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Conclusioni: l'assetto precastrense alla vigilia dell'incastellamento

1.2 L' ASSETTO PRECASTRENSE : LA F RANCIACORTA TRA T ARDOANTICO E M EDIOEVO

1.2.6 Conclusioni: l'assetto precastrense alla vigilia dell'incastellamento

Una prima visione generale dell'assetto offerto dall'incrocio di dati materiali e documentari, se confrontato con la distribuzione dei rinvenimenti romani e tardoantichi, suggerisce un contesto insediativo in trasformazione. Non si tratta però soltanto della maggior concentrazione delle tracce altomedievali laddove, invece, le testimonianze dell'età romana e tardoantica si disponevano secondo una cadenza più regolare ed omogenea sul territorio.

In verità è questo, in primo luogo, il dato che salta con immediatezza all'occhio qualora si consideri la semplice distribuzione dei rinvenimenti. È infatti palese come le concentrazioni rilevate nei pressi degli attuali abitati di Gussago, Coccaglio, Rodengo-Saiano e Iseo segnalino un'occupazione del territorio e un popolamento differenti rispetto alla localizzazione più diffusa, addirittura lineare, dell'età romana. Questo non vuol dire ovviamente che prima dell'Alto Medioevo in Franciacorta e nel Basso Sebino non esistessero centri con un peso maggiore – fosse esso insediativo o istituzionale – rispetto ad altri, ma questi siti rappresentavano in una prospettiva archeologica e sulla base dei nostri dati dei picchi di densità di rinvenimenti all'interno di una disposizione comunque regolare e non, al contrario, delle concentrazioni più o meno isolate, quali risultano essere per la fase altomedievale.

Sarà probabilmente il caso, dunque, di riprendere con ordine i punti salienti emersi dalle esplorazioni per poter così fissare i dati essenziali di queste prime – e imperfette245 – considerazioni di archeologia del paesaggio in Franciacorta, le quali non

244 BARONIO 1996, p. 22.

245 Il metodo della branca archeologica dedicata alla ricostruzione dei paesaggi storici muove infatti dall'assunto – comune a qualunque altra attività di indagine – secondo il quale le nostre interpretazioni saranno tanto più

hanno ovviamente la pretesa di assurgere a modello organicamente concepito, ma vogliono solo fornire uno schema di base per la riflessione sulle dinamiche castrensi dell'area indagata. Tuttavia, se in futuro dovessero essere mosse critiche o proposte revisioni – e non necessariamente da noi –, ciò non solo è gradito, ma, anzi, addirittura auspicabile.

Il nostro quadro teorico prende le mosse dall'età romana: i motivi sono abbastanza ovvi. Sebbene gli esiti della romanizzazione furono molteplici anche solo nell'ambito italico, è abbastanza assodato che essa contribuì a imprimere una facies piuttosto duratura non solo alle città fondate o rifondate in età propriamente romana, ma anche all'ambiente rurale. Per questa fase, che per convenzione abbiamo volutamente etichettato in maniera generica come “età delle villae”, la documentazione archeologica segnala tracce consistenti a partire dal I secolo a.C. e l'occupazione del suolo ricostruita pare indicare un insediamento di tipo sparso. Questo non è certo un dato nuovo; già alcuni anni fa Brunella Portulano, considerando la localizzazione delle strutture identificabili come ville, lo aveva colto: «l'insediamento sparso, che non trova

tuttavia coincidenza con i siti pur numerosi definiti dai toponimi di più o meno certa origine romana, è testimoniato da una decina di ritrovamenti di strutture, quasi tutte ubicate sui cordoni morenici»246. Quello che possiamo aggiungere di nostro è che le modalità

insediative, sebbene già intuite, sono risultate più chiare ed evidenti grazie alla considerazione di tutti i rinvenimenti d'età romana e la riflessione su di essi è stata peraltro facilitata dalle potenzialità di un software GIS nella gestione di molteplici serie di dati.

