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La diagnosi educativa:

Nel documento II LA SOCIETÀ FORMATIVA (pagine 142-149)

LA CONDIZIONE ADULTA

IL DISAGIO DELLA MENTE di Umberto Margiotta

11. La diagnosi educativa:

l’educatore non è un ingegnere della conoscenza.

A noi piace pensare, peraltro, che l’identità dell’educatore, insomma il suo agire peda-gogico e non solo didattico, è in tutto simile (nei rischi, nella oblatività, nella decisività dei suoi atti) a quella del medico. Come il medico della vita così l’insegnante è re-sponsabile dell”integrale antropologico”, insomma della mente di chi gli è affi-dato. Come per il medico la diagnosi è momento strategico per l’intervento e la cura, così per l’educatore lo è la diagnosi educativa. Se guardiamo, infatti, alle caratteristiche di funzionamento del processo diagnostico, è ormai condivisa l’i-dea che la natura cognitiva delle decisioni diagnostiche non sia rappresentabile che secondo i principi della razionalità strategica. La configurazione della dia-gnosi come spazio topologico lo caratterizza infine come campo di decisioni. E un albero decisionale è una sequenza di nodi e di rami che comprende tutte le informazioni relative alla decisione da prendere. L’albero inizia con un nodo da cui si dipartono diverse diramazioni ciascuna delle quali rappresenta un tipo possibile di eventi esaustivi e mutuamente esclusivi. Ciascun ramo può termi-nare dando origine a un nuovo nodo, che può rappresentare un esito finale op-pure terminare in un nuovo gruppo di diramazioni. Questo procedimento con-tinua finché ciascun ramo termina con un esito finale.... Quando la persona che deve, prendere la decisione specifica il corso delle sue possibili decisioni pren-dendo in considerazione tutte le conseguenze possibili, si dice che egli fa una strategia. L’obiettivo di colui che prende decisioni è in generale quello di sele-zionare la strategia che renderà massimo il valore atteso delle conseguenze risul-tanti. Questo obiettivo è sempre valido, sia che siano disponibili informazioni

complete per la soluzione del problema cosicché esso possa essere risolto in con-dizioni di certezza; sia che le informazioni manchino del tutto cosicché le deci-sioni vengono prese in condizione di incertezza totale; sia che le informazioni siano di tipo probabilistico, cosicché le informazioni vengano prese con moda-lità dette a rischio (S. Barnoon e H. Wolfe, 2002).

L’albero delle decisioni dell’educatore è per molti aspetti simile a quello del medico. Il funzionamento strategico della diagnosi, la sua architettura cognitiva e, in particolare, il suo caratterizzarsi come atto – non solo intellettuale -esperto, ci consentono di richiamare l’attenzione sul fatto che l’utilità di una dia-gnosi non è mai infinita; che l’utilità di una diadia-gnosi, alla luce di quanto fin qui detto, non è confondibile con il suo guadagno per il decisore. Infatti utilità e guadagno di ogni decisione diagnostica vanno riferiti solo e sempre alla com-plessità dei vincoli, delle attese, degli ambienti e delle possibilità disponibili al-l’azione clinica in situazione. Del resto al-l’azione clinica, e le decisioni diagnosti-che, poggiano su uno sfondo obbligato di interazione sociale e di azioni coope-rative che, senza nulla togliere alla responsabilità individuale del medico (o del-l’educatore), di fatto connota le prime come sequenze di scelte e di comporta-menti “in a medium”, a carattere cioè plurale e multipurpose di valutazione anti-cipata delle conseguenze per l’azione.

Ma ciò produce un’ulteriore focalizzazione necessaria: in breve, esaminata e identificata la diagnosi come universo probabilistico e come spazio euristico ad esplicita trama congetturale e strategica, proprio questo consente di portare la nostra argomentazione a caratterizzare la decisione diagnostica dell’educatore , e prima ancora quella del medico, come una forma esperta e peculiare di giudizio pratico14.

Umberto Margiotta

14 Secondo Aristotele un sillogismo pratico consiste nell’applicare una regola ad un caso in vi-sta di un fine. Senza dubbio egli pensa al sillogismo pratico come a qualcosa di struttural-mente analogo al ragionamento canonico descritto negli Analitici Primi. E tuttavia, rispet-to a quello, il ragionamenrispet-to pratico delibera in vista di conseguenze per l’azione. In breve per Aristotele il deliberare è una specie di sillogismo, cioé un atto per cui un’esperienza par-ticolare è vista dall’individuo chiamato a decidere alla luce di qualcos’altro. La caratteristi-ca fondamentale di tale atto è cioé il suo consistere in una deliberazione, la cui natura a sua volta è quella di essere in sostanza un sapere stocastico e congetturale. Scegliere, cioè, è sem-pre decidere per qualcos’altro. Certo ogni azione è di per sé un evento singolo, dato che si compie un atto particolare e non un tipo di atti. Ma al termine della decisione, quando il medico ha individuato anche un mezzo (la prognosi) adatto al fine, e dunque un’azione (la terapia) da fare qui ed ora, l’atto clinico non ha così compiuto un’azione singola ma un

pro-Ora, però, nel caso del giudizio pratico il fine generale è dato dalle catego-rie di produzione e di azione: categocatego-rie cioé, per loro natura, contrassegnate dalla opina-bilità, dal rischio di errore; ma anche dal fatto che in ogni caso ci si dimostra in grado di trarre delle conclusioni che sono senz’altro vere nella presupposizione, tutto sommato, e non nella certezza, che le premesse da cui si parte siano vere.

