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3.1 I MODELLI PREDITTIVI E LA NASCITA DI UN APPROCCIO POSTDITTIVO IN ARCHEOLOGIA

3.1.2 I modelli predittivi in archeologia

3.1.2.1 Modelli predittivi in archeologia: il caso dei Paesi Bass

L’introduzione dei modelli predittivi e delle mappa di predittività archeologica è strettamente correlata, in Olanda come nel resto del mondo, al tema più generale sui costi e sui benefici dei progetti di ricerca. Almeno nella fase iniziale, i principali attori della politica della tutela del patrimonio culturale nella terra dei mulini erano lo Stato e le province; una sana cooperazione tra sfera statale e locale, sviluppata all’interno di un generale controllo centrale, costituiva l’impalcatura su cui si muovevano i primi progetti archeologici predittivi. Sfruttando la disponibilità dell’ampio dataset archeologico nazionale259 (chiamato ARCHIS) e delle mappe geologiche del

256VERHAGEN et al. 2010.

257Ne sono coscienti gli stessi colleghi olandesi: «Dutch academic reviews of the topic have sine played a relatively

influential role internationally, as can already be seen from the above review of the international context» , VAN LEUSEN et al 2005, p. 38.

258Sulle metodologie adottate e sui risultati dello studio sui primi modelli predittivi olandesi vedi VAN LEUSEN-

KAMERMANS 2005.

259L’Olanda si è dotata di una carta archeologica in cui sono rappresentate tutte le emergenze monumentali e

archeologiche già note (Dutch Archaeological Monuments Map). Sebbene secondo la critica vi sia una sovra- rappresentazione dei monumenti tardo medievali e di quelli databili tra Neolitico ed Età del Ferro, essa costituisce uno strumento di base fondamentale per la costruzione di un modello predittivo.

suolo, era, infatti, abbastanza facile creare, grazie anche alle potenzialità del GIS, mappe di predizione di media e piccola scala260. Tali prodotti, tra cui le già citate tre versioni della IKAW261

(in scala 1:50), di matrice fortemente induttiva, ottennero un gran successo in quanto fornivano ai

policy makers esattamente le informazioni che cercavano. In maniera molto semplice, infatti, con un

rapido sguardo alla mappa, era possibile capire, attraverso l’impiego di tre colori, se, nella zona in questione, le possibilità di rinvenimento di siti archeologici fossero alte (rosso), medie (arancione) o scarse (giallo); la colorazione indicava anche la prassi operativa: con il rosso scaturiva la necessità di intraprendere lavori archeologici preliminari, con il giallo era imposta la sorveglianza, mentre per le aree verdi non era necessaria alcuna prescrizione. Se le autorità pubbliche erano, pertanto, perfettamente a loro agio con questo tipo di strumento, le maggiori perplessità le avevano gli archeologi. La principale critica a questa cartografia risiedeva nella evidente sovra-rappresentazione dei siti posti alle quote più alte262. La conoscenza della natura geologica del paese aveva messo in

luce, infatti, come i siti dell’Olocene si trovassero a profondità maggiori rispetto a quelli del Pleistocene, e, pertanto, essi erano palesemente sotto rappresentati. L’unica speranza di scavare e preservare un sito dell’Olocene giaceva nella possibilità che esso si trovasse in un’area rossa o almeno arancione. «Instead of increasing the archeological return, the predictive map had soon

become a means to save costs263». Giova sottolineare come il passaggio tra l’impiego di mappe di

matrice induttiva a mappe di predittività non sia avvenuto grazie alle rimostranze degli archeologici ma a causa di alcune riforme e cambiamenti nella legislazione olandese. Come in gran parte dei paesi europei, la tutela centralista e statalista ha recentemente passato la mano a una decentralizzazione, in cui un ruolo di primo piano è occupato dalle forme di autorità locale più

attuale degli Open Data in archeologia. Per ovvie ragioni di spazio non è possibile affrontarlo, rimandiamo, pertanto, alla recentissima e vasta bibliografia sviluppata anche per il nostro Paese. Sul rapporto tra Open Data e predittività in Italia vedi ANICHINI et al. 2015; D’ANDREA 2013 su archeologia preventiva e Open Data. Su Archeologia tra Open Data e Open Source, capitolo 12, pp. 1003-1037 del volume del CAA 2015 edito da CAMPANA et al. 2016. Sugli Open Data in Italia: MOSCATI 2015; i volumi di ARCHEOFOSS, soprattutto quello del 2013; da leggere il MODA, Manifesto Open Data Archeologici (consultabile all’indirizzo

http://www.archeofoss.org/2015/11/moda-manifesto-open-data-archeologici/, ultimo accesso 10/07/2017); ANICHINI 2013; ANICHINI et al. 2013a. Da segnalare anche il notissimo Fasti Online, progetto dell’Associazione Internazionale di Archeologia Classica e dell’Università del Texas ad Austin, finanziato anche dal nostro MiBACT.

260Per una revisione delle principali esperienze predittive olandesi VERHAGEN et al. 2005. In questo caso, con il

termine piccola scala intendiamo progetti che prevedono lo studio di aree inferiori ai cento ettari.

261La pubblicazione della prima edizione risale al 1997. 262VAN LEUSEN-KAMERMANS 2005.

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piccole, le municipalità. Inoltre, l’archeologia, entrata in quella fase che viene definita post-Malta264

, è stata rivoluzionata anche nelle sue forme di finanziamento, con una definitiva privatizzazione della ricerca, che, invece, in precedenza era affidata agli enti statali di ricerca (Università)265. Da

un’archeologia quasi esclusivamente legata ai fondi pubblici266 e definita research-driven si è

passati, utilizzando la terminologia di stampo anglosassone diffusa in letteratura, a una compliance

driven a. La differenza concettuale e lessicale non è legata alla natura dei fondi utilizzati per le

ricerche, quanto all’approccio stesso alla disciplina. Da un punto di vista economico, il principio motore del cambiamento è il polluters pay principle, introdotto nella prassi e, in seguito, nella legislazione. Si tratta del meccanismo che prevede che gli oneri e i costi dei lavori archeologici, nel nostro caso, spettino ai soggetti privati che stanno realizzando l’opera. Un criterio assai semplice ma che insieme al processo di privatizzazione fu foriero di grandi trasformazioni. Moltissimi fondi, soprattutto in alcuni paesi come la Francia, provengono ancora dalla spesa pubblica.

All’interno del nuovo quadro, a occuparsi di tutela e di pianificazione ambientale non erano più lo Stato e le province ma i comuni, enti pubblici che divennero, a tutti gli effetti, i promotori delle indagini archeologiche Mutando le stazioni appaltanti mutarono anche gli obiettivi delle indagini. Le piccole realtà municipali, infatti, non erano più interessate a usufruire di cartografie di media scala in quanto le attenzioni erano rivolte esclusivamente al loro (relativamente) piccolo territorio comunale; inoltre, in mancanza di sufficienti fondi destinabili alla tutela, i nuovi programmi spingevano per esplorare più le zone colorate in arancione e giallo piuttosto che quelle in rosso. Da un punto di vista strettamente archeologico, ciò causò un altro passaggio epocale, poiché l’interesse divenne la qualità dei siti e non la densità dei siti. Siamo giunti, nella nostra esposizione, ad uno dei punti centrali a cui avevamo fatto menzione anche nelle pagine precedenti: la necessità di stabilire, in qualche maniera, dei parametri di qualità, dei veri e propri standard.

The issue of quality, per dirlo in inglese, riecheggiava già nelle parole di Verhagen e costituisce,

naturalmente, una problematica non esclusiva dell’Olanda. L’elemento da mettere in risalto, almeno

264Come già ricordato nei capitoli precedenti, la Convenzione de La Valletta del 1992 ha segnato un punto di svolta per

l’archeologia dei e nei paesi europei. In Italia, al contrario, si è dovuto aspettare oltre un ventennio per la ratifica del provvedimento, con grave danno per l’applicazione sistematica dell’archeologia preventiva. Anche in Olanda, in realtà, la Convenzione è stata ratificata solo nel 200. Nonostante ciò, già almeno dai primi anni del nuovo millennio l’archeologia era già considerata e valutata come un fattore nel processo di pianificazione territoriale. Per una posizione quasi critica sui risvolti della Convenzione di Malta nei Paesi Bassi vedi in DUINEVELD et al. 2013.

265Sui cambiamenti post Convenzione della Valletta vedi VAN DEN DRIES 2013.

266A onor del vero, il progetto di carattere nazionale Strategic Research into, and Development of Best Practice for,

Predictive Modelling on behalf of the Dutch Cultural Resource Management, iniziato nel 2002 e conclusosi tre anni più tardi, fu finanziato dalla Dutch Organisation for Scientific Research (NWO).

a parer nostro, è però la rapidità e le modalità con le quali nei Paesi Bassi affrontarono la situazione. In Italia, ancora oggi, nessuna normativa regola la creazione di mappe di predittività archeologica. L’unico documento inerente gli standard di qualità è la circolare numero 10 della (fu) Direzione Generale per le Antichità (adesso DG Archeologia Belle Arti e Paesaggio), firmata da L. Malnati nel 2012, concernente, però, l’archeologia preventiva267. Il pregevole allegato numero 3268 alla

circolare costituisce l’esempio italiano migliore e assai moderno per quella metodologia che abbiamo definito come expert-judgment. Il documento ministeriale presenta una scala cromatica assai ricca, con ben dieci colori utilizzati per indicare altrettanti gradi di potenziale archeologico. L’elemento da mettere in risalto è la considerazione che il potenziale archeologico di un sito vada messo in relazione con il grado di rischio insito nel progetto e il suo impatto effettivo sulla stratificazione archeologica. In particolare, come si evince dalla figura 1, qualora l’impatto sia accertabile, esso può variare da basso a rischio esplicito. Nel primo caso, è garantita la tutela grazie alla distanza esistente tra il contesto archeologico e l’area in cui ricade il progetto. Se, invece, il progetto insiste proprio nella zona in cui è chiara la presenza di stratificazioni archeologiche il rischio archeologico sarà esplicito e difficilmente compatibile con l’opera da realizzare.

Figura 1. Tavola dei gradi di potenziale archeologico: ben dieci colori pantone per esprimere la complessità del potenziale archeologico in relazione al rischio e all’impatto del progetto (allegato n.3 della circolare 1/2016 del MiBACT)

267‘Indicazioni operative in merito alle attività di progettazione ed esecuzione delle indagini

archeologiche’. Circolare consultabile all’indirizzo:

http://www.archeologiapreventiva.beniculturali.it/documenti/Circolare_010_2012.pdf; MALNATI 2005. Il documento della DG fissa chiaramente alcuni paletti (compilazione schede MODI, piazzamento topografico delle stratificazioni emerse) sulla qualità del della documentazione necessaria per l’approvazione della relazione archeologica preventiva. Sugli standard dell’archeologia predittiva vedi anche D’ANDREA 2008.

268Allegato Consultabile all’indirizzo:

http://www.ufficiostudi.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1455720796544_Circolare_01_2016_All egato_03.pdf

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In Olanda, invece, già con l’inizio del nuovo millennio avevano trovato la soluzione. All’interno della nuova legislazione culturale, fu introdotto il Dutch Archeology Quality Standard (KNA:

Kwaliteitsnorm Nederlandse Archeologie)269. Il documento consta di una serie di protocolli e

costituisce la spina dorsale del processo di tutela e conservazione del patrimonio archeologico. In esso sono descritte e attentamente analizzate diverse tecniche di ricerca, invasive o meno, al fine di rendere il meno difficile possibile la scelta sulla metodologia da adottare; inoltre, sono nettamente distinti tre momenti: fase esplorativa, fase di mappatura e fase di valutazione. Durante il primo momento, si cerca di indagare e comprendere la natura geologica dell’area investigata, cercando di avere chiaro quale sotto-area possa avere un’alta possibilità di rinvenire materiale archeologico e quale una bassa; il prodotto di questo lavoro è una mappa predittiva deduttiva, con una scala relativamente bassa e un livello di dettaglio confrontabile con le tradizionali cartografie induttive. In un secondo momento, si segnano con maggiore attenzione le aree più delicate e, infine, si esprime un giudizio sui siti rinvenuti. Come si vede, il meccanismo permette di tornare indietro, un po’ come nel gioco dell’oca, prendere tempo e valutare nuovamente la situazione. Il workflow permette, infatti, una continua valutazione, in ogni singolo momento, dei costi e dei benefici del processo archeologico, dando la possibilità, anche quando si è scelto di intraprendere una strada, di bloccare tutto e tornare indietro270.

Il risultato dell’intero processo di decision-making non può essere, pertanto, limitato esclusivamente al dualismo assenza/presenza di sito in quanto esso è, in realtà, il frutto di una precisa scelta politica fatta a monte, sulla basi di una carta di predittività, e collegata alla questione su quale tipologia di insediamento debba essere ricercata. Il modello predittivo costituisce, quindi, nella costruzione olandese un vero e proprio policy instrument, uno strumento politico. «A predictive model is a

decision rule conditional on other non-archaeological features of locations271».