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Archeologia dell'architettura in Franciacorta e nel Sebino

1.3 I L B RESCIANO E LA F RANCIACORTA NEL B ASSO M EDIOEVO

1.3.3. Archeologia dell'architettura in Franciacorta e nel Sebino

Abbiamo detto che con il Basso Medioevo la messe di fonti e dati che ci è pervenuta raggiunge quote considerevoli: questo è vero non soltanto per lo specialista della memoria documentaria, ma è valido anche per l'archeologo. Gli stessi centri storici di molti paesi e città ne sono la riprova, tanto che basta semplicemente passeggiare tra vie e piazze di questi per rendersene conto. Per quanto riguarda il Medioevo, è lampante che l'assoluta maggioranza degli edifici che ci sono giunti sono ascrivibili piuttosto alla fase bassa che a quella alta; i castelli stessi – così come, del resto, tante altre tipologie di edifici – dimostrano chiaramente che, quand'anche l'edificazione prenda le mosse da strutture precedenti, ciò che è visibile in elevato è un apporto edilizio dei secoli bassomedievali, se non del Medioevo tardo.

Grazie all'attività tanto di singoli quanto di gruppi di ricerca sul territorio in esame, l'apporto dell'archeologia dell'architettura, intesa come settore specificamente dedito allo studio stratigrafico dell'edilizia storica, consta ormai di acquisizioni sommamente significative per qualità e quantità, tanto che non riteniamo a nostro giudizio possibile affrontare la Franciacorta medievale in una prospettiva storica prescindendo da queste: alcune linee delineate nei capitoli precedenti, così come molte altre che ancora attendono di essere dispiegate, ne sono largamente debitrici e non potrebbe essere altrimenti. Non è un caso se, al di fuori di Brescia, la prima esperienza di archeologia urbana in Provincia (per modalità operative e per sguardo d'insieme sotteso alla ricerca), non priva tra l'altro di forti agganci allo studio degli elevati e alla cronotipologia delle architetture, sia riferibile a tutta una serie di attività portate avanti

dall'USPAAA a Iseo, le quali confluirono anche in una mostra per la cittadinanza284.

Vasta attività sul campo si deve però anche a Dario Gallina, che, in virtù della profonda familiarità con questo territorio, ha redatto alcuni lineamenti sull'evoluzione delle architetture bassomedievali tra Brescia e Bergamo per l'arco cronologico che spazia dall'età altomedievale al XV secolo, lineamenti dai quali, occupandoci di castelli e, quindi, di architetture fortificate, è per noi impossibile prescindere285.

Come abbiamo affermato in precedenza (§ 1.1), l'ambiente, risultato di processi geologici di lunghissimo corso, fornisce, in maniera corrispondente ad essi, l'insieme delle caratteristiche fisiche che definisce il territorio. Circa le tecniche edilizie, questo vuol dire che l'architettura genericamente intesa di una regione, pur con tutte le variabili che possono essere proprie di specifici saperi tecnici locali, si sviluppa secondo modalità conformi ai caratteri specificamente geologici e litologici di quella regione. Nel caso della Franciacorta e del Basso Sebino, la collocazione tra la pianura alta, la collina e la montagna, ha fatto sì che l'edilizia ivi sviluppata fosse largamente debitrice a materiali da costruzione quali ciottoli e pietra.

Sulla base delle poche testimonianze di tessiture murarie anteriori al Mille conservatesi in Franciacorta e nell'area del Sebino, il transito dall'Alto al Basso Medioevo si caratterizza secondo il passaggio, in architettura, da murature irregolari, dove il pietrame non lavorato è legato da abbondante calce (ma senza disporsi secondo filari ben definiti) a murature invece maggiormente isodome, dove prevale l'uso della pietra sbozzata e letti più sottili di calce. Queste ultime si trovano massicciamente poste in opera soprattutto con l'età romanica, ma non mancano gli indizi che indicherebbero un cambiamento progressivo dall'una all'altra tecnica, da imputarsi non tanto alla ricerca di una miglior tenuta strutturale, ma piuttosto ad un diverso gusto per i paramenti a vista. Anche in questo frangente saremmo di fronte ad un apporto cluniacense della fine dell'XI secolo, dato che la ripresa di una tradizione tecnica di tipo classico sarebbe per la prima volta dispiegata bene ed estesamente nell'edificazione dei

284 USPAAA 1993. 285 GALLINA 2011.

priorati e delle pievi che ad essi facevano riferimento.

