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Una prima caratteristica comune alle due forme di counseling è che entram- entram-be costituiscono un aver cura di persone sane: il counselor filosofico-esistenziale,

Nel documento II LA SOCIETÀ FORMATIVA (pagine 180-184)

LA CONDIZIONE ADULTA

IL COUNSELING FILOSOFICO-ESISTENZIALE: UNA RISPOSTA AL DISAGIO DELL’ADULTO

1. Una prima caratteristica comune alle due forme di counseling è che entram- entram-be costituiscono un aver cura di persone sane: il counselor filosofico-esistenziale,

quindi, ha cura di, viene in aiuto a (è questo il significato rilevante del latino con-sulo, da cui counselor), persone, e persone sane: persone, non automi o meccanismi

rinoff (2002) e da Lahav (2004). Introduzioni italiane al counseling filosofico e alle prati-che filosofiprati-che sono costituite dai contributi raccolti in Berra e Peretti (2003) (a cura di), dal libro di Madera e Tarca (2003) e da Pollastri (2004).

3 A questo proposito si può vedere Brancaleone-Buffardi (1998), in particolare l’introduzione. 4 Si veda per esempio Frankl (1969), pp. 20-21 della trad. it. Si veda anche May (1969), che presenta, attraverso il contributo dei diversi autori che hanno dato vita alla terza forza in

cologia, alternativa alla psicoanalisi e al comportamentismo, le idee fondamentali della psi-cologia esistenziale e, quindi, dell’orientamento umanistico-esistenziale, al quale la logoterapia

ap-partiene. Si veda invece Galimberti (1979) per la psichiatria fenomenologico-esistenziale, alla quale pure la logoterapia fa riferimento.

completamente determinati da impulsi biologici o emotivi e da condizionamen-ti sociali e ambientali; persone, cioè individui unici, irripecondizionamen-tibili, non riducibili al soma e alla psiche ma con una terza dimensione spirituale, quella del nous5, spe-cificatamente umana, con specifiche esigenze; sane, cioè non malate, ma ricche di potenzialità da realizzare, di risorse da stimolare, potenzialmente libere, respon-sabili e capaci di scegliere; sane, cioè non malate, perché il disagio esistenziale, il sentimento di vuoto, il vuoto esistenziale provato di fronte alla perdita di significato dell’esistenza, o la difficoltà e lo squilibrio emozionale sperimentati nel fare una scel-ta, personale o professionale, non sono sintomi patologici.

Epicuro diceva che come la medicina non dà alcun beneficio se non scaccia i dolori del corpo, così la filosofia è inutile se non scaccia i turbamenti dell’anima: è soltanto la ragione a rendere la vita piacevole, scacciando tutti i falsi concetti o opinioni, capaci in mille modi di turbare la mente. Lo scopo della filosofia, se-condo Epicuro, è quello di aiutare l’uomo a interpretare se stesso e la realtà in modo tale da stare bene, da vivere felicemente. Epicuro parla quindi di turba-menti dell’anima, e dell’utilità della filosofia a tal proposito, ma di certo non pen-sa che chi ha tali turbamenti sia un malato. Analogamente, Marinoff insiste mol-to sul fatmol-to che il counseling filosofico è una terapia per i sani, critica la pamol-tolo- patolo-gizzazione o medicalizzazione con cui alcuni indirizzi o scuole di psicologia e di psichiatria etichettano subito come malate le persone in difficoltà: il counselor filosofico ha superato il mito della malattia e, quindi, avendo fiducia nella perso-na, ne sollecita, ne risveglia la responsabilità6.

Raabe sottolinea che certi problemi non sono patologici o psichiatrici e che la persona è sana, cioè non irrimediabilmente determinata dall’inconscio psichico, e capace, invece, di trascendere gli impulsi psichici7. Da questo punto di vista, il counseling filosofico non è una terapia.

Frankl, a sua volta, insiste sul fatto che il sentimento della mancanza di sen-so non è un sintomo nevrotico, anzi, al contrario, è la riprova della maturità spi-rituale di una persona, è il segno che il suo inconscio noetico o spispi-rituale si fa senti-re, si è risvegliato8.