Se non è vero che tutto ciò che appare razionale è sempre logico, ne conse-gue che una decisione razionale è da intendersi come il risultato di più fattori e di più linee di orientamento, di direzione di senso, di riorganizzazione e di ridi-slocazione continua di informazioni, conoscenze, emozioni, esperienze. Ne deri-va la necessità di caratterizzare una decisione razionale non come una sequenza solo e sempre lineare, garantita dalla coerenza logica del suo organamento pro-cedurale, ma come un programma d’azione a qualificazione topologica, stocastica e con-getturale. Non essendo innato alcun programma d’azione, esso va appreso, elabo-rato continuamente, continuamente trasformato e riorientato, secondo i fini e i mezzi a disposizione.

È dunque in ciò l’ulteriore passo che proponiamo di assumere per configu-rare l’educazione integrale della persona come analisi e insieme progetto dell’“integrale antropologico”, insomma come ricorsivo atto diagnostico in quanto giudizio pratico: nel convincimento che ciò non toglie nulla ai caratteri di rigore, di coerenza e di razionalità che l’atto clinico di necessità produce e ri-produce. Ma al termine di questa discussione si evidenzia, crediamo, come il cri-terio di valutazione della “buona diagnosi” non sia rintracciabile tanto nella sua coerenza interna quanto nella sua efficacia. E ciò radicalmente obbliga a rivolu-zionare il quadro paradigmatico e gnoseologico di riferimento dell’educazione nel XXI secolo.

Per capire, infatti, e per esplicitare quanto fin qui richiamato a proposito del giudizio pratico, dal punto di vista dei futuri educatori, basterebbe rispondere alla seguente domanda “che cosa si sviluppa via via che un educatore acquisisce la ca-pacità di comprendere i futuri disponibili per quanti a lui si affidano?”

gramma d’azione, la cui determinazione definitiva avviene solo nel momento in cui l’atto clinico si compie con la terapia. Ciò conferma che, per quanto si deliberi accuratamente, non si possono mai stabilire nella decisione diagnostica tutte le infinite caratteristiche par-ticolari che caratterizzano l’atto diagnostico. Il giudizio pratico fornisce infatti un corso possibile di azione, che il medico giudica utile per realizzare uno scopo, caratterizzandolo peraltro in modo generale, anche se in esso compaiono termini particolari.

Sintetizzando al massimo le possibili risposte, potremmo riconoscerci nel sostenere che quell’educatore acquisisce soprattutto due capacità essenziali: – una capacità empatico-lessicale, consistente nel comprendere i sintomi,

dive-nendo progressivamente esperto nel produrre rappresentazioni mentali eco-nomiche e potenti degli stati corrispondenti, nonché nel formulare descri-zioni adeguate di quanto egli riesce via via a codificare sotto forma di mo-delli mentali del decorso e degli ostacoli del processo di apprendimento( dal suo apparire al suo compiersi) e delle più o meno opportune decisioni di in-tervento da assumere;

una fondamentale capacità euristica che lo porta ad essere in grado di cercare contro-esempi rispetto alle regolarità dei dati e alle tipologie di sintomi me-morizzate ogni qualvolta la condizione specifica e singolare del giovane lo richiede, determinando così nuove configurazioni del problema da scioglie-re e su cui decidescioglie-re.

È evidente che il processo decisionale procede attraverso una continua espli-citazione delle opzioni in campo: queste a loro volta attivano una necessaria de-terminazione e specificazione di campo cognitivo, mettendo in gioco ad ogni pié sospinto non solo i dati e le conoscenze o le memorie possedute, ma il “cuore” con cui l’educazione le attiva, se le rappresenta e, soprattutto, le racconta.

La scena finale di questo saggio deve dar conto e dunque rappresentare una contrapposizione tra pedagogia sperimentale e pedagogia fondamentale e rela-zionale che è rimasta sullo sfondo, come implicito non detto. Non sarà tuttavia sfuggito come la contrapposizione tra questi due poli è stata a volte drammatiz-zata per significare soprattutto un concetto: che a poco serve contrapporre l’ana-logia (come universo semantico di produzione e di scelta) alla tecnica dell’edu-care (come unica attendibile base di conoscenza e di regole esperte per la deci-sione). La pedagogia non è una selva disordinata di somiglianze in cui si aggira-no empirici armati di computer da cui sgorgaaggira-no strisce di analisi e sequenze di dati. La pedagogia, e ancor più l’educazione, è piuttosto uno spazio complesso di fatti, di principi, di conoscenze e di procedure; articolato a più livelli di com-plessità ed entro il quale la tradizione educativa costituisce certo il principale ma non l’unico sostegno di un sapere pratico. Ché appunto ciò accomuna l’educa-zione al destino dei nuovi saperi dopo la crisi dei razionalismi e dei positivismi di maniera: la consapevolezza che l’itinerario da seguire è complesso per quanto congetturale, stocastico e relativo esso si dimostri ad ogni pié sospinto. Ma è for-se l’unico itinerario da for-seguire per risalire lungo i diversi livelli che ci possono condurre alle rappresentazioni semplici, e tuttavia universali, degli spazi e delle connessioni che regolano la selva sterminata delle somiglianze.

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Résigne toi, mom coeur; dors ton sommeil de brute. Et le temps m’engloutit minute par minute, Comme la neige immense un corps pris de roideur; Je contemple d’en haut le globe en sa rondeur Et je n’y cherche plus l’abri d’une cahute. Avalanche veux-tu m’emporter dans ta chute? Charles Baudelaire, Les Fleurs du mal

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