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sostenibilità, ambiente e agricoltura una bussola per orien tarsi tra i diversi approcc

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2.2 sostenibilità, ambiente e agricoltura una bussola per orien tarsi tra i diversi approcc

La situazione che il settore primario si trova oggi a dover affrontare è ben sintetizzata nel rapporto annuale della FAO sullo stato dell’agricoltura (FAO, 2009b):

“The global food and agriculture sector is facing several challenges, inclu- ding demographic and dietary changes, climate change, bioenergy development and natural-resource constraints.”

La sfida della sostenibilità in agricoltura, quindi, consiste nel conciliare obiettivi apparentemente molto diversi tra loro in un’ottica di lungo periodo: la profittabilità dell’attività economica, la corretta gestione delle risorse naturali, la tutela dell’ambiente e l’apporto calorico necessario per soddisfare il fabbisogno nutrizionale di una popolazione mondiale in continua crescita.

A questo bisogna aggiungere quella che potremmo definire una sfida nel- la sfida, ossia quella di misurare la sostenibilità. La quantificazione dei risultati dell’attività agricola costituisce un passaggio necessario per individuare concreta- mente le azioni prioritarie, per valutare i risultati delle diverse misure d’intervento e, più in generale, per indirizzare le politiche di sostenibilità rivolte al settore pri- mario. Per rispondere a questa esigenza, nell’arco di due decadi e mezzo dall’or- mai celebre rapporto della Commissione Brundtland (1987), sono stati proposti numerosi approcci tra loro anche molto differenti.

Nell’ambito della sostenibilità dei sistemi agricoli, se da un lato sono au- mentate le informazioni a disposizione1, dall’altro però i risultati dei diversi studi

risultano raramente integrabili ed armonizzabili, generando una sorta di compe- tizione tra i differenti strumenti di misura (Russillo, Pintér, 2009). In altre parole, il quadro generale che si viene a delineare spesso rischia di confondere piuttosto che orientare.

Alla base di questa situazione possono essere individuate almeno due ra- gioni principali. In primo luogo la valutazione della sostenibilità in agricoltura è un’operazione intrinsecamente complicata, poiché dipende dalle complesse in- terazioni tra tecnologia, economia, società e ambiente, le cui componenti d’inte- resse tendono a variare a seconda della dimensione spaziale di riferimento - in- ternazionale, nazionale, regionale, locale, aziendale o di campo - e dell’orizzonte temporale considerato (Rao, Rogers, 2006); in secondo luogo, diverse proposte di misurazione della sostenibilità agro-ambientale sono nate su iniziativa di singoli ricercatori o gruppi di ricerca, e solo di rado nell’ambito di programmi coordinati a livello internazionale. Di conseguenza molti studi risultano ancorati al contesto, agli obiettivi e agli interlocutori specifici del progetto entro cui si sono sviluppati e sono difficilmente generalizzabili (Dillon et al., 2007).

Per questo motivo, la breve rassegna della letteratura che segue non vuole 1 Ad esempio, già nel 2002 l’International Insitute for Sustainible Development (IISD) - nell’ambito di un progetto condotto in collaborazione Environment Canada, Redefining Progress, World Bank e United Nations Division for Sustainable Development - riportava 895 differenti iniziative di misura- zione della sostenibilità, raccolte e classificate in un portale on-line di libero accesso: http://www. iisd.org/measure/compendium/ (ultimo accesso: 26/10/2012).

fornire un quadro esauriente di tutte esperienze di misurazione della sostenibili- tà agro-ambientale condotte nel tempo, ma ha invece l’obiettivo di fornire i punti cardinali entro cui spostarsi: non si tratta cioè di una cartina dettagliata, quanto piuttosto di una bussola per orientarsi in uno spazio che altrimenti rischierebbe di risultare troppo intricato.

Una prima grande distinzione, che riflette i due grandi filoni metodologici usati tradizionalmente per la valutazione delle esternalità ambientali (Turner et al., 1993; Pireddu, 2002), è quella tra gli approcci di natura economica e quelli di natura fisica. Sebbene entrambi abbiano come obiettivo quello di ricondurre ad un’unica unità di misura la grande complessità dei fenomeni che entrano in gioco in questo tipo di analisi, i primi puntano alla valutazione monetaria dei beni e dei servizi forniti dagli ecosistemi e dall’ambiente, mentre i secondi si concentrano piuttosto sulle quantità di materia o di energia utilizzate nei diversi processi di produzione. Ad ogni modo bisogna precisare come in molti casi i due metodi, più che escludersi, siano adoperati in modo complementare.

Tra i primi possiamo far rientrare tutto il filone di ricerche macroeconomi- che legate alla cosiddetta contabilità ambientale e alle misure del PIL corretto, di cui si è già parlato nel corso del capitolo precedente (cfr. par 1.3.3), nonché le analisi costi-benefici, che vengono spesso applicate in ambito microeconomico o limitatamente ad uno specifico aspetto ambientale (Hill et al., 2006; Sijtsma et al., 1998); del secondo gruppo, invece, fanno generalmente parte le metodologie ispirate al concetto di Life Cycle Assessment (LCA), che puntano a quantificare il consumo fisico di risorse associato all’intero ciclo di vita di un prodotto (Blengini, Busto, 2009; La Rosa et al., 2008) e gli indici assimilabili all’impronta ecologica, anch’essi descritti in precedenza (par. 1.1.3.4).

Entrambi gli orientamenti presentano pregi e difetti, e si rivelano più o meno adatti a seconda del contesto di riferimento e dell’oggetto di studio specifico. L’ap- proccio basato sulla valutazione monetaria consente di confrontare agevolmen- te quanto avviene in ambito economico, sociale ed ambientale proprio ricorrendo all’equivalenza in termini valutari. Tuttavia, occorre sottolineare come sia spesso difficile attribuire l’esatto corrispettivo monetario all’intero spettro di beni e servizi prodotti dall’ambiente: in altre parole, c’è il rischio concreto di sottostimare o ad- dirittura omettere tutti quei fenomeni a cui non siamo in grado di dare un prezzo.

Il metodo basato sui flussi di materia ed energia è potenzialmente in grado di descrivere meglio quanto accade nella sfera ambientale, ma spesso a scapito di una visione delle interrelazioni tra le diverse sfera della sostenibilità (economia, ambiente e società).

Una classificazione più dettagliata delle metodologie di valutazione del- la sostenibilità dei sistemi agricoli è quella proposta ad esempio da Payraudeau e Van der Werf, che individuano sei approcci e ne confrontano le caratteristiche prendendo in esame undici casi di studio ritenuti esemplificativi:

- Environmental Risk Mapping (ERM) - Life Cycle Assessment (LCA)

- Environmental Impact Assessment (EIA) - Multi-Agent System (MAS)

- Linear Programming Approches (LP) - Agro-Environmental indicators (AEI).

Secondo gli autori di questa classificazione, la grande varietà degli approcci esistenti può essere spiegata dalla diversità degli utilizzatori finali e degli obiettivi specifici, dalle dimensioni di sostenibilità considerate e infine dal livello di disag- gregazione spaziale oggetto dell’indagine (fig. 2.1).

Figura 2.1 - Caratteristiche degli studi analizzati da Payraudeau e Van der Werf

Fonte: Payraudeau e Van der Werf, 2004

Il primo approccio ha come obiettivo la georeferenziazione dei rischi am- bientali attraverso un sistema di tipo GIS. Questa tecnica richiede che le infor- mazioni siano esattamente localizzabili nello spazio ed è spesso utilizzata per quantificare l’impatto ambientale di uno specifico fenomeno (uso di pesticidi,

lisciviazione dei nitrati di origine agricola…)2; i metodi LCA ed EIA, invece, sono

due sistemi di valutazione dell’impatto ambientale ormai formalizzati secondo i dettami dell’International Organization for Standardization (ISO). Mentre il primo si concentra sull’intero ciclo di vita di un prodotto, il secondo è generalmente uti- lizzato per valutare l’impatto ambientale di una nuova fonte inquinante localizzata, come ad esempio un nuovo impianto produttivo o un’infrastruttura; i metodi LP e multi-agente (MAS), sono da inserire nella categoria dei modelli di ottimizzazione lineare, e possono essere di natura sia statica che dinamica; la classe dei metodi di tipo AEI è quella che comprende le valutazioni di sostenibilità ambientale basate sulla selezione di un appropriato set di indicatori (Payraudeau, Van der Werf, 2004). Quest’ultima categoria, che prevede l’individuazione di un set di indicatori che talvolta può essere aggregato in un unico indice sintetico (cfr. par. 1.1.3.1 e par 1.1.3.2), richiede un ulteriore approfondimento. Tale impostazione, nota anche come Principles, Criteria and Indicators (PC&I)3, è stata ampiamente utilizzata in diversi campi grazie alle sue doti di semplicità e versatilità, dalle certificazioni eco- logiche a livello aziendale, alla valutazione di specifici aspetti di sostenibilità delle politiche nazionali ed europee (Van Cauwenbergh et al., 2007).

In linea generale un indicatore fornisce informazioni sullo stato di funziona- mento di un sistema. Nello specifico, Panell e Schilizzi definiscono gli indicatori di sostenibilità come “attributi misurabili e quantificabili di un sistema, ritenuti stret- tamente collegati alla sostenibilità del sistema stesso” (Panell, Schilizzi, 1999).

Le prime iniziative di misurazione della sostenibilità ambientale dell’agri- coltura tramite un set di indicatori erano inizialmente caratterizzate da un’elevata soggettività nei criteri di scelta e di aggregazione degli indicatori e risultavano tra loro eterogenee (Rao, Rogers, 2006). Nel corso del tempo, l’esigenza di dare a questo metodo una veste più rigorosa e formale ha portato progressivamente all’e- laborazione sistematica di principi e criteri di sostenibilità, a cui venivano associati gli indicatori più adeguati.

In particolare, per la valutazione della sostenibilità in agricoltura, si è anda- to affermando e consolidando l’utilizzo del modello Pressure - State - Response (PSR), originariamente proposto dallo statistico canadese Anthony Friend negli anni ’70 del secolo scorso (Dillon et al., 2007).

Dopo essere stato adottato dall’European Environment Agency (EEA) per in- 2 Si veda il capitolo 5 di questo volume per lo sviluppo di analisi sulla valutazione della sostenibilità

da dati georeferenziati.

3 Un’applicazione del metodo, e in particolare della sua estensione mediante modello SAFE, si trova anche nell’ambito di questo lavoro (cfr. cap. 6).

tegrare la dimensione ambientale nelle valutazioni connesse alla politica agricola comunitaria (PAC) (European Commission, 2000), questo metodo è stato utilizzato anche dall’OCSE per l’individuazione degli indicatori ambientali connessi alle at- tività agricole. Nel corso dell’ultimo decennio, inoltre, è stato rielaborato in una forma ancora più rigorosa e complessa: Driving forces - Pressure - State - Impact - Response (DPSIR) (fig. 2.2).

Figura 2.2 - Struttura generale dello schema DPSIR applicato all’ambiente

Fonte: European Commission - Joint Research Centre (JRC).

L’intuizione di fondo è che la pressione esercitata dalle attività umane sull’ambiente e sulle sue componenti possa essere rappresentata ricostruendo la catena di relazioni causa-effetto ad essa sottesa. Alla base dello schema DPSIR, dunque, c’è l’individuazione dello stato attuale di un sistema, che nel nostro spe- cifico caso possiamo definire agro-ecosistema, e del modo in cui questo evolve nel tempo. In questo senso, gli indicatori possono fornire informazioni sia sulle situa- zioni indesiderate, che vanno combattute, sia sugli stati desiderabili per le diverse variabili da cui il sistema è composto. Il passo successivo riguarda l’individuazio- ne delle fonti di pressione e la quantificazione dell’impatto da esse generato. Tali fonti di pressione vengono infine messe in relazione con le driving-forces - come ad esempio l’uso del suolo, l’uso degli input o le tecniche di gestione dell’azienda

agricola - e con le risposte che la società e la politica pongono in essere (Mat- thews, 2003).

Un’interessante applicazione dello schema DPSIR per la valutazione della soste- nibilità agricola è quello proposto da Rao e Rogers nel 2006, riportato nella figura 2.3. Figura 2.3 - Componenti di sostenibilità dell’agricoltura secondo lo schema DPSIR

Oggi, all’interno di questa categoria possono essere inserite le principali iniziative di misurazione della sostenibilità ambientale in agricoltura condotte sia a livello nazionale che internazionale. Nel nostro paese, uno studio condotto dall’I- NEA (Trisorio, 2004) utilizza un set di 35 indicatori, suddivisi tra ambiente, econo- mia e società secondo lo schema DPSIR. A livello europeo, lo schema in questione è alla base del progetto IRENA (EEA, 2006) che, attraverso l’individuazione di 42 indicatori agro-ambientali, si pone l’obiettivo di introdurre le questioni ambientali nelle decisioni connesse alla PAC.

L’OCSE, nella sua periodica pubblicazione Environmental Indicators for Agriculture, giunta ormai al quarto volume, utilizza lo schema DPSIR per organiz- zare il set di indicatori proposto (OECD, 2009). Il ricorso all’impostazione DPSIR è ricorrente anche quando l’unità di riferimento è la singola azienda agricola (Rigby et al., 2001; Simoncini, 2004).

Prima di discutere la metodologia d’indagine specifica che verrà adottata nel proseguo di questo capitolo e le ragioni che ne hanno determinato la scelta, è però necessario soffermarsi sulle principali caratteristiche del metodo di produ- zione biologico e sul rapporto che lo lega al concetto di sostenibilità ambientale.

2.3 agricoltura sostenibile e agricoltura biologica. un’identità