Al fervore edificatorio del secolo XII fanno riscontro ulteriori innovazioni, che pongono le basi per lo sviluppo della litotecnica pienamente romanica, in auge anche nel XIII secolo: taglio e composizione dei conci di pietra si fanno più raffinati e i letti di malta più sottili. Le dimensioni dei filari non sono tuttavia costanti, ma ciò è imputabile non ad una precisa volontà, quanto alle difficoltà che la natura calcarea della pietra pone ad una lavorazione regolare del concio. Ad ogni modo, già alla fine del Duecento, pur non perdendosi la regolarità generale poc'anzi descritta, la lavorazione tende ad una minor cura formale e realizzativa e questo tratto si farà sempre più sensibile nel corso del secolo successivo.

Peculiare per il XIII secolo è poi la diffusione degli archi in laterizio, il cui disegno si impreziosisce e diviene sempre più complesso. Questi mantengono una preferenza per le aperture a pieno centro, ma fa pure la sua comparsa l'arco ribassato, che ricorre maggiormente nel XIV secolo. È già durante la metà di questo secolo, del resto, che anche le tessiture registrano dei mutamenti, poiché vengono poste in opera in maniera più irregolare, spesso impiegando zeppe di frammenti lapidei o laterizi. Dato sicuro, tra l'altro, è la forte disomogeneità qualitativa nelle tecniche edilizie che tra Duecento e Trecento differenzia ambiti comunque non molto distanti tra loro geograficamente. Per spiegare ciò è facile pensare che dovettero possedere un peso notevole soprattutto le necessità dell'autorappresentazione, che in un'area di “incontro/ scontro” come quella della Franciacorta e del Sebino tra XIII e XIV secolo furono sicuramente forti: la necessità o meno di erigere edifici realizzati con tecniche di pregio era infatti diretta conseguenza della necessità o meno di dover ribadire di fronte ad altri il proprio potere e la propria forza socio-politica.

Per concludere questo excursus di archeologia degli elevati, veniamo al XV secolo. Nel Quattrocento la tendenza delle malte a rifluire abbondantemente dall'allettamento tra i conci sino a divenire superfici coprenti conosce il suo apice, tanto che esse assumono ormai propriamente il nome di 'intonaci'. Il passaggio dalla muratura a vista ad una superficie completamente intonacata si pone, cronologicamente, in relazione con l'ingresso di Brescia e Bergamo nella sfera di

dominio veneziana e ovviamente non si tratta di una semplice casualità, poiché le mutate condizioni politiche e amministrative si accompagnavano a mutati parametri culturali e artistici: in sostanza, a nuovi gusti estetici. Questa nuova prassi dell'intonacatura, su un piano propriamente tecnico, spinge le maestranze a non curarsi più di tanto della buona – su un piano estetico – realizzazione delle apparecchiature murarie, generando con ciò non pochi problemi all'archeologo dell'architettura che, se per i secoli precedenti poteva sviluppare proprio a margine delle tessiture alcuni criteri di datazione sicuri, per quelle relative agli edifici d'epoca tardomedievale e postmedievale deve far fronte a situazioni indiziarie più largamente ipotetiche, data la sostanziale similarità delle murature approntate tra XV e XX secolo. Prassi indiscriminate, per le quali gli intonaci medievali sono stati rimossi dagli edifici storici senza alcuna cognizione di causa sino a tempi molto recenti, ha precluso poi la possibilità di impiegare questi come utili elementi da cui trarre informazioni (non soltanto cronologiche) attraverso le analisi di laboratorio, che rappresentano il mezzo principale per considerare scientificamente gli intonaci. Per il Quattrocento, in conclusione, un ruolo importante – pur con tutte le difficoltà che rimangono aperte – è allora giocato soprattutto dai singoli elementi architettonici e in particolare dai portali, che spesso recano incise su di sé le cronologie assolute di realizzazione286.