3.1 I MODELLI PREDITTIVI E LA NASCITA DI UN APPROCCIO POSTDITTIVO IN ARCHEOLOGIA
3.1.5 Genesi e sviluppo dell’archeologia post-dittiva
3.1.5.1 Approccio postdittivo al remote sensing: applicazioni (GE)OBIA
All’interno di tale cornice metodologica, abbiamo sottolineato come l’approccio postdittivo stia dimostrando la sua grande validità nel facilitare la lettura archeologica dei dati da remote sensing. Proprio all’interno del telerilevamento, sia satellitare che UAV, è da poco più di un decennio sorto
333BROGIOLO et al. 2012.
334DE GUIO et al. 2015b per contesti non urbani; DE GUIO et al. 2013 per un contesto d’altura. 335CITTER 2007a.
336CITTER et al. 2016, p. 597.
337PORCHEDDU 2016 per analisi pre- e postdittive sulla viabilità romana nei Pre-Pirenei spagnoli; PARCERO-
un nuovo paradigma. Esso sembra promettere di rivoluzionare il modo con il quale si pensava, si analizzava e si lavorava con l’imagery da remote sensing338. Ci riferiamo a una nuova disciplina,
formalmente nominata come GEOBIA339, acronimo inglese per Geographic Object-Based Image Analysis. Pur essendo così giovane, la materia ha trovato una sua formalizzazione in un manuale340
e la comunità di ricercatori ed esperti è cresciuta così tanto da aver organizzato già sei incontri internazionali341. Secondo la definizione comunemente accettata342, essa si configura come una
branca delle Geographic Information Science, volta allo sviluppo di metodi automatici (o semi- automatici) per scomporre le immagini da telerilevamento in immagini-oggetti, assegnando a queste ultime caratteristiche spaziali e spettrali, così da generare nuovi dati già GIS-ready. Si tratta, pertanto, di un vero e proprio ponte tra i dati da remote sensing in formato raster e i dati vettoriali dei sistemi GIS, utilizzabili poi in diversi campi quali il monitoraggio del clima, delle risorse della terra, la lotta all’inquinamento343.
Da un punto di vista concettuale, l’analisi OBIA si fonda su pochi ma chiari pilastri. In primis, il superamento delle tradizionali tecniche di analisi basate sui pixel delle immagini ad alta risoluzione spaziale e la sostituzione con procedure di segmentazione degli oggetti-immagini (image-object). Il processo, chiaramente ciclico e ripetuto, prende avvio, appunto, con la segmentazione multiscalare dell’immagine (tramite algoritmi); i pixel sono, infatti, raggruppati così da formare oggetti omogenei che rientrano all’interno dei medesimi parametri. All’interno di tale workflow entrano in gioco diverse variabili o spettrali, come la riflettanza, o spaziali, come la posizione degli oggetti rispetto ad altri, la loro dimensione, la loro area, o anche le texture. Tutti questi fattori costituiscono i parametri della segmentazione344. Data l’assenza di linee guida e protocolli per selezionare al
meglio tali parametri, ne sono stati creati di nuovi attraverso errori e sperimentazioni (operazione
338Per una riflessione, fatta da uno dei fondatori della disciplina, sulla visione delle procedure GEOBIA come nuovo
paradigma dominante vedi BLASCHKE 2013.
339Ci sfuggono i motivi che conducono gli americani a pronunciare la parola ‘geobeUH’. 340BLASCHKE et al. 2008.
341La prima conferenza si svolse a Salisburgo nel 2006, mentre l’ultima si è tenuta in Olanda,
https://www.geobia2016.com (ultimo accesso 3/6/2017).
342HAY-CASTILLA 2008, p. 77.
343LANG 2008; vedi anche il volume speciale, numero 12, del 2012 della rivista Remote Sensing dedicato
esclusivamente a casi studio OBIA.
344KHADANGA 2014 sul processo di segmentazione e sugli approcci utilizzati in ambienti diversi (eCognition o
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valida soprattutto nel caso dei contesti ambientali di interesse archeologico).
È stato osservato da autorevole fonte345 come il processo di segmentazione dell’immagine, in realtà,
non sia un procedimento nuovo ma sia, per così dire, ritornato agli onori della cronaca scientifica grazie alla sua inclusione nelle procedure OBIA. Già qualche anno addietro, erano stati messi in luce i principali limiti che caratterizzano l’analisi pixel-based, tra cui la natura proprio del pixel; esso non è realmente un oggetto geografico e ciò non rende possibile utilizzare dati inerenti il contesto, la forma o la texture346.
Tornando alla descrizione, seppur concisa, del metodo OBIA, passiamo alla seconda fondamentale operazione successiva alla segmentazione, ovvero la classificazione. I semplici componenti dell’immagine, proprio come con la segmentazione, sono raggruppati in determinate classi in base ai valori in comune di alcuni parametri. L’assegnazione di proprietà spaziali e semantiche alle categorie più semplici di oggetti facilita, a sua volta, la definizione delle proprietà per gli oggetti di maggiore complessità. Per cercare di rendere più semplice la comprensione dell’intero meccanismo utilizziamo l’esempio proposto nel riquadro.
