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CRONOLOGIA: XI secolo (esistente).

PRIMAATTESTAZIONE: 1093.

310 ATS Brescia, relazione Poggiani Keller del 24.01.2011. 311 ATS Brescia, relazione Venturini del gennaio 2012.

RICERCHEARCHEOLOGICHE: sbancamento controllato (1998).

BIBLIOGRAFIA: Lechi 1973, pp. 396-400; Villari 1989, p.129; Gregorelli 1995; Mometti 2003,

pp. 210-214.

Situato nel pieno centro storico della località di Clusane (appartenente al Comune di Iseo, ma fisicamente distinta), l'impianto, ovunque ricordato come “castello del Carmagnola” (in memoria del conte Francesco Bussone, suo più celebre proprietario), si affaccia sul Basso Sebino da una posizione rilevata rispetto alla linea di costa. Sulla base di un documento dell'XI secolo, sappiamo che un castrum era presente a Clusane, quando questa era sotto la giurisdizione signorile dei conti di Mozzo: infatti, il 12 luglio 1093 i fratelli Oprando e Alberto de loco Muzo donarono al monastero di Cluny una cappella «edificata in castrum de loco Clizano» e dedicata ai SS. Gervasio e Protasio.

Relativamente alla fase intercorsa tra l'età romana e il Basso Medioevo, uno sbancamento condotto sotto sorveglianza archeologica e documentato per il 1998312

potrebbe fornire degli elementi per la comprensione delle dinamiche insediative dell'area, che fecero da preludio all'impianto del castrum documentato al 1093. L'intervento, ubicato nell'attuale via Molino, ha infatti intercettato, in prossimità della riva lacustre, un robusto muro di pietrame sbozzato e tessere di mosaico, quasi sicuramente pertinenti ad una villa di età romana. A ridosso di questa, ma da collocare in un momento cronologicamente successivo, è stato individuato un potente strato di detriti da porre in connessione con la fine dell'edificio: tra i materiali contenuti in esso sono stati repertati nuclei di malta e cocciopesto, frammenti di laterizi, tessere di mosaico e molteplici frammenti di ceramica comune e invetriata, nonché di sigillata africana assegnabili al V secolo. A questa defunzionalizzazione fece seguito una prolungata interruzione delle attività costruttive nella zona più prossima alla riva e ciò giustificherebbe il consistente strato di limo sabbioso, stratigraficamente posteriore allo strato di detriti. È verosimilmente in un momento successivo al V secolo, dunque, che saremmo di fronte ad un movimento dell'insediamento verso l'area maggiormente

rilevata dell'abitato attuale, laddove ancora oggi sussistono le strutture del castello di Clusane osservabili in elevato. In effetti, nella porzione O dell'area interessata dallo sbancamento, e in sovrapposizione ai livelli limosi della stratificazione, è stato documentato anche un breve tratto di scalinata al quale è stato addossato lateralmente un grosso pilastro quadrangolare indicativamente assegnabile tra XI e XIII secolo per la tipologia del paramento a conci stilati.

Una nuova fase dell'impianto fortificato, nondimeno, dovette essere quella posta sotto il controllo degli Oldofredi, alla quale sarebbe riconducibile gran parte della struttura attuale: a forma quadrangolare e incentrata attorno ad un cortile, questa si imposta tuttora su una base leggermente scarpata, delimitata da un cornicione marcapiano in laterizio e maggiormente rilevata in prossimità dei cantonali. Lungo i prospetti E e O si conservano ancora tracce del fossato, mentre il prospetto N si imposta direttamente sullo scosceso pendio che scende a lago. In un brevissimo contributo del 1995, Michela Gregorelli affermava che del castello “originario” (probabilmente intendendo quello riconducibile al cantiere degli Oldofredi) si conserverebbe soltanto una torre, quella del cantonale N-O, in pietrame a secco.