Durante il periodo compreso tra l'Antichità propriamente intesa e quella Tarda, insomma, la trama del popolamento sembra direttamente condizionata dalla significatività economica e viaria del territorio, la quale non verrà mai meno nel corso dei secoli successivi: essa era postulata prima di tutto dai caratteri propri del paesaggio

organiche, plausibili e raffinate quanto più sistematica, ordinata e metodica sarà stata la raccolta dei dati. Nel caso specifico della topografia archeologica e in un ambito di ricerca (da distinguere da quello della tutela) ciò vuol dire che le indagini direttamente condotte sul terreno necessitano di una strategia indicata sia dalla natura del territorio indagato sia dagli interrogativi principali della nostra agenda. Come abbiamo visto, niente di tutto ciò è mai stato attuato per la Franciacorta e il Basso Sebino.

franciacortino (quali il clima, ad esempio, condizionato favorevolmente dalla presenza del lago – che, insieme al fiume Oglio, costituiva un'unica grande via di comunicazione naturale, che facilitava viaggi e commerci – e che a sua volta agiva sulle possibilità agrarie ed economiche dell'area), ma anche della posizione stessa della Franciacorta nel panorama più ampio della Gallia Cisalpina, dal momento che venne a trovarsi sulla direttiva che metteva in comunicazione Aquileia e Milano, la quale fu elevata al rango di capitale dell'Impero d'Occidente fra il 286 e il 402. La centralità di questo territorio, così come del Bresciano in generale, è tra l'altro ribadita più volte nel corso delle ultime fasi del Tardoantico, che precedono l'elevazione a ducato longobardo: solo a titolo d'esempio, Brescia fa parte di quei centri fortificati che furono significativamente interessati dagli ultimi avvenimenti militari relativi agli strascichi della guerra gotica, sebbene il Nord-Est della penisola sia stato in genere solo tangenzialmente interessato dalle operazioni. La presenza di una grande strada consolare posta a N del Monte Orfano, così come l'importanza del porto iseano già in questa fase non sarebbero quindi che gli elementi più macroscopici di questa centralità e, proprio sulla base degli elementi forniti dalle vie di comunicazione, si strutturò la prima fase del popolamento, fase che, a giudicare dalla cospicua sopravvivenza della toponomastica prediale romana, nonché dalla scarsa frequenza di siti romani che contestualmente hanno restituito anche materiali protostorici, dovette essere verosimilmente significativa.

Rimane l'interrogativo posto dalla quasi assoluta assenza di tracce di agro centuriato, che male si accompagna al quadro sopra delineato. La disamina fin qui condotta, relativa alle fasi altomedievali, non permette però di provare a formulare subito una spiegazione. Abbiamo infatti visto che, nonostante la fine della “fase delle ville” - che, sulla base di quanto osservato, può essere a buon diritto posta attorno alla metà del V secolo –, il quadro offerto dalla Franciacorta (comunque non omogeneo, poiché presenta al suo interno tante e differenziate casistiche) continua di massima a percorrere le tendenze emerse in età romana e, almeno fino al IX secolo, non risultano verificarsi dei fenomeni che sul lungo periodo avrebbero potuto destrutturare a tal punto il paesaggio tanto da obliterare praticamente del tutto la centuriazione romana. È vero che durante i secoli dell'Alto Medioevo si verificarono dei cambiamenti sociali di

primario spessore all'interno della classe dirigente e proprietaria della terra, così come, parallelamente, si avviò e si concluse un livellamento verso il basso della classe media, formata dai piccoli allodieri. Nondimeno, riguardo alla strutturazione del paesaggio agrario franciacortino, sarebbe forse possibile supporre che il risultato di questo processo sociale condusse più all'accentramento delle proprietà che a trasformazioni del loro aspetto concreto e materiale, riferendoci con questo alle forme degli appezzamenti e dei fondi che in una prospettiva di archeologia del paesaggio fanno parte di quelle tracce perenni ravvisabili sul suolo. Per dare una risposta, in sostanza, ci converrà allora attendere altri elementi.

Con il lento trapasso dall'età romana all'Alto Medioevo, assistiamo poi non solo alla disgregazione di un apparato statale (che, sotto di un punto di vista giuridico e istituzionale, continuava comunque a Costantinopoli, in Oriente), ma anche – come abbiamo più volte ribadito – a nuovi modelli di vita e, per quanto ci interessa, anche a nuove mentalità nella relazione con lo spazio e nella sua occupazione. Non sembra essere un caso, allora, se proprio tra la metà e la fine del secolo V, arco cronologico in cui possiamo collocare la fine del sistema insediativo ed economico imperniato sulle

