volta, sono espressione delle dina-miche interattive tra sistemi e ambienti. Tale approccio diviene utile anche per il “miglioramento” delle strategie di formazione, generando modelli di funziona-mento e consentendo il controllo di più variabili, posto che ciò è possibile solo in-tendendolo processualmente, spostando cioé continuamente i “confini” (Costa, Dal Fiore 2005) del sistema inizialmente contornato, oltrepassando così la deci-frazione del funzionamento (l’attività) per far posto a quella del senso. In questa ottica la formazione può esser definita come esperienza morfogenetica-riflessiva-Massimiliano Costa
interattiva (Margiotta 1998). Morfogenetica in quanto espressione di una dimen-sione generativa che costituisce l’esperienza e l’azione formativa; riflessiva in quanto capace di apertura di senso massimizzando lo spazio del possibile riapren-do combinatorie oltre le “regole di composizione” già date; interattiva per il rife-rimento intersoggettivo e intenzionale dell’azione formativa. Tale lettura ci tra-ghetta verso una nuova visione della formazione, non centrata su una razionalità di tipo pianificatorio (espressione della vecchia logica del controllo, tipica del pe-riodo fordista) quanto piuttosto come espressione di un programma di ricerca ca-pace di sviluppare possibilità di costruzione di una rete concettuale in grado di interpretare e governare i processi di co-evoluzione, auto-determinazione, perso-nalizzazione delle individualità e identità, tra globalizzazione e mondi virtuali. È la formazione che apre le porte al cambiamento e allo sviluppo.
Ne deriva l’idea di una formazione che non solo sia generatore di contenuto per la rete, ma rete essa stessa, riuscendo a fornire la possibilità ad ogni sogget-to di modificarsi generando nuove strutture di significasogget-to per sè e per il sistema a cui è unito in accoppiamento strutturale.
Usando una metafora, non si tratta quindi più di una formazione che fonde (ovvero trasforma competenze e saperi naturali di ingresso in expertise in uscita) ma una formazione che genera mondi e prospettive diverse, fissando un itinera-rio di scelte e di decisioni, prospettive di azione e credenze.
Al paradigma “fusionale” della formazione è necessario sostituire quello ge-nerativo della fissione.
L’apprendimento si fa veicolo non tanto di una trasformazione evolutivo-som-mativa, quanto di una riflessione e rielaborazione strategica degli spazi di defi-nizione del sé e delle proprie potenzialità. La decisione razionale si qualifica non solo come sequenza lineare, garantita da una coerenza logica e una sua organizza-zione procedurale, quanto come programma di aorganizza-zione a qualificaorganizza-zione topologi-ca, stocastica e congetturale. Non essendo innato alcun programma di azione, es-so va apprees-so, elaborato e trasformato continuamente, orientato secondo i fini e i mezzi a disposizione. Il tramonto del mito della razionalità assoluta evidenza co-me gli attori, coco-me ricorda Simon (1985), esprimono una razionalità intenziona-le per via di una ambiguità percettiva. Weick (1997) segnala che a differenza del-l’incertezza (poche informazioni per obiettivi dati), l’ambiguità mette alla prova la possibilità di fronteggiare razionalmente e fondare l’azione su una definizione preliminare dei requisiti di correttezza e appropriatezza dei comportamenti.
Di fronte a tale ambiguità individui e organizzazioni mettono in opera una strategia di costruzione di senso (sense-making) che si qualifica come modalità at-traverso la quale gli attori attribuiscono senso e significato alle azioni e agli
eventi specifici, operando una ricostruzione retrospettiva di ambienti sensati. Questo tipo di azione richiama la centralità della dimensione soggettiva della competenza come trama emergente tra il sistema del sé e la percezione. Occorre infatti dare senso o valore adeguato all’obiettivo che costituisce la base della de-cisione, ma anche riconoscere che si hanno a disposizione le risorse pratiche per poterlo raggiungere. Le rappresentazioni cognitive degli obiettivi e le attività a esse strumentali non sono sostenute da proprietà dinamiche, cioè non danno energia o facilitano il comportamento, finchè non è stabilita la loro compatibi-lità con la struttura significativa personale (il sé). Diviene pertanto essenziale ri-costruire la complessità sul binomio ricorsivo tra stile cognitivo e senso: sono gli stili che ci consentono una pluralità dinamica di “fare senso” e quindi di ri-di-slocare saperi in una strategia del valore orientata al sé.
Ricordando Honorè (1992), formativo non è solo ciò che attiene a situazioni strutturate di apprendimento ma comprende tutto ciò che rende significante un’esperienza nell’orizzonte di un “progetto formativo”; formativo si qualifica come un processo di de-condizionamento orientato al risultato, radicato nel di-venire aperto al possibile. La formazione deve poter quindi recuperare l’itenzio-nalità di Husserl (Morini, 1998) come una direziol’itenzio-nalità verso un recupero di proprie strategie di generazione di valore.