La tradizione ricorda che gli Oldofredi sarebbero stati imparentati con un ramo dei da Mozzo e la loro presenza qui – non lontano da Iseo – non pare affatto casuale, ma la povertà delle indagini condotte sul castello stesso permette ad oggi solo poche considerazioni a riguardo. L'unica testimonianza documentaria, del resto, è quella costituita dalla descrizione del da Lezze, che lascia emergere già ai primi anni del XVII secolo gli aspetti di un edificio ormai caratterizzato in una dimensione residenziale piuttosto che militare. Solo Gregorelli, al momento, si è spinta più in là, affermando che la costruzione del castello dovrebbe risalire al XIV secolo e che esso doveva fungere da rocca sita nella porzione nord-orientale del castrum, che doveva apparire nella forma del borgo fortificato di probabile origine altomedievale. Effettivamente, se osserviamo la carta del Catasto di età napoleonica (1808), vediamo abbastanza facilmente che, ancora agli inizi del XIX secolo, la mole quadrata del castello rappresentava l'estremità N-E della porzione di abitato maggiormente elevato.

dall'edificio, una visione diretta del corpo di fabbrica, condotta durante un nostro sopralluogo, ci consente di avanzare in questa sede una possibile proposta interpretativa, che cerca di collocare l'impianto di Clusane nel più vasto panorama del Sebino controllato dagli Oldofredi, in virtù dei collegamenti possibili tramite l'osservazione delle tecniche edilizie.

Un primo sguardo ci porta innanzitutto a individuare lungo i prospetti settentrionale e occidentale i segmenti sui quali più si è intervenuto nel corso della storia costruttiva del castello. Nel cantonale nord-occidentale e, in particolare, sulla superficie della scarpatura delimitata dal cornicione marcapiano, si osservano delle feritoie che ci indirizzano, in prima battuta, a considerare proprio la scarpatura come l'elemento più antico dell'edificio in un momento in cui esso era caratterizzato in funzione militare e non ancora residenziale. Elemento interessante, in quanto induce a leggere due fasi edificatorie non contemporanee tra loro, è però il marcapiano, che risulta interrotto all'altezza di un'apertura “con sguincio esterno”. Ciò spinge a interpretare quest'ultima come un'unità stratigrafica muraria che si sovrappone a quella costituita dal marcapiano (“tagliato”, appunto, per farle spazio) e ad identificarla, quindi, come una fase edilizia successiva che, per confronto con uno sguincio simile d'ambito bresciano (presente in un edificio in via Maggiore ad Acqualunga, sicuramente databile sulla base di un laterizio graffito) si collocherebbe grosso modo tra XIV e XV secolo. Al contrario, per proporre una datazione per la fase precedente (quella, ovvero, pertinente al marcapiano, nonché alla scarpatura), riteniamo opportuno muoverci non tanto per confronti stilistici, quanto piuttosto costruttivi: la muratura visibile su detto cantonale, la quale pone in opera materiali lapidei di dimensioni medio-piccole intervallati da sottili e brevi filari di laterizi (inseriti, dunque, non in maniera sistematica, ma a compattare meglio il pietrame disposto secondo corsi sempre abbastanza isodomi e tenuti insieme da letti di calce più sottili che non quelli nella fascia che sovrasta il marcapiano), sembra infatti trovare un riscontro a livello locale nella tessitura che caratterizza le mura urbane di Iseo (ad esempio, nel tratto posto in connessione con la Torre del Sambuco, nella sezione meridionale della cortina), le quali vengono solitamente ricondotte alla figura di

Giacomo Oldofredi, così come recita la lapide funeraria che ne fissa la morte nel 1325. A nostro giudizio, pertanto, ad una prima fase edilizia collocabile agli inizi o nella prima metà del XIV secolo, ne seguì un'ulteriore nel corso del medesimo o del successivo.

