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Indicatori di sostenibilità sociale dell’agricoltura biologica: una rassegna della letteratura

l’universo degli indicatori considerat

3.4 Indicatori di sostenibilità sociale dell’agricoltura biologica: una rassegna della letteratura

Sebbene il concetto di sostenibilità sociale applicato allo sviluppo rurale e all’agricoltura non trovi univoche interpretazioni, in letteratura esiste ormai un buon numero di analisi che, con approcci metodologici diversi, indaga il ruolo del settore primario e di quello biologico in particolare, rispetto alle molteplici dimen- sioni sociali dello sviluppo. Da queste è possibile trarre indicazioni utili per indi- viduare gli attributi sociali legati alla sostenibilità e gli indicatori maggiormente utilizzati e per definire un percorso metodologico che valuti il contributo dell’agri- coltura biologica nel sostenere la vita e le comunità rurali. Le ricerche presenti in letteratura individuano dimensioni ascrivibili a un concetto di sostenibilità classi- co, inteso come la capacità di creare e mantenere il capitale umano e la possibilità da parte dell’attività agricola di remunerarlo.

In quest’ottica si inserisce il percorso di analisi proposto da Gomez-Limon e Sanchez-Fernandez (2010), in cui la valutazione della sostenibilità sociale dell’a- gricoltura (senza distinzione fra biologico e convenzionale) è condotta utilizzando criteri e indicatori di tipo quantitativo legati al principio della funzione sociale che essa svolge: ottimizzazione delle condizioni di lavoro, struttura della forza lavoro, mantenimento della popolazione nelle aree rurali, continuità intergenerazionale in agricoltura, adeguata dipendenza dall’attività agricola. Gli indicatori usati sono quelli che comunemente è possibile trovare nelle fonti statistiche ufficiali prodotte ai vari livelli territoriali e che sono riferiti all’azienda e alle sue caratteristiche.

Nel tracciare un percorso metodologico di valutazione della sostenibilità so- ciale dei sistemi agricoli, anche Parent et al. (2010) ragionano in maniera simile. Gli Autori, nel concettualizzare la sostenibilità sociale dei sistemi agricoli, la de- finiscono in termini di vitalità tecnica ed economica in grado di generare reddito a lungo termine, ma anche di vivibilità intesa come qualità della vita per l’agricoltore e la sua famiglia e di trasmissibilità, espressa dalla capacità dell’azienda agricola di durare nel tempo e di svolgere un ruolo nelle dinamiche dello sviluppo locale. Su questa base la ricerca individua, attraverso il confronto con esperti sul tema,

quattro componenti relative alla sostenibilità sociale dell’agricoltura, declinandole in 20 variabili, che sono state utilizzate per confrontare, mediante questionari, l’at- titudine di un campione di aziende agricole (selezionate per settore di produzione) presenti in due regioni diverse per condizioni pedo-climatiche, situazione sociale e contesto produttivo, lavorando sulle percezioni degli agricoltori. I risultati con- fermano che il metodo di valutazione della sostenibilità sociale che viene proposto può essere valido per comprendere il posizionamento dell’impresa rispetto a de- terminate dimensioni di sostenibilità sociale (oltre che ambientale e economica) e usato per confrontare sistemi agricoli diversi, con l’obiettivo di migliorare le stra- tegie e l’attuazione delle politiche di sviluppo rurale.

Lohr (2002; 2005) suggerisce come l’agricoltura biologica abbia maggiori po- tenzialità, rispetto a quella convenzionale, di influire positivamente sulla società rurale, proprio a partire dal modello di lavoro e di mercato che il biologico propone. Quest’ultimo è misurato attraverso indicatori relativi alle tre categorie proprietà azienda, caratteristiche operatore e sviluppo rurale. Essi riguardano il sesso dei conduttori, l’età media, la proprietà e la gestione dell’azienda e l’intensità dell’attivi- tà agricola e, come nell’altro caso, sono riferiti alla struttura aziendale e alle condi- zioni di lavoro dei dipendenti. Accanto alle caratteristiche strutturali delle aziende, disponibili in banche dati curate da enti statistici ufficiali o da enti certificatori delle aziende, vengono utilizzate anche altre informazioni ricavate da analisi e ricerche esistenti e riguardanti ad esempio la predisposizione per l’innovazione, l’apertura a nuove idee, le fonti di apprendimento dei conduttori agricoli e i canali attraverso cui avviene lo scambio della conoscenza. Data l’ipotesi che il settore biologico con- tribuisca in maggior misura di quello convenzionale alla società rurale, il metodo di analisi seguito prevede il confronto fra la media dei valori che gli indicatori regi- strano in un’area (la contea) con presenza (almeno una) di aziende biologiche con quella espressa dagli stessi indicatori in un’altra area con totale assenza di aziende biologiche. Il percorso proposto risulta molto interessante, ma va considerato che l’ effetto esercitato dal settore biologico viene qui misurato solo implicitamente, non potendo stabilire una correlazione di causa-effetto in assenza di ulteriori elabora- zioni che eliminino tutti i fattori potenzialmente co-influenti, come la presenza di politiche pubbliche, la posizione geografica, il settore produttivo, ecc..