Figura 6. I principi GEOBIA: segmentazione e classificazione (Da Hoffman et al. 2008)
345BLASCHKE 2010.
Partendo da un’immagine satellitare VHR notiamo come attraverso segmentazione e classificazione il software riconosca e scomponga gli oggetti presenti: l’acqua delle fontane, la copertura vegetale del terreno, gli oggetti in marmo (ma era naturalmente in grado di frammentare e leggere anche i tetti degli edifici, le strade); partendo dal riconoscimento degli oggetti più semplici e dalle relazioni che esistono tra essi, alla fine il programma è in grado di riconoscere i tre complessi simili come giardini monumentali347.
Se, almeno a grandi linee, questi sono i meccanismi che regolano il procedimento, molto più chiaro è l’obiettivo dell’intero sistema:
«the primary objective of GEOBIA as a discipline is to develop theory,
methods and tools sufficient to replicate (and/or exceed experienced) human interpretation of RS images in automated/semi-automated ways. This will result in more accurate and repeatable information, less subjectivity, and reduced labor and time costs348».
Evidente il peso che un approccio GEOBIA può avere nelle procedure predittive e soprattutto postdittive. Le applicazioni GEOBIA, infatti, possono migliorare le analisi delle anomalie archeologiche, riducendo soprattutto il tempo speso dall’operatore nell’operazione. Con un approccio bottom-up e postdittivo, però, si può compiere il procedimento inverso; l’archeologo può testare e, in caso positivo, validare l’esito della lettura effettuata dal software grazie alla conoscenza del sito (su cui per esempio si è già scavato). Sarà possibile, in tale maniera, arrivare alla formalizzazione di procedimenti e protocolli volti all’identificazione, in pochissimi minuti, di determinate features (come trincee, buche di palo, muri, fossati) in specifici contesti (soprattutto non alberati). Ci troviamo di fronte a una lunga strada di cui abbiamo percorso soltanto qualche metro. Le prime sperimentazioni, italiane ed estere, sembrano abbastanza incoraggianti349. In
letteratura sono, infatti, già apparse e sono consultabili alcune stime e confronti, soprattutto con il filone predittivo; Verhagen e Drăguţ sottolineano il grande risparmio di tempo che nasce
347Proprio tale funzionamento, così simile a quello dell’occhio umano, spiega perfettamente l’influenza e il peso
sempre crescente ottenuto dalle pratiche GEOBIA nello studio dei paesaggi urbani o degli ambienti naturali.
348BLASCHKE-STROBL 2001, p. 12-17.
349Per l’Italia: oltre ai già citati contributi di De Guio, vedi MAGNINI et al. 2016 per l’identificazione dei crateri dovuti
ad esplosioni della Prima Guerra Mondiale; lavori di carattere generale: SEVARA et al. 2016; SEVARA- PREGESBAUER 2014.
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dall’applicazione di procedure GEOBIA per la classificazione a fini archeologici dei DEM: poche ore a fronte di un procedimento manuale che sarebbe costato almeno qualche settimana di lavoro350.
Il controllo sul campo delle anomalie identificate come crateri creati dallo scoppio di bombe della Prima guerra mondiale ha segnato un livello di precisione molto alto e prossimo al 90%. Inoltre, uno dei punti più forti dell’intero metodo GEOBIA sta nella classificazione ottenuta. Essa, infatti, non è finale e grazie alla sua versatilità può essere esportata come shapefile con quanti attributi si desidera.
A fronte di tale successi, sussistono ancora alcune criticità da superare. A livello procedurale, infatti, il software migliore è eCognition, programma non open e abbastanza costoso351; sviluppi
futuri della disciplina non possono prescindere dalla necessità di disporre di algoritmi non chiusi e programmi più economici352. Inoltre, ai fini dell’applicabilità all’interno dei modelli predittivi,
sussiste qualche discrasia tra le categorie utilizzate nella procedura e le classificazioni geo- morfologiche utilizzate dagli archeologi. Il lavoro di quest’ultimi rimane fondamentale per meglio calibrare la specificità dell’analisi. La ricerca di strutture archeologiche sepolte costituisce, senza dubbio, una delle operazioni più complesse in quanto entrano in gioco numerosi fattori esterni quali la natura geomorfologica del terreno (basti pensare alla peculiare geologia dell’area oggetto del nostro studio, versante nord-occidentale dell’Etna) e le dinamiche post-deposizionali. Ecco perché, nonostante i progressi continui della disciplina, sia dal punto di vista metodologico che tecnologico353, si continua a parlare di lettura semi-automatica o di automazione controllata.
350VERHAGEN-DRĂGUŢ 2011, p. 702.
351Tra acquisto del pacchetto base e di più di una licenza si supera con facilità il costo di qualche migliaia di euro. 352KNOTH-NÜST 2017 l’adozione di pratiche GEOBIA in contesto open; per un focus sui tool offerti da Python
CLEWLEY et al. 2014.
353Basti pensare ai recenti contributi apparsi in letteratura volti alla creazione di ontologia GEOBIA. Vedi per esempio