villae, visse anche il vescovo a cui la tradizione suole ricondurre l'istituzione della pieve di Iseo, che – per antichità – sembra essere la prima in ambito franciacortino: proprio il V secolo è, per di più, quello a partire dal quale si usa fissare i primi passi del sistema plebano. Come abbiamo preventivato, tuttavia, non si possiedono delle reali fratture con il popolamento d'età romana e questo perché la connessione tra le chiese rurali (intendendo quelle non poste nel centro urbano ed episcopale di riferimento) e i gangli del sistema viario è un fatto abbastanza comune e contribuì, del resto, a sancire in molti casi la fortuna di queste fondazioni: le osservazioni che possono essere proposte per la strada pedemontana Verona-Brescia-Bergamo si inseriscono infatti in un quadro che, sotto questo aspetto, interessa anche altri ambiti, non solo italiani, ma pure europei (per esempio, la Gallia meridionale e la Spagna nord-orientale), e in tutte queste situazioni sembra essere indicativa la connessione di questi edifici con località in cui gli itinerari segnalavano la presenza di una stazione di posta. Come è possibile immaginare, ciò li

rendeva siti privilegiati su di un piano demografico, sociale ed economico247, ma dato

che questi punti, nell'ambito indagato, erano quelli già individuati in età romana, ne consegue che non assistiamo a particolari sorprese se consideriamo la corrispondenza tra sedi plebane e centri già affermati in antico e questi sono appunto Gussago, Cazzago (Bornato), Erbusco, Coccaglio, Palazzolo e Iseo. La connessione delle sedi plebane con la viabilità e con i principali incroci dei suoi assi ci sembra, in effetti, molto stretta. La disposizione estremamente lineare lungo l'asse Gussago-Palazzolo, nonché le localizzazioni a Coccaglio e a Iseo – che, sebbene discoste dall'asse individuato, si impostano nondimeno su crocevia di spessore – testimoniano questa preferenza.

Ciò nonostante, abbiamo puntualizzato come l'analisi incrociata delle testimonianze materiali e scritte testimoni un contesto comunque in trasformazione e, pure, abbiamo sottolineato come questa non si esaurisca nel semplice passaggio da un insediamento sparso ad uno accentrato come indicato dai rinvenimenti archeologici. Il processo di cristianizzazione, del resto, non si esplicitò materialmente nelle sole pievi, ma fu in un certo senso reso tangibile sul territorio anche con la costruzione a vario titolo di semplici aule di culto o di cappelle private, così come l'approntamento di aree di sepolture non più definibili come 'necropoli', ma piuttosto come 'cimiteri'.

Ad un primo sguardo, si registra che la connessione con un asse viario e, di conseguenza, la predilezione per una data località in virtù del suo carattere itinerario, non viene assolutamente meno: anche nel caso di una località “periferica” rispetto alla Franciacorta, come quella in cui sorse la chiesa di S. Martino in Prada (sui rilievi a E di Iseo), si può notare bene come la localizzazione dell'edificio prediliga questo sito perché posto su un'arteria che contribuiva a mettere in comunicazione il Sebino con la Val Trompia, dalla quale, attraverso una via diversa dalla Valeriana, era ugualmente possibile raggiungere le vie del Nord e dell'attuale Trentino.

Osservando ancora l'assetto altomedievale e paragonandolo a quello antico, si rileva pure un altro elemento, ovvero che il baricentro del popolamento sembra essersi leggermente spostato a N, sempre più a ridosso sia del lago sia dei rilievi pedemontani. Può essere solo un'impressione, ma questo nuovo assetto potrebbe essere

