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l’approccio di rete

l’universo degli indicatori considerat

3.5 lo studio delle relazioni in agricoltura

3.5.2 l’approccio di rete

Appare quindi evidente come, negli studi sul capitale sociale, sia emersa sempre più l’importanza delle reti di relazione e, di conseguenza, siano aumentate le analisi e le considerazioni sul suo ruolo specifico nello sviluppo dell’impresa e dei territori.

La rete di relazioni, tuttavia, non viene vista in tutti gli studi dalla stessa prospettiva. In alcuni casi si enfatizza il numero dei nodi della rete, in altri la tipo- logia di relazione, in altri ancora entrambi gli indicatori. Per Granovetter (2005), ad esempio, nei gruppi il cui social network è denso e coeso, gli attori tendono a interiorizzare le norme che scoraggiano il free riding e ad accentuare i legami di fi- ducia. I grandi gruppi generalmente hanno densità di rete inferiore, perché le per- sone hanno limiti cognitivi, emotivi, spaziali e temporali che incidono sul numero di legami sociali che è possibile sostenere. Così, più grande è il gruppo, minore è la sua capacità di cristallizzare e far rispettare le norme, comprese quelle contro il free riding. Il ruolo dei conoscenti, in una rete larga, è fondamentale perché essi - essendo persone meno vicine e simili - hanno conoscenze diverse e permettono la connessione a un mondo più ampio. I conoscenti, quindi, costituiscono risorse migliori per la risoluzione di problemi e il supporto a esigenze specifiche rispetto agli amici stretti e ai parenti, nonostante questi siano più interessati ad aiutarci. Granovetter (1973, 1983) definisce questo fenomeno “la forza dei legami deboli”, cioè quei legami artificiali rappresentati dalle relazioni sociali quotidiane, di tipo economico, istituzionale, professionale.

Più in generale, in questo tipo di analisi risulta centrale non la qualità di ogni singolo legame, ma il modo in cui le differenti parti della rete sono tra loro

collegate (Burt, 1992). In questo senso, individui con legami in reti multiple larga- mente separate le une dalle altre si trovano in una situazione di vantaggio stra- tegico rispetto a individui con reti ricche di legami significativi e forti, ma di entità minore.

Trasferendo il concetto in campo scientifico, possiamo affermare che nuo- ve informazioni e idee sono più efficientemente diffuse attraverso legami deboli (Granovetter, 1993), i quali riescono a veicolare informazioni meno significative ma uniche e non ridondanti, in quanto in gran parte scollegati dagli altri segmenti della rete sociale.

Nello studio delle interazioni tra reticoli, è possibile individuare anche piani intermedi in cui si determinano le condizioni affinché un’esperienza interindivi- duale possa esercitare un’azione trasformativa nei confronti della comunità e da questa, di nuovo, retroagire sulle dinamiche delle singole reti (Granovetter, 1998). Il legame-ponte di Granovetter assume in questo senso un valore centrale in quan- to elemento di connessione di reti relazionali molto coese ed omogenee che al- trimenti non entrerebbero in contatto. In un sistema con forte coesione interna, infatti, esiste un elevato rischio di stagnazione dei rapporti che porta a un congela- mento di ogni opportunità trasformativa.

Le reti tecnologiche in questo senso possono rappresentare occasioni im- portanti per riconnettere gruppi di attori anche molto lontani tra loro, annullando la distanza fisica, e per costruire collaborazioni funzionali, scambiare conoscenze, produrre cambiamenti8. Tali reti possono assumere forme e dimensioni differenti

(estese o focalizzate, specializzate o diversificate, a progetto o permanenti, ecc.), essere finalizzate all’innovazione, al consolidamento di conoscenze, ecc.

Nell’ambito degli studi aziendali, la scuola svedese di business marketing (Axelsson, Eston, 1992) nata negli anni ’80, ha dato un grande apporto alla rifles- sione sui rapporti di collaborazione e sub-fornitura tra le imprese manifatturie- re. In Italia, nello stesso periodo sono stati realizzati numerosi studi sulle “reti di imprese” e sui modelli di sviluppo locale basati su insiemi eterogenei di piccole e medie imprese, coordinate da un attore “forte” (impresa focale). Ne sono un esem- pio tutti gli studi sui distretti industriali, sulla “terza Italia”, sul modello emiliano o su quello veneto.

L’analisi dei distretti rurali e agro-alimentari si inserisce nel filone di studi che pone particolare attenzione ai processi di sviluppo rurale e alle teorie dello sviluppo endogeno, soffermandosi sull’importanza del capitale umano e sociale di 8 Si veda l’appendice al capitolo per un approfondimento sul social networking on line.

un territorio. Agli studi condotti negli anni 90 (Iacoponi, 1990; Fanfani, Montresor, 1991; Cecchi, 1992; Pacciani, 1998 e altri) è seguito anche un aumento dell’at- tenzione dei politici e degli amministratori che ha portato alla definizione di una legge di orientamento per l’agricoltura, il DL 228 del 2001, per l’individuazione dei distretti rurali e dei sistemi locali agro-alimentari, che appare una diretta deriva- zione dal modello dei distretti industriali. Tuttavia, viste le notevoli differenze tra sistema industriale e sistema agricolo, risulta difficile, sia sul piano teorico sia su quello pratico, “trasferire” al rurale e all’agro-industriale la configurazione spa- ziale del distretto industriale. Ciò che è invece possibile, osserva Iacoponi (2001), è trasferire al distretto agroalimentare e rurale la “filosofia” dei rapporti interim- prenditoriali e inter-sociali, cioè quegli “ispessimenti” di relazioni tra imprese, enti pubblici e società locale, che ne costituiscono la caratteristica principale.

Dall’applicazione della legge quadro ad oggi si sono susseguiti gli studi di fattibilità sui distretti rurali e agro-industriali e quelli sullo sviluppo dei distretti istituiti. Dalle indagini condotte è emersa la rilevanza delle dimensione spaziale nello sviluppo, nonostante i processi di globalizzazione e di delocalizzazione delle produzioni. La dimensione spaziale appare rilevante soprattutto in relazione alla presenza di risorse materiali e immateriali, di istituzioni locali e di soggetti socio- economici (Alfano, Cersosimo 2009). La globalizzazione delle imprese distrettuali, infatti, può essere interpretata soprattutto come globalizzazione delle conoscenze (Rullani, 1998; Rullani e Micelli, 2004), e non come un allontanamento dal territo- rio (delocalizzazione delle attività di produzione).

Secondo l’approccio organizzativo-manageriale, le reti di imprese costitui- scono un modo efficiente di sostituire relazioni di mercato anonime con forme di collaborazione (Powell, 1990), caratterizzate da reciprocità, reputazione, fiducia (Belussi, 2000) e apprendimento (Powell et al., 1996). Nel campo organizzativo, secondo questa prospettiva, le reti sono state studiate attraverso le metodologie della social network analysis, che assumono come indicatori fondamentali la den- sità e il numero dei legami, la centralità nella rete, closeness e betweeness degli attori-nodi, ecc. (Smith-Doer, Powell, 2004).

L’analisi della rete cambia sostanzialmente se l’attenzione è posta priorita- riamente su un attore (ego-net-work) o su un gruppo di soggetti; in questo secon- do caso, è necessario procedere prima alla definizione dei confini della rete e poi all’analisi dei legami in essa presenti. L’analisi dei legami può mettere in evidenza elementi di leadership, di mobilità sociale, cooperazione, apprendimento, ecc., a seconda della prospettiva adottata e della finalità dell’indagine. I legami carat- terizzati da cooperazione possono essere particolarmente significativi per com-

prendere l’influenza dei rapporti di fiducia (intesa come reliance, cioè come fiducia nella capacità di un individuo di effettuare una certa attività) sulla performance economica delle imprese. Sulla fiducia sono state elaborate diverse teorie: per alcuni essa costituisce il capitale sociale; per altri è un bene relazionale individua- le; per altri ancora un elemento della governance estesa dell’impresa, elemento propulsivo e di sostegno nel networking economico. Il nesso fiducia-network è ampliamente applicato nel campo delle teorie economiche manageriali. Una ricca letteratura si occupa dello sviluppo territoriale di reti definite nello spazio, come sistemi locali di piccola impresa e distretti (sintetizzata da Belussi, 2007); di reti sociali inter o intra-aziendali, come le comunità virtuali, le comunità di pratiche, le comunità scientifiche (Gittelman, 2006; Newman, 2002), che contribuiscono alla diffusione delle conoscenze e alla connessione tra il mondo scientifico e quello delle imprese; di network di imprese, come le reti di impresa centrate, le reti non co-localizzate, le reti multifunzionali.

In generale, la rete di relazioni rappresenta anche un elemento di analisi per gli studi che approcciano il tema dell’agricoltura periurbana dal punto di vista della prossimità e della maggiore vicinanza - misurata in termini geografici, culturali, sociali - tra produttori e consumatori/cittadini, sia per quanto riguarda i consumi (in particolare per la filiera corta) sia per quanto riguarda la creazione e il consu- mo/utilizzo di altri beni - di tipo ambientale, sociale e culturale. In questo senso appaiono particolarmente interessanti le analisi delle relazioni su base locale fina- lizzate alla creazione di sistemi di welfare alternativo che ricorrono in particolare negli studi di Di Iacovo (2004, 2008) e Senni (2008).