Laajimi et al. (2008) fanno proprio l’approccio concettuale e metodologi- co IDEA7, ricorrendo a indicatori socio-territoriali di sostenibilità che fanno rife- 7 IDEA, Indicateurs de Développement des Exploitations Agricoles, è un metodo di valutazione della

rimento alla attitudine al lavoro collettivo, alla qualità, alle implicazioni sociali, alla multifunzionalità) al fine di confrontare il livello di sostenibilità delle impre- se biologiche con quelle convenzionali. Gli indicatori utilizzati (non esplicitati nel paper) caratterizzano il grado di coinvolgimento dell’azienda nella società rurale e valutano la qualità della vita dell’agricoltore e l’importanza dei servizi che egli offre, informando sul contributo dell’agricoltura biologica al benessere umano at- traverso la creazione di opportunità occupazionali, il rafforzamento del sentimento di cooperazione e l’innalzamento della qualità dei prodotti.

Nel valutare la sostenibilità sociale dell’agricoltura, non viene presa in con- siderazione solo la qualità della vita all’interno dell’azienda e della famiglia del conduttore, ma anche il loro grado di integrazione rispetto alla società e alla co- munità di riferimento, in termini di beni che l’attività agricola offre e di contributo al benessere collettivo. Tale approccio di studio che segue un’ottica territoriale e di comunità è frequente quando si tratta di analizzare la sostenibilità a carattere sociale di sistemi di produzione agricola biologici. Secondo tale visione, che am- plia la prospettiva di analisi, alcuni autori (Gerrard et al., 2011; Parent et al., 2010; Schermer, Tumler, 2009) distinguono fra una sostenibilità sociale interna e una esterna per individuare possibili dimensioni per indicatori.

Con riferimento a questa impostazione, esistono ulteriori contributi da cui è possibile ricavare variabili e indicatori utilizzati per svolgere analisi a carattere comparativo, ad esempio rispetto all’agricoltura convenzionale. Questi indicatori generalmente riflettono valori legati al funzionamento e alla vitalità delle comu- nità rurali e riguardano quei meccanismi di sviluppo territoriale che si rafforzano nel tempo e che determinano il livello di benessere sociale di una collettività. In questo senso essi sono riconducibili alla coesione e all’integrazione sociale (senso di appartenenza alla comunità, supporto alla comunità in termini di partecipazione alla vita civile e impegno sociale, spirito e identità, cooperazione), alla giustizia e all’equità sociale (accessibilità e disponibilità di beni e servizi, inclusa l’informazio- ne, uguali condizioni di lavoro, salute e tutela degli occupati, sicurezza alimentare), all’inclusione sociale dei segmenti più deboli della comunità e, infine, al capitale sociale (fiducia, scambio, relazioni, reciprocità).

Ad esempio, Zanoli et al. (2007) propongono indicatori che riflettono i cam- biamenti positivi che l’agricoltura biologica può contribuire a favorire rispetto al modo di vivere nelle aree rurali (lavoro, inclusione lavorativa femminile), alla cul- tura, al senso di comunità, all’ambiente di vita (natura ma anche salute) e anche alle aspirazioni degli operatori agricoli. Gli Autori formulano un set di indicatori, anche quantitativi, relativamente alle dimensioni citate e definiscono una meto-

dologia di analisi dei possibili impatti derivanti da politiche di incentivazione al biologico sulla crescita socio-economica nei paesi poveri del mondo.