il riflesso non soltanto di un trasferimento in direzione delle alture tradizionalmente attribuito al Medioevo Alto – comunque da non sopravvalutare nel caso della Franciacorta (dal momento che i rinvenimenti in altura non latitano già prima, ma pure perché potrebbe essere il riflesso di una scarsa esplorazione dei rilievi) –, ma sarebbe anche indicatore di un'accresciuta importanza di quella “viabilità secondaria” alla quale abbiamo accennato parlando delle strade romane. Di tutto questo ci pare esemplificativa la situazione della depressione morenica a S del lago, che, sa da un lato era emersa come un'area povera di contesti romani, alla data di redazione del Polittico di S. Giulia pare essere divenuta un nodo centrale del quadro insediativo ed economico, valore confermato dalla fonte sia documentaria sia archeologica. Che poi i nuclei demici identificati su base indiziaria si dispongono lungo una direttiva che ben potrebbe essere un'arteria disposta in direzione N-S (lungo un tragitto che, procedendo ai piedi del rilievo morenico che circoscrive la depressione della torbiera a O, da Erbusco a Iseo transita per Adro, Timoline e Clusane), fornirebbe una traccia di un percorso interno alla Franciacorta che proprio durante i secoli altomedievali vede crescere la sua frequentazione, ma, data la conoscenza imperfetta tipica delle acquisizioni storiografico-archeologiche, non si può certo escludere che tale via esistesse già in età romana. Il dubbio, ad ogni modo, non minerebbe la possibilità che, romano o no, questo percorso abbia conosciuto tra il VI e il X secolo un volume maggiore di movimenti genericamente intesi, se non di traffici propriamente detti. Come spiegare altrimenti la concentrazione di significative presenze posteriori all'età romana in quest'area che, precedentemente, non risulta così interessata né da importanti sforzi edilizi né dalla presenza di collettività numericamente notevoli, come quella (o quelle) gravitante attorno al cimitero di Borgonato? Si può del resto dubitare della presenza di un percorso in quest'ambito, ma riteniamo che sia le presenze archeologicamente documentate sia la natura del percorso stesso, il quale poneva in comunicazione Erbusco – centro servito già in antico da un'arteria considerevole – ed il basso lago – al quale doveva presumibilmente arridere una discreta ricchezza economica – possano testimoniare a favore d'esso.

anche qualora considerassimo la distribuzione dei rinvenimenti scandendola per un arco di tempo predeterminato, che per comodità fissiamo in centocinquanta anni a partire dal 550 circa. È questa un'operazione che la raffinatezza delle ricerche ci permette di condurre con un significativo campione a disposizione, mentre non era stato possibile impiegarla sul campione d'età romana, per la quale le modalità in larga parte fortuite e casuali dell'attività sul campo non fornivano – se non in rari casi – cronologie discretamente precise.

Per il periodo 550-700, la disposizione dei nuclei demici, che in questo arco di tempo potevano essere verosimilmente “in vita”, risulta ancora debitrice dell'assetto viario romano e anche la consistenza numerica dei nuclei stessi è abbastanza modesta. Tuttavia, se procediamo ulteriormente, vediamo che per la scansione 700-850, le nostre tracce demiche tendono non solo a proliferare laddove le proposte ricostruttive collocano elementi della viabilità interna al territorio, ma anche ad occupare nuovi areali ed è il caso, per l'appunto, delle aree gravitanti attorno alla depressione morenica. Pare dunque di capire che, tra l'850 e il 1000, si giunga infine alla sanzione di queste linee di tendenza, progressivamente configuratesi nel corso dei tre secoli precedenti.

Per fare il punto sulla situazione, allora, il quadro emerso suggerisce che la Franciacorta, tra IX e X secolo, era un territorio le cui fortune affondavano le loro radici già nell'età romana. I motivi di queste fortune, a seguito di una fase di indubbio regresso – ma forse meno percepibile che altrove – forse riconducibile agli sconvolgimenti e al quadro politico largamente incerto da attribuirsi alle conquista longobarde delle prime generazioni, tornarono ad agire positivamente sulle vicende economiche e sociali della Franciacorta, tanto che, già dalla metà dell'VIII secolo, la Franciacorta e il Basso Sebino riprendono progressivamente a essere un contesto ricco e vivace e, proprio per questo, anche luogo degno di interesse per attori sociali di primo piano. La circostanza curiosa è che le motivazioni di questo movimento del baricentro franciacortino verso N sarebbero state rintracciate ben prima di questo spostamento da noi messo in luce a seguito dell'analisi della posizione dei rinvenimenti.

Nel capitolare che Liutprando concesse ai Comacchiesi nel 715 compare, tra i vari porti in cui questi facevano scalo durante la loro navigazione fluviale lungo il Po,

anche un portus Brixianus, che emerge come uno tra i più importanti. La localizzazione di esso – plausibilmente da porsi nella corte giulianea di Insula, sulla sponda sinistra del Po e prossima all'attuale Cicognara di Viadana (MN) – e la caratterizzazione del suo

hinterland sono già stati oggetto di studio altrove248; qui ci limiteremo a offrire un sunto

del ruolo che, in quanto terminale settentrionale dell'Oglio, il porto di Iseo rivestì nei confronti del portus Brixianus249, che era invece il fulcro meridionale del fiume.

Abbiamo già avuto modo di apprezzare che sin dall'età romana Iseo era naturalmente favorita dalla sua collocazione geografica nella veste di centro di scambi e comunicazioni, nel quale convergevano flussi provenienti da direzioni molteplici, privilegiando in maniera sensibile l'asse N-S. A seguito di un momento di stallo, la stabilizzazione del regno longobardo e dei suoi rapporti con l'Esarcato d'Italia dovette successivamente favorire la ripresa delle attività economiche, tanto agricole quanto commerciali. La fortuna crescente degli insediamenti che le fonti ci tramandano col nome di emporia a partire dal VII secolo, ma in maniera innegabile nell'VIII, sarebbe appunto il sintomo del flusso di merci e uomini che tornò ad aumentare di volume in un rinnovato clima di stabilità politico-militare. Che questo flusso si amplificò fino a raggiungere notevoli dimensioni è stato del resto ben dimostrato dalle ricerche e dagli studi condotti nell'area dell'Alto Adriatico, bacino che conobbe durante l'età altomedievale una peculiare proliferazione di centri di nuova fondazione: tra questi, Comacchio, ma anche Ferrara, e soprattutto Venezia sono di sicuro i casi più eclatanti250.

Sembra allora abbastanza agevole, sulla scia di questo quadro che andava prendendo forma, considerare che non solo la forza di attrazione centripeta esercitata dal Basso Sebino sui nuclei demici altomedievali, ma anche le strategie patrimoniali di S. Giulia siano state influenzate e suggerite dai traffici che, partendo dall'Alto Adriatico, mettevano in comunicazione tutta l'Italia padana lungo il fiume principale della regione. Proprio a causa di ciò, Iseo è stato giustamente definito «un centro intermodale

ante litteram», poiché «a Iseo le merci raggiungevano la struttura della corte; venivano

248 BARONIO 1999, pp. 13-20.

249 Ivi, pp. 21-28.

250 Giusto a titolo di esempio, si segnalano i risultati delle ricerche condotte nell'ambito dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Cfr. GELICHI 2008 e GELICHI - NEGRELLI 2008. Si veda però anche BROGIOLO - DELOGU 2005.

scambiate al mercato, oppure, al porto, venivano imbarcate sulle barche che avevano disceso il lago o risalito il fiume; vi sostituivano i prodotti provenienti dalla val Camonica e dalla Bergamasca orientale o vi prendevano il posto di quelle che erano state caricate nei porti lungo l'Oglio nel suo tratto inferiore nel cuore della pianura lombarda sud-orientale»251.

Con un occhio di riguardo ai sistemi di gestione e sfruttamento dei possessi fondiari – valutando specialmente, pertanto, il trapasso dalla conduzione curtense di tipo classico a quella propriamente signorile (relazionata al processo di incastellamento) – è stato rilevato che non siamo in grado di «stabilire il complesso delle corti monastiche in

Franciacorta, nel loro sfaldarsi come strutture produttive organizzate secondo il modello cosiddetto «curtense», abbia lasciato il posto al definirsi di qualche forma di signoria bannale, oppure i vari monasteri, e primo fra gli altri quello di S. Salvatore e S. Giulia, abbiano ridisegnato la loro presenza modellandola su forme più compatte di signoria fondiaria»252. Ciò

nonostante, è comunque facile credere che a margine della centralità progressivamente assunta da Iseo, il potente monastero cittadino abbia avviato e perseguito la via di una sinergia produttiva delle sue corti, ovvero «un modello organizzativo che prevedeva di

coordinare intorno ad una corte dotata di porto e di mercato, vocata cioè non solo alla produzione di beni, ma soprattutto al loro scambio, le corti viciniori – tra cui, immaginiamo, soprattutto Timoline, Borgonato, Erbusco e la stessa Iseo – strutturandole in modo da

garantire con regolarità il flusso delle proprie eccedenze produttive»253, che non

comprendevano soltanto generi alimentari e di prima necessità, ma anche beni che non chiunque poteva essere in grado di acquistare. Inoltre, la situazione che gli scavi hanno documentato a S. Vitale di Borgonato (località nella quale, come abbiamo visto, deve localizzarsi la corte giulianea di Bogonago, che, tuttavia, non può essere meccanicamente