Mario D’Angelo

5 Si veda Frankl (1950b) e Frankl (1973). Per una illustrazione di questi concetti della teo-ria di Frankl si veda Bruzzone, op. cit., pp. 193-207. Si veda anche Wierzba (2005). 6 Marinoff (1999), pp. 23, 44-8, 50-1, 56 della trad. it.. Anche in Marinoff (2002), per

esem-pio alle pp. 7, 82, 84-5, l’autore insiste sul mito della malattia mentale e sulla filosofia co-me “terapia per i sani”.

7 Raabe, op. cit., pp. 13-4, 95-6, 102-106, 175. Su questo si veda Frankl (1950b), pp. 35-9 della trad. it.

Bruzzo-Il counselor filosofico-esistenziale, quindi, non ha che fare con malati da due punti di vista: da un lato, non vede malati dove non ci sono, e dove altri, maga-ri, li vedrebbero, e si occupa di questi “non malati”; dall’altro, non si occupa di chi è effettivamente malato, di chi è affetto da patologia psicogena.

Significativamente, Demetrio, fin dal titolo di un suo libro9, dimostra una grande sintonia con il counseling filosofico e con la logoterapia così intesi, dedi-candolo a «non pazienti» che vogliano condurre una «autoanalisi», sottolinean-do che l’inquietudine non è il sintomo di una patologia e facensottolinean-do esplicito rife-rimento a Frankl e al suo concetto di nevrosi “noogena”.

2. Sia il counseling filosofico che quello esistenziale aiutano la persona a sop-portare ciò che non può evitare. Possiamo ricavare questa seconda analogia tra coun-seling filosofico e councoun-seling esistenziale considerando che, come per esempio Epicuro, Seneca, Montaigne e Nietzsche con i loro scritti o con la loro vita ci hanno mostrato, la filosofia fa capire cosa c’è di inevitabile nella vita e nel mondo e in-segna a sopportare ciò che non si può evitare. La filosofia ci fa capire che ogni esisten-za è difficile e che ciò che ne rende alcune felici è il modo in cui si è imparato ad affrontare gli ostacoli. La felicità viene raggiunta attraverso una reazione saggia alle difficoltà.

Analogamente, come sostiene Frankl, la logoterapia è il trattamento dell’atteg-giamento della persona verso un destino che non può essere cambiato.

È molto significativo, dal mio punto di vista, cioè dal punto di vista di chi sta tentando di configurare e praticare una convergenza tra counseling filosofico e counseling logoterapeutico, che Raabe, parlando del counseling filosofico, lo definisca una terapia noetica e lo accosti, esplicitamente, alla logoterapia: in en-trambi i casi, giocano un ruolo fondamentale concetti come quelli di libertà, re-sponsabilità, significato e ricerca di valori10; in entrambi i casi, la relazione tra counselor e persona (o consultante, o cliente: in ogni caso, non paziente) è carat-terizzata da parità, partecipazione interdipendente, cambiamento reciproco, cu-ra ed empatia11; in entrambi i casi, l’obiettivo del counseling è quello di aiutare la persona a auto-distanziarsi, a diventare consapevole dei suoi pensieri per poi, eventualmente, cambiarli12.

ne, op. cit., pp. 193-207. Il nous è quella componente spirituale, distinta da soma e psiche, che Frankl teorizza prendendo spunto da Scheler: si veda a questo proposito Wierzba, op. cit. 9 Demetrio (2003): Autoanalisi per non pazienti.

10 Raabe, op. cit., p. 85. 11 Ibidem, pp. 92-3. 12 Ibidem, pp. 97-100.

Il counseling filosofico e il counseling logoterapeutico sono accostati come pratiche le quali condividono il presupposto che, se non possiamo cambiare la realtà, possiamo invece cambiare il modo in cui guardiamo ad essa, il modo in cui la interpretiamo e la valutiamo: perché, come già Epitteto ci ha insegnato, spesso a turbarci e a farci soffrire non sono le cose ma il modo in cui pensiamo ad esse13. Da questo punto di vista, diventa fondamentale la convinzione condi-visa che, in molti casi, la causa del disturbo emotivo o dello stress e dell’ansia ri-siede in ciò che pensiamo, nel nostro sistema di credenze; di conseguenza, cam-biando i nostri pensieri possiamo cambiare anche le nostre emozioni da negati-ve a positinegati-ve14. La filosofia, con il counseling filosofico, può avere a che fare con, intervenire su, le emozioni: quello che viene sottolineato, quindi, è il legame tra intelletto ed emozioni e, soprattutto, vengono sottolineate la “forza” e la libertà del pensiero; viene sottolineato il fatto che siamo responsabili anche delle nostre emozioni, cioè che non siamo schiavi delle passioni: il che è un altro modo di dire, ancora una volta, che non siamo malati.

Per questo “prenderla con filosofia” non significa “solo” pensare diversamente, ma anche sentire diversamente e, in ultima analisi, vivere diversamente: in fin dei conti, fare filosofia è uno stile di vita15, di cui un aspetto essenziale è il pensare-in-sieme16.

Proprio perché fare filosofia significa vivere in un certo modo, l’autobiogra-fia, il racconto della propria vita, ne è parte integrante: in fin dei conti, se la vi-ta filosofica è uno stile, un atteggiamento, se è la saggezza, di quesvi-ta l’attività teorica è un aspetto importante: ma tale attività teorica è, appunto, una pratica, Mario D’Angelo

13 Si veda a questo proposito Achenbach (2001), per esempio le pp. 90-112 e 129-138 della trad. it., dove si fa esplicito riferimento allo stoicismo.

14 Questo presupposto e questa convinzione sono anche condivisi dalla teoria e dalla pratica della Terapia Razionale-Emotiva (RET) che, non a caso, è citata da Raabe proprio dove fa ri-ferimento alla logoterapia accostandola al counseling filosofico. Sia il fondatore della RET, Albert Ellis, sia gli interpreti italiani di tale approccio (per esempio, De Silvestri) ne sotto-lineano il carattere “filosofico”. Non è questa la sede per illustrare la RET, il suo valore e i suoi limiti, e per evidenziare le analogie e le differenze rispetto al counseling filosofico e al-la logoterapia. Non mi rimane che rinviare ad alcuni testi, in italiano o in traduzione italia-na, con cui conoscere la RET e con cui apprezzarla, eventualmente, come uno degli strumenti utilizzabili da un counselor: De Silvestri (1981), Di Pietro (1992), Ellis (1962), Ellis (1990). 15 Sulla filosofia come “pratica”, come “cura” (di sé) e come “terapia” sono fondamentali i

la-vori di Foucault (1984), Foucault (2003), Hadot (1988), Nussbaum (1996). Si veda anche Madera-Tarca, op. cit.

16 Si veda Mortari (2002) sul valore educativo e “curativo”, di sé e dell’altro, del pensare-in-sieme.

che si declina, per esempio, come racconto autobiografico17, oppure, per fare un al-tro esempio, come comunità di discorso e di pensiero. L’inconal-tro di counseling filo-sofico è proprio una occasione per vivere, fare, sperimentare, praticare la filoso-fia così intesa. In tal modo, il counselor ha autenticamente cura dell’altro, avendo anche, allo stesso tempo, cura di se stesso18.

Il counselor filosofico-esistenziale aiuta a sopportare ciò che non si può evi-tare, quindi situazioni di disagio tipiche per l’adulto come, per esempio, il lut-to, o l’abbandono, o una malattia incurabile. Natoli, a questo proposilut-to, invita a riflettere su ciò che rende sopportabile il dolore: se il dolore, di per sé, non ha senso, ci può essere un senso nonostante il dolore, che rende quest’ultimo soppor-tabile19.

E ci può essere un senso proprio nel dolore, cioè il senso che si realizza vin-cendo la sfida del dolore: ma con ciò siamo già alla terza caratteristica del coun-seling filosofico-esistenziale.

3. Le due forme di counseling presuppongono, ed è questa la terza

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