Si consideri che tali dimensioni riguardano aspetti intangibili, di tipo imma- teriale, che non si prestano ad essere agevolmente e significativamente quantifica- ti attraverso indicatori numerici che le sintetizzino. Per questo motivo, per cogliere la complessità dei fenomeni studiati, in letteratura si ricorre anche a grandezze e criteri di valutazione di tipo qualitativo, utili ad apprezzarne la qualità e le caratte- ristiche e si lavora, inoltre, sulle percezioni e sulle attitudini delle diverse categorie di attori coinvolti a vario titolo nella vita di un’azienda o in un determinato sistema produttivo. La valutazione delle percezioni può dare interessanti e affidabili risulta- ti, a fronte del fatto che gli indicatori sono di natura qualitativa e più difficili da iden- tificare e da utilizzare (Parent et al., 2010). Lo studio di dinamiche sociali secondo tali approcci, infatti, viene spesso condotto anche attraverso indagini dirette (focus group, casi studio, questionari, interviste in profondità, ecc.) presso le aziende e altri soggetti presenti nell’area in cui esse operano. Tale modalità, se da una parte consente di raccogliere informazioni più complete e sfumature che arricchiscono il quadro delineato, dall’altra, possono incontrare dei limiti nell’elevato grado di sog- gettività dell’interpretazione, nella minore rappresentatività e generalizzabilità dei risultati, data la scelta inevitabile di campioni più ristretti e, anche, nella difficoltà da parte dei conduttori agricoli di esprimere giudizi su concetti più astratti.

Al riguardo, alcuni studi valutano quanto gli agricoltori biologici siano con- sapevoli dei risvolti sociali legati all’agricoltura e, nello specifico, alle pratiche di comunità (Steinlechner, Schermer, 2010; Shreck et al., 2006; Hayashi, Sato, 2010). Steinlechner e Schermer (2010), ad esempio, indagano in che misura i va- lori sociali individuati come rilevanti siano perseguiti con azioni e comportamenti concreti lungo una filiera biologica. Qui la riflessione sulle dimensioni della so- stenibilità sociale parte sempre dall’azienda ma fa propria la definizione di G. H. Bruntland dello sviluppo sostenibile secondo cui la sostenibilità sociale misura la qualità di una società, in termini di relazioni natura-società e relazioni all’interno della società. Tali relazioni sono mediate dal lavoro che, quindi, deve essere orga- nizzato in modo tale da garantire, oltre che la riproduzione delle risorse naturali, il trasferimento di valori, come giustizia sociale e equità, dignità umana e parte- cipazione. Sulla base di queste considerazioni, lo studio analizza in che misura il modello biologico contribuisca al benessere della comunità. In particolare, fra i criteri utilizzati per l’indagine presso i diversi soggetti intervistati e portatori di interessi (produttori, trasformatori, mediatori commerciali, consumatori), quelli riferiti all’equità, alle condizioni di lavoro, all’impegno sociale, alla comunicazio-

ne e alla trasparenza risultano, con enfasi differenti a seconda della categoria di soggetto, i più significativi in termini di contributo che si ritiene l’agricoltura biolo- gica possa fornire allo sviluppo sociale dei territori interessati. L’indagine mostra, tra l’altro, come le potenzialità del biologico di garantire un certo tipo di sviluppo, vengano rafforzate dall’approccio integrato. In particolare, dallo studio emerge come all’interno della filiera biologica venga percepita notevolmente l’importanza di contatti diretti e regolari, di relazioni personali e di sforzi congiunti per risolvere i problemi, specie nell’esigenza comune di rafforzare la fiducia e la correttezza fra i vari attori del territorio.

Nel lavorare sulle percezioni degli agricoltori, anche Hayashi e Sato (2010) individuano una serie di funzioni sociali attribuibili all’agricoltura biologica utili per confrontare, attraverso la somministrazione di questionari e l’analisi per compo- nenti principali, le percezioni e il livello di sensibilità verso valori e pratiche agrico- le di tipo sociale espresso dagli agricoltori biologici rispetto a quelli convenzionali, conducendo la ricerca in un’area con alto grado di relazioni fra produttori e consu- matori. Seppure i risultati, che mostrano una maggiore predisposizione degli ope- ratori biologici verso valori sociali e beni pubblici, si basino su un’indagine a carat- tere esplorativo, il lavoro è utile per isolare macro categorie e attributi utilizzabili per valutare le attitudini del biologico in riferimento ai territori e alle comunità coinvolte. Le categorie individuate, infatti, sono riconducibili alla situazione della famiglia del conduttore dell’azienda, ma soprattutto al territorio in cui l’azienda vive e opera, rispetto a cui si dà evidenza della predisposizione verso determinati valori e forme diverse di partecipazione alla vita sociale e civile.