In un quadro definitorio così concepito acquistano una rilevanza strutturale fon-damentale sia la dimensione della soggettività (nei contesti di lavoro e vita), come espressione della competenza a dare significato a sé e al proprio fare, sia il ruolo dei protagonisti, come l’insieme dei soggetti in formazione e delle persone dotate di competenza esperta nei diversi domini e spazi di generazione di conoscenza.
Da queste osservazioni emergono alcuni nuovi paradigmi, che oltre ad essere interpretativi mirano a divenire essi stessi assiomi generativi e pro-attivi della formazione e per la formazione:
• Non esistono percorsi di vita e di esperienze che possono produrre risultati di apprendimento di maggiore o minore complessità;
• La formazione dal punto di vista teorico-pedagogico non può prescindere dal-l’intenzionalità dell’agire e cioè dall’insieme delle attività, a tal fine predi-sposte e attuate, nonchè dalla consapevolezza dello scopo o obiettivo esplici-to perseguiesplici-to;
• La formazione dal punto di vista pedagogico non può prescindere dalla con-divisione degli scopi a cui sono finalizzate le attività formative e ancora più in profondità dalla necessità di riconoscimento del “valore” co-generato; • La formazione dal punto di vista teorico-pedagogico implica la negoziazione
degli interessi tra i soggetti coinvolti all’interno degli ambienti attivati per la co-generazione di valore;
• La formazione deve diventare espressione significante e significativa di co-ge-nerazione del valore per assumere, all’interno di spinte centripete proprie di ambienti attivati e strutture emergenti, il ruolo di una bussola che libera spa-zi di creatività e identità poietiche, capaci di ripensare noi stessi e il mondo esterno in mappe di significato plurali.
Come afferma Morin (1999) “tutto il nostro insegnamento tende al programma, mentre la vita ci richiede strategie e se possibile anche serendipità e arte”.
È proprio un ribaltamento di concezione che è necessario attuare per gover-nare il cambiamento in tempi di complessità: affinché individui, organizzazioni e territori e le rispettive multi identità evolvano verso entità in formazione (Co-sta, Dal Fiore 2005).
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1 Un lavoro per esempio fatto, pregevolmente, da Bruzzone (2001): questo testo costituisce una presentazione articolata ed esauriente della storia, dei fondamenti teorici e delle impli-cazioni metodologiche del counseling esistenziale, o logoterapia. A parte le opere del fon-datore di quest’ultima, Viktor Frankl, cui farò riferimento più avanti, non posso non se-gnalare subito, inoltre, almeno le seguenti opere, come essenziali per chi voglia introdursi alla teoria e alla pratica logoterapeutiche: Bazzi-Fizzotti (1986), Fizzotti (a cura di) (1993), Fizzotti (1998), Giordano (1992a) e Giordano (1992b).
2 Ottime, ampie e approfondite introduzioni al counseling filosofico, sia dal punto di vista storico che da quello teorico e metodologico, sono rappresentate da Raabe (2001), da
Ma-Introduzione
In questo contributo intendo presentare quella che, a mio avviso, costituisce una risposta privilegiata a certe forme di disagio dell’adulto: il counseling filosofico-esi-stenziale.
Il mio discorso si articolerà quindi nel seguente modo. Anzitutto, illusterò il counseling filosofico e il counseling esistenziale, più precisamente le analogie tra coun-seling filosofico e councoun-seling esistenziale, e quindi parlerò della possibilità, che io ritengo sostenibile, di teorizzare e praticare un counseling filosofico-esistenziale; in secondo luogo, durante l’illustrazione del counseling filosofico-esistenziale, cercherò di fare emergere quali sono i “casi” ai quali tipicamente esso si rivolge, anche se, dati gli spazi previsti per il presente lavoro, non potrò presentare ana-liticamente alcun “caso clinico”; infine, accennerò solamente a due aspetti speci-fici dell’attività che pratico come libero professionista: due aspetti che caratte-rizzano particolarmente tale attività e la rendono, appunto, di counseling filoso-fico-esistenziale, cioè di counseling non solo filosofico ma anche esistenziale.
Preciso che non intendo enucleare le matrici filosofiche del counseling esi-stenziale: questo sarebbe un altro, certamente interessante, lavoro1. Non inten-do neppure illustrare la storia, le diverse teorie e i diversi metodi del counseling filosofico2. Intendo, invece, più modestamente e come già accennato, mettere a
IL COUNSELING FILOSOFICO-ESISTENZIALE: