LA CONDIZIONE ADULTA
IL DISAGIO DELLA MENTE di Umberto Margiotta
9. Sistemi biodinamici e conoscenza pedagogica
Lo sappiamo: peculiarità di ogni essere vivente è quella di effettuare sintesi spe-cifiche da cui derivano possibilità di variazione nell’ambito delle modificazioni fenotipiche. Così come abbiamo ormai realizzato che “il soggetto, in quanto si-stema biodinamico, è corredato di un’organizzazione pluri-funzionale (più intel-ligenze, più memorie, più qualità del mentale) che è sia circuitale che dinamica, in linea con la tendenza plastica e con la flessibilità del sistema nervoso, sia modu-lare che specifica nei compiti e nelle qualità intrinseche” (Santoianni 1998, 8-9). Umberto Margiotta
Ma apprendimento e sviluppo vengono canalizzati, fin dalla nascita, entro spe-cifici contesti culturali, linguistici e simbolici e si confrontano con diverse e ri-corsive situazioni di esperienza umana. L’azione educativa e formativa viene a ca-ratterizzarsi, così, come indispensabile e non eludibile funtore generativo tanto per l’evoluzione filogenetica quanto per il cambiamento ontogenetico del funzionamento men-tale. Sicché la pedagogia non può più permettersi di ignorare i problemi posti dallo sviluppo delle sequenze cognitive e metacognitive e deve sistematicamen-te insistematicamen-terrogarsi:
– sui problemi posti dalla flessibilità e dalla plasticità dello sviluppo della men-te individuale, in quanto sismen-tema inmen-tegrato, all’organizzazione degli inse-gnamenti e degli ambienti scolastici di apprendimento;
– su come preservare la molteplicità delle qualità cognitive dal rischio di vede-re frammentate o, peggio, inibite le potenzialità intellettive ed emotive del-l’allievo in quanto esposto ad un’informazione incapace di rivelarsi agli oc-chi della sua mente;
– ma anche sui problemi posti dalla modularità e dal parallelismo degli apprendi-menti alla percezione e alla memoria, tanto degli individui che della specie. Il problema della flessibilità mentale è uno dei più ricorrenti nella pratica edu-cativa familiare e in quella scolastica. E, tuttavia, anche dai più recenti studi su-gli stili cognitivi e sulla metacognizione (R. J. Stenberg, 1998) emerge la preoc-cupazione di tener conto di quanto e come le problematiche poste dalla compo-nente biologica incidano nella considerazione della reale possibilità, da parte del-l’allievo, di acquisire nuovi stili cognitivi, abbandonando stili di condotta ina-deguati o parziali rispetto alle nuove soglie di difficoltà dell’apprendimento. Oc-corre certo riconoscere l’esistenza di specializzazioni funzionali nelle abilità cogniti-ve, in parte acquisite in conseguenza della persistente stimolazione ambientale e scolastica, in parte già possedute come corredo genetico-biologico. E tuttavia ta-li speciata-lizzazioni non sono locata-lizzabita-li in funzioni attribuibita-li in uno dei due emisferi cerebrali, né sono precisamente identificabili, dalla nascita, a causa del-la loro natura distribuita e circuitale.
D’altra parte va rilevato come la struttura dicotomico-antinomica attribui-ta da Bruner agli stili cognitivi non trovi riscontri né sperimenattribui-tali né argomen-tativi, e dunque non è vero che esistono – come egli asserisce – due tipi di fun-zionamento cognitivo, due modi di pensare, ognuno dei quali fornisce un pro-prio metodo particolare di ordinamento dell’esperienza e di costruzione della realtà (J. Bruner, 1988). Sembra piuttosto che lo sviluppo di stili cognitivi da parte degli individui maturi “a geometria variabile”, secondo un processo stoca-stico dagli esiti non prevedibili, che lega fenomeni di asimmetria,
lateralizza-zione e specificalateralizza-zione dei compiti con l’esercizio equipotenziale di abilità e sen-timenti in presenza di compiti concomitanti e di funzioni interattive. Così che la lateralizzazione delle funzioni e l’asimmetria procedono parallelamente allo svi-luppo individuale dell’immaginazione e del carattere e fanno registrare, nell’in-dividuo adulto, una asimmetria funzionale tra i due emisferi cerebrali che, per quanto bisimmetrici, mostrano di funzionare ciascuno secondo una propria rela-tiva autonomia.
“Se si ammette l’esistenza di un substrato biologico che giustifichi il ma-nifestarsi del mentale, non si può ipotizzare che alcuno dei processi – per-cettivi o elaborativi – di acquisizione cognitiva sia riportabile alla latera-lizzazione di un’attività largamente diffusa in una delle due metà del cer-vello, come dimostrano le prove sperimentali che testimoniano il costan-te coinvolgimento di più aree funzionali localizzacostan-te e localizzabili in en-trambi gli emisferi, proponendo – pur senza disconoscere l’asimmetria ce-rebrale – una possibile interpretazione del cervello come network con fun-zioni distribuite in modo circuitale” (Santoianni, 1998, 32-33).
Un secondo problema, quello della modularità, trova eco in strategie educa-tive e didattiche che hanno inteso per questa via segnare una rottura con la tra-dizione divisa tra contenuti e obiettivi, e offrire alla dimensione “progettuale” dell’educazione nuove piste di auto-organizzazione degli insegnamenti e degli apprendimenti. Purtroppo l’esperienza, a tal proposito condotta in Italia, ha ri-versato vino vecchio in otri ai quali era stata cambiata solo l’etichetta. Ma nella prospettiva transdisciplinare dell’interpretazione integrata (mente-cuore) dei processi di apprendimento, il termine modulare ha un significato ben diverso. Introdotto da J. Fodor con il suo volume La mente modulare, Il Mulino, Bologna 1986, il termine si riferisce ad una teoria del mentale che lo configura come una architettura ad organizzazione monofunzionale, in cui i moduli percettivi sono veri e propri elaboratori di sistemi di input; tali moduli garantiscono la codifi-cazione delle percezioni ma non la interrelazione reciproca dei dati. Cosicché le informazioni passano attraverso distinti canali modulari, gerarchicamente strut-turati e funzionalmente indipendenti senza entrare in contatto tra loro, per poi condividersi solo nella sede del pensiero centrale che assicura l’elaborazione del-le informazioni e la loro trasformazione in conoscenze.
Contro la linea computazionista cui risponde la teoria di Fodor, prendeva pie-de una interpretazione connessionista pie-del funzionamento pie-del mentale, che trovava nell’opera di Rumelhart e Mc Clelland (1986) sui processi mentali a distribuzione parallela la sua migliore espressione. Secondo questa impostazione le reti neurali funzionerebbero secondo un’organizzazione bottom-up, e in diretta correlazione al Umberto Margiotta
loro essere distribuite in parallelo consentono al sistema cervello/mente di miglio-rare le proprie prestazioni sulla base delle relative esperienze e sulla ripetizione di esse, sì che le regole attraverso cui il sistema impara non sono altro che le regole prodotte dal sistema stesso durante il suo processo di apprendimento.
Più recentemente gli studi sulla memoria hanno consentito di identificare e condividere un concetto di modularità più ampio, intendendola come orienta-mento funzionale dinamico acquisito in base ad una disposizione geneticamen-te degeneticamen-terminata, ingeneticamen-terrelata con l’esperienza (Santoianni, 1998, 63). Una defini-zione siffatta consente di ricapitolare i dibattiti e le ricerche fin qui sviluppatisi in ambito neuro-biologico, additando peraltro tale ipotesi di lavoro come un in-dice che obbliga la didattica e la conoscenza pedagogica contemporanea ad un ripensamento radicale dei suoi presupposti naturalistico-rousseauiani ovvero he-geliani (Margiotta, 2005, in corso di stampa).
10. Cambiamenti di prospettiva nell’educazione e nella formazione