Nella letteratura sullo sviluppo delle aree rurali e sul ruolo che l’agricoltura biologica può giocare, si fa spesso riferimento al concetto di capitale sociale e alle dinamiche che i suoi attributi possono generare in processi di sviluppo sosteni- bile (Sumelius, Vesala, 2005; Lobley, Reed, Butler, 2005; Gerrard et al., 2011; De Devitiis et al., 2009). Alcuni aspetti del capitale sociale, infatti, sono considerati rilevanti e alla base dell’individuazione di criteri e indicatori di misurazione della sostenibilità sociale dell’agricoltura biologica. Essi sono riconducibili alla fiducia fra i membri all’interno di una comunità, alle regole di funzionamento sociale, alla reciprocità e alla creazione di relazioni interpersonali. Per necessità e sensibilità, infatti, l’operatore biologico è quello che maggiormente si ipotizza si presti alla formazione di reti e alla realizzazione di attività che alimentano l’interdipendenza e lo scambio di conoscenza tra diversi soggetti.

Sono molto interessanti al riguardo gli studi di Gerrard et al. (2011) e di Lo- bley, Reed e Butler (2005), entrambi con l’obiettivo di valutare il ruolo del settore

biologico in relazione allo sviluppo socio-economico delle aree rurali, attraverso l’uso di categorie di analisi legate al tema del capitale sociale e alla propensione delle aziende ad intessere relazioni con altri attori e in generale con l’area in cui operano.

Nel primo contributo viene proposta una serie di indicatori ritenuti rilevanti, lavorando sulla costruzione di uno strumento di benchmarking che misuri la ca- pacità delle aziende biologiche di produrre beni pubblici economici, ambientali e sociali, letti come meccanismi di stimolo per una crescita sostenibile dei territori. E’ sul capitale sociale che si lavora nel fornire elementi valutativi di sostenibilità sociale, declinandolo in specifiche attività che le aziende biologiche conducono e su cui gli Autori basano l’indagine.

Tali attività sono rappresentative dell’impegno sociale dell’agricoltore biolo- gico e dei benefici che egli può apportare alla comunità locale, in termini di creazio- ne di occupazione, di attenzione alle condizioni di salute dei lavoratori dell’azienda, di crescita delle competenze e della conoscenza, ma soprattutto, di apertura e cre- azione di relazioni (attraverso ad esempio attività di natura didattica), di maggiore coinvolgimento in attività di responsabilità sociale d’impresa e partecipazione a modelli etici di mercato.

Lobley, Reed e Butler propongono un’analisi molto approfondita e un ele- vato numero di indicatori legati a diverse dimensioni, che esprimono la capacità, da parte del settore biologico, di generare e mantenere il “valore” delle aree rurali attraverso effetti moltiplicatori ed esternalità positive che derivano da determinate scelte e pratiche produttive. Riguardo al capitale sociale assumono un posto di rilievo le considerazioni sul ruolo delle relazioni e dei legami locali, di natura so- ciale, economica e culturale. Gli Autori, attraverso indagini dirette in aree diverse, approfondiscono il complesso di interazioni e di azioni collettive intraprese dalle aziende esaminate, facendo emergere l’importanza, per le dinamiche di svilup- po sostenibile, della creazione di legami di fiducia, del supporto reciproco e della condivisione di conoscenza. Viene analizzato il livello di radicamento nel territorio (embeddedness) delle aziende agricole convenzionali e biologiche, confrontando indici che esprimono il grado di partecipazione alla comunità e l’intensità dei rap- porti con rappresentanti della vita istituzionale e sociale. Relativamente al modello di mercato che scelgono, viene analizzato il grado di “regionalità” nell’uso delle risorse e, in particolare, il ruolo della vendita diretta quale misura dell’apertura verso il territorio, dell’attenzione verso il consumatore e della capacità di fare network e innovazioni.

venzionali (in tutto 1.864, di cui 684 biologiche) localizzate in tre zone differenti dell’Inghilterra. I risultati conseguiti sotto il profilo della sostenibilità sociale (nella ricerca venivano considerati anche impatti di tipo economico), confermano ciò che anche gli altri studi rilevano in termini di differenze significative fra i due tipi di agricoltura. Per il settore biologico si rilevano maggiori tassi di occupazione, una migliore struttura e qualità degli occupati (con delle eccezioni rappresentate dalla maggiore presenza di lavoro stagionale associato a più bassi salari), una mag- giore accessibilità al settore da parte di nuovi entranti e un maggior tasso di per- manenza, una maggiore predisposizione alla diversificazione (anche qui con delle eccezioni che riguardano il tipo di attività intrapresa) e all’apertura verso gli altri, nonostante risulti anche che la partecipazione a determinate organizzazioni rurali e attività sociali non appaia molto differente rispetto alle aziende convenzionali.