Siamo tuttavia perfettamente consapevoli che su tali basi la nostra proposta presenta un punto debole, giacché il riscontro nella cortina urbana di Iseo è per l'appunto passibile di revisione: come ha già sottolineato Angelo Valsecchi313, la

disomogeneità nel paramento murario di quest'ultima lascia supporre che la cinta comunemente attribuita al Trecento non sia stata tutta costruita ex novo, ma anche elevata riattando segmenti di un perimetro precedente e, in attesa di puntuali analisi stratigrafiche degli elevati, non possiamo avere la certezza piena che il tratto da noi addotto a paragone possa essere ricondotto con sicurezza alla data da noi accolta (ovvero la prima metà del Trecento), sebbene caratteristiche e cronologia si inseriscano bene nelle linee tracciate da Dario Gallina per il Sebino e la Franciacorta sulla base di una vasta attività di indagine (§ 1.3.3). D'altro canto e in ultima battuta, riteniamo che perlomeno tutto ciò non intacchi a livello di cronologia relativa la possibilità di individuare almeno due fasi edilizie intercorse tra i secoli XIV e XV.

6. Ome

CRONOLOGIA: XI-XV secolo (parzialmente esistente).

PRIMAATTESTAZIONE: 1090.

RICERCHEARCHEOLOGICHE: saggi (2002).

BIBLIOGRAFIA: Mometti 2003, pp. 251-253; Valsecchi 2004.

Data al 1090 la prima attestazione di un abitato fortificato in Ome, cioè quando un contratto, che ufficializzava la vendita di un terreno appartenente a Ubaldo

de Rodingo e alla moglie Berta a favore dei monaci di Rodengo, venne stipulato «in

castrum Aume»; proprio nei ruderi del castello, posti laddove ancora oggi sussiste la chiesa di S. Michele (ovvero, sulla sommità del rilievo a N dell'attuale centro abitato, ai

piedi delle alture prealpine), si possono indicare le più antiche tracce di insediamento conosciute a Ome. Insediamento e territorio di questa località nel Medioevo sono stati ben studiati e abbiamo agio, dunque, di poter inquadrare i dati archeologici314

all'interno di un contesto storico di riferimento315.

Le indagini archeologiche, svoltesi tra i mesi di gennaio e febbraio del 2002, interessarono prevalentemente la struttura della chiesa di S. Michele che, in una ricostruzione ipotetica del perimetro difensivo, veniva a ubicarsi nella porzione meridionale di esso, quindi nell'area opposta a quella dove ancora oggi è visibile la torre del complesso, oggi in forme abbastanza rimaneggiate da renderne ardua una lettura di tipo stratigrafico. Complice anche l'intitolazione della chiesa al Santo venerato dai Longobardi, l'esplorazione aveva l'intento precipuo di rispondere agli interrogativi relativi non solamente alla data a cui porre le fasi più antiche dell'edificio di culto, ma anche alla comprensione del rapporto di questo con l'insediamento fortificato. Alcune considerazioni, infatti, potrebbero far credere che la precedenza – senza dover necessariamente congetturare sulla sola dedicazione santorale – spetti alla chiesa, in virtù dell'impiego per essa di paramenti realizzati con una tecnica attribuibile all'età romanica (la quale, in questo contesto, non compare altrove); tuttavia, questa priorità mal si spiegherebbe con l'ubicazione della chiesa che, invece di occupare la sommità della collina o comunque un'area centrale all'interno del perimetro murario – il quale, pur non essendo sopravvissuto nelle sue evidenze materiali, è però ben ricostruibile sulla base della traccia topografica –, si pone marginalmente rispetto alla posizione del castello.

Nonostante le trasformazioni sopraggiunte nel XV secolo, che ancora oggi condizionano l'impianto ecclesiale orientato S-N, indizi della chiesa medievale di XI-XII secolo – con un asse O-E – sono attualmente visibili sul prospetto occidentale (l'ingresso originario) e meridionale (una finestrella). Il saggio di scavo, muovendo da questi elementi, venne dunque a collocarsi lungo il prospetto orientale della chiesa odierna, laddove – come l'indagine stessa ha poi confermato – doveva trovarsi l'abside

314 Ci teniamo a ringraziare nuovamente l'Ing. Angelo Valsecchi, il quale anche in questo frangente ci ha consentito la consultazione di documentazione di prima mano.

dell'edificio medievale. Pur non avendo aggiunto elementi utili per la storia della fortificazione propriamente detta, il saggio, oltre ad aver documentato l'abside medievale (realizzata in conci di pietra calcarea di medie dimensioni – che conferma la datazione all'XI-XII secolo – posti in opera sul piano roccioso della collina), nonché lastre di pietra pertinenti a sepolture poste all'esterno di essa e spesso sovrapposte, ha anche chiarito che la frequentazione umana sul rilievo iniziò in un momento sicuramente precedente l'edificazione della chiesa. La stratificazione non ha purtroppo restituito reperti che avrebbero potuto fornire un'indicazione cronologica assoluta316,

ma nella sezione del saggio praticato era chiaramente individuabile un livello d'uso costituito da carboni di piccole dimensioni frammisti a numerosi semi combusti, possibili conseguenze di un incendio o di un grande fuoco controllato.

Dunque, se lo scavo non consente valutazioni sul momento in cui sorse la fortificazione annessa, tuttavia la considerazione delle vicende edilizie della chiesa – che ne comportarono un significativo ampliamento verso N e, quindi, verso l'interno del ricetto – sembrano tradire il degrado del ricetto stesso quale nucleo demico a partire dal XV secolo, in quanto si ha l'impressione che questo nuovo cantiere edilizio mal si rapporti con un insediamento fortificato ancora in uso in misura significativa317. Come

detto, la torre si presenta purtroppo fortemente rimaneggiata e anche le murature oggi visibili altro non sono che il prodotto di una risistemazione dell'area in tempi successivi che, probabilmente, compromise pure le possibilità di esplorare stratigraficamente l'area interna del ricetto, dove si presume vi potessero essere le caneve, dato che lo spessore indagabile è effettivamente minimo e in molte aree del piano la superficie rocciosa del rilievo affiora a pochi centimetri di profondità.

Ad ogni modo, incrociando le informazioni sin qui delineate, sembra di poter affermare che la presenza di un castrum su questi rilievi, oltre che da plausibili motivazioni economiche nutrite da importanti attori sociali quali la famiglia dei de

316 In questo caso, tuttavia, su indicazione dell'Ing. Valsecchi (che ci ha mostrato documentazione fotografica e materiali), segnaliamo che nel corso di uno scasso aperto all'interno della chiesa di S. Michele per il rifacimento della pavimentazione nel giugno del 1996, oltre ad essere stata intravista la muratura dell'abside che poi venne successivamente documentata nel 2002, vennero rinvenuti tre frammenti di pietra ollare recanti tracce di lavorazione.

317 Indizio in tal senso sarebbe anche il sorgere di nuovi nuclei insediativi in località Valle e lungo il torrente Gandovere tra XIII e XIV secolo, organizzati nella forma dei cortivi o delle case-torri. Cfr. VALSECCHI 2003a.

Rodingo e il priorato cluniancese di S. Nicola, possa essere spiegata anche sulla base di considerazioni relative alla viabilità locale, nello specifico riferibili alla presenza di una strada che poneva in comunicazione Ome con la Valtrompia e col Sebino orientale. Sarà il caso, infine, di rimarcare – come è stato fatto318 – le similarità che mettono in relazione

Ome con almeno altri due contesti franciacortini, nei quali ci troviamo sempre di fronte a chiese intitolate a S. Michele: ovvero, i siti di S. Michele sul Monte Orfano di Rovato e di S. Michele sul Monte Alto di Colombaro di Corte Franca, tutti posti in altura e comunque lontano dai centri abitati.