Le differenze diventano più marcate se, però, si considerano le aziende che attivano canali di vendita diretta. In questi casi, lo studio dimostra come le caratteristiche delle aziende biologiche risultino più acute, anche in relazione al campione biologico nel suo complesso. Questa forma di mercato incentiva, in par- ticolare, migliori forme relazionali e di collaborazione fra aziende e fra aziende e consumatori, che si traducono in una crescita di fiducia, interdipendenza e senso di appartenenza.

Sul tema specifico della capacità di fare rete da parte delle aziende agricole biologiche possono essere particolarmente utili i lavori di Dara Guccione e Varia (2009) e Sumelius e Vesala (2005).

Dara Guccione e Varia pongono sotto la lente di ingrandimento il sistema di governance locale che l’agricoltura biologica contribuisce a caratterizzare at- traverso la creazione e il funzionamento di reti formali e informali, ovviamente a carattere commerciale, ma anche sociale. Nello specifico, gli autori, facendo uso dello strumento della Social Network Analysis (SNA), studiano e mappano le rela- zioni di network di un‘azienda agricola biologica osservata nel suo contesto socio- economico e istituzionale e lungo il suo percorso evolutivo e valutano il valore ag- giunto apportato dal fattore “rete” alla performance dell’azienda agricola.

Gli aspetti che qui preme riportare e che rappresentano i criteri di interpre- tazione delle relazioni esaminate, sono relativi alla centralità, intesa come vicinan- za tra soggetti e calcolata come somma delle distanze geodetiche di ogni attore dagli altri, al ruolo chiave non solo del conduttore dell’azienda, ma di altri soggetti nello scambio d’informazioni e/o di suggerimenti, con un’importante funzione di supporto alla soluzione dei problemi e infine, al grado di betweenness, che indica quanto un soggetto svolge un ruolo importante di intermediazione fra due sogget-

ti all’interno di una rete. La ricerca mostra innanzitutto come l’introduzione del biologico nella gestione dell’impresa abbia determinato un aumento della com- plessità delle relazioni poiché ha comportato il coinvolgimento di nuovi soggetti e ha aumentato il numero delle relazioni, ma ha soprattutto evidenziato che “le co- noscenze fondamentali per i processi innovati si possono trasferire anche per vie “invisibili’, improntate su rapporti interpersonali e sui valori della fiducia e della collaborazione” (cfr. pag.101).

Analogamente, il contributo di Sumelius e Vesala (2005) analizza le carat- teristiche delle filiere e dei network in cui sono coinvolte le imprese biologiche e biodinamiche presenti nell’area scelta per l’indagine. Quest’ultima è infatti ca- ratterizzata da alta intensità di forme di agricoltura alternative e di reti fra i pro- duttori e la logica dello studio è di approfondire le dinamiche a carattere sociale che nascono dalle loro pratiche di relazione e di esperienze di cooperazione. Gli indicatori usati sono di natura qualitativa e consentono di apprezzare la qualità delle reti, le attitudini e il comportamento delle aziende verso le altre e verso la vita civile espressa dal territorio in cui esse sono presenti. Le dimensioni di analisi e i relativi numerosi criteri di giudizio proposti nelle interviste agli agricol- tori riguardano l’intensità e la frequenza delle relazioni, la stabilità del network, il livello di partecipazione nell’adozione delle decisioni all’interno dei network, il grado di rispetto delle differenze individuali, la fiducia e confidenza, la reciprocità e il senso di responsabilità fra i membri della rete, la qualità della vita e le per- cezioni sull’importanza di valori sociali e ambientali e sulle opportunità derivanti dal lavorare in network. I risultati dello studio mettono in risalto i risvolti sullo svi- luppo del territorio determinati dall’elevata accumulazione di capitale sociale. Gli Autori, infatti, osservano come la presenza di network di aziende e di consumatori sembrino favorire la crescita di fiducia, di condivisione di valori e di stabilità so- ciale, quest’ultima intesa come la capacità di un territorio di esprimere maggiore resilienza sociale, in termini di più solide strutture sociali ed economiche e di soluzione dei conflitti.

In definitiva, dall’esame della letteratura emerge un sostanzioso numero di variabili e indicatori utilizzati per misurare la sostenibilità sociale dell’agricoltura. La tabella di sintesi proposta e riportata a fine capitolo (tab. 3.2) non ha la pretesa